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4. ANALISI TIPOLOGICA

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Academic year: 2021

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4. ANALISI TIPOLOGICA

4.1. GIOIELLI

Sotto il termine gioielli verranno qui compresi tutti quegli oggetti di ornamento personale come anelli, orecchini ed elementi di collana, realizzati in metalli preziosi e vetro, o pasta vitrea.

È da notare, nonché più volte ribadito da studiosi di antichità puniche425, l’uso totalmente arbitrario, almeno nell’ambito fenicio-punico, di una tale terminologia, che si conforma ad un criterio selettivo comprensibile al lettore moderno e obbedisce alla semplice necessita espositiva. È infatti presumibile che non corrisponda ad un’analoga classificazione mentale dell’originario fruitore: può essere esemplificativo il fatto che simboli rappresentati su pendenti in oro dovessero assolvere funzioni amletiche, così come cosiddetti amuleti fossero utilizzati quali elementi di collane e d’altro canto per i loro colori e qualità formali assolvessero indubbiamente una funzione estetica.

Verranno ora descritti i gioielli raggruppati per tipi universalmente riconosciuti, cui in sede di confronto verrà fornita eventuale appartenenza a tipi riconosciuti da altri studiosi.

4.1.1. BRACCIALI

Vanno considerati in questa sezione due oggetti in due distinti materiali: il n. 1, della tomba 1 PGM BLV deposizione 1, in vetro blu e il n. 33, appartenente al corredo della deposizione 1 della tomba 6 PGM, in argento. Per le dimensioni entrambi potrebbero essere stati delle armille e perciò portati al braccio, appena al di sopra del gomito, o anche delle cavigliere. La tipologia di entrambi è estremamente semplificata, ed il bracciale argenteo troppo corroso, per fornirci qualche dato sensibile di discussione. Nel caso di quella in vetro invece possediamo il confronto più stringente in un bracciale conservato al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia426 provvisto di protomi leonine in oro che ne adornano le due estremità. Nel nostro bracciale sono evidentemente assenti, ma non è escluso che ne fosse provvisto in origine. Appartiene 425 Tra tutti: Acquaro 1984, p. 13.

426 Oro degli Etruschi 1983, n. 174, p. 297 (inv. 59791). Il bracciale ha diametro di 84 mm, misura quasi identica

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ad un tipo ben attestato in Etruria e proviene da una tomba con corredo di fine VI – inizi V secolo sita nei pressi di Vulci, da una bottega del cui centro si ritiene fosse prodotto nell’ultimo quarto del VI secolo427. Se il nostro bracciale fosse originario della stessa bottega, circostanza non verificabile per l’assenza delle terminazioni auree, si proporrebbe un esempio di continuità delle relazioni tra Sardegna ed Etruria durante il dominio cartaginese428, altrimenti la datazione del bracciale dovrà essere posta ad almeno la metà del VI secolo, immediatamente prima della conquista dell’isola. Bisogna aggiungere che oltre all’esiguità delle attestazioni, anche un altro elemento rende il problema più articolato: al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari sono conservate due protomi di leone in oro che, per dimensioni, per il trovarsi in coppia e la similarità con quelle vulcenti, potevano svolgere la stessa funzione429. Le dimensioni esterne rendono possibile l’accoglimento al loro interno di una verga della stessa misura del bracciale e le coincidenze iconografiche tra le due coppie rendono verosimile l’ipotesi: uguale la forma data alle orecchie e la criniera che incornicia il volto. Ulteriore elemento a favore è la presenza di un bracciale incompleto in vetro blu nelle collezioni del Museo cagliaritano430. La stessa patina madreperlacea presente sul nostro, risultante dall’iridescenza provocata da simili condizioni conservative431, la mancanza delle terminazioni e del numero inventariale indicano come ragionevole l’appartenenza alle due protomi. Nulla osta la datazione ad età ellenistica fornita dalla editrice che non giustifica con confronto alcuno432.

Tornando al confronto delle due coppie di protomi si rileva la differente tecnica decorativa: a filigrana (spirali) nella coppia vulcente e a granulazione (triangoli) in quella tharrense, con l’aggiunta in quest’ultima di un sottile anello filiforme tra le fauci. Il dato stilistico suggerisce la realizzazione in bottega punica delle protomi sarde, ma la tecnica della granulazione non era sconosciuta alle botteghe etrusche. Si

427 Ibidem, p. 297.

428 Per la fine delle importazioni etrusche cfr.: Bartoloni, Bondi, Moscati 1997, p. 71-72.

429 Pisano 1974, p. 117, nn. 180-181 (nn. inv. 9337-9338, collezione Spano), fig. 8, tav. XVII, che accredita una

provenienza tharrense; Fenici 1988, p. 691, n. 637, in cui è proposta la datazione a VII – VI secolo e la funzione di terminazione di bracciale; Pisano 1988b, p. 36, 81, fig. 38, in cui l’autrice suppone la funzione come terminazione di collana a maglie o bracciale.

430 Uberti 1993, n. 119 (senza n.i.), tav. XVII.

431 Prossimo è anche il riscontro dimensionale: diametro 82 mm, diametro sezione 7 mm: ibidem, pp. 105-106. 432 V. ib., p. 31 (datazione a III – I sec. a.C.).

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potrebbe pensare anche ad una diversa realizzazione da parte della stessa bottega per soddisfare gusti differenti.

