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1882-1903 c.c.) e riserva una specifica disciplina all'assicurazione contro i danni (artt

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POLIZZA INFORTUNI E CLAUSOLE ABUSIVE Prof. Flavio Peccenini

1. LA NATURA GIURIDICA DELL'ASSICURAZIONE PRIVATA CONTRO GLI INFORTUNI

L'assicurazione privata contro gli infortuni è il contratto con il quale l'assicuratore, previa

corresponsione di un premio, si obbliga al pagamento di una certa somma all'assicurato, nel caso di lesione dovuta ad una causa fortuita, violenta ed esterna che ne determini l'inabilità temporanea o l'invalidità permanente, ovvero ad un terzo beneficiario, nel caso di morte dell'assicurato medesimo conseguente ad infortunio (1).

Questo tipo di assicurazione non è autonomamente disciplinato nel capo ventesimo del libro quarto del codice civile il quale detta le disposizioni generali sull'assicurazione (artt. 1882-1903 c.c.) e riserva una specifica disciplina all'assicurazione contro i danni (artt. 1904-1918 c.c.) ed

all'assicurazione sulla vita (artt. 1919-1927 c.c.).

L'assicurazione contro gli infortuni è un contratto “socialmente tipico” appartenente, cioè, a quel genere di contratti che, anche se non disciplinati specificamente, sono caratterizzati da un notevole sviluppo nella pratica degli affari commerciali; la loro atipicità ripropone il tradizionale problema del regime giuridico applicabile.

In particolare, quanto all'inquadramento dell'assicurazione privata contro gli infortuni nell'ambito dell'assicurazione contro i danni (2) oppure in quello dell'assicurazione vita (3), esistono, rectius, esistevano delle divergenze interpretative nella giurisprudenza di legittimità ora contrasto sulla natura giuridica di questa tipologia contrattuale pare essere risolto dalla Corte di Cassazione a Sezioni unite che, con sentenza n. 5119 del 2002 (4), ha statuito che l'assicurazione privata contro gli infortuni invalidanti è un'assicurazione contro i danni, per cui la disciplina applicabile è quella degli artt. 1904-1918 c.c., mentre l'assicurazione contro gli infortuni mortali rientra nell'ambito dell'assicurazione sulla vita, per cui le norme applicabili sono quelle riportate dagli artt. 1919-1927 c.c. Nell'ipotesi in cui lo stesso contratto assicurativo attenga sia agli infortuni invalidanti sia a quelli mortali va applicata una disciplina di tipo misto, quella dell'assicurazione contro i danni, nel caso in cui venga dedotto un infortunio invalidante, e quella dell'assicurazione sulla vita, nel caso in cui venga preso in considerazione un infortunio mortale.

1.1. Le due tesi a confronto: l'assicurazione privata contro gli infortuni come assicurazione vita.

L'indirizzo prevalente della Suprema Corte e della dottrina meno recente, riconducevano

l'assicurazione infortuni nell'ambito delle assicurazioni sulla vita, (soprattutto per il caso di morte dell'assicurato) in quanto, non essendo la persona umana una “cosa” suscettibile di valutazione economica, sarebbe sottratta al principio indennitario, che si trova alla base della sola assicurazione danni e ne informa la disciplina (5). Le ragioni di questa affermazione sono molteplici:

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l'assicurazione contro gli infortuni e quella sulla vita hanno in comune il contenuto e le finalità - in quanto coprono il rischio della morte - e nessuna differenza si riscontra tra l'ipotesi in cui la morte sia prevista come effetto di circostanze determinate, cioè a seguito dell'infortunio, e l'ipotesi in cui sia, invece, prevista puramente e semplicemente, sebbene con l'esclusione di alcuni rischi derivanti da dati eventi.

nell'assicurazione contro i danni il risarcimento è commisurato alla diminuzione o alla perdita che la cosa ha subito nel suo valore intrinseco, cosicché la determinazione

dell'identità è necessariamente oggettiva, al contrario è proprio l'impossibilità di attribuire un valore economico determinato alla vita umana che induce all'incompatibilità di qualsiasi assicurazione vita, anche se destinata a coprire un solo tipo di venti mortali, come

l'assicurazione infortuni, con il regime dell'assicurazione danni.

in particolare, nell'assicurazione contro i danni, l'assicuratore può rivalere l'assicurato del danno da lui subito non soltanto pagandogli l'indennizzo, ma può adempiere la sua

obbligazione riparando o restaurando la cosa assicurata danneggiata, oppure sostituendo la cosa distrutta con un'altra, ovvero recuperando la cosa rubata. Nell'assicurazione per morte o per invalidità da infortunio e per invalidità da malattia, la prestazione assicurativa non può che essere soltanto pecuniaria, come quella dell'assicurazione sulla vita. Secondo questo ragionamento non si potrebbe applicare al contratto di assicurazione contro gli infortuni, l'art. 1910 c.c., dato che il fine di questa assicurazione non è l'indennizzo, e le uniche norme che potrebbe essere applicate sono gli artt. 1924, 1925 e 1927 c.c. che sono dettati

specificamente per l'assicurazione sulla vita.

