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Capitolo 4

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Capitolo 4

Discussione

4.1 Ipotesi 1a) - Il grooming come “merce di scambio”

Le interazioni sociali possono essere usate dai membri di un gruppo come investimento, da cui gli animali possono trarre benefici (Kummer, 1968). Nei Primati tali benefici comprendono la tolleranza, la cooperazione, la condivisione delle risorse alimentari, i privilegi sessuali, il supporto nelle interazioni agonistiche e la protezione contro l’harassment (Cords, 1997; van Schaik e Aureli, 2000).

Il grooming sociale (GR) è la forma più frequente di comportamento cooperativo tra i Primati non-umani (Walters e Seyfarth, 1987).

Dato che il grooming è un comportamento direzionale ed è facilmente misurabile e campionabile, è quello più frequentemente utilizzato come indice per valutare il livello di affiliazione tra coppie di individui (Henzi e Barrett, 2007).

Numerosi studi hanno messo in evidenza le sue molteplici funzioni. Il

grooming riduce la tensione sociale tra gli individui (Boccia, 1987;

Schino et al., 1988; Palagi et al., 2004), facilita l’approccio durante il corteggiamento (Goosen, 1987; Norscia et al., 2009) e svolge funzione di mantenimento e miglioramento delle relazioni sociali tra i membri di un gruppo (Seyfarth e Cheney, 1984; Stammbach e Kummer, 1982). E’ da escludere che il grooming abbia fini meramente igienici (come proposto da Byrne, 1995), dal momento che la pulizia del pelo viene effettuata in

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zone del corpo che il ricevente stesso può raggiungere con il proprio pettine dentario (Lewis e Gosselin-Ildari, 2006). Pertanto si può ritenere che il grooming abbia un significato sociale nelle Proscimmie, il che non esclude che il suo ruolo possa essere ancora più importante nelle grandi antropomorfe, che dedicano gran parte del loro tempo nella pulizia reciproca (Henzi e Barrett, 2007).

Dunbar (1991) ha suggerito una differenza nel significato funzionale del

grooming tra le scimmie del Vecchio Mondo e quelle del Nuovo Mondo,

ipotizzando una funzione essenzialmente sociale per le prime e una funzione strettamente igienica per le seconde. Questa visione è stata messa in discussione da numerosi studi che hanno dimostrato un importante significato sociale di questo comportamento anche nelle scimmie del Nuovo Mondo (Ahumada, 1992; Di Bitetti, 1997; Linn et al., 1995; Manson et al., 1999; O’Brien, 1993; Parr et al., 1997; Sanchez-Viagra et al., 1998; Schino, 2001).

In biologia, così come in economia e in politica, il potere è un concetto chiave per comprendere le diverse relazioni tra gli individui. Esso può essere fisico, quando un individuo può surclassare un altro con la forza, o economico, quando un individuo detiene risorse ambite che può offrire ad un altro in cambio di un equo “compenso”. Il potere economico si manifesta quando un individuo possiede una risorsa che un altro desidera, ma che non può ottenere tramite coercizione fisica (Barrett et al., 1999). In questo caso la capacità di scambiare beni e servizi diventa cruciale per

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le relazioni che costituiscono il fondamento primo dei gruppi sociali (Noë et al., 2001).

La teoria del mercato biologico (Noë e Hammerstein, 1994, 1995; Noë et al., 2001) prevede la presenza di due classi diverse di “venditori” (dall’inglese trader); tra gli individui della stessa classe scatta una competizione per accedere ad un beneficio, di cui dispone il venditore della classe opposta. Un caso particolare di mercato biologico è quello che scatta nel periodo degli accoppiamenti, che in molte specie animali è incredibilmente breve. In questo periodo le relazioni tra maschi e femmine cambiano radicalmente, perché le femmine detengono una risorsa estremamente appetibile per i maschi: l’ovulo pronto per essere fecondato. Le loro quotazioni svettano, soprattutto se i maschi non possono impossessarsi con la forza della risorsa in gioco. Durante la stagione riproduttiva, quindi, i maschi competeranno tra loro per accaparrarsi il beneficio offerto da una o più femmine, cioè l’opportunità di riprodursi. In tal senso, la teoria del mercato biologico può essere utile per spiegare lo scambio di comportamenti sociali relativamente al contesto sessuale (Barrett e Henzi, 2001; Norscia et al., 2009) e per predire le interazioni maschio-femmina (Gumert, 2007).

