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Radiologia tradizionale nelle malattie metaboliche dell’osso nel paziente geriatrico C 28

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Radiologia tradizionale nelle malattie

metaboliche dell’osso nel paziente geriatrico

Giuseppe Guglielmi, Filomena Urbano

L’osteoporosi involutiva rappresenta la più comune malattia metabolica dell’osso nel paziente geriatrico. Questo termine viene usato per descrivere una condizione di gra- duale e progressiva riduzione di massa ossea, con conseguenti fratture da insufficien- za, che, a seconda dell’età in cui si manifesta, viene distinta in osteoporosi postmeno- pausale (tipo I) oppure osteoporosi senile (tipo II).

L’osteoporosi postmenopausale si verifica in genere in donne in età compresa tra 50 e 65 anni con un accelerato riassorbimento dell’osso trabecolare soprattutto del rachide e del polso.

Nella forma senile la perdita di tessuto osseo si verifica in maniera proporzionale sia a livello corticale che trabecolare; essa si presenta in genere dopo i 75 anni di età e si manifesta maggiormente a carico dell’osso appendicolare, con ampliamento del canale midollare e assottigliamento corticale soprattutto a carico di radio, femore, tibia, omero, anca e conseguente incremento della fragilità ossea e del rischio di frattura [1, 2] sia spontanea che per trauma minimo; ciò rende tale malattia particolarmente invalidante.

Il quadro radiologico tipico dell’ osteoporosi è caratterizzato fondamentalmente da

“osteopenia” cioè una riduzione quantificabile della densità ossea.

Il tessuto scheletrico e le sue componenti cellulari (osteoblasti e osteoclasti) sono sotto il controllo endocrino-metabolico e sotto il controllo di fattori locali che ne con- dizionano la funzione; ne consegue che l’osteopenia può essere espressione di una fisio- logica involuzione del tessuto osseo come si verifica nell’osteoporosi primitiva senile e postmenopausale, oppure può essere espressione di altre patologie (osteoporosi secon- daria) che in modo primitivo o secondario coinvolgono il tessuto osseo.

Tra le numerose malattie che possono causare osteoporosi secondaria particolare importanza hanno le malattie endocrine quali iperparatiroidismo, ipertiroidismo, sin- drome di Cushing, nefropatie e patologie neoplastiche.

Tutte queste condizioni in genere causano osteoporosi generalizzata, ma esiste anche una forma localizzata di osteoporosi [3] causata da immobilizzazione prolungata post- traumatica oppure conseguente a paralisi, tumori e processi infiammatori.

Compito della radiologia è quello di porre diagnosi più precocemente possibile, affinché possano essere instaurati per tempo gli opportuni provvedimenti per la tera- pia e la profilassi delle complicanze [4, 5].

La diagnostica per immagini deve, quindi, assolvere i seguenti scopi:

– diagnosticare la presenza di osteoporosi, porre cioè una diagnosi di natura;

– cercare di quantificare la massa ossea presente attraverso metodi semiquantitativi

(come avviene nello studio radiografico tradizionale) e/o quantitativi (come la den-

sitometria, la mineralometria) [6, 7]. Nello studio radiografico tradizionale dell’o-

steoporosi l’attenzione deve essere rivolta non tanto alla valutazione della densità

dell’osso (in quanto tale criterio risulta essere molto soggettivo e fortemente influen-

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zato dalle modalità tecniche di esecuzione dell’esame o dalla qualità dell’immagine) [8], ma soprattutto allo studio morfologico dell’osso con l’analisi distinta del com- partimento corticale (studio dello spessore dell’endostio, valutazione dell’omoge- neità dell’osso compatto al fine di riconoscerne l’eventuale spogiosizzazione) e del compartimento spongioso (analisi dettagliata della distribuzione dei fasci trabeco- lari, della loro architettura, densità e spessore) [9, 10].