4.1.2. ELEMENTI DI COLLANA

E’ necessario premettere che non sono state rinvenute, durante lo scavo delle sepolture, collane integre, i cui elementi dovevano quindi essere legati da un filo di materiale deperibile. Questi ultimi quindi verranno trattati a seconda della materia con cui sono stati realizzati (pasta vitrea e metallo, come oro e argento) e singolarmente. Non ci sentiamo infatti di poter proporre dei raggruppamenti in collane o bracciali, che risponderebbero ad un criterio selettivo di estetica personale e non troverebbe conforto se non in rari esempi rinvenuti integri. In sede di documentazione fotografica si è provvisto ad applicare i gruppi più consistenti su di un filo di rame per facilitarne l’esposizione.

I vaghi di collana sono prevalentemente del tipo sferico policromo con decorazione “a occhi” ottenuta con vari strati concentrici di pasta vitrea colorata e bianca, per la maggior parte su di una matrice azzurra. Il tipo, diffusissimo in ambito fenicio-punico e centroeuropeo è stato studiato più recentemente da E. Ruano Ruiz433, di cui seguiremo la classificazione adottata per i vaghi in vetro del Museo Archeologico di Ibiza e Formentera434.

Il materiale utilizzato è il vetro o pasta vitrea, uniti nella definizione dalla medesima tecnica di realizzazione che prevede la mescolanza di silice (SiO2), ossidi

alcalini e carbonati di calcio, costituenti essenziali del vetro435. Diverse colorazioni erano ottenute con l’aggiunta di altre componenti chimiche come il cobalto per il blu, antimonio per il giallo e ossido di stagno per il bianco. Il vetro inoltre, per via della sua stessa composizione, è soggetto ad alterazione in presenza di acqua con effetti che possono interessare la superficie dell’oggetto con perdita di trasparenza, iridescenza e opalescenza o più in profondità sino alla polverizzazione dell’intero manufatto436. Tali alterazioni non sono visibili ad occhio nudo sui nostri esemplari se non nella porosità

433 Ruano Ruiz 1996.

434 Ibidem, p. 43 e segg.: i 1578 vaghi del Museo Archeologico Nazionale di Ibiza e Formentera sono classificati

per forma in 10 tipi e in varianti a seconda dei colori e della decorazione.

435 Ib., p. 33.

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superficiale e nell’iridescenza degli anelli di alcuni vaghi con decorazione ad occhi delle tombe 1 PGM BLV e 5-6 PGM. Si può supporre quindi che tali vaghi in origine non fossero dissimili da quelli meglio conservati della tomba 9 AR, i quali qui avrebbero trovato un ambiente che ne ha permesso la migliore conservazione. Ad ogni modo rimandiamo ad altra sede l’analisi microscopica dei materiali.

Forniamo qui di seguito una tavola sinottica dei vaghi in vetro437:

TIPOLOGIA TOMBA CAT. INV. MISURE OCCHI COLORI E NOTE ANELLI

AMORFO 9 AR 59 i 143060 Lungh. 11, largh 7,5 / B irid. - due fori incrociati / ANULARE 9 AR 56 e 143894 Ø 10, largh. 3 / Celeste / BARILOTTO 9 AR 59 h 143894 / Bianco, friabile in 4 frammenti / CILINDRICO 9 AR 59 b 143894 Ø 4, lungh. 8 / Rosso, in 2 frammenti / CUBICO 1 PGM BLV 14 f (83) n.i. 6 x 6 x 6 / Turchese / FUSIFORME 9 AR 59 a 143894 Ø 4,5, lungh. 15 / Celeste, in 2 frammenti, incompleto / SFERICO con occhi 1 PGM BLV/2 12.a (73) n.i. Ø 7 7 AC, M, B irid. 4 SFERICO con occhi 1 PGM BLV/2 12 b (73) n.i. Ø 8 7 AC, M, B irid. 2 SFERICO con occhi 1 PGM BLV/2 12 d (73) n.i. Ø 8 8 AC, AS, B 4 SFERICO con occhi 1 PGM BLV/2 12 e (73) n.i. Ø 8 7 AC, AS, B 4 SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 d (83) n.i. Ø 9 7 AC, M, B irid. 3 SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 e (83) n.i. Ø 10 7 AC, AS, B 3 SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 h (83) n.i. Ø 13 7 AC, AS, B 6 SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 i (83) n.i. Ø 9 8 M, B 3 SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 j (83) n.i. Ø 8 5 AC, M, B irid. 2 SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 l (83) n.i. Ø 8 6 AC, M, B irid. 1 SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 m (83) n.i. Ø 7 8 AC, M, B irid. 2 SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 n (83) n.i. Ø 7 8 AC, M, B irid. 2 SFERICO con occhi 1 PGM BLV 14 o (83) n.i. Ø 7 8 AC, M, B irid. 2 SFERICO con occhi 5 PGM/1 21 a n.i. Ø 8 7 AC, AS, B 4 SFERICO con occhi 5 PGM/1 21 b n.i. Ø 8 8 G, AS, B 1 SFERICO con occhi 5 PGM/1 21 c n.i. Ø 11 7 AC, AS, B 5 SFERICO con occhi 5 PGM/2 22 n.i. Ø 11,5 7 AC, AS, B 4 SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 a n.i. Ø 9 7 AC, AS, B 3

