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I test psicologici nel sistema di valutazione del danno psichico da lutto.

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Academic year: 2022

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I test psicologici nel sistema di valutazione del danno psichico da lutto.

Dr.ssa Tiziana Sartori*

I giudizi diagnostici che vengono espressi dalla psichiatria forense nell’ambito della valutazione del danno si riferiscono sia ai sintomi osservati che ad una loro interpretazione in rapporto a parametri di riferimento che non sono solo clinici ma anche di ordine giuridico e sociale.

Ne deriva che questi giudizi medico legali sono più complessi ed in un certo senso più relativi di quelli propri della clinica.

In altre parole gli schemi di riferimento sociali e giuridici in relazione ai quali il sintomo psichiatrico deve essere valutato in caso di risarcimento del danno sono variabili a seconda dell’orientamento normativo, sempre suscettibile di modifiche, ed, ancor di più, a seconda dell’interpretazione della giurisprudenza che raccoglie gli umori e la sensibilità sociale di quel particolare momento.

E’ per questa difficoltà di valutazione qualitativa e quantitativa che l’uso dei test nelle perizie psichiatriche è certamente utile anche se non si deve avere la pretesa “tabellare” il danno psichico attraverso metodiche di valutazione che pur presentano indubbi riferimenti quantitativi.

Utilizzando congiuntamente i risultati dell’applicazione dei test mentali e i dati ricavabili dall’esame psichico e dal colloquio clinico si può far sì che i giudizi complessi e relativi di cui abbiamo precedentemente parlato possano fornire indicazioni semplici e convincenti al magistrato in un ambito nel quale è molto problematico l’inquadramento diagnostico.

Con specifico riferimento alla valutazione del danno da lutto è bene ricordare che la reazione al dolore che consegue alla perdita di una persona cara, definita con il termine lutto, viene considerata in psichiatria una fisiologica risposta alla deprivazione di una relazione psicologicamente importante che ha come finalità il ristabilire un nuovo assetto relazionale.

Il lutto non è mai stato considerato in nessuna cultura come una condizione patologica da evitare o da ostacolare, anzi, come è noto, in alcune culture a forte espressività emotiva ne viene favorita la esteriorizzazione formale mediante segnali inequivocabili la cui assenza può determinare nel contesto sociale di appartenenza, reazioni di meraviglia, di disappunto o, addirittura, il sospetto di un disturbo mentale.

Vi è da dire però che, anche se il meccanismo del lutto appare fisiologico nella sua funzione adattiva, esso comunque costituisce un evento traumatico dal punto di vista psicologico, tanto è vero che il congiunto reagisce con una sintomatologia molto simile allo stato di malattia (pianti, disturbi del sonno, inappetenza, polarizzazione ideativa…)1

Anche secondo il DSM IV il lutto è tra le condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica ed i sintomi presentati possono essere simili, in alcuni soggetti, a quelli di un episodio depressivo maggiore.

Il tema del danno psichico reattivo alla morte di un congiunto pone problemi di non facile soluzione in ambito peritale. Nonostante la realtà di questo danno sia indubitabile non si può però utilizzare la particolare causalità psichiatrica, definita dagli autori più recenti come “circolare”, per sostenere qualsiasi collegamento fra evento e disturbo.2

* Cattedra di medicina legale Facoltà di Giurisprudenza Università degli Studi di Parma.

1 BLASI B., BUZZI S., SARTORI T., “Il danno psichico da lutto”, in “Danno psichico, lutto e stress: profili medico legali ed assicurativi”, Casanova, Parma, 1999.

2 “Tutto ciò si traduce nel superamento di una concezione eziologica unicausale del disturbo psichico, per convertirsi poi in una visione plurifattoriale integrata ed individualizzata: visione che risponde per così dire, ad un’ottica tridimensionale, che considera, secondo una prospettiva sistemica, le diverse e contestuali componenti che intervengono nella eziologia: componenti a loro volta reciprocamente influenzantisi, secondo un principio di causalità che non è più

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Premesso che lo stesso concetto di normalità o di equilibrio mentale è da tempo in discussione nella cultura psichiatrica, la valutazione relativa alla ordinarietà od alla eccezionalità del danno psichico non dovrebbe, a nostro giudizio, essere rapportata ad un grado di salute astratto ma essere effettuata in concreto.3

In questa prospettiva potrebbe non essere condivisibile neppure la distinzione tra depressione endogena in cui “le cause apparenti potrebbero aver agito solo come cause scatenanti” e la depressione reattiva cioè secondaria ad un “fatto storico” al fine di ammettere al risarcimento solo la seconda.