I segni radiografici indice di osteoporosi sono sostanzialmente rappresentati da:

– aumento della radiotrasparenza dell’osso per riduzione dello spessore delle trabe- cole [11]; tale fenomeno a livello vertebrale si manifesta con accentuazione delle tra- becole a disposizione verticale per assottigliamento di quelle orizzontali; a livello del collo femorale si manifesta con accentuazione delle trabecole tensive e com- pressive. L’incremento progressivo della radiotrasparenza è un buon indice di seve- rità della malattia [12];

– riduzione dello spessore della corticale [13]; tale fenomeno è causato dal riassorbi- mento osseo della corticale che, a seconda del turnover, può avvenire a vari livelli:

endostale, intracorticale e subperiostale.

Lo studio radiografico deve essere rivolto come primo approccio alle sedi bersaglio.

Il coinvolgimento può interessare sia lo scheletro assile che quello appendicolare.

Scheletro appendicolare Mano

Lo studio radiologico della mano è una tappa fondamentale nella valutazione del grado e del tipo di osteoporosi,anche perché le sue caratteristiche anatomiche permettono uno stu- dio a elevato dettaglio attraverso sistemi a elevata risoluzione (es. le pellicole industriali).

Fig. 1. Valutazione semiquantitativa del grado di osteoporosi basato sulla misura dell’indice cortico-midollare in sede diafisaria a livello del II, III, IV metacarpo

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Vengono studiati i metacarpi (di solito II, III e IV) ed eventualmente le falangi basa- li corrispondenti. I compartimenti spongioso e corticale vengono analizzati separata- mente. Una buona valutazione semiquantitativa per lo studio della mano è rappresen- tato dall’indice cortico-midollare che si basa sulla misurazione dello spessore della cor- ticale a livello del II metacarpo [14] (Fig. 1).

Anca

Il segmento osseo più studiato, a livello dell’anca, è il femore prossimale [15]. La rile- vazione delle modalità del progressivo riassorbimento dei sistemi trabecolari, ten- sivi e compressivi a livello dell’epifisi prossimale del femore, consente una valuta- zione grossolana della gravità dell’osteoporosi attraverso l’indice di Singh [16].

Di norma sono riconoscibili 5 sistemi o fasci trabecolari: gruppi compressivi princi- pale e secondario, gruppi tensivi principale e secondario, gruppo del grande trocantere.

La progressiva scomparsa di questi gruppi viene graduata da VI a I.

Grado VI: presenza di tutti i gruppi trabecolari. Grado V: riconoscimento dei gruppi principali tensivo compressivo, parziale riconoscimento del gruppo compressivo secon- dario, mancato riconoscimento degli altri gruppi trabecolari. Grado IV: riconoscimento del gruppo compressivo principale, parziale riconoscimento del gruppo tensivo principale.

Grado III: riconoscimento del gruppo compressivo principale, ridotto riconoscimento del gruppo tensivo principale. Grado II: riconoscimento del gruppo compressivo princi- pale, scarso riconoscimento del gruppo tensivo principale. Grado I: parziale riconoscimento del gruppo compressivo principale, assente il gruppo tensivo principale.

I gradi VI, V, IV vengono considerati come normali; i gradi III, II, I indicano la pre- senza di una osteopenia progressivamente più grave, con aumento del rischio di frat- tura a livello del collo del femore [17] (Fig. 2).

Fig. 2. Diffusa condizione osteopenica con frat- tura intertrocanterica a livello del collo femorale

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Calcagno

Esso si presta bene a un dettagliato studio morfologico del disegno trabecolare che per- mette, attraverso un indice semiquantitativo, di misurare il grado di osteopenia correlato con le modalità di riassorbimento dei fasci trabecolari. Si tratta dell’indice di Jhamaria che viene valutato nei radiogrammi del calcagno in proiezione laterale [18].

Scheletro assile

Lo studio radiologico tradizionale del rachide, se viene limitato alla semplice valutazione della densità, risulta particolarmente fuorviante nella rilevazione del grado di osteoporo- si, poiché numerosi fattori (quali artefatti da respirazione, errori di posizionamento, sovrap- posizioni di strutture corporee, diversa tecnica d’esame) possono alterare quella che è la reale densità dell’osso; è fondamentale, quindi, far riferimento ai criteri morfologici [19].