Molti autori hanno focalizzato l’attenzione sul ruolo che le forze economiche hanno negli scambi sociali e su quali comportamenti possono essere scambiati per ottenere vantaggi sessuali. Barrett e Henzi (2001) sostengono che l’attività sessuale e le opportunità di

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accoppiamento possano essere scambiate con il grooming e che il rango possa influire in tale scambio. Studi su Pan troglodytes e Papio

hamadryas hanno mostrato che i maschi effettuano il grooming verso le

femmine più frequentemente quando le femmine sono in estro e recettive (Hemelrijk et al., 1992; Colmenares et al., 2002).

Il grooming, essendo direzionale, è il comportamento affiliativo più importante e, per questo può essere facilmente utilizzato come “merce di scambio” (Seyfarth, 1977). Tali risultati si vanno ad aggiungere ai dati già presenti in letteratura (ad esempio: Kappeler, 1993b; Lewis e Gosselin-Ildari, 2006; Marolf et al., 2007; Nakamichi e Koyama, 1997; Waeber e Hemelrijk, 2003) i quali confermano che il grooming nelle proscimmie, sebbene occupi solo una minima parte dell’attività giornaliera rispetto alle scimmie propriamente dette (Borries et al., 1994; Digby, 1995; Dunbar, 1988, 1991; Franz, 1999; Goldizen, 1989; Krusko, 1990; Lazaro-Perea, 2004; Pusey, 1990), svolge comunque un ruolo sociale importante.

Il grooming, all’interno del genere Propithecus, è stato poco studiato e solo recentemente Lewis e Gosselin-Ildari (2006) hanno dimostrato come nel P. verreauxi sussista la correlazione tra il grooming da una parte e la gerarchia e il sesso dall’altra. Nei sifaka della foresta di Kirindy i maschi effettuano il grooming verso femmine più di quanto ne ricevano, soprattutto durante la stagione degli accoppiamenti (Norscia et al. 2009). Il vantaggio adattativo di tale comportamento è evidente: dal momento

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che le femmine sono dominanti, i maschi tendono ad attrarre i loro favori sia per diminuirne l’aggressività sia per aumentare il proprio successo riproduttivo.

Anche nei sifaka della foresta di Ankoba (Berenty, Madagascar) è stato recentemente osservato che la quantità di grooming femmina-maschio diminuisce significativamente nel periodo degli accoppiamenti, mentre il livelli di grooming maschio-femmina non differiscono tra stagione pre-riproduttiva e pre-riproduttiva (Norscia et al., 2009). All’interno di questo studio si è anche riscontrato che, al di fuori della stagione riproduttiva, il

grooming viene scambiato alla pari tra maschi e femmine

(reciprocation). Nel successivo periodo degli accoppiamenti, la correlazione tra grooming effettuato e ricevuto nelle diadi maschio-femmina scompare, poiché le femmine ripagano il grooming dei maschi con un’altra valuta, l’opportunità di riprodursi (exchange) (Norscia et al., 2009).

Nel nostro studio abbiamo ulteriormente evidenziato la relazione che intercorre tra grooming e stagione riproduttiva, periodo all’interno del quale l’attività di grooming nel gruppo è significativamente più elevata rispetto alla stagione delle nascite. Inoltre, analizzando i livelli di

grooming diadici, abbiamo riscontrato che il grooming fatto dai maschi

verso le femmine è maggiore nella stagione riproduttiva. Al contrario il

grooming fatto dalle femmine verso i maschi non differisce

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Possiamo attribuire questo risultato a diversi fattori, innanzi tutto al fatto che nel periodo degli accoppiamenti è particolarmente importante per i maschi, sia dominanti che subordinati, riuscire ad attirare le femmine. I dati del nostro studio sono in accordo con quanto riscontrato nelle scimmie del Vecchio Mondo, come Macaca fascicularis e Macaca

radiata, in cui i maschi esibiscono frequenze di grooming elevate verso

quelle stesse femmine con cui si accoppiano (Gumert, 2000; Kurup, 1988; Hemelrijk et al., 1992;).