1.2. Le due tesi a confronto: l'assicurazione privata contro gli infortuni come assicurazione contro i danni.

L'indirizzo dottrinario prevalente colloca l'assicurazione infortuni nell'ambito dell'assicurazione contro i danni (6), in quanto sarebbe anch'essa contraddistinta dalla natura indennitaria (7). Per quanto la persona fisica non possa essere considerata cosa materiale suscettibile di facile e concreta valutazione, si è sempre ammessa, seppur per convenzione, la valutazione in termini economici, della persona umana, con la conseguente concezione dell'infortunio, qualunque siano le

conseguenze che ne derivino (invalidità o morte), come un sinistro che produce un danno così come configurato dall'art. 1882 c.c., suscettibile di liquidazione (8). Se lo scopo dell'assicurazione vita infatti è quello di rendere possibile la disponibilità di una somma di denaro per sé o per altri nel momento in cui l'ipotesi prevista nel contratto diventa realtà, lo scopo dell'assicurazione infortuni è quello di rendere disponibile una somma di denaro, giustificata, però, dalla necessità di

indennizzare la vittima di tali lesioni (9). Secondo tale orientamento, l'assicurazione infortuni non può essere un'assicurazione sulla vita, così come è intesa nel nostro codice civile restando

indiscutibilmente un'assicurazione non-vita (10), si potrebbe dire a funzione indennitaria, poiché anche in caso di morte la somma assicurata è indirizzata alla riparazione dei danni sofferti dalla vittima, sebbene quest'ultima non abbia la possibilità di servirsene (11).

1.3. La risoluzione del contrasto: Corte di Cassazione, sez. un., 10 aprile 2002, n. 5119.

La giurisprudenza non ha ritenuto le tesi sopraesposte sufficientemente esaustive ed ha individuato nell'assicurazione infortuni un contratto misto a causa unica: l'assicurazione contro gli infortuni invalidanti è un'assicurazione contro i danni e quella contro gli infortuni mortali è un'assicurazione sulla vita. A tale conclusione si perviene attraverso tre ordini di ragioni:

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la prima riguarda l'estensione dell'applicazione dell'art. 1916 c.c., in tema di diritto di surrogazione dell'assicurazione anche alle “assicurazioni contro le disgrazie accidentali” e poiché tale diritto mira ad impedire il cumulo nello stesso soggetto del diritto al risarcimento verso il terzo e del diritto di indennizzo verso l'assicuratore, ciò dimostrerebbe la natura indennitaria dell'assicurazione contro gli infortuni (12);

il secondo motivo afferisce all'infortunio come evento produttivo di danno per l'assicurato (sia danno patrimoniale sia danno non patrimoniale pur sempre monetizzabile). L'infortunio in quanto evento dannoso da indennizzare può essere ricondotto nell'ambito di applicazione del principio indennitario (togliendo ogni dubbio sul fatto che l'assicurazione contro gli infortuni invalidanti non possa essere considerata assicurazione contro i danni perché non è valutabile il danno alla persona fisica). In effetti, nell'assicurazione contro gli infortuni, la misura dell'indennizzo sarebbe predeterminata nella polizza, proprio perché in materia di assicurazione danni è prevista tale eventualità mediante polizza stimata (art. 1908 c.c.);

da ultimo è importante sottolineare che è il bene salute il bene giuridico meritevole di tutela (13), l'interruzione della vita derivante da causa fortuita, violenta ed esterna a far nascere l'obbligazione dell'assicurazione e non la durata della vita.

La definizione normativa, che si ricollega alla tradizionale bipartizione delle assicurazioni, consente di affermare che l'assicurazione contro i danni (14), in quanto considera il danno prodotto

all'assicurato ( ad esso prodotto ), senza ulteriori precisazioni, non è solo assicurazione di cose o di patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persona dell'assicurato per effetto di infortuni, così caratterizzandosi (anche) come assicurazioni di persone, e, per altro verso, che l'assicurazione sulla vita non esaurisce l'ambito delle assicurazioni di persone, inglobando anche l'assicurazione contro gli infortuni, poiché la disgrazia accidentale (non produttiva di morte) non costituisce evento attinente alla vita umana, tale essendo solo la morte, bensì evento attinente alla persona.

2. LE CLAUSOLE VESSATORIE

Con la direttiva del Consiglio 93/13/CEE del 5 aprile 1993 (concernente le clausole abusive ed i contratti stipulati con i consumatori) il legislatore comunitario ha ritenuto opportuno introdurre nella legislazione europea validi strumenti a tutela degli interessi dei consumatori volti a contrastare determinate prassi instauratesi nella predisposizione di condizioni di contratto da parte dei

professionisti. La direttiva è diretta al fenomeno della contrattazione di massa e mira ad eliminare lo squilibrio di carattere giuridico (dei diritti e degli obblighi) che è frequentemente riscontrabile nei contratti conclusi mediante moduli e formulari.