La progressiva riduzione dello spessore e del numero delle trabecole a disposizione orizzontale porta, inizialmente, a una maggiore evidenza delle limitanti vertebrali (rim

sign) e, successivamente, al risalto delle trabecole a disposizione verticale, da cui deri-

va un aspetto di tipo striato delle vertebre; successivamente, si avrà la progressiva scom- parsa del disegno spongioso con conseguente quadro di vertebra a “scatola vuota” o

empty box degli autori anglosassoni [19].

L’indebolimento della strutture vertebrali conduce, in questa fase, a modifiche delle limitanti vertebrali (che assumono una forma concava) e/o alla penetrazione di sostanza discale nel corpo vertebrale (ernie di Schmorl). A questo punto della malattia è possibile valutare il grado di osteoporosi vertebrale in maniera semiquantitativa attraverso l’indi- ce di biconcavità (IB). L’indice di biconcavità appare utile nel monitoraggio dei pazienti sot- toposti a terapia [20]; esso esprime il grado di avvallamento delle limitanti vertebrali, cal- colato nei radiogrammi in proiezione laterale, attraverso il rapporto tra altezza centrale e altezza a livello del profilo anteriore. Un altro metodo estremamente soggettivo e condi- zionato dalla qualità del radiogramma è il metodo di Saville; tale metodo offre un’atten- dibile stadiazione dell’ osteopenia quando non vi sono alterazioni della morfologia verte- brale [21]. Il metodo di Saville viene applicato alle vertebre lombari; indici da I a V segna- lano la progressiva gravità della osteopenia. Grado I: struttura normale. Grado II: mag- giore densità delle limitanti vertebrali. Grado III: rinforzo delle trabecole vertebrali. Grado IV: indebolimento delle trabecole, limitanti somatiche sottili, dismorfie del corpo vertebrale.

Grado V: assenza di disegno osseo, densità vertebrale pari a quella delle parti molli.

Negli stadi più avanzati, quando vi è un cedimento strutturale della vertebra si può uti- lizzare un altro metodo di valutazione del grado della malattia (indice di frattura vertebrale).

La lettura dei radiogrammi dovrebbe sempre accompagnata dalla morfometria ver- tebrale, metodica più sensibile, oggettiva e di elevata precisione [22]. La morfometria ver- tebrale, misurando le altezze dei corpi vertebrali, permette di definire in maniera ripro- ducibile le fratture vertebrali.

Tale metodica, diffusa nel Nord Europa e negli USA da molti anni, in Italia viene attual-

mente usata solo in alcuni centri specializzati per lo studio dell’osteoporosi. La morfometria

vertebrale si esegue misurando le tre altezze - anteriore, centrale e posteriore - del corpo

vertebrale sui radiogrammi del rachide dorsale e lombare in proiezione laterale. Dap-

prima si misura l’altezza posteriore della vertebra in esame; tale altezza non deve esse-

re inferiore a 4 mm (15%) rispetto alla media dell’altezza posteriore delle vertebre adia-

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centi superiore e inferiore, ricordando che le altezze posteriori dei corpi vertebrali aumentano in senso cranio-caudale fino a L3. Una volta stabilita la normalità dell’altezza posteriore della vertebra in esame, si procede alla misurazione delle altezze centrale e anteriore, che vanno confrontate con l’altezza posteriore stessa. Da tali misurazioni pos- sono scaturire tre tipi di frattura vertebrale:

– a cuneo (riduzione di almeno 4 mm o del 15% dell’altezza anteriore rispetto alla posteriore);

– mono-biconcava (riduzione di almeno 4 mm o del 15% dell’altezza centrale rispet- to alla posteriore) (Fig. 3);

– da compressione o collasso (tutte le altezze vertebrali sono ridotte di 4 mm o del 15% rispetto alla media delle corrispondenti altezze delle vertebre adiacenti superiore e inferiore) (Fig. 4).

La morfometria può essere effettuata manualmente con un righello, direttamente sui radiogrammi oppure in maniera computerizzata.

