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PROGETTO REGIONALE “GESTIONE EXTRAGIUDIZIALE DEL CONTENZIOSO NELLE ORGANIZZAZIONI SANITARIE” DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

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PROGETTO REGIONALE

“GESTIONE EXTRAGIUDIZIALE DEL CONTENZIOSO NELLE ORGANIZZAZIONI SANITARIE” DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

Dr. Alessandra De Palma*

Quando le persone chiedono di spiegare loro perché la responsabilità professionale medica abbia potuto diventare un problema di così vaste proporzioni, tanto che l’ammontare dei risarcimenti raggiunge cifre impensabili, non è così semplice rendere chiari l’idea e i presupposti del profondo mutamento avvenuto, tanto meno se si tratta di esplicarlo ai professionisti che operano nel Servizio Sanitario Nazionale.

Si tratta di “una severità motivata prevalentemente, sia in sede penale che in sede civile, con l’importanza dei beni in gioco, la salute e la vita, spesso non sufficientemente basata su oggettive analisi della natura implicitamente ed irrimediabilmente rischiosa della professione medica e delle cause di giustificazione di molti eventi di danno.”1.

In tale contesto si è però generato un clima di sfiducia reciproca fra cittadini e operatori della salute, per cui i primi sono indotti a reclamare per presunta “malpractice”

ogniqualvolta l’evoluzione della malattia o il trattamento ricevuto non corrispondano alle loro aspettative e i secondi a considerare tutti i pazienti-utenti come potenziali

“accusatori”.

* Direttore Unità Operativa di Medicina Legale Azienda U.S.L. di Modena.

Collaboratore Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali Regione Emilia-Romagna

1 Fiori A., Evoluzione del contenzioso per responsabilità medica, FNOMCeO, Atti del Convegno di Studio, Roma, 26 giugno 1999, Giuffrè ed.

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2 Il sistema genera nelle persone che fruiscono dei servizi sanitari aspettative che finiscono con il caricare le Aziende Sanitarie pubbliche di responsabilità contrattuali circa l’impegno preso, indipendentemente dal fatto che l’attività di cura sia stata bene espletata o mal condotta: vige quindi “…l’obbligo del professionista di prospettare realisticamente le possibilità dell’ottenimento del risultato perseguito…”2, informando l’interessato/a adeguatamente sui benefici attesi, sui potenziali rischi, sulle prospettive e sulle possibili alternative di trattamento, ingenerando quindi aspettative congruenti.

É inoltre necessario orientare le organizzazioni sanitarie verso una nuova cultura, che deve radicarsi nei professionisti fin dal corso di studi, valorizzando “le potenzialità dell’istituto della responsabilità civile in senso preventivo”3, ma per farlo è necessario poter:

1. quantificare l’entità del fenomeno;

2. stabilire la ricorrenza degli errori;

3. valutarne l’effettiva incidenza;

4. analizzare la genesi del determinismo degli stessi.

L’errore riveste un ruolo importante nella ricerca scientifica e quindi anche in quella biomedica, ma è difficile accettare l’applicazione di tale principio alla Medicina clinica, nella quale più propriamente si dovrebbe parlare di sbagli, perché si tratta della mancata soluzione di problemi per i quali invece essa esiste, sebbene ogni caso richieda una valutazione particolare, abbia le sue peculiarità e si debba tenere ben presente che esiste il malato e non la malattia.

2 Cass. 3 dicembre 1997, n. 12253.

3 Fineschi V, Zana M., La responsabilità professionale medica: l’evoluzione giurisprudenziale in ambito civile tra errore sanitario e tutela del paziente, Riv. it. med. leg. 2002, 62.

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3 Tuttavia i giudizi e le decisioni del clinico – e quindi anche i suoi errori – devono sempre essere rapportati alle teorie vigenti e agli elementi di conoscenza in suo possesso al momento in cui egli opera, vale a dire alle teorie scientifiche che in quell’epoca storica si reputano vere.

In Medicina - che presenta fenomeni estremamente complessi da analizzare - la maggior parte delle conoscenze è di natura probabilistica: ogni individuo ha le sue caratteristiche e non è possibile prevedere in termini di assoluta certezza come si comporteranno i suoi organi e apparati in determinate condizioni o come reagiranno a certi stimoli o ai trattamenti.

I professionisti della salute sanno perfettamente che il decorso delle malattie non è sempre prevedibile, anzi è spesso variabile: allora lo sono anche la prognosi e la terapia, che si basano su criteri di tipo per lo più probabilistico, così come l’attribuzione dell’agente/degli agenti etiologico/i del processo patologico.

Inoltre è vero anche in Medicina che alcuni errori sono inevitabili, perché intrinseci al funzionamento mentale e ineliminabili totalmente anche con la conoscenza approfondita e l’addestramento4.