La legge 6 febbraio 1996 n. 52 ha dato attuazione alla direttiva 93/13/CEE introducendo nel codice civile gli artt. 1469 bis e seguenti. Le nuove disposizioni sono racchiuse nel Capo XIV bis titolato

«Dei contratti del consumatore» e si affiancano (nella disciplina delle condizioni generali di contratto) agli artt. 1341 e 1342 c.c., la cui applicazione viene ormai ristretta ai casi in cui non sussistono i requisiti soggettivi richiesti ai fini dell'utilizzo delle disposizioni di cui agli artt. 1469 bis ., s.s., c.c.

Ai sensi l'art. 1469 bis primo comma c.c., nel contratto concluso tra il consumatore ed il

professionista, che ha per oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi (inciso rimosso dalle legge 526/99), si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Per il terzo comma dello stesso articolo, si presumono vessatorie fino a prova contraria 19 tipi di

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clausole.

Prima di analizzare la direttiva e l'abusività delle clausole, occorre evidenziare che l'art. 8 della direttiva Cee 93/13 autorizza gli Stati membri ad adottare o mantenere disposizioni più severe per « garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore », un principio questo, che basta a ritenere assolutamente inadeguata qualunque interpretazione dell'art. 1469 bis che conceda agli assicurati un grado di protezione minore di quello previsto dalla direttiva. E' dunque necessario interpretare la norma interna alla luce della direttiva. A tal proposito va chiarito che la direttiva 93/13 e la disciplina italiana di riferimento non dettano alcuna disposizione specifica relativa ai contratti di assicurazione. L'unico riferimento è presente al “considerando” n. 19) nel quale si precisa che nel caso di contratti assicurativi le clausole che definiscono o delimitano chiaramente il rischio assicurato e l'impegno dell'assicurazione non formano oggetto di valutazione di abusività qualora i limiti in questione siano presi in considerazione nel calcolo del premio pagato dal consumatore.

La legge italiana di recepimento che prevede l'applicazione della disciplina consumatore- professionista sancita in direttiva, ha suscitato delicate questioni interpretative in materia di contratto assicurativo. La radice di tali nodi problematici nasce dalla difficoltà di individuare la figura del “consumatore” in ordine al concetto di “assicurato”. Tale nozione infatti, può essere scissa in varie figure: contraente, assicurato e beneficiario; la raffigurazione ideale della

“controparte” dell'assicuratore contempla in sé sia colui che conclude il contratto e ne assume gli obblighi derivanti (contraente), sia colui che è titolare del diritto all'indennizzo o del capitale o della rendita per il rischio oggetto del contratto (assicurato), sia colui che è il destinatario degli effetti derivanti dal contratto di assicurazione (beneficiario). Il contratto per conto altrui separa dunque, la posizione giuridica di colui che contrae e di colui che è titolare dell'interesse oggetto del contratto, cioè l'assicurato; da qui la necessità di capire quali delle figure descritte, rappresenti il “soggetto debole”. Un rapporto ISVAP del 1997 (15) ha espresso l'orientamento favorevole all'estensione del sistema di protezione delineato dagli artt. 1469 bis s.s. c.c. ai contratti stipulati per conto altrui: il requisito di consumatore sussiste in capo all'assicurato e non in capo al contraente poiché è l'assicurato il soggetto titolare dell'interesse coperto dall'assicurazione ed il destinatario della prestazione assicurativa. Inoltre, nell'assicurazione per contro altrui o per conto di chi spetta, (art.

1891 c.c.) il contraente deve adempiere gli obblighi derivanti dal contratto, ma i diritti spettano all'assicurato, e il contraente, anche se in possesso della polizza, non può farli valere senza espresso consenso dell'assicurato medesimo.

2.1. La sentenza del Tribunale di Roma, sez. XIII, 5 ottobre 2000, n. 51249 e la conferma della Corte d'Appello di Roma due anni dopo.

L'innovazione normativa, se da una parte ha evidenziato e dato modo di chiarire le posizioni delle due parti, dall'altra ha inevitabilmente, aumentato il ricorso agli organi giurisdizionali che si sono trovati sempre più spesso a dover affrontare la difficile ed ambigua questione delle clausole abusive (16). E così è stato per il Tribunale di Roma che nel 2000 si è trovato a dover valutare la

vessatorietà o meno di numerose clausole contenute nei formulari utilizzati dalla Nuova Tirrenia S.p.A. e raccomandati dall'ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici). Il Tribunale di Roma, su istanza del Movimento federativo democratico, ha analizzato e giudicato vessatorie molte clausole sulle quali il confronto tra compagnie di assicurazione e associazione dei consumatori era (ed è) ancora aperto, rilevandosi assi penalizzante per le compagnie di

assicurazioni che, certe di aver intrapreso la strada dell'equità e della chiarezza, (adeguandosi alle raccomandazioni che l'ANIA aveva fatto a seguito degli studi sulle clausole abusive), si sono viste inibire numerose clausole contenute nei loro formulari di polizza.

