Le scale di deflusso
1. Considerazioni generali
La portata di un corso d'acqua è definita come il volume che defluisce nell'unità di tempo attraverso una sezione data. La misura di tale grandezza fisica si affronta per via indiretta andando a misurare una o più grandezze fisiche ad essa legate.
Quasi tutti i metodi adottati per la misura della portata defluente in un corso d'acqua naturale fanno riferimento alla misura dell'altezza idrica nella sezione, che è effettuata rispetto ad un prefissato livello geometrico, lo zero idrometrico.
I principi dell'idraulica insegnano che è possibile istituire una relazione tra la portata defluente in una certa sezione idrica ed il relativo tirante idrico. Detta relazione, denominata “scala di deflusso”, è sempre individuabile, sia pur con diverso grado di precisione, a seconda delle condizioni assunte dalla corrente nel tronco di corso d’acqua che comprende la sezione.
La scala di deflusso, o “scala delle portate”, esprime, dunque, per una data sezione la relazione (crescente) tra la portata defluente q e il tirante idrico δ :
q = f( δ ). (1) Il deflusso della corrente in un corso d’acqua generalmente avviene in condizioni di moto permanente, cioè in condizioni idrodinamiche costanti nel tempo ma variabili da sezione a sezione. Ipotizzando, dunque, che il moto della corrente sia uniforme a tratti, è possibile utilizzare la nota formula di Chézy, che lega in modo univoco la portata q all’altezza δ della corrente:
q = A χ Ri , (2) dove:
- A( δ ) è l’area della sezione idrica;
- R( δ )=A( δ ) / P( δ )rappresenta il raggio idraulico (con P perimetro bagnato);
- i è la pendenza dell’alveo;
- χ indica un coefficiente di scabrezza, al quale sono state assegnate varie espressioni da
diversi autori, tra cui le più utilizzate sono quelle di Chézy, secondo la quale χ è una
costante, e di Gauckler-Stickler, che assume χ = k s R 1 6 (dove k s è l’indice di scabrezza dell’alveo in esame).
A partire dalla (2), considerando che sia il raggio idraulico R che l’area della sezione idrica A possono essere considerati direttamente proporzionali al tirante idrico δ , si ricava che:
q ∝ δ ⋅ δ ⇒ q ∝ δ 3 2 (Chézy), (3) q ∝ δ ⋅ δ 1 6 δ ⇒ q ∝ δ 5 3 (Gauckler - Strickler) (4) Nello stato critico in sezione rettangolare di base B, poichè v = g ⋅ δ risulta:
q = ⋅ B g ⋅ δ 3 2 . (5) Dalle (3), (4) e(5) si nota come, per un alveo a geometria nota, a seconda dell’espressione scelta per il coefficiente di resistenza, la portata defluente nella sezione sia proporzionale al tirante idrico secondo un prefissato esponente.
Quando al posto del tirante idrico δ si adopera il livello idrico h sopra lo zero idrometrico, la (1) viene determinata sperimentalmente attraverso l’esecuzione di misure di portata e altezza idrometrica contemporanee effettuate nella sezione di interesse.
E’ facile intuire come l'utilizzo della scala di deflusso quale strumento di misura vada a semplificare notevolmente il procedimento di acquisizione del dato "portata", consentendo di passare direttamente dal livello idrometrico h misurato al corrispondente valore di q.
E' tuttavia di fondamentale importanza che, ai fini di una valutazione corretta di tale dato, la scala di deflusso abbia la proprietà di essere univoca ed abbia, insieme, la caratteristica di essere stabile nel tempo.
L’univocità è sempre assicurata dalle leggi dell'idraulica, ad eccezione dei periodi transitori di moto vario. Per quel che attiene la stabilità della scala di deflusso nel tempo, invece, il problema risulta più complesso, in quanto possono intervenire una serie di fattori, di origine sia naturale che antropica, ad indurre modificazioni alla morfologia dell'asta fluviale, e quindi al regime idrometrico che in essa si instaura in occasione di eventi naturali estremi.
E’ importante sottolineare che la determinazione del valore di portata mediante la scala di
deflusso risulta tanto più affidabile quanto più tale valore rientra nel campo delle misure
sperimentali effettuate. Molto spesso, invece, la stima delle portate di piena avviene
necessariamente estrapolando la scala di deflusso: in tal caso gli errori di stima possono
essere anche molto elevati e, in particolare, sono crescenti all’aumentare dell’altezza idrometrica. Tale problema può essere affrontato mediante l’utilizzo di una scala delle portate di piena unica per la sezione in esame.
2. Variabilità delle scale di deflusso
Gli Annali Idrologici del Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale (S.I.M.N.) riportano nella parte II, sezione C, le scale di deflusso in forma numerica, consistenti in coppie (h, q) di valori misurati di altezza idrica e portata. Per valori superiori alla massima portata misurata viene spesso indicata una reazione analitica (fig.1).