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SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 b n.i. Ø 8 7 AC, AS, B 2 SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 c n.i. Ø 10 7 AC, AS, B 4 SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 e n.i. Ø 8 8 AC, AS, B 2 SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 f n.i. Ø 9 8 AC, AS, B 3 SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 g n.i. Ø 9 8 AC, AS, B 3 SFERICO con occhi 6 PGM/2 38 h n.i. Ø 9 8 AC, AS, B 2 SFERICO con occhi 9 AR 56 a 143060 Ø 7 7 B, M, AC 3 SFERICO con occhi 9 AR 56 b 143894 Ø 7 7 AC, AS, B 5 SFERICO con occhi 9 AR 56 c 143060 Ø 9 7 AC, AS, B 4 SFERICO con occhi 9 AR 56 d 143058 Ø 10 7 AC, AS, B 5 SFERICO con occhi 9 AR 56 h 143060 Ø 7 7 M, B, AC 4 SFERICO con occhi 9 AR 56 i 143894 Ø 7 7 M, B, AC 4 SFERICO con occhi 9 AR 56 j 143894 Ø 7 7 M, B, AC 4 SFERICO con occhi 9 AR 56 k n.i. framm. 6 AC, AS, B 2 SFERICO con occhi 9 AR 56 l n.i. framm. ? M, B 2 SFERICO con occhi 9 AR 56 m n.i. framm. ? AC, AS, B ? SFERICO con occhi 9 AR 59 f 143894 framm. ? M, B NO SFERICO con occhi 9 AR 59 g 143894 framm. ? M, B 4 SFERICO con occhi 10 AR/5 69 o 143938 framm. ? M, B 5 SFERICO con occhi 10 AR/5 69 p 143938 Ø 11 7 AC, AS, B 3

SFERICO monocromatico 9 AR 57 a-aq 143060 Ø 2,5/5, largh. 3/5 Subsferici Blu, 6 integri e 35 frammenti / SFERICO

monocromatico 9 AR 58 a-ab 143060 Ø 2,2/5,5, largh. 3/5 Subsferici Neri, 19 integri e 7 frammenti / SFERICO

monocromatico 9 AR 59 e 143894 framm. schiacciato Sferico Celeste, in 4 frammenti / SFERICO monocromatico 1 PGM BLV 14 k n.i. (83) Ø 8 0 Celeste irid. / SFERICO monocromatico 9 AR 56 f 143894 Ø 15, largh. 9,5 Sferico schiacciato B /

SFERICO a occhi con

protuberanze 6 PGM/2 38 d n.i. Ø 11,5 4 AS, B, G / SFERICO scanalato 9 AR 56 g 143894 Ø 8 Sferico B, con due scanalature, M in superficie /

Tabella 1. Vaghi in vetro.

Procedendo con la classificazione dei vaghi possiamo notare subito che la prima classe individuata da E. Ruano Ruiz, quella dei vaghi anulari438, è rappresentata qui da un solo esemplare: nella variante monocroma in un vetro celeste trasparente. Il fatto insolito che emerge dal confronto con l’insieme della documentazione ibicenca è la scarsità di attestazione nelle nostre tombe di questo tipo di vago, che nel museo di

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Ibiza e Formentera gode di un’altissima percentuale: su 1578 vaghi il 57,54% è di tipo anulare439. Il che potrebbe essere il riflesso di una situazione feconda per la Spagna, o di una produzione ivi localizzata e di una scarsa ricettività da parte di Sulcis, e forse magari dell’intera Sardegna, per questa tipologia. Ancora può riflettere una differente caratterizzazione cronologica dell’apice della sua produzione, sebbene Ruano Ruiz lo ritenga il modello più antico e “atemporale”440. Il discorso non può tuttavia andare oltre per la mancanza di dati di confronto e per lo scarso interesse dimostrato nelle pubblicazioni, anche recenti, per questo genere di dati.

A 68 individui e 42 frammenti assommano invece i vaghi sferici di cui forniamo nella tabella le singole caratteristiche. Si può notare che in questa tipologia la variante più rappresentata è quella policroma con decorazione ad occhi. 37 sono infatti gli esemplari che presentano 7 o 8441 occhi disposti su due file442. Due esemplari soli (14 j e 38 d) appartengono a due diverse varianti: il primo presenta 5 occhi su di una sola fila443 e il secondo ne presenta 4 con l’aggiunta di globetti gialli ai lati del foro di sospensione444.

I 37 vaghi a 7 o 8 occhi, che potrebbero apparire come un gruppo omogeneo, possono essere analizzati sotto due ulteriori punti di vista: il numero degli anelli concentrici che formano “l’occhio” e le associazioni cromatiche. Queste ultime sono variabili ma si trova una netta prevalenza di quella più semplice e diffusa, anche in ambito spagnolo445, che alterna sulla matrice azzurro chiaro “occhi” azzurro scuro e bianco, ed è presente su 20 esemplari. Gli occhi sono costituiti da strati concentrici di colore diverso (nei nostri esemplari sono due soli alternati, uno bianco e uno scuro), entro cui era inserita la sfera che formava la “pupilla”, e si possono trovare in numero variabile, da uno a sei446. La loro variabilità non sembra essere legata alla policromia scelta, quanto alle dimensioni del vago (i vaghi più grandi possono accogliere un maggior numero di anelli) e alla perizia tecnica dell’artigiano. Altra associazione cromatica presente su 9 vaghi, tutti di media taglia (7/9 mm di diametro) o 439 Ibidem, p. 45, grafico n. 1.

440 Ib., p. 46.

441 In un solo caso (56 k) 6 occhi.

442 Ib., p. 40, cuadro n. 2: tipo B. V. anche p. 49, fig. 6 e-f. 443 Ib., p. 40, cuadro n. 2: tipo A.

444 Ib., p. 40, cuadro n. 2: tipo C. 445 Ib., p. 48.

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frammentati, prevede l’uso del marrone e del bianco, ed eventualmente l’azzurro chiaro per la pupilla. Questa policromia non sembra essere tra le più fortunate nella Spagna preromana quanto quella che prevede il fondo giallo447, qui presente con un solo vago (21 b).