A proposito del rapporto tra le compagnie di assicurazioni e le associazioni di consumatori, è

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interessante sottolineare che, a seguito del recepimento della direttiva CEE 93/13 le associazioni dei consumatori e l'ANIA hanno dato vita ad una collaborazione, sottoscrivendo un primo Protocollo d'Intesa nel 1994, a seguito del quale è stato istituito un Gruppo di lavoro sulle clausole abusive, ed un secondo nel 1999. Detti Gruppi di lavoro, cercando di trovare un accordo sulla valutazione di alcune clausole, hanno creato tre liste idealmente denominate:

lista nera contenente le clausole sicuramente abusive;

lista grigia contenente le clausole di ancora dubbia abusività;

lista bianca contenente le clausole sicuramente non abusive (17).

2.2. Le clausole giudicate vessatorie e quelle non abusive, l'elenco.

Il Tribunale di Roma (18) ha ritenuto non abusive due tipi di clausole:

1. clausole che attengono a polizze inerenti a rischi di impresa;

2. clausole che attengono alla determinazione dell'oggetto del contratto e in particolare:

clausole che escludono l'assicurabilità delle persone affette da Hiv e dall'interruzione volontaria della gravidanza; clausole delimitative del rischio, concernenti l'esclusione dal danno indennizzabile del valore di affezione artistico o scientifico delle cose assicurate;

clausole che prevedono l'esclusione dalla garanzia furto, incendio o kasko dei danni

agevolati o determinati da dolo o colpa grave del contraente, dell'assicurato, del beneficiario, delle persone coabitanti, dei loro dipendenti o parenti; clausole predeterminanti i criteri da utilizzare per individuare l'indennizzo dovuto a seconda dei vari sinistri verificatisi; la clausola di tutela giudiziaria; la clausola che prescrive a carico dell'assicurato la forma scritta ed indica specifici luoghi di invio delle comunicazioni.

Lo stesso Tribunale inoltre, in accoglimento della domanda del Movimento Federale Democratico, ha ritenuto abusive le clausole che:

a. prevedono il recesso unilaterale dell'assicuratore dopo ogni sinistro, anche qualora sia prevista la bilateralità del recesso;

b. prevedono in capo all'assicurato il termine di 90 o 60 giorni prima della scadenza del contratto per comunicare la disdetta;

c. subordinano il pagamento dell'indennizzo, in caso di instaurazione di una vertenza

giudiziaria sulla causa del sinistro, solo all'esito della prova da parte dell'assicurato di non aver agito con dolo o colpa grave;

d. derogano alla competenza dell'autorità giudiziaria, in particolare le clausole che prevedono l'arbitrato irrituale;

e. derogano alla competenza territoriale.

La Corte d'Appello di Roma (19) intervenuta a seguito dell'impugnazione di ANIA, parte convenuta in primo grado, ha confermato il decisum del Tribunale di Roma 5 ottobre 2000, disponendo:

Nel contratto di assicurazione contro i danni devono considerarsi abusive, ai sensi degli artt. 1469 bis e seguenti c.c., le clausole che:

a. prevedono la facoltà di recesso dell'assicuratore dopo ogni sinistro, anche se analoga facoltà è concessa all'assicurato;

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b. stabiliscono un termine pari o superiore a 60 giorni prima della scadenza del contratto per l'utile disdetta;

c. prevedono arbitrati obbligatori, anche se irrituali;

d. derogano al foro del luogo di residenza o domicilio dell'assicurato;

e. limitano la garanzia ai fatti verificatisi nel periodo di validità della garanzia e che siano denunciati entro 12 mesi dalla cessazione del contratto;

f. consentono all'assicuratore, nel caso di esistenza di più assicurazioni per lo stesso rischio, ed ove la somma degli indennizzi spettanti in base alle diverse polizze superi l'ammontare del danno, di pagare solo la propria quota proporzionale;

g. vietano all'assicurato di transigere la lite col danneggiante senza il consenso dell'assicuratore;

h. obbligano l'assicurato al pagamento di un premio maggiore nel caso di aggravamenti del rischio, ance se non dipesi da dolo o colpa grave dell'assicurato stesso .

Procediamo dunque all'analisi delle clausole ritenute dal Tribunale e dalla Corte d'Appello vessatorie e che possono avere rilevanza in una polizza infortuni.

2.2.1. La clausola di recesso in caso di sinistro.

In aderenza a quanto contenuto nella direttiva 93/13/CEE lett. f) dell'allegato, l'art. 1469 bis secondo comma contiene un elenco di clausole che, a causa del loro oggetto o per gli effetti che esse producono, si presumono vessatorie fino a prova contraria. Al n. 7 di tale elenco,

troviamo la clausola che riconosce al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto.

La clausola in questione deve essere valutata alla stregua del criterio generale espresso nell'art. 1469 bis c.c. volto a prevenire situazioni di squilibrio tra le parti contrattuali: l'assicurato con la

conclusione del contratto si obbliga ad effettuare la propria prestazione (pagamento del premio) per tutta la durata del contratto, senza però poter contare su un pari impegno da parte dell'assicuratore il quale potrebbe recedere prima della scadenza contrattuale. Per una parte della dottrina (20) la previsione di una bilateralità non può essere considerato un rimedio sufficiente ad eliminare lo squilibrio nei rapporti tra assicurato e assicuratore, in quanto l'assicurato non avrebbe nessun interesse a recedere, senza considerare la difficoltà che potrebbe incontrare nel reperire una

copertura assicurativa (21). Non è un caso che, parlando di contratti di assicurazione la sentenza si riferisce ai contratti di massa dove il premio deve essere calcolato con riferimento al c.d. rischio medio. Consentire il recesso all'assicuratore comporterebbe l'eliminazione dell'alea contrattuale solo in favore di questi, senza motivo e per di più comportando una sottostima o una sovrastima del rischio assunto nei singoli contratti. In sostanza, consentire il potere all'assicuratore di recedere al momento del verificarsi del sinistro, vorrebbe dire consentirgli una sorta di valutazione ex-post della attendibilità dei dati statistico-attuariali utilizzati nell'elaborazione della polizza (22).