La strada da percorrere è certamente quella di analizzare a fondo le cause del fenomeno e di implementare nelle Aziende Sanitarie un sistema di gestione del rischio complessivamente inteso, in particolare di quello clinico, che sia in grado di rilevare il

4 Reason J., Human error, Cambridge Univeristy Press, 1990: “Such errors are an intrinsic part of mental functioning and cannot be eliminated by training, no matter how effective or extensive the programme may be. It is now widely held among human reliability specialists that the most productive strategy for dealing with active errors is to focus upon controlling their consequences rather than upon striving for their elimination....”.

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4 più meticolosamente possibile gli errori umani e di sistema, imparando da essi ed evitando il ripetersi di quelli prevenibili con l’applicazione degli opportuni correttivi, aumentando in tal modo la sicurezza del/la paziente: “…La ricerca sistematica degli adverse events e l’identificazione delle cause di essi costituisce uno dei mezzi per migliorare la qualità delle cure. Si deve studiare il problema tenendo presente che oggi il malato è inserito in un «medical industrial system». Si è costretti ad ammettere che allo stato attuale delle conoscenze mediche si deve ancora accettare una quota di errori inevitabili. La perfezione non esiste in nessuna attività umana…La conoscenza di questi dati serve per la prevenzione; eventi negativi ora considerati inevitabili potrebbero diminuire con il progresso di questo genere di studi.

La conoscenza degli errori e delle cause di essi serve a prevenirli ma è necessario incentivare le analisi sistematiche dei dati, introdurre questi nella formazione e nell’aggiornamento dei medici, sviluppare e diffondere guidelines per la standardizzazione dei diversi tipi di trattamenti e per addestrare i medici all’«autocontrollo degli errori»…ciò serve a migliorare la qualità delle cure…”5.

Il solo sistema veramente adeguato per consentire una valutazione corretta dell’assistenza sanitaria fornita consiste nel documentare con esattezza e puntualmente,

“passo per passo”, la condotta assistenziale, nel descrivere con dovizia di particolari nella cartella clinica l’anamnesi, l’esame obiettivo e ogni trattamento e/o intervento effettuato, dando atto di quanto sia realmente accaduto durante la degenza e le cure e

5 Leape L.L., Brennan T.A. et al., The nature of adverse events in hospitalized patients, New. Engl. J. of Med. 324, 377, 1991.

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5 rendendo in tal modo la stessa un diario fedele della storia condivisa (da operatore sanitario e paziente) e non registrando esclusivamente il punto di vista dell’operatore.

Ciò non solo migliora la qualità dell’assistenza e favorisce una corretta comunicazione fra i professionisti che si avvicendano nelle cure, garantendo comportamenti congrui alle necessità e trattamenti appropriati, ma è anche l’unica vera forma di tutela degli operatori e della struttura sanitaria tutta in caso di contenzioso.

Sovente viene richiesto qual è il ruolo delle linee guida, delle procedure, dei protocolli nel complesso svolgersi delle vicende assistenziali: sono “un asserto o una serie di asserti svolti in modo sistematico allo scopo di aiutare le decisioni del medico professionista e/o del paziente sulle cure mediche più adatte in circostanze specifiche”6, aiutano i professionisti a prendere decisioni, le supportano, ma non le determinano in toto.

Esse rappresentano uno strumento fondamentale per:

- superare prassi arbitrarie e desuete, - garantire omogeneità di procedure,

- assicurare governabilità al sistema sanitario,

- evitare accertamenti inutili e trattamenti inappropriati.

Infatti bisogna assicurare a tutti i cittadini uguali opportunità di trattamento, operando scelte che contemperino le esigenze del singolo con quelle dell’intera collettività, nell’ottica di una corretta allocazione delle risorse, allo stato attuale “finite”, cioè limitate.

6IOM, Institute of Medicine.

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6 La stessa Consulta ha ribadito tale assunto: “…come ha avuto occasione di sottolineare questa Corte (sent. n. 356/1992) in presenza di limitatezza di risorse e di riduzione della disponibilità finanziaria accompagnata da esigenze di risanamento del bilancio nazionale, non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni, quale ne sia la gravità e l’urgenza;

è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie e da determinarsi previa valutazione delle priorità e compatibilità e tenuto conto, ovviamente, delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute, certamente non compromesse con le misure ora in esame…”7.

Le linee guida possono dunque essere un utile strumento anche nel controllo della spesa

sanitaria e, se provengono da fonte autorevole, sono periodicamente e adeguatamente aggiornate, nonché basate su solide evidenze scientifiche, vanno senza dubbio applicate, fatta salva la motivata inapplicabilità parziale o totale nel caso di specie.