Le due principali associazioni cromatiche qui rilevate sembrano più o meno equamente distribuite tra le 5 tombe448, e ciò concorre a confermare la sostanziale contemporaneità delle sepolture in esame. È necessario ricordare però che i vaghi di collana, non costituiscono, allo stato attuale delle ricerche, elementi datanti, ma non è escluso che lo possano diventare in futuro, nella speranza che il nostro lavoro contribuisca seppure modestamente a raggiungere questo risultato. La stessa Ruano Ruiz attribuisce ai vaghi “oculati” un arco cronologico che interessa, almeno per il mediterraneo occidentale, tutta la storia della civiltà fenicio-punica senza possibilità di scendere nel dettaglio449, se non per singole aree geografiche, i cui riferimenti non possono senz’altro essere generalizzati.

Testimoniata da un solo esemplare (n. 56 g) è la variante con scanalature che circondano il vago nel senso del diametro, che a differenza della documentazione spagnola è qui monocroma, caratteristica non presente nel museo ibicenco. L’ambito spagnolo è tuttavia povero di questa tipologia, maggiormente attestata negli altri siti mediterranei tra cui la Sardegna450.

Più frequente nelle nostre tombe è invece l’altra variante dei vaghi sferici studiati in ambito spagnolo: quella monocroma semplice, presente qui con i numeri 14 k, 56 f, 59 e, 57 e 58. Si nota subito una prevalenza della tomba 9 AR tra i contesti che hanno restituito questa variante. In particolare gli ultimi due numeri sono costituiti da alcune decine di piccolissimi vaghi che con tutta probabilità costituivano un'unica collana, forse su due file sovrapposte o con un’alternanza di perle nere e blu. Purtroppo il rinvenimento fuori contesto del n. 57 impedisce di accertarne la provenienza dalla medesima deposizione, mentre di sicuro il n. 58 proveniva dalla 9 insieme ai vaghi in corniola (n. 55) e ai due udjat (nn. 60-61).

447 Ib., p. 48.

448 Solo la tomba 11 AR, non ha restituito vaghi di collana. 449 Ib., pp. 50-56

450 Ib., p. 56, dove cita Tharrica 1975, in cui abbiamo trovato un solo confronto in un vago della collana E 15: p.

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Diversa situazione interessa gli altri vaghi in vetro che testimoniano la presenza della tipologia cilindrica con 5 vaghi e 10 frammenti, prevalentemente di colore rosso, forse ad imitazione della corniola, e provenienti per la quasi totalità dalla deposizione del vano destro della tomba 10 AR (nn. 69 a-n).

La tipologia fusiforme è presente con un solo vago (n. 59 a) in pasta turchese, così come quella a barilotto (n. 14 s) in vetro rosso opaco che suggerisce quanto detto per i vaghi cilindrici dello stesso colore. Tale tipologia non è frequente infatti tra i vaghi vitrei, mentre lo è maggiormente tra quelli in corniola, presente nei nostri stessi corredi451.

Di un collier complesso faceva parte forse il n. 59 i452 per la disposizione incrociata dei due fori passanti. Il vago è comunque incompleto e poteva essere provvisto di appendici cilindriche in corrispondenza dei fori: il vago è per quanto sappiamo privo di confronti.

Insolito è poi il vago cubico in vetro opaco turchese (n. 14 f). L’esemplare non è tuttavia privo di confronti: tre analoghi sono stati rinvenuti nel tophet sulcitano e attribuiti ad un contesto di fine VII-VI secolo453, e non sono inconsueti nelle collane cartaginesi: quattro sono presenti nella collana n. 15 del catalogo della Quillard454, proveniente verosimilmente da un settore della necropoli di Douimès datato al VII-VI secolo. I quattro vaghi erano associati ad altri in corniola (sia a barilotto che sferici), in pasta vitrea con decorazione ad occhi e in lamina d’oro con decorazione a reticolo, uno dei quali ha miracolosamente preservato l’anima in pasta silicea455. Entro una tomba palermitana della prima metà del VI secolo è stato rinvenuto un ulteriore cubo dalle dimensioni prossime al nostro456 e appartenente ad una collana ricomposta con vaghi affusolati e sferici ad occhi in pasta vitrea e quattro vaghi in corniola, rispettivamente due cilindrici, uno sferico e uno biconico457. Altri vaghi cubici provengono anche dalle

451 V. più avanti.

452 Dalla stessa deposizione n. 2 provengono infatti i vaghi in lamina d’oro n. 53.

453 Montis 2005, p. 15, uno solo è attribuibile con certezza all’urna SATH/U190 (tav. VI, n. 55, di 6 mm di lato),

gli altri due rinvenuti fuori contesto (tav. VIII, n. 62, di 5 mm di lato).

454 Quillard 1979, pp. 19-20, n. 15, tav. XV, n. 15. 455 Ibidem, p. 20.

456 Palermo Punica 1998, p. 131, p. 189, n. cat. 39. Il vago misura 6 x 7 mm e proviene dalla tomba 218 aperta

nel 1954.

457 Ma numerose sono le analogie tra cui la presenza, nel corredo della medesima deposizione di un pendente ad

arco centinato simile al nostro n. 7, ma in argento e privo di decorazione, e di vaghi in lamina ma anch’essi in argento: ibidem p. 131.

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tombe tharrensi del British Musem458, ma per uno solo, il n. 21/47, è indicata la misura del lato di 5 mm, prossima al nostro, nonostante l’interpretazione come conchiglia del materiale utilizzato non consenta una corretta identificazione. Mentre gli altri sono in “egyptian blue” o faïence e in minor misura di lapislazzuli. Per quanto possibilista sia l’affermazione, quelli in faïence potrebbero essere attribuiti alla stessa produzione del nostro. Il totale delle indicazioni cronologiche portate a confronto rientra nel pieno VI secolo per cui pensiamo che il vago della tomba 1 PGM BLV possa essere ascritto agli oggetti più antichi della sepoltura (forse del primo ventennio del V secolo).