2.2.2. La clausola di tacita proroga del contratto.

Il punto 9) dell'art. 1469 bis comma terzo c.c., riproducendo la lett. h) dell'allegato alla direttiva, pone la presunzione di vessatorietà della clausola che stabilisce un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga. Il Tribunale di Roma si è espresso sostenendo che tale clausola stabilisce un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza, tenuto anche conto della durata generalmente annuale dei contratti assicurativi. A tal proposito è necessario sottolineare che ai contratti annuali con proroga tacita le imprese si stanno orientando verso la riduzione a sessanta o a trenta giorni del termine di disdetta (23). In ogni caso, che si tratti di sessanta o di trenta giorni, il termine previsto contrattualmente per esercitare il diritto di disdetta è in generale il medesimo per entrambe le parti.

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2.2.3 Le clausole arbitrali.

L'art. 1469 bis punto 18) menziona tra le clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria quelle che sanciscono deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria. Alla stregua di tale assunto, sono indiscutibilmente da ritenersi vessatorie le clausole che prevedono il ricorso obbligatorio all'arbitrato rituale. Il contenuto dell'art. 1469 bis, 3° comma, n. 18 richiama un'espressione già presente nel nostro codice civile: l'art. 1341, 2° comma c.c. (24). Le due espressioni sono pressoché identiche, bisogna capire se devono essere interpretate alla stessa stregua.

Le compagnie di assicurazioni si sono orientate nel senso di interpretare come vessatorie soltanto le clausole in cui è previsto un arbitrato rituale, poiché solo queste, e non anche quelle in cui è previsto un arbitrato irrituale, derogano alla competenza del giudice ordinario, e perciò costituiscono

un'eccezione al principio della competenza dell'autorità giudiziaria. In tal senso le clausole di arbitrato irrituale non sarebbero abusive, in quanto in questi casi non ci si troverebbe di fronte a una deroga vera e propria, avendo le parti previsto la definizione in via negoziale delle controversie insorte con una composizione amichevole o transattivi che non trasferisce a terzi la funzione giurisdizionale (25).

Parte della dottrina, conformemente all'opinione delle associazioni dei consumatori, sostiene che una simile interpretazione non sarebbe fedele alla ratio dell'art. 1469 bis , 3° comma, n. 18 c.c. e più in generale allo spirito della direttiva, poiché, comunque, anche nell'ipotesi di arbitrato irrituale ci sarebbe una rinuncia forzata e preventiva alla tutela giurisdizionale da parte del consumatore (26).

Inoltre, la direttiva comunitaria alla lettera q) dell'elenco individua tra le clausole che gli Stati membri possono prevedere come vessatorie le clausole che abbiano come oggetto o effetto di « sopprimere o limitare l'esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando». La norma comunitaria sembra pertanto esprimere una valutazione in termini di abusività delle clausole che obbligano a far ricorso all'arbitrato irrituale, cioè non disciplinato da norme giuridiche, in quanto sopprimano o comunque limitino per il consumatore l'esercizio della tutela giurisdizionale (27). A questo proposito giova anche ricordare che l'art. 8 della direttiva autorizza gli Stati membri ad adottare o mantenere disposizioni più severe per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore, principio che da solo basterebbe a ritenere assolutamente inadeguata un'interpretazione dell'art. 1469 bis , n. 18, che invece conceda agli assicurati un grado di protezione minore di quello previsto dalla direttiva (28).

Inoltre, la stessa legge italiana di recepimento consente di affermare il carattere vessatorio della clausola di arbitrato irrituale, in quanto tale carattere pur essendo escluso dalla lettera n. 18 dell'art.

1469 bis terzo comma c.c. può essere desunto dal dettato normativo. Il primo comma infatti, considera vessatorie le clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Ad esempio, le clausole che prevedono il ricorso obbligatorio ad un collegio di medici, sono vessatorie in quanto impongono al consumatore una spesa che, in caso di ricorso all'autorità giudiziaria e soccombenza dell'assicurazione, verrebbe di norma posta a carico della compagnia.

Inoltre l'assicurazione non liquida interessi sulla somma dovuta e pertanto tutto il tempo occorrente agli esperti per svolgere l'incarico loro affidato, si traduce in perdita economica a carico

dell'assicurato che diversamente, in caso di ricorso all'autorità giudiziaria, qualora vittorioso, otterrebbe non solo la liquidazione degli interessi sulla somma dovuta ma anche il pagamento delle spese, rimanendo quindi indenne da ogni esborso economico.