L’atto sanitario risulta così conforme a standard riconosciuti, ma va tenuto ben presente che l’applicazione “pedissequa” di linee guida non garantisce l’esonero degli operatori sanitari da eventuali responsabilità (penale, civile, disciplinare, sia di tipo amministrativo verso l’ente dal quale si dipende, sia deontologica verso l’Ordine o il Collegio di appartenenza). Giuridicamente esse possono essere vincolanti se recepite con un atto

7 Corte Costituzionale, sentenza 28 luglio 1995, n. 416.

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7 formale (normativo o amministrativo), altrimenti anche in ambito giurisdizionale fungono da orientamento valutativo.

L’Evidence Based Medicine, corollario della Medicina scientifica, propone come requisito necessario per la buona pratica clinica - oltre alla necessaria competenza e all’abilità tecnica – anche la capacità, da parte dei professionisti della salute, di interpretare la letteratura scientifica a disposizione, le linee guida esistenti, i dati epidemiologico-statistici: agli operatori sanitari di oggi si chiede cioè molto di più di una buona preparazione teorico-pratica, si domanda loro di possedere un metodo che consenta di scegliere la condotta diagnostico-terapeutica da seguire, perché la più appropriata fra quelle note e scientificamente fondate, nel singolo caso specifico.

Perché dare tanta importanza all’utilizzo di linee guida, procedure standardizzate, protocolli? Il motivo non consiste solo nel rispetto dell’etica dell’allocazione delle risorse, ma anche nel perseguire sistematicamente quello che è il vero obiettivo dell’esercizio della Medicina: migliorare la tutela della salute e quindi la qualità delle cure. Iter standardizzati permettono il raggiungimento di migliori risultati e riducono nettamente il verificarsi di errori, inevitabili data “l’interferenza” nell’attività sanitaria del fattore umano, fallibile per definizione. Eliminare gli errori è impossibile, è quindi fondamentale ridurli il più possibile ed evitare il ripetersi di quelli prevenibili. Sviluppare e diffondere guidelines serve non solo a standardizzare i diversi tipi di trattamenti, ma anche ad addestrare i professionisti della salute all’autocontrollo degli errori.

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8 È sempre più complesso far comprendere ai colleghi che parlare di responsabilità professionale non significa richiamare solo le connotazioni negative che comunemente la classe dei professionisti della salute attribuisce a tale termine, ma soprattutto quelle positive, quali una maggiore autonomia decisionale e competenza prestazionale, una migliore capacità tecnico-professionale e, conseguentemente, responsabilizzazione, come mirabilmente ha osservato il Barni: “Non è un buon segno che la espressione responsabilità professionale del medico sia, nel comune linguaggio degli addetti ai lavori, ritenuta una mera variante semantica di colpa professionale, sinonimo cioè di malpractice là dove, anche sul piano etico-giuridico oltre che su quello etimologico, ben più pregnante e preliminare ad ogni azione, od omissione, ad ogni condotta curativa è il dovere morale e…professionale di assumersi scientemente e coscientemente l’onere di garantire la legittimità e la coerenza del proprio comportamento proiettato anche sulle sue conseguenze…La responsabilità è e resta in effetti una categoria pregiuridica e metadeontologica; rappresentando l’essenza stessa della professionalità e della potestà di curare…stando al significato etimologico del termine responsabilità vuol dire dovere di farsi carico, scientemente e coscientemente, delle proprie azioni;

è condizione quindi consustanziata e connaturata all’agire, che precede l’azione, la orienta, la segue, e presuppone su chi la attua l’esserne sempre moralmente oltre che razionalmente partecipe…”8.

8Barni M., Responsabilità del medico tra deontologia e diritto, FNOMCeO, Atti del Convegno di Studio, Roma, 26 giugno 1999, Giuffrè ed.

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9 Un elemento fondamentale nel determinismo del contenzioso è rappresentato dalla relazione fra il professionista della salute e il destinatario delle cure e/o i suoi familiari, da un difetto di comunicazione: quello che oggi noi tutti denominiamo comunemente

“consenso informato” è in realtà molto più di un modulo recante tante informazioni e firmato in calce da entrambe le componenti che suggellano il patto.

L’omissione della necessaria informazione integra di per se stessa una responsabilità per

violazione del diritto alla libertà individuale (art. 13 Cost.)9 e all’autodeterminazione del/la paziente, indipendentemente dai riflessi negativi o dal risultato dannoso del trattamento, che poteva essere indicato ed essere stato eseguito correttamente sul piano della competenza tecnica. Ma l’informazione rappresenta solo il primo passo, l’inizio di quel processo dinamico che è il consenso della persona al trattamento, alle cure.

La lesione del diritto alla salute è riconducibile alla lesione del diritto all’autodeterminazione, molto più facilmente dimostrabile direttamente dal giudice attraverso la raccolta di testimonianze, l’esame della documentazione relativa alla raccolta del consenso informato10, anche senza doversi avvalere dell’ausilio di un

“mediatore culturale” (il consulente tecnico), come invece gli è necessario per la valutazione della correttezza nella scelta del trattamento, dell’indicazione, dell’esecuzione tecnica in base alle migliori evidenze scientifiche del momento in cui il

9Cass. 15 gennaio 1997, n. 364: “…dall’art. 13 Cost., il quale sancisce l’inviolabilità della libertà personale, nel cui ambito deve ritenersi compresa la libertà di salvaguardare la propria salute e la propria integrità fisica”.