Ma vediamo ora i vaghi negli altri materiali che, come detto prima, non è escluso potessero ricorrere nelle stesse collane insieme a quelli in vetro.

TIPOLOGIA TOMBA/DEP. CATOLOGO INV. DIMENSIONI (mm) MATERIA

CILINDRICO 1 PGM BLV 14 a, b, q, r n.i. (83) Ø 8 Osso SFERICO 1 PGM BLV 14 c, p n.i. (83) Ø 5 Pietra BARILOTTO 1 PGM BLV 14 s n.i. (83) lungh. 9 Ambra CILINDRICO 10 AR/5 69 a-d 143938 Ø 6, lungh. 10/17 Ambra CILINDRICO 10 AR/5 69 e-n 143938 Piccoli frammenti Ambra BARILOTTO 1 PGM BLV 14 g n.i. (83) Ø 10, lungh. 9, Ø foro 5 Corniola BARILOTTO 9 AR 55 a 143060 Ø 5/6, largh. 5 Corniola BARILOTTO 9 AR 55 d 143060 Ø 5/5,5, largh. 5 Corniola SFERICO 9 AR 55 b 143058 Ø 9, largh. 7 Corniola SFERICO 9 AR 55 c 143058 Ø 10, largh. 7 Corniola

Tabella 2. Vaghi in altro materiale.

Come accennato all’inizio di questa sezione, collane polimateriche non erano inconsuete e alcuni di questi pezzi potevano essere, anzi dovevano, essere associati tra loro: frequente a Cartagine è l’associazione di oro e corniola459 che troverebbe

458 Tharros BM 1987, nn. 21/47 (in “shell”), 22/16 (uno in egyptian blue e uno in lapislazuli), 26/16 (3 in egyptian blue e uno in lapislazuli), 28/18 (3 in egyptian blue).

459 Quillard 1979, nn. 3, 4, 15 (gia menzionato più sopra: v. nota 454), 16-18 datati tra VII e VI secolo e 26-27

tra IV e III. v. anche Pisano 1988, p. 48, cit. in Bernardini 1991, p. 194, nota 33, per la ricomposizione delle collane a scopo didattico ed espositivo. Tra i corredi del British Museum solo 16 vaghi su 32 sono associati all’oro e in una collana ricomposta soltanto: Tharros BM 1987, n. 12/26, p. 174.

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conferma qui nella presenza dei due materiali nella tomba 1 PGM BLV (n. 14 g), anche se non è possibile attribuire i due tipi di vaghi alla medesima deposizione, ma non nella situazione della 9 AR i cui vaghi (55 a-d, dalla deposizione n. 9) non sono appartenuti allo stesso inumato che portava al collo i vaghi in oro (n. 53, dalla deposizione n. 2).

Alcune parole possono essere spese sui vaghi cilindrici in osso (n. 14 a, b, q e r), materiale decisamente umile come costituente di collane o bracciali: potevano assolvere un’altra funzione poco comprensibile ed è da notare come uno dei quattro (n. 14 r) non poteva essere infilato in un filo dal momento che manca di perforazione.

Ugualmente umili sono i due vaghi in pietra o pasta (n. 14 c e p) che potevano essere rivestiti della lamina d’oro dei nn. 10 e 11 della stessa tomba.

In ambra i nn. 69 a-n pertinenti ad alcuni vaghi cilindrici (almeno 5) che componevano una collana, insieme a due vaghi in pasta vitrea con occhi, indossata dall’inumato della deposizione 5 nella tomba 10 AR. Il vago 14 s nello stesso materiale testimonia invece la presenza, seppure isolata, della tipologia a barilotto nella collana ricomposta della tomba 1 PGM BLV.

In lamina d’oro sono invece i vaghi presentati nella seguente tabella:

TOMBA/DEP. n. CATOLOGO n. INVENTARIO DIMENSIONI (mm) DECORAZIONE

1 PGM BLV/1 10 n.i. (69) Ø 12, largh. 8 Reticolo a maglie strette 1 PGM BLV 11 a-g n.i. (85) Ø 11/12, largh. 7/9 Reticolo a maglie larghe

6 PGM/2 37 a-n n.i. Ø 9/10, largh. 4,5/5,5 No 9 AR 53 a-l 143058 Ø 10/12, largh. 6,5/7 Reticolo a maglie strette

Tabella 3. Vaghi in lamina d’oro.

Anche i presenti vaghi si prestano ad alcune considerazioni. Tutti gli esemplari appartengono alla tipologia del vago in lamina d’oro su anima in materiale deperibile. Questa poteva essere composta da materiale più resistente come nel caso di un vago cartaginese460 e di tre tharrensi461, ed in particolare di pasta vitrea.

460 Quillard 1979, n. 15.

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I confronti, più o meno puntuali in ambito sardo non mancano ma sono purtroppo privi di indicazioni di origine462, ad eccezione di quelli appartenenti ai corredi delle tombe tharrensi acquistati dal British Museum463. La relativa pubblicazione tuttavia non offre quei dati metrici e fotografici sufficienti a stabilire confronti puntuali e ragionati e tanto meno datazioni affidabili.

Qualche indicazione la fornisce invece B. Quillard che nel suo studio sulle collane e i pendenti cartaginesi in oro individua non meno di 23 tipi di vaghi in oro, tra i quali i nostri rientrerebbero nel tipo B del primo gruppo, quello dei vaghi privi di decorazione, per il n. 37, e nel tipo J del secondo, quello con decorazione incisa, per quanto riguarda i nn. 10, 11 e 53. Indicazioni cronologiche precise rimandano alla seconda metà del VI secolo per il tipo B e al IV secolo per il tipo J464, anche se va notato che le dimensioni di tutti i pezzi analoghi ai nostri sono di poco inferiori e le incisioni sembrano essere sostituite dalla lavorazione a sbalzo che conferisce ai solchi maggiore profondità. Tenuto conto del divario cronologico tra i reperti cartaginesi e i nostri ben si spiegano le evidenti divergenze tecnico-stilistiche. Insufficiente è quanto detto ai fini della localizzazione della una bottega artigiana che li ha prodotti, ma e va tenuto conto anche della presenza, già segnalata in precedenza, di vaghi di questo tipo nei corredi inediti delle tombe di Via Castello465, che indica in Sulcis un centro di particolare ricezione di questa tipologia466.