In genere, per portate elevate, le scale di deflusso sono ottenute per estrapolazione da una relazione matematica del tipo:
q = c ⋅ h 3 2 − d , (6) dove:
- q indica la portata;
- h è l’altezza idrometrica;
- c, d rappresentano dei coefficienti da stimare, con d avente il significato di portata relativa al livello idrico di zero idrometrico (valore zero dell’asta idrometrica di misura) livello di solito associabile al minimo valore storicamente riscontrato nella sezione.
E’ possibile notare come tale relazione sia congruente con il legame tra h e q istituito nella formula di Chézy.
Fig.1. Esempio di scala di deflusso riportata nella parte II, sez.C degli Annali Idrologici
Generalmente le scale di deflusso, numeriche o analitiche, riportate negli Annali sono
variabili da un anno all’altro e, a volte, anche all’interno dello stesso anno. Oltre alle già
citate cause naturali, le variazioni possono essere legate a cambiamenti dell’ubicazione dello strumento di misura o alla realizzazione di manufatti lungo l’alveo tali da modificare il regime dei deflussi. In tutti questi casi si ha la modificazione dello zero idrometrico.
Per rappresentare la variabilità delle curve è più appropriato definire la scala di deflusso tramite la relazione proposta da Herschy (1985):
q = a ⋅ ( h − h 0 ) b , (7) in cui:
- a e b rappresentano dei coefficienti da stimare;
- h 0 esprime una stima dell’altezza dello zero idrometrico.
Dunque, una volta stimato anno per anno il valore di h 0 , risulta univocamente definita la scala di deflusso delle portate per la sezione considerata.
In genere la scala delle portate coincide con la legge analitica di estrapolazione indicata negli Annali. Quando tale relazione non viene riportata è possibile determinarla mediante regressione sulla scala numerica, utilizzando una legge interpolare del tipo q = a ⋅ h b con la quale può essere ricavato anche il valore di altezza al colmo h colmo . Le altezze idrometriche massime annuali h max così ottenute costituiranno la base dati per la costruzione di una nuova scala di deflusso valida per le portate di piena.
3. Determinazione della scala di deflusso
La ricostruzione della legge analitica relativa alla scala delle portate può essere effettuata tramite diverse relazioni:
- Formule monomie: sono basate sul fatto che lo zero idrometrico sia effettivamente uno zero numerico.
a) Modello A1: q = a ⋅ h 5 3 . E’ un modello a un parametro in cui l’esponente 5/3 indica l’ipotesi che il deflusso avvenga in condizioni di moto uniforme.
b) Modello A2: q = a ⋅ h 3 2 . E’ un modello sempre ad un solo parametro, ma che contiene, nell’esponente 3/2, anche l'ipotesi di passaggio in condizioni di stato critico.
c) Modello A3: q = a ⋅ h b . E’ un modello a due parametri, a e b, in cui non si
impone a priori il valore dell’esponente.
- Formule binomie: comportano sempre la stima del valore numerico dello zero idrometrico.
a) Modello B1: q = a ⋅ ( h − h 0 ) 5 3 . E’ un modello a due parametri, a ed h 0 , che si basa sull’ipotesi di moto uniforme.
b) Modello B2: q = a ⋅ ( h − h 0 ) b . Questo modello, proposto da Herschy (1985), è di carattere più generale rispetto ai primi, con l’esponente non più imposto a priori. I parametri da stimare sono tre.
I parametri caratterizzanti i singoli modelli sono stimati con il metodo dei minimi quadrati a partire dalle coppie note di portata q e di altezza corrispondente h.
In particolare, per quanto riguarda il ‘modello A1’ è sufficiente calcolare il coefficiente a con una regressione sulle medie, avendole preventivamente linearizzate con una trasformazione logaritmica:
( max ) ( ) log ( max )
3 log 5
log q = a + ⋅ h , (8) da cui si ottiene banalmente, dopo aver calcolato le medie:
( ) ( ) ⎟
⎠
⎜ ⎞
⎝
⎛ −
= max log max
3 log 5
exp q h
a . (9) Lo stesso ragionamento vale per il ‘modello A2’.
I parametri del modello A3 vengono stimati tramite regressione lineare con riferimento all'espressione linearizzata:
log ( q max ) = log ( ) a + b ⋅ log ( h max ) . (10) Le espressioni B1 e B2 non sono linearizzabili. I relativi parametri possono essere stimati con algoritmi iterativi tendenti a minimizzare una funzione obiettivo (nel caso particolare la somma dei residui al quadrato). In questo caso è possibile utilizzare la routine FMINS del software MATLAB, basata sul metodo del simplesso quale algoritmo di minimizzazione.