10Il termine “consenso informato” ormai estremamente diffuso anche nel nostro Paese, trae origine dall’anglosassone Informed consent, coniato negli Stati Uniti nel corso di un processo civile celebrato nel 1957 in California (Salgo V.

Leland Stanford Jr. University Board of Trustees).

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10 sanitario si è trovato a operare. Nella valutazione della bontà dell’informazione fornita e della comunicazione, il giudice può anche agire in prima persona, valutando direttamente (il che gli permette di riaffermare il famoso principio “iudex peritus peritorum”).

Al professionista della salute si chiede oggi di saper sviluppare enormi capacità umane, relazionali, tecnico-professionali, scientifiche e spesso anche manageriali, di sapere valutare nel momento in cui interviene le indicazioni operative migliori cui attenersi e gli strumenti più idonei da scegliere fra quelli disponibili: tutto questo richiede doti non comuni, ottima preparazione e capacità superiori, un’enorme sensibilità e una vasta cultura.

Va ricordato che le Aziende Sanitarie hanno la facoltà di assicurare i propri dipendenti per la responsabilità civile, come previsto dal D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, all’art.

2811 (mentre il D.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, Stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri, all’art. 2912, ne prevedeva l’obbligatorietà). Ma mentre le strutture sanitarie private possono - come accade in alcune realtà - non assicurarsi per la responsabilità civile verso terzi da colpa professionale e sono nelle condizioni di pretendere che i professionisti stipulino polizze di assicurazione in proprio, tale strada non è percorribile

11Art. 28 del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761: “Responsabilità – In materia di responsabilità, ai dipendenti delle unità sanitarie locali, si applicano le norme vigenti per i dipendenti civili dello Stato di cui al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e successive integrazioni e modificazioni. Le unità sanitarie locali possono garantire anche il personale dipendente, mediante adeguata polizza di assicurazione per la responsabilità civile, dalle eventuali conseguenze derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi, ivi comprese le spese di giudizio, relativamente alla loro attività, senza diritto di rivalsa salvo i casi di colpa grave o di dolo”.

12Art. 29 del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 130: “Garanzia per la responsabilità civile – Le amministrazioni ospedaliere debbono garantire l’ente e il personale dipendente, mediante adeguata polizza di assicurazione per la responsabilità civile, dalle eventuali conseguenze derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi, ivi comprese le spese di giudizio relativamente alla loro attività di servizio ospedaliero, senza diritto di rivalsa, salvo in casi di colpa grave o di dolo”.

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11 per le Aziende Sanitarie pubbliche, perché in netto contrasto con la loro mission e con il sistema di gestione del budget e di verifica da parte della Corte dei Conti.

La Regione Emilia-Romagna, con la legge 50/94 obbliga invece le Aziende Sanitarie ad assicurare i propri dipendenti.

In merito si desidera ricordare che anche il CCNL dell’Area relativa alla DIRIGENZA MEDICA e VETERINARIA (Parte normativa quadriennio 1998-2001), prevedeva all’art.

24 (Coperture assicurative), che “1. Le aziende assumono tutte le iniziative necessarie per garantire la copertura assicurativa della responsabilità civile dei dirigenti, ivi comprese le spese di giudizio…per le eventuali conseguenze derivanti da azioni giudiziarie dei terzi, relativamente alla loro attività, ivi compresa la libera professione intramuraria, senza diritto di rivalsa, salvo le ipotesi di dolo o colpa grave...”e, all’art.

25 (Patrocinio legale), che: “1. L’Azienda, nella tutela dei propri diritti e interessi, ove si verifiche l’apertura di un procedimento di responsabilità civile, contabile o penale nei confronti del dirigente per fatti o atti connessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti di ufficio, assume a proprio carico…ogni onere di difesa fin dall’apertura del procedimento e per tutti i gradi del giudizio...”.

Ugualmente il “nuovo” CCNL dell’Area relativa alla DIRIGENZA MEDICA e VETERINARIA (Parte normativa quadriennio 2002-2005), prevede a sua volta all’art. 21

(Copertura assicurativa), che: “1. Le aziende garantiscono una adeguata copertura assicurativa della responsabilità civile di tutti i dirigenti… ivi comprese le spese di giudizio…5. Le aziende attivano sistemi e strutture per la gestione dei rischi, anche

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12 tramite sistemi di valutazione e certificazione della qualità, volti a fornire strumenti organizzativi e tecnici adeguati per una corretta valutazione delle modalità di lavoro da parte dei professionisti nell’ottica di diminuire le potenzialità di errore e, quindi, di responsabilità professionale….nonché di ridurre la complessiva sinistrosità delle strutture sanitarie, consentendo anche un più agevole confronto con il mercato assicurativo…”.