La valutazione in termini di abusività dell'arbitrato irrituale si ricollega poi alla obbligatorietà dello stesso, ed alla assenza di una possibilità di scelta del consumatore in ordine all'attivazione della procedura arbitrale al momento in cui insorge la controversia. Tali problemi di tutela non si pongono per le clausole che prevedono come facoltativo il ricorso all'arbitrato, sia esso rituale sia irrituale. In tali casi infatti, non si verifica una preventiva limitazione della tutela giurisdizionale, potendo il consumatore valutare nel momento in cui si verifica la controversia se intende o meno avvalersi della procedura arbitrale. Impresa più difficile è, invece, contestare l'abusività di tali

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clausole qualora il ricorso all'arbitrato libero risulti previsto in via obbligatoria (come avviene nei contratti di assicurazione danni alla persona: malattia e infortuni) (29).

La sentenza del Tribunale di Roma 51249/00, pur partendo dal presupposto che formalmente la clausola di arbitrato irrituale non costituisce deroga alla competenza dell'autorità giurisdizionale, conclude nel ritenere che comunque tali clausole, essendo ritenute abusive dalla direttiva, sono d ritenersi tali anche nell'ordinamento interno italiano. Il Tribunale di Roma sostanzialmente, risolve la questione facendo leva sul principio del primato del diritto comunitario su quello interno.

2.2.4 La perizia contrattuale.

Nei contratti di assicurazione contro i danni sono frequenti le clausole che prevedono, in caso di disaccordo sull'indennizzabilità del sinistro o sull'ammontare dell'indennità, l'intervento di un collegio di periti nominati dalle parti, le quali al momento della stipula della polizza si impegnano ad accettarne la decisione. Tali clausole si differenziano notevolmente tra loro sia nella terminologia che nel contenuto: quanto al primo aspetto dette clausole sono rubricate con differenti espressioni:

“perizia contrattuale”, “mandato dei periti” o “arbitrato irrituale”. La nozione di perizia contrattuale è stata chiarita in una sentenza della Suprema Corte (30) con la quale la Cassazione, pur affermando la tesi della differente natura giuridica della perizia contrattuale rispetto all'arbitrato, riguardante la prima questioni tecniche e la seconda questioni giuridiche, ha poi ricompresso nell'ambito della perizia contrattuale l'accertamento diretto alla liquidazione dei danni (nel caso specifico la Suprema Corte ha ritenuto che il mancato espletamento della perizia contrattuale, concernente la liquidazione dei danni, non impediva all'assicurato di richiedere giudizialmente l'accertamento della operatività della garanzia, in quanto la perizia verteva su un oggetto diverso).

La sentenza del Tribunale di Roma non distingue tra arbitrato irrituale e perizia contrattuale, pervenendo alla medesima conclusione della abusività degli istituti: sono abusive le clausole che demandano con effetto vincolante tra le parti ad un collegio di periti la soluzione di questioni

strettamente giuridiche o di natura meramente tecnica. In presenza di una perizia contrattuale infatti, diviene ammissibile la proponibilità della domanda in giudizio ove si chieda l'accertamento della validità del contratto, della sua operatività in riferimento all'evento dannoso verificatosi e, dunque, l'accertamento del diritto all'indennizzo (31). Il problema che si deve porre l'interprete dell'art. 1469 bis n. 18 c.c., è quello di individuare i limiti rispettivamente posti ai periti nella clausole in

questione. La sentenza del Tribunale di Roma, sancisce che, ove il mandato si estenda non solo a valutazioni tecniche (che individuerebbero una perizia contrattuale), ma anche a questioni

giuridiche, si rientri nell'ambito dell'arbitrato irrituale con consequenziale compressione dei diritti dell'assicurato. La Corte d'Appello di Roma conferma quanto sentenziato dal giudice di primo grado, considerando che le valutazioni peritali, anche se limitate al quantum debeatur , comportano anche valutazioni di carattere giuridico, vincolanti per le parti che, secondo l'art. 19 (33) della Polizza di Assicurazione Incendio Rischi Civili ed Agricoli e l'art. 15 (32) del Testo Contrattuale Infortuni Individuale, rinunciano a qualsiasi impugnativa, salvo il caso di dolo, errore, violenza, nonché violazione dei patti contrattuali. Inoltre, la previsione di un costo posto anche a carico del consumatore comporta la riduzione della somma formalmente indicata in polizza a titolo di indennizzo, poiché il contraente consumatore non ha interesse ad attivare il contratto in caso di sinistro in tutti i casi in cui l'indennizzo non supera in modo consistente i costi.

Note

(1) Corte di Cassazione, sez. un, 10 aprile 2002 n. 5119 in Diritto dell'economia e dell'assicurazione, 2003, 532.

(9)

(2) In questo senso Cass., 4 marzo 1978 n. 1078; Cass., 19 marzo 1980 n. 1832; Cass., 20 maggio 1985 n. 3088; Cass., 26 gennaio 1988 n. 661; Cass., 4 agosto 1995 n. 8597; Cass., 23 agosto 1999 n.

8826.