Per ultimo va considerato un frammento argenteo (n. 54 a) composto da quattro piccole sfere saldate a formare parte di una vera in origine forse composta da sei, del diametro di 10 mm circa. Il vago così costituito è tipologicamente attestato nei corredi delle tombe della necropoli fenicia di Monte Sirai, con datazione compresa nel VI

462 Vedi ad esempio Pisano 1974, bracciale n. 131, tav. XI, e collana n. 132., tav. XII.

463 Tharros BM 1987, nn. 1/39 (9 vaghi in oro), 1/40 (3 in argento), 4/24 (30 in argento di cui alcuni con

decorazione a reticolo), 9/24 (12 in argento tra cui molti con decorazione a reticolo), 15/18 (3 in argento), 20/23 (uno in argento), 28/18 (14 in oro di cui 10 con decorazione e 4 senza), figg. 23 e 40. Nulla è affermabile di sicuro sulla datazione di questi, essendo andate perse le associazioni con il corredo ceramico, anche datazioni basate su elementi più riconoscibili cronologicamente come i pendenti non sono accreditabili perché l’assemblaggio delle collane è avvenuto dopo il rinvenimento: cfr. ad es. p. 129, per la datazione a VI-IV secolo del n. 1/39 e p. 236, per la datazione del n. 32/47 sulla base di quella al VI-IV secolo del pendente principale della collana.

464 Quillard 1979, tipo B: collana n. 17 dalla tomba 327 della necropoli di Ancona databile alla seconda metà del

VI secolo; tipo J: collana n. 28-30 dalle tombe 20, 1 e 4 di Utica datate tutte al IV secolo.

465 V. § 2.1.

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secolo a.C.467,e da un esemplare della necropoli di Pani Loriga della prima metà dello stesso secolo468. Il tipo è presente anche nei corredi delle tombe di Tharros al British Museum469 e tra i gioielli di probabile origine tharrense al Museo di Cagliari, purtroppo privi di indicazione cronologica470.

4.1.3. PENDENTI

I pendenti potevano entrare nella composizione delle collane come semplice elementi o esserne quello principale, oppure ancora far parte di orecchini.

La tomba 1 PGM BLV ci ha consegnato tre preziosi pendenti (nn. 7-9) in oro o in una lega di oro e argento in quantità e natura che solo un analisi tecnico-scientifica ci potrà dire con precisione.

Il n. 7 è di un tipo noto come “rettangolo con arco centinato” (tipo XI) nel catalogo della Pisano471 e come “niche cintrée” nello studio della Quillard472 e noto anche tra gli amuleti in pasta vitrea o faïence e derivati dalla c.d. “tavoletta da scrittura” egiziana, o meglio “stela-shaped pendants”473, raramente rinvenuti in contesti del mediterraneo occidentale. Viceversa esemplari di questo tipo in metallo non sono frequenti nel mediterraneo orientale474, mentre conoscono una relativamente maggiore diffusione in quello occidentale: in Sardegna, Sicilia e Nord Africa475. La maggior parte degli esemplari finora editi, correttamente e non, proviene dalla Sardegna, in particolare da Tharros, ed è omogenea dal punto di vista stilistico. Qui troviamo due delle tre varianti iconografiche sinora note su questo tipo di pendente:

467 Campanella 2000, p. 134, nn. 3 (MSN 7, dalla tomba 2 del terzo quarto del VI sec.), 94 (MSN 138, dalla

tomba 32 del primo quarto del VI sec.); Bartoloni 2000a, p. 22, tav. IV, b (MSN 322, dalla tomba 88 del secondo quarto del VI sec.).

468 Tore 1975, p. 370, nota 18; Tore 2000, p. 344, fig. 8, f. 469 Tharros BM 1987, p. 182, fig. 29.

470 Pisano 1974, 178, nn. 540-574, tav. XXVI. 471 Ibidem, p. 32.

472 Quillard 1979, p. 55 e segg.

473 Vercoutter 1945, p. 278, nn. 902-904; Culican 1985, p. 122-123.

474 Quillard 1979, p. 64., note 317-319; Culican 1985, p. 122, per tale assenza propone un prestito diretto della

tipologia dall’Egitto.

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• raffigurazioni egittizzanti con il cosiddetto “idolo a bottiglia” (con corpo in risalto e ricoperto di granuli) affiancato da due urei, sopra altare modanato a gola egizia, su esemplari in oro e argento476;

• raffigurazioni semplici di tipo geometrico a decoro granulato con losanga centrale e triangoli con base tangente il bordo, prevalentemente su esemplari in argento, rinvenuti esclusivamente in Sardegna477;

• campo figurativo privo di decorazione, su esemplari in argento di provenienza prevalentemente siciliana e nordafricana478.

Sulla base di pochi confronti datati con sicurezza le due autrici hanno individuato per questa tipologia un periodo di diffusione compreso tra fine VII e VI secolo, accordando preferenza all’ultimo dei due secoli, e non escludono possibilità di attardamenti, peraltro riconoscibili qualitativamente. La grande concentrazione in Sardegna, e in particolare a Tharros, unita alla omogeneità stilistica prima accennata, non offrono particolari dubbi sull’attribuzione della produzione al centro dell’Oristanese, attribuzione comune a diverse altre tipologie di gioielli. Non è escluso comunque che potessero esistere altri centri di produzione e che la stessa Cartagine ricoprisse una tale funzione, lasciando a Tharros quella di grande centro di smistamento.