La novità consiste nell’aver previsto “strutture per la gestione dei rischi”, il che implica che tutte le Aziende Sanitarie del Paese devono adoperarsi per lavorare in questo senso e imparare a gestire il rischio: ma gestire un fenomeno comporta che esso sia conosciuto, perché è impossibile gestire ciò che non si conosce.

Le proposte di soluzione al problema sono diverse e tutte interessanti, ma al momento di difficile applicabilità nel nostro Paese; ne sono un esempio le ipotesi di avvilimento delle camere conciliative13 e arbitrali14, ma questo è il trattamento della parte terminale del fenomeno.

Nella realtà regionale dell’Emilia-Romagna si è cominciato da diversi anni a lavorare sulla gestione del rischio anche in modo proattivo, proseguendo nella disamina finalizzata alla gestione dell’intero processo, fino al contenzioso. Si è inoltre scelto di

13 L’obiettivo della camera conciliativa consiste nell’accertamento dei fatti controversi nel modo più rapido ed accurato possibile. Le parti del procedimento sono tenute a contribuire alla realizzazione di questo obiettivo, in particolare mettendo immediatamente a disposizione della camera conciliativa le informazioni necessarie per fare luce sulla controversia.

14Bilancetti M., Danno iatrogeno tra processo penale e processo civile, FNOMCeO, Atti del Convegno di Studio, Roma, 26 giugno 1999, Giuffrè ed.: “In attesa di una specifica normativa che risponda a queste plurime e concordanti esigenze, potrebbe essere fatto ricorso fin da ora, alla procedura facoltativa prevista dall’art. 806 c.p.c. secondo il quale:

«Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte…» o comunque, potrebbe essere prevista nel contratto (paziente-sanitario-assicuratore) la clausola compromissoria di cui all’art. 808 c.p.c. in base alla quale «Le parti…possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri…» pur nei limiti della sua attuale concreta utilizzabilità”.

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13 sperimentare l’applicazione delle tecniche di mediazione dei conflitti all’ambito sanitario15, in maniera strutturata, nella considerazione che il risarcimento economico del danno non è più sufficiente alla riparazione che il cittadino richiede alla società di oggi ed esige come equo ristoro dell’ingiustizia subita: “L’idea è che la modalità risarcitoria, ogniqualvolta non sia accompagnata da altre forme di riparazione, corra il rischio di finire semplicisticamente col sovrapporsi alla perdita irreparabile sofferta, all’offesa subita. Il denaro diviene così il doppio equivoco della sofferenza”16.

Infatti né il danneggiato né l’operatore sanitario hanno modo, all’interno degli schemi, delle logiche e delle regole del procedimento giudiziario, sia esso penale o civile, di dire le proprie ragioni e di chiarire le proprie istanze, finendo per restare ambedue assolutamente insoddisfatti dell’esito, anche nel caso che al cittadino venga riconosciuto il diritto a un più che equo risarcimento del danno: in Emilia-Romagna si è posta attenzione al ripristino della relazione di fiducia fra cittadino, struttura sanitaria pubblica e professionisti della salute a essa appartenenti.

Se è vero che “…Nella formazione del medico si deve inculcare il principio che un rapporto umano ottimale costituisce un’importante prevenzione delle accuse e che il paziente insoddisfatto è spesso un potenziale accusatore. Al contrario, un paziente che si vede oggetto di sollecitudine e di correttezza è più probabile che attribuisca a fatto della natura invece che ad errore del medico (talora reale) l’evoluzione negativa della sua

15Gaddi D., Marozzi F., Quattrocolo A., Voci di danno inascoltate: mediazione dei conflitti e responsabilità professionale medica, Riv. It. Med. Leg. XXV, 2003.

16 Ceretti A., Mediazione penale e giustizia. In-contrare una norma, Studi in ricordo di Giandomenico Pisapia, Volume terzo, Giuffrè Editore, Milano, 2000.

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14 malattia…”17, è pur vero che l’esperienza umana che i cittadini sperimentano nel sistema sanitario è quella che più ricordano.

Secondo un personale convincimento, supportato tuttavia dai dati raccolti in esito a un’attenta disamina di centinaia di reclami, la maggioranza delle segnalazioni e delle richieste di risarcimento danni alle Aziende Sanitarie, per non parlare poi degli esposti- denuncia e delle querele in sede penale, traggono in realtà origine da un difetto di comunicazione fra il professionista/i professionisti e il/la paziente, da una cattiva qualità della relazione interpersonale di cura e/o con i familiari aventi titolo, tanto da sfociare sul versante tecnico-professionale, ma esclusivamente per dare corpo a un insormontabile ostacolo comunicativo-relazionale che ha fatto soffrire le persone in un momento di vulnerabilità, che ha umiliato, frustrato e deluso.