Le relazioni monomie e binomie così ricavate vengono utilizzate per ricostruire le serie
storiche con i nuovi valori delle portate. Tali serie si avvicineranno in modo più o meno
sensibile alle relative serie storiche, a seconda del migliore o peggiore grado di
adattamento.
La scelta del modello da adottare per tale ricostruzione non viene fatta mediante la semplice osservazione grafica dell’adattamento delle curve stimate ai dati storici osservati, ma si effettua un confronto di tipo statistico, basato sul calcolo dell’errore standard:
( )
n q q
E S M
n
i
CALC i REG
∑ i
=
−
= 1
2
. .
. , (11) in cui q i REG e q i CALC rappresentano le portate osservate e quelle ottenute dal modello.
Tuttavia si deve tener presente che i modelli hanno un numero diverso di parametri da stimare e, quindi, un numero diverso di gradi di libertà. Affinché il confronto venga condotto su grandezze omogenee, è necessario introdurre nell'espressione (10) un coefficiente correttivo:
( )
⎟⎟ ⎠
⎜⎜ ⎞
⎝
⎛
−
⋅ −
−
= ∑
=
p n
n n
q q
E S M
n
i
CALC i REG
i 1
. .
. 1
2
(12) in cui p rappresenta il numero di parametri del modello considerato.
Il modello con il minimo M.S.E. rappresenta quello oggettivamente più valido a riprodurre il fenomeno in esame. Va tuttavia considerato che il fenomeno è pur sempre retto da leggi idrauliche, per cui non può essere accettato un esponente b che si discosti troppo dai valori 3/2 o 5/3.
4. Scale di deflusso di piena
Tranne nel caso delle piene catastrofiche, che producono modifiche macroscopiche nella sezione e nell’alveo, le variazioni delle grandezze geometriche e idrauliche, indotte dalle variazioni naturali delle portate, sono spesso di natura casuale, sia per entità che per dislocazione; inoltre, l’ordine di grandezza di tali modifiche è inferiore alle dimensioni tipiche della sezione riferite alla piena di modellamento ed esse rimangono all’interno di tale sezione. Questo significa che la parte di alveo che più viene modificata è la sezione morbida (savanella), le cui variazioni di forma incidono nella misura delle portate medio – basse. Per portate elevate vengono interessate, quando esistono, anche le aree golenali, che spesso presentano sezioni notevolmente maggiori rispetto alla sola sezione di magra.
Anche nel caso in cui le aree golenali non vengano attivate in corrispondenza di eventi
notevoli, la variazione di sezione risulta in genere piccola nel complesso. Di conseguenza è
lecito supporre che la scala di deflusso per elevati valori di portata possa rimanere quasi
costante nel tempo, ed è quindi possibile determinare una scala delle portate con validità limitata agli eventi di piena, definita, appunto, “scala di deflusso di piena”.
Riportando in un grafico tutte le scale delle portate pubblicate sugli Annali per una determinata stazione è possibile notare che esse tendono a disporsi in una forma a fuso, più aperta per i valori di portata minori. Tale andamento tipico è ben rappresentato dal Basento a Pignola (Fig.2), per il quale è possibile evidenziare una certa stabilità delle condizioni idrometriche nella sezione di misura, tanto maggiore quanto più grandi sono i valori di portata al colmo. Ciò risulta in accordo con l’ipotesi che le variazioni nella geometria della sezione, causate dalle portate di modellamento ordinarie, non abbiano influenza sui valori più elevati di altezza idrometrica e portata. Per questo motivo appare corretto utilizzare un’unica scala di deflusso per interpretare i valori di portata al colmo di piena.
Fig.2. Scale di deflusso in campo bi-logaritmico del Basento a Pignola
Un caso analogo è rappresentato dalla Dora Baltea a Tavagnasco (Fig.3) per la quale la scala di deflusso delle portate di piena può essere ritenuta unica. Nel caso in esame si ritiene che la soglia al di spora della quale si debba utilizzare la scala di piena sia pari a 275 m 3 /s. Per costruire operativamente la scala delle portate di piena si considerano esclusivamente le coppie (h-h 0 ; q) associate a valori di portata superiori rispetto alla soglia fissata. E’ importante sottolineare che il valore di h 0 viene in genere fissato pari al più piccolo valore di altezza idrometrica mai registrato durante il funzionamento della sezione (in questo caso risulta -0.05 m).
Basento a Pignola
0.01 0.1 1 10 100
0.1 1 10 100 1000 10000
Q (mc/s)
H ( m )
DORA BALTEA A TAVAGNASCO (Q
c,min= 275.0 m
3/s)
0.0 0.1 1.0 10.0
1.0 10.0 100.0 1000.0 10000.0
q [m3/s]
h-h0 [m]