L’analogia di questa tipologia con la stele del tophet notata dalla Quillard479 e dalla Pisano480 pare evidente non tanto per la sommità arcuata quanto per la condivisione, tra le due categorie artigianali, dei medesimi temi iconografici rappresentati all’interno del campo figurativo. Infatti solo tra III e II secolo compare in Sardegna, ma limitatamente a Sulcis, il tipo di stele ad arco centinato481, che costituisce la tipica forma egizia. Ciò indicherebbe come la forma arcuata della stele egizia, nota peraltro anche nel Levante482, sia passata al pendente fenicio per il tramite

476 Per gli esemplari sardi provenienti da Tharros: Pisano 1974, nn. 162, 411-412; Pisano 1987a, nn. 4/24, 6/29,

9/27 e 16/22; Rulli 1950, p. 11, tav. B, n. 5, cit. in Quillard 1979, p. 57, nota 265. Per quelli di Pani Loriga v. ibidem, p. 57, nn. G, H e J, per i quali dava già notizia Tore 1975, p. 367, nota 8, p. 370, nota 18.

477 Quillard 1979, p. 65.

478 Ibidem; per un’esemplare sardo v. Pisano 1974, p. 169, n. 416, fig. 14, tav. XXIV. 479 Quillard 1979, p. 64.

480 Pisano 1988b, p. 35.

481 Moscati 1988a, pp. 49-52, tavv. XVI, 1-4; ancora in Moscati 1993a, p. 23, tav. XI, in cui vengono menzionate

due stele affini di Sousse che indicano in questo caso l’origine nordafricana della tipologia.

482 Si citano i due noti esempi della stele di Bar-Hadad, re di Damasco, eretta nel IX sec. e quella di Shadrafa da

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dell’amuleto egiziano. Diverso è il discorso per quanto concerne i simboli utilizzati all’interno del campo figurativo del pendente che nulla hanno a che fare con iconografie di tipo egizio.

La comparsa ad esempio del rombo nelle stele avviene non prima della fine del VI e l’inizio del V secolo483, mentre appena precedente sembra quella dell’idolo a bottiglia. Entrambi i motivi non sono però attestati a Sulcis né Monte Sirai484, che dalla prima dipendeva nell’ambito della produzione lapidea, per cui il rapporto tra questa e quella dei pendenti può dirsi inesistente, in quanto risulti legato alla sola sommità degli oggetti che compare a Sulcis in un momento in cui i pendenti addirittura non sono attestati. Incoraggiata è quindi l’ipotesi di una produzione tharrense del nostro pendente: a Tharros infatti sarebbe stata possibile una tale connessione tra diverse categorie artigianali, come già proposto tra stele e coroplastica in merito allo stesso motivo iconografico del rombo485.

I nn. 8 e 9 appartengono invece ad un tipo più diffuso in occidente: si tratta di due pendenti discoidi che presentano disco e crescente sovrapposti, dei quali quest’ultimo con le punte rivolte verso il basso. L’iconografia cui si riferiscono è tra le più note e semplici rappresentazioni dei due astri presenti in ambito orientale e si è prestata nella gioielleria fenicio-punica a diverse elaborazioni486, tra la quali la nostra rientra nel tipo IXB della Pisano487 e si avvicina ai nn. 2(D) e 4(C) del catalogo della Quillard488, ma in particolare all’ultimo di uguali dimensioni. La tecnica di decorazione è la medesima: il campo dei due astri è contornato da minuscoli granuli d’oro e inizialmente doveva risaltare per la lavorazione a sbalzo.

483 Tore 1972a, pp. 191-192, sulla scorta di Bisi 1967, pp. 234-235; più di recente v. Moscati 1987, pp. 49-51 e

121.

484 Moscati 1987, p. 50. 485 Moscati 1987, p. 51.

486 Per la diffusione in occidente del tipo v. Botto 1995 e Botto 1996 con bibliografia; ancora utili le

classificazioni, che rispettiamo in questo lavoro, di Quillard 1979; Pisano 1974 e Pisano 1987a.

487 Pisano 1974, p. 31, cui appartengono nella collezione del museo cagliaritano i nn. 150-151 (p. 107, fig. 6, tav.

XIV), entrambi in oro, differenti dal nostro per le diverse proporzioni dei due elementi: le punte del falce lunare si allontanano dal disco, qui relativamente più piccolo, sebbene le dimensioni generali (8/10 mm. di larghezza) e la tecnica di lavorazione non si discostino dai nostri; Pisano 1987a, p. 89, per i due esemplari di sicura origine tharrense 4/24 e 6/29. Il primo in argento è analogo ai due cagliaritani, mentre il secondo in oro, dalle proporzioni analoghe ai nostri due pendenti, è privo della decorazione a granuli lungo il bordo esterno, presente solamente lungo la metà superiore del disco dove avviene la tangenza dei due simboli astrali. Per quest’ultimo v. anche: Moscati 1988b, p. 43, fig. 13, e.