Il non risarcire il venir meno di un equilibrio pur precario, che era però sufficiente a compensare la latenza depressiva, ci pare iniquo nei confronti di quei soggetti che dovrebbero essere meritevoli invece di una più accentuata tutela.4

Spetta al prudente apprezzamento del medico legale valutare, insieme ad altre situazioni di intrinseca debolezza, anche la preesistenza di una patologia psichica per trovare un adeguato ristoro per soggetti che spesso subiscono in maniera drammatica le conseguenze del trauma e devono far fronte a bisogni ben maggiori per ristabilire un livello di vita accettabile.

La reazione all’evento stressante deriva dunque dalla interazione fra tipo e gravità dell’evento da un lato e mediazione cognitiva e conseguente attivazione emozionale dall’altro. In definitiva ciò che ci preme rilevare è che pur accettando il principio che in generale in psichiatria la causalità segue regole diverse, è ugualmente vero che deve essere mantenuta una distinzione sull’efficienza lesiva dei singoli eventi stressanti. E’ evidente poi che il ruolo della personalità sarà tanto maggiore quanto minore è l’efficacia lesiva dell’evento e viceversa. Fra gli orientamenti descrittivi proposti per orientare la valutazione medico legale riteniamo che quello dell’American Medical Association rivesta una certa importanza anche dal nostro particolare punto di vista.

Questo orientamento propone di indagare quattro aree di limitazione funzionale e precisamente:

1. le attività della vita quotidiana 2. funzionamento sociale

3. concentrazione 4. adattamento.

La valutazione del grado di compromissione si avvale di una accurata descrizione del funzionamento dell’individuo in dette aree con una collocazione in cinque classi di gravità crescente.5

Sotto il profilo metodologico ci pare proponibile integrare questo principio con le “Scale di gravità degli eventi psicosociali stressanti” contenute nel DSM IV in modo che si possa valutare”

l’idoneità e l’adeguatezza del fatto lesivo per l’insorgenza del danno”6 anche tenedo conto che tanto maggiore sarà la potenzialità lesiva dell’evento, indipendentemente dal grado obiettivo dello stressor, quanto più sia elevato il tasso di vulnerabilità personale.

La valutazione medico legale non è mai esclusivamente ancorata al dato obiettivo, neppure nella valutazione del danno fisico, ma sempre all’incidenza funzionale che per il danno psichico è espressa da un giudizio di disfunzionalità nel sistema di comunicazione sociale.7

lineare ma circolare “ PONTI G., Danno psichico ed attuale percezione psichiatrica del disturbo mentale., Riv. It. Med.

Leg. 1992,527.

3 PELLECCHIA E., “Lutto e malinconia: ovvero della controversa risarcibilità del danno psichico cagionato dalla morte di un congiunto”, in Giur. It.,1994, I, 2, 885.

4 GARAVAGLIA g, “Danno psicologico e danno morale” in PAJARDI D. (a cura di), “Danno biologico e danno psicologico”, Giuffrè, Milano, 1990, 27.

5 AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION , ” Guides to the evaluation of permanent impairment” Chicago, 1993.

6 GIANNINI G., “ Il danno psichico come danno biologico” in CANNAVO’ G: (a cura di) , “Le nuove frontiere del danno risarcibile” , ACOMEP, Pisa;1995.

7 CATANESI R., TROCCOLI G., RINALDI R., “La valutazione medico legale della reazione psicogena ad avvenimenti”, in Zacchia, 127.

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Ma quali sono gli strumenti di questo accertamento e quale ruolo vi possono giocare i test?

Per l’accertamento diagnostico la psichiatria clinica possiede due metodi fondamentali: la storia del caso e l’osservazione clinica.8

Entrambi questi metodi sono strumenti validissimi nelle mani di psichiatri e psicologi esperti, tuttavia ciascuno dei due presenta degli inconvenienti.

L’informazione storica subisce sempre deformazioni di carattere soggettivo sia da parte dell’informatore sia da parte dello psichiatra.