(3) In questo senso Cass., 7 settembre 1996 n. 2336; Cass., 9 settembre1968 n. 2915; Cass., 24 aprile 1974 n. 1175; Cass., 8 novembre 1979 n. 5755; Cass., 27 novembre 1979 n. 6205; Cass., 28 luglio 1980 n. 4851; Cass., 1° aprile 1994 n. 3207; Cass., 10 novembre 1994 n. 9388; Cass., 8 giugno 1998 n. 6062.

(4) Cass., sez. un., 10 aprile 2002 n. 5119.

(5) A. Donati, La natura giuridica del'assicurazione volontaria contro gli infortuni, in Ass., 1953, I, 41.

(6) A. Donati, Natura giuridica dell'assicurazione infortuni, in Assicurazioni, 1961, I, 435; Volpe- Putzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 1999, 203; A. Durante, Il punto

sull'assicurazione privata contro gli “infortuni”, in Dir. e prat. nell'ass. , 1970, 460; M. Antinozzi, Due questioni in tema di assicurazioni contro gli infortuni, in Dir. e prat. nell'assic., 1989, IV, 830;

G. De Zuccato, Assicurazione privata contro gli infortuni. Il significato originario della definizione di infortunio, in Assic., 1999, II, 250; A. De Bernardinis, L'assicurazione facoltativa contro gli infortuni, l'art. 1910 c.c. e la disciplina dei contratti del consumatore , in Resp. Civ. e prev., 2000, 381.

(7) Secondo alcuni autori l'assicurazione infortuni rientra nell'ambito di quella contro i danni, ma l'impossibilità di compiere una determinazione effettiva del danno sottrae le assicurazioni infortuni al principio indennitario. Candian-Polotti di Zumaglia-Santaroni, Assicurazioni sulla vita e

infortuni. Contratti parassicurativi , in Il diritto delle assicurazioni dir. da Sclafi, Torino, 1992, 223.

(8) I. Clemente, L'assicurazione infortuni: una figura in cerca di disciplina, in Diritto ed economia dell'assicurazione, 2004, 240.

(9) Da precisare che la polizza infortuni diventa operativa nel momento in cui la vittima subisce la lesione (che porterà poi alla morte o all'invalidità), non nel momento in cui si manifesta la morte o l'invalidità, è necessario distinguere dunque che la lesione è l'oggetto della polizza mentre la morte è una conseguenza della lesione. G. De Zuccato, Assicurazione privata contro gli infortuni. Il significato originario della definizione di infortunio, in Assic., 1996, I, 223.

(10) I. Clemente, L'assicurazioni infortuni: una figura in cerca di disciplina, in Dir. ed Econ.

dell'Assic., 2004, 241.

(11) In tal senso si è pronunciata la sentenza n. 1078/1978, che ha ritenuto applicabile anche all'assicurazione contro gli infortuni, nonostante diversa previsione contrattuale sfavorevole

all'assicurato, la disciplina dettata dagli artt. 1913 e 1915, comma 2 (non derogabile ex art. 1932), in tema di assicurazioni contro i danni, circa le conseguenze dell'inadempimento colposo dell'obbligo di avviso.

(12) I. Clemente, op. cit., 242.

(13) De Bernardinis, L'assicurazione facoltativa contro gli infortuni, l'art. 1910 c.c. e la disciplina dei contratti del consumatore, in Resp. Civ. e prev., 2000, 381.

(10)

(14) Per tradizionale bipartizione, la sentenza della Corte di Cassazione si riferisce al binomio assicurazione contro i danni e assicurazione sulla vita. Cass., sez. un., 10 aprile 2002, n. 5119.

(15) Quaderno ISVAP n. 9 Le clausole vessatorie e i contratti da assicuratore : profili di tutela del consumatore, in Corriere giuridico, 2003, 5, p. 663.

(16) E. Carbonetti, Clausole abusive in materia assicurativa, in Diritto ed economia dell'assicurazione, 2001, 530.

(17) E. Carbonetti, Clausole abusive in materia assicurativa, in Diritto ed economia dell'assicurazione, 2001, 530.

(18) Tribunale di Roma, 5 ottobre 2000 n. 51249 in Danno e responsabilità, 2001, 6, 626.

(19) Corte d'Appello di Roma, 7 maggio 2002, in Ass . 2002, II, 142 ss.

(20) A.D. Candian, Contratto di assicurazione e clausole vessatorie, in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, a cura di G. Alpa, S. Patti, tomo II, Milano, p. 1010

(21) G. De Nova, Le clausole vessatorie . Art. 25, legge 6 febbraio 1996, n. 52 , Milano, 1996.

(22) E. Carbonetti, Clausole abusive in materia assicurativa, in Diritto ed economia dell'assicurazione, 2001, 530.

(23) Il protocollo d'intesa intervenuto tra le associazioni a tutela dei consumatori e l'ANIA ha convenuto, al fine di evitare che l'eccessiva varietà dei termini di disdetta nelle diverse polizze possa generare confusione negli utenti, che gli assicuratori prevedano termini di disdetta uniformi per le polizze a tacito rinnovo: a 30 giorni per la disdetta delle polizze r.c. auto e 60 giorni (o eventualmente 30) per gli altri rami. E. Carbonetti, Clausole abusive in materia assicurativa, in Diritto ed economia dell'assicurazione, 2001, 540.