Fig. 3. Frattura vertebrale di grado lieve con riduzione del 20-25% dell’altezza vertebrale centrale. Si noti la sclerosi della limitante soma- tica superiore secondaria all’affastellamento del disegno trabecolare

Fig. 4. Collasso vertebrale grave con riduzione di tutte le altezze vertebrali in proiezione poste- ro-anteriore (a) e latero-laterale (b)

a b

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Diagnosi differenziale

La diagnosi di osteoporosi può essere correttamente formulata solo dopo aver atten- tamente considerato i dati anamnestici, l’esame obbiettivo e i diversi risultati radio- grafici ottenuti; tutti questi fattori inoltre risultano necessari per porre una corretta diagnosi differenziale tra le varie malattie che posso causare osteoporosi. Dal punto di vista radiografico, ci possono essere differenze nei vari quadri di osteoporosi; infatti ci sono dei segni patognomonici delle diverse malattie caratterizzate da osteopenia che pos- sono manifestarsi nel paziente geriatrico.

Sindrome di Cushing

Può essere correlata a un eccesso endogeno di corticosteroidi (iperplasia o tumori sur- renalici) oppure esogeno (assunzione di farmaci) [23].

Si manifesta generalmente con un’esuberante formazione del callo osseo endostale che radiologicamente si estrinseca con un aumento della densità delle limitanti verte- brali (Fig. 5). A volte si associano osteonecrosi della testa del femore, infezioni artico- lari, rottura dei tendini [23].

Fig. 5. Osteopenia secondaria a morbo di Cus- hing. Si noti l’incremento della densità delle limitanti somatiche che contrasta con la forte rarefazione del disegno della spongiosa dei corpi vertebrali

Iperparatiroidismo

Nell’iperparatiroidismo il fenomeno più evidente è il riassorbimento subperiostale con

conseguenti erosioni multiple (anche se spesso si associa coinvolgimento endostale,

subcondrale e trabecolare) del versante radiale delle falangi medie del II e III dito della

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mano, delle articolazioni sacroiliache e delle sinfisi pubiche [24]. A carico delle ossa lunghe, quali omero, femore e tibia, si manifesta con assottigliamento della compatta e della corticale con conseguente riassorbimento endostale e aumento delle strie intra- corticali; spesso si associano tumori bruni che assumono l’aspetto di aree di osteolisi con rigonfiamento dell’osso localizzate soprattutto a livello costale e delle ossa lunghe della mano e del piede.

Malattie neoplastiche

Oltre ai collassi vertebrali “benigni” vanno naturalmente riconosciute le condizioni osteopeniche secondarie a emopatie, a metastasi che rientrano nei cosiddetti collassi ver- tebrali “maligni” (Fig. 6).

Fig. 6. Multipli collassi vertebrali “maligni” da mieloma multiplo. Si noti in particolare l’area di osteolisi che interessa la limitante somatica antero-superiore del soma di L2

Conclusioni

L’utilizzo della radiologia tradizionale nello studio delle sindromi osteopeniche pre- senta delle limitazioni soprattutto nelle fasi iniziali di tali patologie; infatti per poter apprezzare radiograficamente i segni di riduzione della densità ossea occorre che vi sia una perdita della quantità di osso mineralizzato almeno del 30-40% [7, 19].

I metodi di valutazione semiquantitativi, utilizzati nella radiologia tradizionale, hanno un’elevata variabilità intraoperativa che ne limita l’utilizzo nella pratica clinica [25].

L’indagine morfometrica, invece, supera i limiti legati alla valutazione dell’operato-

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re e permette di misurare, in maniera affidabile, oggettiva e riproducibile le altezze dei corpi vertebrali e di riconoscere perciò le fratture vertebrali.

Pertanto la radiologia tradizionale rappresenta ancora la metodica di prima istan- za nello studio delle sindromi osteopeniche perché, unitamente alla TC, alla RM e alla scintigrafia ossea, fornisce informazioni indispensabili per il riconoscimento di natu- ra (benigna o maligna) della frattura vertebrale.

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