Questo dato tuttavia non appare affatto scontato per altre specie di proscimmie. In Eulemur coronatus, ad esempio, è stato dimostrato che i maschi effettuano il grooming sulle femmine più di quanto ne ricevano da esse, tuttavia due dei gruppi di E. coronatus studiati non mostrano alcuna relazione significativa tra grooming e sesso (Marolf et al., 2007). Allo stesso modo, nell’Eulemur rubriveter, che forma sistemi monogami, non è stata trovata alcuna differenza significativa tra il grooming del maschio verso la femmina rispetto a quello della femmina verso il maschio (Marolf et al., 2007). Tale risultato non sembra essere condizionato dall'organizzazione sociale: ad esempio, in Indri indri, che come E. rubriventer, forma sistemi monogami, è stata trovata una relazione tra il grooming e il sesso (Pollock, 1979).

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4.2 Ipotesi 1b) – Grooming e bimorfismo

Tra i Primati molti maschi esibiscono caratteri sessuali secondari che fungono da ornamenti, ad esempio le criniere delle amadriadi (Papio

hamadryas), le protuberanze esibite dal uakari (Cacajao spp.) e le flange

del collo, la sacche della gola e i peli molto lunghi sulla testa degli oranghi (Pongo pygmaeus) (Dixson, 1998).

E’ vero però che in alcune specie non tutti i maschi sessualmente maturi possiedono questi ornamenti. Questo fenomeno viene indicato come “bimorfismo intra-sessuale” (Lewis e van Schaik, 2007).

Negli oranghi, ad esempio, il bimorfismo maschile nasce in quanto è presente un ritardo variabile nello sviluppo degli ornamenti maschili, ed è pertanto irreversibile (Maggioncalda et al., 1999; Utami et al., 2002); al contrario nei mandrilli (Mandrillus sphinx), lo sviluppo degli ornamenti, in particolare la brillante colorazione della faccia e del posteriore, sono reversibili (Setchell e Dixson, 2001a,b).

Il bimorfismo, reversibile o irreversibile che sia, può essere il riflesso di una strategia condizionata, una sorta di tattica alternativa per ottenere l’accoppiamento basata sull’espressione dello status sociale del maschio (Gross, 1996).

Utami-Atmoko e van Hooff (2004) hanno interpretato il bimorfismo dell’orango come l’espressione di tattiche di accoppiamento alternative. I maschi che possiedono le flange hanno sviluppato completamente i loro caratteri sessuali secondari e sono in genere piuttosto intolleranti nei

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confronti di altri maschi con flange ma non verso quelli che non le possiedono. Inoltre emettono lunghi richiami per segnalare la loro presenza alle femmine. I maschi senza flange sono anch’essi sessualmente attivi, anche se non hanno sviluppato i caratteri secondari, e sono in genere deferenti nei confronti degli altri maschi, dedicandosi in silenzio alla ricerca delle femmine. Le due forme maschili si sviluppano con tempistiche differenti (Maggioncalda et al., 2000) che potrebbero essere dipendenti dalla densità degli individui (van Schaik, 2004; Utami-Atmoko e van Hooff, 2004).

Quando il bimorfismo è reversibile, la variazione fenotipica potrebbe essere un segnale di status. I segnali di status sono comunemente diffusi nelle colorazioni del piumaggio degli Uccelli (Rohwer e Ewald, 1981) e funzionano come indicatori dell’abilità competitiva che si può correlare all’aggressività espressa durante la crescita delle penne (McGraw et al., 2003). I cosiddetti “badges” rappresentano quindi segnali importanti dello status sociale di un individuo e possono essere utili per il dominante per decidere a quali maschi permettere di entrare nel proprio territorio. Anche i subordinati però possono ricavare informazioni su quale territorio condividere (Rohwer e Ewald, 1981). I segnali di status creano quindi una situazione in cui sia i maschi dominanti che quelli subordinati beneficiano dell’abitare lo stesso territorio.

Anche i Primati possiedono segnali di status reversibili. Alcuni ricercatori hanno infatti suggerito che la colorazione dei maschi agisca

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come segnale di status nei mandrilli (Setchell e Dixson, 2001a,b; Setchell e Wickings, 2005). Anche Chlorocebus aethiops esibisce colorazioni dello scroto molto evidenti che sembrano agire anche come segnale di status (Gerald, 2001). Questi “badges” giocano un ruolo importante sia nella selezione intra-sessuale che inter-sessuale (Gerald, 2003). Le differenze tra maschi nelle forme bimorfiche possono essere associate a differenze di rango sociale, così come a livelli differenti di testosterone e di comportamenti gregari, pertanto il bimorfismo può rappresentare una tattica di accoppiamento alternativa (Setchell e Dixson, 2001a).