Ma come imparare a comunicare? Non è possibile fornire “…formule miracolose e facili per comunicare con efficacia…perché non esistono. Chiunque voglia farvi credere che seguendo dieci semplici regolette e aggiungendo qualche accorgimento e trucco si possa diventare provetti comunicatori, non sta insegnandovi a comunicare ma tutt’al più ad abbindolare, ed i primi a cadere nella rete sareste proprio voi. Comunicare è un’arte complessa, che si impara a poco a poco e che richiede conoscenze scientifiche, tecniche operative e soprattutto consapevolezza e sensibilità.

17Introna F., L’epidemiologia del contenzioso per responsabilità medica in Italia ed all’estero, Riv. It. Med. Leg.

XVIII, 71, 1996.

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15 Incantare, raggirare è senz’altro più facile che comunicare, ma grazie al cielo funziona solo con i più sprovveduti…”18.

Uno degli aspetti fondamentali, di grande valore e indice di qualità dell’assistenza è la buona comunicazione fra i professionisti della salute e i pazienti nell’ambito della relazione di aiuto, ma anche all’interno dei rapporti fra cittadino/a non in stato di bisogno e servizi sanitari (per esempio nel campo della prevenzione). Che un buon rapporto rivesta un’enorme importanza anche nell’evitare l’insorgenza di conflittualità è dimostrato dalla rilevazione che “…I processi contro medici di sesso maschile e di sesso femminile sono in rapporto di 3:1 (valore corretto statisticamente sulla base del numero di maschi e femmine). Ciò è dovuto al fatto che i medici donna interagiscono meglio con i propri pazienti…”19.

Inoltre andrebbero chiariti alcuni equivoci che gli stessi operatori sanitari hanno contribuito a ingenerare, minimizzando i rischi di alcuni trattamenti e di nuove procedure ed enfatizzandone i prodigiosi risultati, mentre la materia biologica è spesso imprevedibile e la Medicina non è una scienza esatta, “…Perciò, siccome Dio ha posto in piena luce qualche conoscenza certa, sebbene limitata a poche cose…così per la maggior parte di ciò che ci interessa ci ha concesso solo il crepuscolo, come si potrebbe dire, della probabilità…”20.

18Cheli E., Teorie e tecniche della comunicazione interpersonale, Franco Angeli editore, Milano, 2004.

19 Taragin M., Wilczek A., Karns M., Trout R., Carson J., Phisician Demographics and the Risk of Medical Malpractice, Am. J. of Med. 93, 537, 1992.

20Locke J., Saggio sull’intelletto umano, Utet, Torino, 1972.

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16 La scienza medica ha compiuto indubbiamente enormi progressi, ma nonostante ciò abbia favorito nel sentire comune la scotomizzazione delle malattie, dell’invalidità e della morte, esse rappresentano al contrario un evento naturalistico inevitabile. Inoltre all’imprecisa governabilità della fisiopatologia, si affianca la fallibilità della natura umana: “…La medicina fa uso di strumenti fisici di grande precisione, come la Tac;

tuttavia questo non significa che la precisione della macchina garantisca diagnosi altrettanto attendibili. Questo errore logico, comune nelle aspettative degli utenti verso la medicina tecnologica, fa perdere di vista la componente della variabilità biologica, un aspetto cruciale che rende l’interpretazione delle immagini diagnostiche non così immediata e diretta come la disponibilità di tecnologie sofisticate farebbe pensare…”21 e diventa improcrastinabile, allo stato delle cose, chiarire l’equivoco ingeneratosi, informando adeguatamente e anche educando le persone e i mass media.

Non bisogna mai dimenticare che l’informazione-comunicazione è parte integrante della prestazione sanitaria e trae fondamento dal diritto alla tutela della salute garantito dall’art. 32 della Costituzione 22 . Tale tutela non si concretizza senza l’attiva partecipazione dell’interessato/a: il contenuto, i modi, i tempi dell’informazione devono essere i migliori possibili, i più adeguati alla persona. Il consenso deve essere inteso come un processo dinamico, in continua evoluzione; non corrisponde al semplice

21 Vineis P., Nel crepuscolo della probabilità. La medicina tra scienza ed etica, Giulio Einaudi Editore S.p.A., Torino, 1999.

22 Art. 32 Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.

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17 assenso o dissenso (dal “sì o no” in fondo a un modulo), ma è il risultato di una relazione interpersonale dinamica fra il professionista della salute e il/la cittadino/a interessato/a.

Il dovere di informare sussiste per tutti gli operatori sanitari e non solo per i medici;

l’informazione è doverosa come atto tecnico-scientifico, rappresenta un imperativo etico e deontologico, ancora prima di essere un obbligo giuridico23.

Schematicamente si può affermare che gli elementi irrinunciabili del consenso sono quattro24:

1. informazione ben data;

2. informazione ben compresa;

3. libertà di decidere;

4. capacità di decidere.