Lo stesso fenomeno si verifica per i dati di osservazione inclusi nell’esame psichiatrico. In questo caso vengono infatti posti in luce solo pochi elementi del comportamento del soggetto, che potrebbero anche essere inadeguati e che comunque, anche se qualitativamente corretti e utili nella pratica, sono soggettivamente scelti dallo psichiatra.

Nell’organizzazione del caso l’esperienza e la preparazione scientifica dello psichiatra giocano un ruolo considerevole.

“La psichiatria ha affermato a più riprese che, nell’esame psichico del malato, rifulgono le doti di intuito psicologico dell’esaminatore, la sua intelligenza, la sua preparazione, la sua capacità di sentire e di comprendere quanto si nasconde nella mente del soggetto. Quanto sopra non è che l’affermazione pratica del fatto che il metodo psichiatrico di indagine è irripetibile, irrimediabilmente legato alla personalità dell’esaminatore, alle sue abilità ed alle sue manchevolezze; non facilmente trasmissibile da persona a persona, impossibile da descrivere nei suoi aspetti procedurali ed in quelli conclusivi. 9

I reattivi psicodiagnostici sono invece pensati per ottenere campioni completi e sistematici di comportamento verbale, percettivo e motorio, attraverso una situazione sperimentale standardizzata.

Il vantaggio che se ne ricava è che solo una minima selezione soggettiva si verifica nella raccolta dei dati.

I test infatti sono “una situazione sperimentale standardizzata, che serve da stimolo ad un comportamento. Tale comportamento viene valutato mediante un confronto statistico con quello di altri individui posti nella medesima situazione, il che permette di classificare il soggetto esaminato, sia quantitativamente, sia tipologicamente.”10

Nei test inoltre, sistemi di siglatura più o meno standardizzati provvedono all’organizzazione dei dati, che resta relativamente libera dall’influenza di elementi soggettivi propri dell’esaminatore e, anche nel caso che questi possano esercitare sul punteggio qualche influenza, questa risulta particolarmente limitata se posta a confronto con quella esercitata dallo psichiatra.

Tutto questo consente di affermare che giudici, periti, avvocati, e consulenti tecnici dovrebbero considerare i test mentali come strumenti particolarmente validi non perché essi possano di per sé esaurire la valutazione della personalità umana, ma essenzialmente perché, essendo standardizzati ed offrendo uno stimolo conosciuto ed immutabile offrono, al contrario del colloquio, la possibilità di far riferimento a risultanze di altri ricercatori e soprattutto offrono alle varie parti interessate al processo la possibilità di comprendere, valutare e criticare il contenuto della perizia.11 La necessità di fornire allo psicologo degli strumenti adatti allo scopo di poter agire adeguatamente in un settore particolarmente complesso come quello medico legale è di primaria importanza soprattutto in quei casi in cui la sintomatologia esperita dal paziente non è sufficientemente supportata da evidenze di carattere obiettivo , come referti di laboratorio, elettroencefalogafici o radiologici.

Una fondamentale distinzione deve essere effettuata tra test cognitivi o di efficienza e test non cognitivi o di personalità, anche se molti test mentali, soprattutto i più complessi, possono essere

8 RAPAPORT D.,GILL M., SHAFER R., Diagnostic psycological testing, , International University Press, New York,1968.

9 FERRACUTI F., Atti ufficiali della società romana di medicina legale e delle assicurazioni, Roma, 1959.

10 PICHOT P., I test mentali , Garzanti, Milano,1960.

11 VAGAGGINI M., “ I test psicologici nel sistema penale”, in GULOTTA G. (a cura di), “Trattato di psicologia giudiziaria”, Giuffrè, Milano, 1987.

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impiegati a seconda delle modalità di interpretazione sia per misurare l’efficienza mentale che anche alcuni tratti di personalità: esempio tipico è il reattivo psicodiagnostico di Rorschach.

In generale i test cognitivi si propongono di valutare il rendimento massimo di cui un soggetto è capace mentre i test non cognitivi intendono interpretare le reazioni tipiche degli individui. Questa distinzione comporta anche una diversa metodologia di somministrazione. Mentre per i test di efficienza si debbono creare le situazioni che possono favorire la concentrazione ed il miglior rendimento come, ad esempio, la somministrazione quando il soggetto è meno stanco, oppure la concessione di opportuni intervalli di riposo nell’esecuzione del test, nel caso di test non cognitivi il periziando deve essere rassicurato che qualsiasi risposta è giusta proprio per ottenere una situazione in cui l’individuo non modifichi le proprie reazioni abituali.