Propithecus verreauxi sembra rientrare nella categoria dei Primati

caratterizzati da bimorfismo: i sifaka studiati nella foresta di Kirindy da Lewis e van Schaik (2007) esibiscono due forme maschili, una caratterizzata da una pronunciata untuosità marrone attorno alla ghiandola sternale e sul petto, l’altra in cui il petto è invece chiaro e pulito. E’ stato osservato che i maschi dominanti di questa specie possiedono livelli di testosterone fecale più elevati dei maschi subordinati (Brockman et al., 1998, 2001; Kraus et al., 1999; Lewis, 2009), caratteristica che potrebbe essere il risultato di una soppressione esercitata dai maschi dominanti (Kraus et al., 1999). E’ stato infatti suggerito che i maschi dominanti di P.verreauxi possano indurre l’inibizione della funzione endocrina testicolare nei maschi subordinati attraverso lo stress cronico o attraverso l’emissione di feromoni durante l’attività di marcatura (Kraus et al., 1999).

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Lewis e van Schaik (2007) hanno rilevato che in genere i maschi dominanti sono gli individui che all’interno del gruppo marcano di più. In effetti il colore scuro di questi maschi deriverebbe proprio da una più intensa attività di marcatura, fino a 8 volte superiore a quella dei maschi dal collo e dal petto chiaro.

Inoltre si è constatato che circa la metà delle marcature di questi maschi sono sovra-marcature, posizionate sopra o accanto le marcature di altri (overmarking o countermarking).

Il colore scuro deriva da un insieme di secrezioni della ghiandola sternale del maschio, delle secrezioni della ghiandola anogenitale e urina depositate dalle femmine e, infine, dello sporco presente sul substrato. Da osservazioni ad libitum di sessioni di allogrooming (attività di

grooming messa in atto da più individui contemporaneamente) Lewis e

van Schaik hanno notato che gli individui non puliscono l’area scura del collo evitando così di rimuovere la colorazione del pelo. Quest’ipotesi, tuttavia, andrebbe confermata con uno studio specifico.

La colorazione del petto sembra quindi essere un segnale onesto del comportamento del maschio. I maschi dal petto scuro sono dominanti e sono coinvolti, nel periodo degli accoppiamenti, in un’intensa attività di competizione intra-sessuale, messa in atto soprattutto grazie all’attività di marcatura (Pochron et al., 2005). In genere un gruppo è composto da un solo maschio dal petto scuro, il dominante, e da meno di 4 maschi dal petto chiaro, parte dei quali subadulti. In rari casi è stata evidenziata la

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presenza di forme intermedie di colorazione del petto, il risultato probabilmente di instabilità dovuta a cambiamenti del maschio dominante all’interno del gruppo (correlati a takeovers) o forse a migrazioni (Lewis e van Schaik, 2007).

E’ stato osservato che il maschio alfa che perde il proprio stato di dominante perde anche il colore scuro sul petto, pertanto si può dire che il colore del petto è correlato al rango sociale (Kraus et al., 1999; Lewis e van Schaik, 2007).

Anche i sifaka della foresta di Ankoba mostrano questo caratteristico bimorfismo ed è stato quindi possibile riconoscere e distinguere i maschi dal petto “scuro” e i maschi dal petto “chiaro” dei due gruppi osservati. L’ipotesi dalla quale siamo partiti è che, come già descritto in precedenza, il grooming possa essere utilizzato come “merce di scambio” per ottenere l’accoppiamento. I maschi dominanti possiedono caratteristiche intrinseche che li rendono particolarmente “appetibili” per le femmine, nel caso del sifaka si pensi alla capacità di marcare più degli altri maschi, fattore che indica l’abilità di fronteggiare i costi della detenzione e della difesa di un territorio. Per le femmine è quindi importante accoppiarsi con questi individui, che potranno trasmettere le loro caratteristiche intrinseche alla prole. Per questo dovrebbero essere soprattutto i maschi subordinati, che non possiedono caratteristiche di questo tipo, ad avere la necessità di scambiare il grooming per l’accoppiamento. Dato che il grooming è un comportamento che viene

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messo in atto solo quando due individui sono a stretto contatto tra loro abbiamo normalizzato il dato del grooming sul tempo passato dalle femmine a contatto con maschi dominanti e subordinati. In seguito abbiamo confrontato i livelli di grooming messi in atto dai maschi “petto scuro” e dai maschi “petto chiaro” nella stagione riproduttiva e nella stagione delle nascite. I dati mostrano una più elevata attività di

grooming da parte dei maschi “petto chiaro” verso le femmine nella

stagione riproduttiva, risultato che supporta la nostra ipotesi.