L’informazione deve vertere innanzitutto sul bilancio rischi/benefici e costi/benefici, dove i costi non sono esclusivamente quelli economici, ma anche quelli in termini di sofferenza da parte del paziente, dei suoi familiari e di tutte le persone che gli stanno accanto.

Va assolutamente evitata una prassi che da anni ormai si sta diffondendo alquanto anche nel mondo sanitario italiano: la pratica della c.d. “medicina difensiva”,

23Art. 50 Codice penale; Convenzione Europea di Bioetica (Oviedo, 4/4/1997), recepita con la Legge 145/2001 (Capitolo II - Consenso - Articolo 5 - Regola generale: “Nessun intervento in campo sanitario può essere effettuato se non dopo che la persona a cui esso è diretto vi abbia dato il consenso libero e informato. Questa persona riceve preventivamente un’informazione adeguata riguardo sia allo scopo e alla natura dell’intervento, che alle sue

conseguenze e ai suoi rischi. La persona a cui è diretto l’intervento può in ogni momento ritirare liberamente il proprio consenso.”).

24Beauchamp T.L., Childress J.F., Principles of Biomedical Ethics, New York – Oxford, Oxford Univ. Press, 2nd Ed., 1983.

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18 sviluppatasi negli Stati Uniti come reazione all’enorme contenzioso da vera o presunta malpractice, e che potremmo in estrema sintesi delineare come segue:

1. acquisire tassativamente per iscritto un consenso esplicito e giuridicamente valido, non ai fini di una buona relazione con il/la paziente, ma all’esclusivo scopo di tutelarsi;

2. attenzione ai rapporti con l’assistito/a e i suoi familiari, quando consentito, unicamente per evitare un eventuale contenzioso;

3. cura esasperata della cartella clinica e della documentazione sanitaria in genere, solo per l’autotutela;

4. evitare di enfatizzare i risultati dei trattamenti diagnostico-terapeutici e di minimizzare i rischi, per scoraggiare i pazienti a sottoporvisi in maniera da non indurre rivalse;

5. eseguire accertamenti e trattamenti sanitari inutili e inappropriati, solo a scopo di tutela medico-legale.

La vera soluzione al problema sembra essere il recupero di quel rapporto di fiducia reciproco fra i cittadini e le istituzioni sanitarie, attraverso le indispensabili modificazioni culturali che transitano dall’acquisizione della piena consapevolezza, da parte di tutti e, in particolare, dei cittadini che fruiscono dei servizi sanitari, che la Medicina - spesso fortunatamente - non è una scienza esatta e che il suo esercizio è affidato a esseri umani che, per quanto competenti, sono inevitabilmente fallibili.

Imparare ad accettare il limite degli uomini e della scienza medica, pur con le migliori garanzie che sia le strutture sanitarie, sia i loro professionisti, mettono costantemente in atto quanto possibile per contenere gli errori, è la meta alla quale si dovrebbe tendere.

In Regione Emilia-Romagna alcune iniziative intraprese sembrano indicare risultati incoraggianti, sia rispetto al controllo della casistica, sia del costo dei sinistri: la

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19 dirigenza di diverse strutture sanitarie pubbliche, unitamente ad alcune imprese di assicurazione, sta sperimentando una nuova modalità di gestione del rischio, assumendo direttamente il controllo dei casi denunciati, partecipando con proprie risorse al contenzioso civile e penale e facendosi carico di una quota dei risarcimenti.

Tale orientamento implica anche un nuovo ruolo dei Servizi/Unità Operative di Medicina legale delle Aziende Sanitarie regionali attraverso:

1) la cogestione amministrativa, medico-legale e assicurativa del contenzioso e la creazione di osservatori;

2) la raccolta di reports tempestivi sull’accaduto e l’attività di consulenza;

3) l’analisi approfondita delle cause e la valutazione medico-legale con garanzia di onestà verso i cittadini per una composizione equa e tempestiva della vertenza;

4) la promozione di iniziative di prevenzione dei conflitti con la modifica dei percorsi assistenziali e la formazione del personale (comunicazione e consenso informato, tenuta delle cartelle cliniche e della documentazione sanitaria in genere, ecc.);

5) la diffusione della cultura della sicurezza anche attraverso l’utilizzo di linee guida, protocolli e procedure.

Ciò ha portato a risultati positivi su fronti quali l’individuazione delle aree sanitarie e dei comportamenti a maggior rischio, la cui conoscenza è il solo strumento per rendere possibile ed efficace un’opera di prevenzione degli eventi che sfociano in una richiesta di risarcimento, consentendo di ridurre i tempi di istruttoria e di accertare l’accaduto, fino a un parere sulla fondatezza o meno del reclamo, tale da consentire, laddove ne ricorrano gli estremi, di dare rapida ed equa soddisfazione alle richieste.

L’ulteriore passo cerca di evitare il conflitto giudiziario anche nel caso in cui il primo parere dell’Azienda sia di non fondatezza della richiesta di risarcimento.