In sintesi mentre i test di efficienza esaminano i limiti e le qualità del rendimento di un soggetto i test di personalità non sono invece legati ai rendimenti individuali, ma piuttosto ai differenti tipi di organizzazione dei processi di pensiero spontaneo dei soggetti, dal cui corso e dalla cui caratteristiche sono dedotti la natura della personalità e l’eventuale disadattamento.

Concretamente in una perizia medico legale in tema di danno psichico da lutto i test che trovano utile applicazione sono:

- un reattivo di efficienza globale come la Wechsler Adult Intelligent Scale (W.A.I.S.), mentre trovano meno spazio i reattivi di efficienza specifica che misurano singole funzioni cognitive e che sono più adatti alla valutazione degli esiti dei traumi cranici ;

- un test di personalità proiettivo come il Rorschach od il T.A.T. ;

- un questionario di personalità come il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (M.P.P.I.).

In linea di massima si procede alla somministrazione di test più specifici quando quelli generali evidenziano particolari patologie ; ad esempio i reattivi di memoria solo quando la W.A.I.S. indichi una condizione di deterioramento di una certa gravità od il T.A.T. quando il Rorschach ha messo in luce particolari conflitti.

I reattivi di efficienza misurano la capacità che l’individuo ha di comprendere, affrontare e risolvere in maniera adeguata ed adattiva alcuni problemi. Il test di intelligenza più usato è la W.A.I.S. il cui coefficiente di attendibilità per le tre scale verbale, non verbale e globale è pari rispettivamente a 0,96 - 0,93 - 0,97 ed è quindi particolarmente valido.

E’ bene ricordare che l’attendibilità di un test misura la coerenza rispetto ai risultati raggiunti dagli stessi individui ove fossero nuovamente sottoposti allo stesso test o ad uno equivalente, e la validità si riferisce alla verifica diretta, con criteri indipendenti rispetto a ciò che il test misura di come il reattivo adempie alla propria funzione, insomma la verifica che esso muova ciò che effettivamente pretende di muovere.

Esiste attualmente un dibattito notevole circa la validità dei test psicologici.

Secondo alcuni essi sono comunque inadeguati a misurare ciò che pretendono.

Nel caso di valutazione del danno psichico da lutto è particolarmente rilevante nel reattivo in esame la valutazione del grado di Deterioramento mentale (D.M.) .

Generalmente per distinguere fra deterioramento da lesione organica cerebrale e disturbi del funzionamento intellettivo da interferenza negativa di fattori emotigeni, anche transitori, si ricorre al confronto fra i risultati ottenuti alle singole prove.

In questi casi la disomogeneità di rendimento è tanto più elevata quanto più interferiscono negativamente sulla prestazione fattori di natura emotiva.

In particolare una scadente prestazione limitata ai subtest “memoria di cifre”, “ragionamento aritmetico”, “associazione simboli a numeri” è indicativa di negativa interferenza di fattori emotigeni, costituendo queste tre prove la cosiddetta “ triade dell’ansia”, in quanto particolarmente sensibili all’influenza di disturbi ansiosi od emotivi.12

12 FORNARI U., “Trattato di psichiatria forense”, UTET, Torino, 1997.

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Per quanto concerne i test proiettivi il Rorschach è probabilmente il più utilizzato in ambito medico legale. Tra le diverse siglature una delle più recenti e promettenti proprio per il profilo che qui ci interessa è quella di Exner perché sottolinea che mentre il significato interpretativo in senso lato di una variabile non cambia , la sua importanza interpretativa specifica varia considerevolmente a seconda della configurazione delle altre variabili.