4.3 Ipotesi 2 – Comportamenti olfattivi

Dai nostri dati è stato possibile rilevare che esiste una differenza significativa nei livelli di marcatura totali (comprensivi delle marcature maschili e femminili) messi in atto dai componenti del gruppo nelle due stagioni in esame. In particolare la stagione riproduttiva è quella in cui l’attività di marcatura si fa più intensa.

Questo dato è in disaccordo con lo studio condotto da Lewis (2005, 2006) e da Mass e colleghi (2009) sui sifaka della foresta di Kirindy. Anche lo studio condotto da Pochron e colleghi (2005) a Ranomafana non ha evidenziato differenze nell’attività di marcatura della fase iniziale di allattamento con quella della fase di accoppiamento, entrambe fasi in cui si verificano migrazioni. Si è ipotizzato quindi che l’inizio della stagione delle migrazioni induca i maschi a una maggiore competizione e

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alla necessità di segnalare la propria presenza alle femmine, più di quanto non accada durante stagione riproduttiva.

Quello che abbiamo ipotizzato è che l’attività di marcatura aumenti nella stagione riproduttiva sia per la necessità dei maschi di difendere il territorio che per la necessità delle femmine di “pubblicizzare” il loro stato fisiologico.

Ci sono numerosi indizi che possono servire come indicatori dello stato riproduttivo delle femmine, inclusi i feromoni (Michael e Keverne, 1968), lo swelling della zona ano-genitale (tumescenza dei genitali esterni) (Brauch et al., 2007; Setchell e Wickings, 2004), i richiami sessuali (Semple, 1998; van Schaik et al., 2004) e, naturalmente, il comportamento della femmina nel periodo recettivo (Aujard et al., 1998; Engelhardt et al., 2005; Zehr et al., 2000).

Gli indizi olfattivi possono essere relativamente più importanti nelle specie di lemuri in quanto la loro capacità di recezione olfattiva è particolarmente ben sviluppata. In particolare lo scambio di segnali chimici gioca un ruolo importante nella comunicazione (Schilling, 1979). Perciò i feromoni provenienti da urina, ghiandole anogenitali e da secrezione vaginali possono essere segnali chimici “pubblici”, cioè in grado di comunicare informazioni relative allo stato riproduttivo della femmina sia ai maschi del gruppo (ingroup) che ai maschi estranei (outgroup). Inoltre si è osservato che le femmine marcano di più alla periferia dei territori dove le marcature hanno una più alta probabilità di

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essere rilevate dai maschi outgroup (Lewis, 2005), rendendoli così in grado di ottenere informazioni sullo stato fisiologico delle potenziali partner senza la necessità di un contatto visivo (Richard, 1985).

Il nostro studio non ha messo in evidenza cambiamenti significativi nei livelli di sniffing e di overmarking nelle due stagioni esaminate, due comportamenti olfattivi particolarmente importanti nel periodo riproduttivo. Questo risultato non concorda con studi precedenti effettuati sia su altre specie (L.catta Palagi et al., 2004; Saguinus spp. Huck et al., 2004) che su P. verreauxi (Mass et al., 2009), in cui l’indagine effettuata dai maschi sulle marcature femminili incrementa durante la stagione degli accoppiamenti. Lewis (2005) ipotizza che i maschi residenti sovra-marchino le deposizioni femminili per evitare che le informazioni ivi contenute possano essere utilizzate dai maschi estranei al gruppo. L’autrice infatti descrive maggiori livelli di sovra-marcatura sia nel periodo riproduttivo che durante gli incontri con altri gruppi. Questa tattica è comune ad alcune specie di arvicole (Ferkin et al., 2004), è stata osservata in L.catta (Kappeler, 1998) ed è stata suggerita anche per Aotus spp. (Wolovich e Evans, 2007).