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20 L’implementazione di tali modalità di approccio richiede nelle Aziende Sanitarie la revisione del sistema organizzativo e procedurale connesso alle attività medico-legali e alle attività di amministrazione del contenzioso, nonché lo sviluppo di modalità integrate di esercizio di tali competenze.

La tappa successiva consiste nel creare un credibile riferimento conciliativo al quale le parti possono ricorrere per ottenere un giudizio tutelato dalle (e vincolato alle) norme che regolano le procedure extragiudiziarie, in modo da ridurre l’aggravamento dei conflitti fra cittadino e Azienda sanitaria, connesso ai tempi lunghi e agli esiti incerti del procedimento civile e alla rischiosità del procedimento penale.

Tale organo conciliativo, sfruttando le possibilità di trovare soluzioni “compromissorie”

in quei casi (la maggioranza) in cui non vi sono elementi sufficienti per affermare o negare con certezza il ricorrere di un errore colposo del personale e/o della struttura sanitaria, potrebbe individuare soluzioni che, ritenute accettabili da entrambe le parti, terrebbero conto dei dubbi irrisolti, proponendo risarcimenti “modulati” in base al prevalere degli elementi a sostegno dell’una o dell’altra tesi.

Attraverso l’attivazione di un gruppo di lavoro in cui sono presenti tutti i partners progettuali (Agenzia Sanitaria Regionale dell’Emilia-Romagna, Aziende Sanitarie, Compagnie di Assicurazione, cittadini) e in cui sono rappresentate le discipline coinvolte (la Medicina legale, l’ambito legale e assicurativo), si vuole mettere in campo modalità sistematiche per affrontare le esigenze aziendali, tenendo anche conto delle esperienze in atto, declinando le modalità per effettuare:

(21)

21 - la ricognizione del fatto e l’acquisizione di tutta la documentazione sanitaria

relativa;

- la valutazione della sussistenza o meno di un danno al cittadino;

- la valutazione dell’esistenza di un nesso causale fra la condotta del/i sanitario/i e l’evento di danno verificatosi;

- l’eventuale quantificazione del danno e l’individuazione delle responsabilità.

Si vuole pervenire a modalità generali di gestione del sinistro in collaborazione con le Compagnie di Assicurazione in modo da consentire alle Aziende una completa consapevolezza dell’entità del fenomeno e un monitoraggio continuo del medesimo.

Quanto detto comporta la definizione e lo sviluppo dei Servizi/Unità Operative di Medicina legale delle Aziende sanitarie, per l’attuazione di varie funzioni:

- cogestione amministrativa, medico-legale e assicurativa del contenzioso e creazione di osservatori;

- raccolta di reports tempestivi sull’accaduto e sviluppo di attività di consulenza;

- analisi approfondita delle cause e valutazione medico-legale con garanzia di imparzialità verso i cittadini per una composizione equa e tempestiva della vertenza;

- coinvolgimento nella promozione di iniziative di prevenzione dei conflitti anche attraverso la modifica dei percorsi assistenziali e la formazione del personale (comunicazione e consenso informato, tenuta delle cartelle cliniche e della documentazione sanitaria in genere, ecc.);

- cooperazione alla diffusione della cultura della sicurezza anche attraverso la promozione e l’utilizzo di linee guida, protocolli e procedure.

Il documento metodologico che trarrà origine dal lavoro del gruppo di Unità Operative partecipanti al progetto regionale dovrà essere adottato a livello aziendale per la definizione delle modalità operative e della rete di relazioni da attivarsi nelle realtà aziendali sperimentanti.

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22 A cura dell’Agenzia Sanitaria Regionale dell’Emilia-Romagna sono fornite indicazioni per l’individuazione e l’addestramento del personale da utilizzare nei percorsi di ascolto e di mediazione dei conflitti, attraverso corsi di formazione specifica in ambito sanitario con affinamento di una nuova funzione, finalizzata appunto alla “de-escalation” della conflittualità, in modo da recuperare il rapporto di fiducia con il cittadino.

Secondariamente si favorisce lo sviluppo e la costituzione di un’unità di conciliazione vera e propria, con la partecipazione dell’assicurazione, a livello locale (aziendale), per tentare la rapida risoluzione extragiudiziale del contenzioso.

A sostegno del contributo che il contenzioso fornisce alla mappatura del rischio clinico ed economico correlato al danno, dovrà essere sviluppata l’integrazione degli strumenti di registrazione dei reclami, delle segnalazioni spontanee di incidenti (incident reporting) e del contenzioso medesimo in un sistema informativo integrato con utilities aziendali e reportistica sintetica regionale, con la creazione appunto di veri e propri osservatori, attraverso l’utilizzo di softwares già messi a disposizione delle Aziende dall’Agenzia Sanitaria Regionale dell’Emilia- Romagna.

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