(24) Art. 1341, secondo comma, c.c.: In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificatamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte,

limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria.

(25) E. Carbonetti, Clausole abusive in materia assicurativa, in Diritto ed economia dell'assicurazione, 2001, 542.

(26) C. Galatini, Presunzione di vessatorietà e clausole arbitrali nei contratti assicurativi, in Diritto dell'economia e dell'assicurazione , 1988.

(27) G. Alpa, Le clausole abusive nei contratti dei consumatori, commento alla direttiva 93/13/CEE in Corr. Giur., 1993, p. 645.

(28) E. Carbonetti, Clausole abusive in materia assicurativa, in Diritto ed economia dell'assicurazione, 2001, 543.

(11)

(29) G. Volpe Putzolu, Assicurazione, clausola arbitrale e clausola peritale, in Riv. Arbitrato, 1996, 623.

(30) Set. Cass. 18 febbraio 1998, n. 1721 pubblicata in Diritto ed economia dell'assicurazione, 1998.

(31) In tal senso Cass. Civ., 21 maggio 1999, n. 4954, in Giust. Civ., 1999, 1129.

(32) Polizza di Assicurazione Incendio Rischi Civili ed Agricoli, Art. 19 – Mandato dei periti: «I periti devono 1) indagare su circostanze, natura, causa e modalità del sinistro; 2) verificare l'esattezza delle descrizioni e delle dichiarazioni risultanti dagli atti contrattuali e riferire se al momento del sinistro esistevano circostanze che avessero aggravato il rischio e non fossero state comunicate, nonché verificare se l'Assicurato od il Contraente ha adempiuto agli obblighi di cui all'art. 16; 3) verificare l'esistenza, la qualità e la quantità delle cose assicurate, determinando il valore che le cose medesime avevano al momento del sinistro secondo i criteri di valutazione di cui all'art. 20; 4) procedere alla stima ed alla liquidazione del danno comprese le spese di salvataggio.

Nel caso di procedura per la valutazione del danno effettuata ai sensi dell'art. 18 lett. b), i risultati delle operazioni peritali devono essere raccolti in apposito verbale, con allegate le stime

dettagliate, da redigersi in doppio esemplare, uno per ognuna delle Parti. I risultati delle valutazioni di cui ai punti 3) e 4) sono obbligatori per le Parti, le quali rinunciano fino da ora a qualsiasi impugnativa, slavo il caos di dolo, errori, violenza o di violazione dei patti contrattuali, impregiudicata in ogni caso qualsivoglia azione od eccezione inerente all'indennizzabilità dei danni. La perizia collegiale valida anche se un Perito si rifiuta di sottoscriverla; tale rifiuto deve essere attestato dagli altri Periti nel verbale definitivo di perizia. I Periti sono dispensati

dall'osservanza di ogni formalità giudiziaria.» in Responsabilità civile e previdenza, 2001, 451.

(33) Testo contrattuale Infortuni Individuale – dicembre 1996, Art. 15 Determinazione

dell'indennizzo – Perizia contrattuale: L'indennizzo è determinato in base a quanto stabilito dagli articoli che precedono. Le eventuali controversie di natura medica sul grado di invalidità

permanente o sul grado o durata dell'inabilità temporanea, nonché sull'applicazione dei criteri di indennizzabilità previsti dall'art. 8 – “Criteri di indennizzabilità” delle Condizioni Generali di assicurazione debbono essere demandate ad un collegio di tre medici, nominati uno per parte e il terzo di comune accordo; il Collegio medico risiede nel comune, sede di Istituto di medicina legale, più vicino al luogo di residenza dell'Assicurato. In caso di disaccordo sulla scelta del terzo medico, la nomina viene demandata al Presidente del Consiglio dell'Ordine dei medici competente per territorio dove deve riunirsi il Collegio medico. Ciascuna delle Parti sostiene le proprie spese e remunera il medico da essa designato, contribuendo per metà delle spese e competenze per il terzo medico. E' data facoltà al Collegio medico di rinviare, ove ne riscontri l'opportunità,

l'accertamento definitivo dell'invalidità permanente ad epoca da definirsi dal Collegio stesso, nel qual caso il Collegio può intanto concedere una provvisionale sull'indennizzo Le decisioni del Collegio medico sono prese a maggioranza di voti, con dispensa da ogni formalità di legge, e sono vincolanti per le Parti, le quali rinunciano fin d'ora a qualsiasi impugnativa salvo i casi di violenza, dolo, errore o violazione di patti contrattuali. I risultati delle operazioni arbitrali devono essere raccolti in apposito verbale, da redigersi in doppio esemplare, uno per ognuna delle Parti. Le decisioni del Collegio medico sono vincolanti per le Parti anche se uno dei medici rifiuti di firmare il relativo verbale; tale rifiuto deve essere attestato dagli arbitri nel verbale definitivo, in

Responsabilità civile e previdenza, 2001, 451.

(12)

* Associato di Diritto Privato, Università di Bologna

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