E’ da sottolineare che i maschi potrebbero percepire l’odore della femmina in estro anche senza indagarne direttamente la deposizione, ad esempio mantenendo con essa una forte prossimità e mettendo in atto comportamenti sociali che implichino un contatto fisico (grooming).

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In più va considerato il fatto che i maschi potrebbero utilizzare altri indizi per stabilire lo stato fisiologico delle femmine, come ad esempio cambiamenti morfologici della vulva (Richard, 1974, 1992; Sauther, 1991).

In molte specie di mammiferi, i maschi possono ottenere informazioni sullo stato riproduttivo delle femmine non solo attraverso secreti prodotti da organi specializzati (secreti anogenitali, ghiandole brachiali e ante-brachiali, ghiandole sternali), ma anche da escreti come urina o feci che possono in molti casi dare indicazioni sullo stato riproduttivo (bisonte americano, Berger et al., 1992; criceto dorato, Tang- Martinez et al., 1993; topo domestico, Sipos et al., 1995).

Nell’elefante asiatico (Elephas maximus), ad esempio, è la presenza di un particolare feromone nell’urina della femmina che attrae i maschi per l’accoppiamento. Il feromone infatti varia la sua concentrazione elevandosi gradualmente dall’inizio della fase follicolare al momento dell’ovulazione. I maschi quindi sembrano in grado di misurare quantitativamente la concentrazione del feromone e di conseguenza percepire la prossimità della femmina all’ovulazione; a dimostrazione di ciò si nota che aumentano le frequenze dei comportamenti pre-accoppiamento, tra i quali il “flehmen” (Rassmussen et al., 1996).

Partendo da questa considerazione abbiamo esaminato l’attività di

sniffing e di overmarking dei maschi in relazione alle marcature olfattive

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Quel che abbiamo osservato è che c’è una tendenza ad indagare e sovra-marcare di più il VUR nella stagione riproduttiva (p=0.059), tendenza non presente per la marcatura genitale. Il mancato ottenimento di un valore di p chiaramente significativo potrebbe essere imputato alla bassa numerosità campionaria. Va sottolineato comunque che il dato è confortato da studi presenti in letteratura che indicano l’urina come un importante veicolo di informazione chimica in grado di fornire numerose informazioni sullo stato fisiologico dell’emettitore (Crowell-Davis e Houpt, 1985; Ewer, 1968; Fraser, 1968; Ma e Klemm, 1997; Tembock, 1968).

In molte specie di Mammiferi la presenza di particolari sostanze chimiche (es. aldeidi, ammine, acidi grassi, alcheni), che aumentano in corrispondenza o poco prima dell’estro femminile, comunica lo stato fisiologico dell’animale (Kimura, 2001). Tali sostanze sembrano essere comuni a molte specie, infatti pare dimostrato il loro “funzionamento” anche a livello inter-specifico (Sankar e Archunan, 2005).

L’utilizzo dell’urina nella marcatura olfattiva delle Proscimmie è stato poco studiato sia perchè negato a priori da alcuni (Schilling, 1979) sia perchè sottovalutato da altri (Chandler, 1975; Lewis, 2005; Mertl-Millhollen, 1986; Nievergelt et al., 1998).

Solo recentemente infatti è stato dimostrato l’utilizzo dell’urina per la marcatura olfattiva in Lemur catta (Palagi et al., 2005; Palagi e Dapporto, 2006). Lo studio di Palagi e Norscia (2009) ha ulteriormente indagato la

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funzione della marcatura con urina in questa specie, suggerendo che vi possa essere un ruolo nella difesa territoriale, principalmente regolata dalle femmine. Infatti l’urina è principalmente depositata e indagata dalle queste ultime, nelle zone del territorio in cui è più probabile che venga rintracciata dai competitori.

Il ruolo dell’urina in altre specie di Primati è invece principalmente legato alla segnalazione dello stato fisiologico delle femmine. In uno studio condotto su Microcebus murinus è stato osservato che l’urina delle femmine contiene feromoni che stimolano la funzione sessuale maschile. L’odore dell’urina di una femmina che sta entrando nella fase estro è sufficiente ad incrementare i livelli di testosterone del maschio (Perret, 1992).

In numerosi studi su Primati è stato osservato che è possibile monitorare lo stato riproduttivo delle femmine basandosi sulla variazione dei livelli di estradiolo nell’urina (Rhinopithecus bieti, He et al., 2001; Macaca

silenus, Shideler et al., 1983; Gorilla gorilla, Astrid et al., 1995; Gorilla beringei, Czekala e Pascale, 2000).