Questa convinzione lo ha condotto a considerare il significato complessivo di diversi raggruppamenti di variabili e senza entrare in questa sede nei particolari della siglatura di Exner è comunque opportuno sottolineare che alcuni di questi raggruppamenti sono di particolare valore nella diagnosi differenziale e consentono di distinguere i disturbi psichici originari da quelli dipendenti da una lesione psichica.13

Il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (M.M.P.I.) è un questionario di personalità particolarmente utile in campo medico legale perché consente di valutare la validità e l’attendibilità del soggetto e quindi ad evidenziare eventuali atteggiamenti simulatori o manipolatori. Ricordiamo che per simulazione si intende la produzione volontaria di sintomi fisici o psichici falsi o grossolanamente esagerati, motivata da scopi esterni, come evitare il servizio di leva, ottenere risarcimenti finanziari …

Questo test presenta infatti le scale L, F, K, che misurano rispettivamente la menzogna, la frequenza e la correzione.

La scala L contiene affermazioni riguardanti comportamenti di uso comune, ma socialmente riprovevoli. Lo scopo della scala è quello di misurare la tendenza a mostrare un’immagine di sé socialmente accettabile, anche se questa misurazione poi riguarda degli aspetti di personalità piuttosto grossolani.

La scala F composta da affermazioni a cui il campione normativo ha risposto meno frequentemente nella direzione patologica.

Nell’insieme le affermazioni descrivono disturbi del pensiero od anche somatici di tipo grossolano.

La scala K, costituita da affermazioni che misurano l’atteggiamento del soggetto rispetto ad un continuum che va da un estremo di esagerazione nel presentare la propria situazione ad un altro estremo costituito dalla tendenza a sminuire i propri difetti o disturbi razionalizzando. Il punteggio di questa scala ci fornisce degli ottimi indicatori riguardo all’atteggiamento nei confronti del test e ci fornisce anche un fattore di correzione per i punteggi ottenuti dal soggetto alle altre scale.14

Questo ottimo controllo interno consente di valutare attentamente gli eventuali atteggiamenti simulatori del periziando.

A conclusione di queste brevi osservazioni sull’utilizzo dei test nella valutazione del danno da lutto è sempre opportuno ricordare che nonostante l’apparente semplicità, la somministrazione di test anche fortemente strutturati come quelli di misurazione dell’efficienza mentale, richiede nell’esaminatore una notevole esperienza, perché ad una corretta interpretazione del reattivo psicodiagnostico concorrono molte osservazioni, per così dire di contesto, che solo un esaminatore esperto riesce a cogliere come ad esempio le indecisioni nell’affrontare i diversi quesiti o l’atteggiamento di disponibilità o di rigidità nell’affrontare in generale la prova.

Ancora più complicata è l’interpretazione quando chi somministra il test non è lo stesso professionista che conduce il colloquio clinico. La maggior specializzazione che deriva da una suddivisione dei compiti deve però sempre accompagnarsi ad una valutazione congiunta dei risultati e non è mai sufficiente trasmettere semplicemente al clinico il risultato del test.

A questo proposito è opportuno ricordare la cattiva consuetudine di indicare, in sede peritale, solamente le conclusioni che il perito ha tratto dalla somministrazione del test, omettendo le

13 BONCORI L., “Teoria e tecnica dei test”, Bollati Boringhieri, Torino, 1993. ALBONETTI S., “Metodi di accertamento psicodiagnostica” in BRONDOLO W., MARIGLIANO A., (a cura di) “Danno psichico”, Giuffrè, Milano, 1996.

14 ZETTIN M., RAGO R., “Trauma cranico”, Bollati Boringhieri, Torino, 1995.

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risposte fornite dal soggetto esaminato. Ne consegue che tanto il consulente tecnico che il difensore, i quali ovviamente non possono assistere alla somministrazione dei test per non alterarne i risultati, non sono in grado di valutare ed eventualmente di criticare le conclusioni del perito.

Bisogna poi sempre considerare che il giudizio del perito, contrariamente all’ipotesi diagnostica nella clinica non può essere modificata sul campo, sulla base di nuovi riscontri. Le ipotesi interpretative, per quanto suggestive, non devono trovare campo in una perizia medico legale che misura una infermità e non propone alcuna terapia. E’ opportuno ricordare che il medico legale deve esprimere valutazioni che devono essere sempre ancorate allo specifico e consolidato sapere professionale e bisogna evitare pareri che non abbiano un adeguato e pertinente fondamento tecnico scientifico e che indulgano invece alla valutazioni di condizioni di disagio o di malessere che, pur reali, non sono per tanti aspetti pertinenti alla competenza medico legale.

In altri termini è sempre opportuno, soprattutto in questo campo, tenere ben distinto il danno morale dal danno psichico.

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