Yan e Jang (2006) hanno studiato il rapporto esistente tra comportamenti e ormoni sessuali nella specie Rhinopithecus roxellana. I comportamenti sessuali femminili di “sollecitazione” verso i maschi avvenivano in un breve arco di tempo in corrispondenza del picco di estradiolo nell’urina, il che suggerisce che gli ormoni modulino il comportamento sessuale in relazione al ciclo ovarico.

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In nostri dati indicano quindi che l’urina potrebbe veicolare informazioni sullo stato riproduttivo della femmina. Evidenze a supporto di questa ipotesi arrivano anche da recenti indagini sulla composizione chimica della secrezione ano-genitale di due specie del genere Propithecus, che rilevano lo scarso valore informativo di queste secrezioni. Hayes e colleghi (2004) hanno impiegato la gas-cromatografia per confrontare i componenti delle secrezioni delle ghiandole ano-genitali di due specie:

Lemur catta e Propithecus verreauxi coquereli. I risultati indicano che le

marcature di maschi e femmine di Lemur catta sono qualitativamente differenti e quindi possono comunicare informazioni dettagliate al ricevente sul sesso dell’individuo che marca. Diversamente da ciò che è stato trovato per L. catta, le marcature ano-genitali di maschi e femmine di P.verreauxi coquereli non sembrano differire qualitativamente. Questa osservazione potrebbe indicare che le informazioni relative al sesso e allo stato fisiologico dell’animale vengano comunicate mediante altri “veicoli informativi”, il che spiegherebbe il maggiore interesse dei maschi di sifaka verso l’urina delle femmine, ipotesi questa che richiede ulteriori verifiche sia dal punto di vista comportamentale che fisiologico.

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4.4 Ipotesi 3 – Comportamenti aggressivi

Propithecus verreauxi è una specie generalmente caratterizzata da

relazioni inter-individuali “rilassate”, il che la rende molto più simile ad

Eulemur fulvus rispetto a Lemur catta o a E. macaco, almeno in termini

di tipologia di dominanza (Kappeler, 1993c; Palagi et al., 2005). Anche il fatto che P.verreauxi mostri una gerarchia lineare non implica necessariamente che le relazioni che intercorrono all’interno del gruppo siano di tipo despotico (Palagi et al., 2008).

Ci sono numerose evidenze che una gerarchia strutturata non è necessariamente correlata a bassi livelli di tolleranza intra-gruppo sia nelle specie di Primati che in quelle di non Primati (Cordoni e Palagi, 2008; Palagi et al., 2006; Palagi et al., 2004; Schino, 1998; Stevens et al., 2005; Thierry, 2000; Wahaj et al., 2001; Wittig e Boesch, 2003).

Anche il fatto che nel sifaka le aggressioni in genere si limitino a semplici inseguimenti fa supporre che la selezione in questa specie non stia operando sulle caratteristiche fisiologiche che comportano un incremento nella massa corporea e lo sviluppo di armi di offesa, ma piuttosto che agisca su caratteristiche che migliorano velocità e agilità (Lawler et al., 2005).

Nel nostro studio abbiamo esaminato il livello di interazioni agonistiche messe in atto dagli individui nelle due stagioni di osservazione: la stagione riproduttiva, all’interno della quale si ha la ricettività femminile, e la stagione delle nascite. Quello che si è rilevato è che c’è un

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incremento notevole del numero di conflitti nel periodo degli accoppiamenti. Al contrario nella stagione delle nascite il livello di interazioni agonistiche è molto basso.

L’incremento di interazioni agonistiche potrebbe essere il risultato di una strategia messa in atto dai maschi per competere per le femmine in corrispondenza della fase di estro, soprattutto in un periodo in cui sono frequenti le visite temporanee di maschi estranei al gruppo (outgroup) che effettuano monitoraggio sulle femmine per accoppiarsi (Mass et al. 2009; Norscia et al. 2009). Il risultato è quindi che mentre il maschio cerca di allontanare potenziali competitori, le femmine cercano (attraverso aggressioni mirate, seppur di bassa intensità) di svincolarsi dal “monopolio” dei maschi per poter liberamente effettuare la scelta sessuale.

La competizione intra-sessuale in Lemur catta porta a profondi rimaneggiamenti temporanei anche delle gerarchie di dominanza presenti tra i maschi (Cavigelli e Pereira, 2000; Gould e Zigler, 2007; Jolly, 1966). L’incremento nelle aggressioni tra maschi si verifica anche in specie che hanno gerarchie di dominanza molto stabili, come Eulemur

fulvus rufus (Ostner et al., 2002).

I bassi livelli di interazioni agonistiche che abbiamo rilevato nella stagione delle nascite potrebbero essere un segnale del ristabilirsi di relazioni sociali tolleranti, tipiche della specie (Palagi et al., 2008), in quanto viene meno il conflitto di interessi che ha caratterizzato la

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stagione riproduttiva. La nascita dei piccoli, inoltre, potrebbe assumere la funzione (così come avviene in numerose specie di primati) di “collante sociale” (Macaca fascicularis, Gumert, 2007; Macaca sylvanus, Kümmerli e Martin, 2008; Maestripieri, 1998; Whitten, 1987; Ateles

geoffroyi rufiventris, Schaffner e Aureli, 2005; Ateles geoffroyi yucatanesis, Slater et al., 2007; Rhinopithecus roxellana, Xi et al., 2008).

Infatti in alcune specie di Primati gli individui appartenenti al gruppo, siano essi maschi o femmine, possono interagire col piccolo neonato, comportamento che comporta una serie di benefici sia alla madre che agli individui che interagiscono col piccolo (Sussman e Garber, 1987; Goldizen, 1990). Questo potrebbe spiegare come mai si verifichi una maggiore unione del gruppo durante la stagione delle nascite. Dal nostro studio si evince una riduzione delle distanze inter-individuali in questa stagione. I dati relativi a prossimità e contact sitting, infatti, indicano una maggiore coesione spaziale tra gli individui del gruppo, anche a livello diadico. Inoltre l’assenza di gerarchia lineare nella stagione delle nascite, fattore caratterizzante la stagione riproduttiva, potrebbe essere indice di una ridotta cristallizzazione dei rapporti di dominanza e di conseguenza di una maggiore tolleranza nelle relazioni inter-individuali.

Infine è d’obbligo tener conto anche dei fattori ecologici che caratterizzano le due stagioni: la stagione riproduttiva cade all’interno della stagione umida, dove il cibo è più abbondante e qualitativamente superiore (Norscia et al., 2006). Tale “surplus energetico” può essere alla

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base di una maggiore attività agonistica che si esplica soprattutto attraverso inseguimenti ripetuti dei competitori (Alberts et al., 1996; Bercovitch, 1983; Lawler et al. 2005). Inoltre il monitoraggio continuo sulle femmine comporta anche costi fisiologici, come un incremento della perdita di glucocorticoidi, fenomeno osservato in uno studio condotto proprio su P. verreauxi (Fichtel et al., 2007).

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Capitolo 5

Conclusioni

I dati riportati in questa tesi mostrano che i comportamenti sociali, olfattivi e agonistici di Propithecus verreauxi subiscono sensibili variazioni in relazione alla stagionalità. In accordo con i dati presenti in letteratura, è stato dimostrato che il grooming riveste un ruolo importante nel mediare il conflitto di interessi che si verifica a livello inter-sessuale nel periodo riproduttivo, così come suggerito dalla teoria dei mercati biologici, e che questa strategia viene messa in atto principalmente dagli individui subordinati, piuttosto che dai dominanti. La distribuzione dell’attività olfattiva tra le due stagioni evidenzia che il periodo riproduttivo è quello in cui i comportamenti olfattivi assumono maggiore importanza, sia per pubblicizzare lo stato riproduttivo femminile, che per segnalare lo stato di dominanza dei maschi. Data la natura delle relazioni sociali di questa specie, il livello di interazioni agonistiche è elevato solo nella fase in cui è presente un forte conflitto di interesse dovuto alla presenza di femmine sessualmente recettive. Dal punto di vista ecologico è infatti questa la stagione nella quale è più facile fronteggiare i costi di questi comportamenti. La maggior parte degli studi in natura su Propithecus spp., in genere, sono incentrati nella stagione riproduttiva ma non esaminano il comportamento sociale. Per questo si può considerare questo lavoro come un primo step per far luce sulle variazioni stagionali del comportamento sociale di questa specie di lemure.

Riferimenti

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