488 Quillard 1979, p. 2, tav. III, n. 2(D), e pp. 6-7, tavv. VI-VII, n. 4(C), cfr. le pp. 87-91 per lo studio

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Due interessanti e stretti confronti si trovano in due pendenti provenienti uno dalla necropoli ad incinerazione di Bithia e datato all’ultimo quarto del VII secolo489 e l’altro da quella di Pani Loriga490. Gli esemplari, entrambi in argento491, sono prossimi ai nostri per forma e dimensioni, sebbene lo stato di conservazione non permetta di apprezzarne la tecnica e la disposizione dei grani. Tuttavia, prescindendo da questi confronti seppur di poco più antichi, il richiamo dimensionale e la medesima tecnica di produzione del n. 7, nonché il medesimo contesto di rinvenimento suggeriscono per i nostri pendenti una datazione e origine analoga. Il centro di Tharros non può che essere anche in questo caso il primo candidato nell’individuazione del luogo di produzione. Tuttavia non si può non rilevare l’appartenenza ad una tipologia che trova i più stretti confronti in siti della stessa regione e in un ambito cronologico che predata quello della stessa tomba 1 PGM BLV. Già per il bracciale in vetro della medesima tomba si è rilevato un link con la produzione etrusca attiva nella generazione precedente492 ed una circostanza simile a quella dei pendenti in esame la si noterà per gli orecchini ad arco ellittico493.

Tema ancora non sufficientemente chiarito è invece quello relativo al significato del simbolo astrale in essi rappresentato. Se la sua origine è da collocarsi nella Mesopotamia del III millennio494, nel mondo punico e neo-punico costituisce uno dei motivi più diffusi tra diverse categorie artigianali: sulle stele, come nella glittica, nei rasoi in bronzo e nelle monete, etc. Se sui rasoi, così come nella glittica, partecipa ad evidenziare la sacralità rituale delle scene di offerta o di adorazione495, la presenza sulle stele o come attributo di divinità sulle statuette di terracotta ibicenche non consente di considerarlo come simbolo esclusivo di una sola divinità496, tanto meno

489 Marras 1996a, p. 131, 181-182, n. 151, tav. XI, 6 (lungh. 14 mm) dalla tomba 20 ad incinerazione.

490 Tore 1975, p. 370, nota 18 (n.i. 55412, dalla tomba 23) in cui l’autore propone per il settore della necropoli ad

incinerazione scavato entro il 1973 una datazione alla prima metà del VI sec.: p. 371; Tore 2000, p. 338, nota 38, fig. 8, b.

491 Culican 1985, p. 124, tav. Vd, aggiunge un interessante analogo pendente in oro da Mozia (n.i. 1686), per il

quale non si possiedono tuttavia indicazioni cronologiche; anche in Marras 1996a, p. 131.

492 V. § 4.1.1.

493 V. § 4.1.4: questi scarni dati indiziano una continuità della facies degli athyrmata sulcitani che quindi non

conosce soluzione a discapito della conquista cartaginese avvenuta alla fine del VI sec.

494 Acquaro 1971, p. 113. 495 Ibidem, pp. 113-114.

496 Del Vais 1993, che costituisce uno studio statistico della presenza del simbolo sulle stele di Mozia, attraverso

il quale non è stato possibile neppure riconoscere un’evoluzione stilistica del motivo; San Nicolás Pedraz 1987, p. 60, in cui figura tra gli attributi di Baal Hammon come allusione alla sua natura celeste, ma non risulta suo simbolo esclusivo, essendo in altre occasioni associato alla dea Tanit.

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risulta chiaro se rappresenti il sole, la luna nei due aspetti di quarto e plenilunio o l’insieme dei due astri, o ancora la luna e venere497.

Tra i pendenti andrà necessariamente annoverato lo scarabeo n. 50 della tomba 6 PGM, almeno per quanto concerne la sua montatura498. La gemma in corniola è infatti provvista di una montatura “a staffa” in oro con anello ottenuto per torsione che ne permetteva la sospensione al collo. La tecnica di realizzazione è stata ben illustrata dalla Quillard che ne ha altresì riconosciuto una non lontana origine orientale499: un unico filo d’oro, lungo non più di 10/15 cm, e ispessito al centro per avvolgere probabilmente un’anima di bronzo, veniva ritorto in modo da formare l’anello e le due estremità erano infilate attraverso il foro dello scarabeo e successivamente intrecciate intorno all’altra parte del filo. In tal modo la gemma diveniva versatile e, impugnando l’anello con le dita, rendeva possibile l’impressione del sigillo.

Questa tipologia di montatura, realizzata in una tecnica comune ad altri tipi di gioielli punici come gli anelli crinali o orecchini del nostro stesso catalogo (nn. 35-36 e 75-76), è attestata su un numero notevole di scarabei correttamente editi. La Quillard lo classifica come tipo II(b)2500 e lo riscontra su solo due scarabei in corniola, conservati nel Museo del Bardo e datati al V secolo a.C. 501, e su almeno 17 scarabei sardi502. Ad un esame più attento delle singole fonti usate dalla autrice, possiamo notare l’esistenza di diverse sotto-varianti del tipo, individuabili sulla base dello spessore del filo in corrispondenza dell’anello di sospensione o della larghezza dell’anello stesso503. Al di là di queste sottili differenze, che potrebbero risentire della realizzazione ad opera di botteghe diverse, l’incrocio dell’analisi di questo tipo di montatura con la seriazione su base stilistica delle raffigurazioni alle basi delle gemme

497 Ibidem.

498 Per l’analisi dello scarabeo v. § 4.3.3.

499 Quillard 1987. Tecnica di assemblaggio denominata “ligature” p. 79, per l’analisi comparativa p. 114 e segg. 500 Ibidem, p. 114 e segg.

501 Ib., p. 21, nn. 67 e 68 provenienti rispettivamente da Utica (tomba non identificata) e dalla necropoli di

Bordj-Djedid (tomba 307).

502 Ib., p. 121, nota 572. L’autrice non distingue tra i tipi II(b)1, 2 e 3, ma afferma una maggiore rappresentatività

del tipo II(b)2 nei confronti degli altri, rispettivamente caratterizzati da un anello prodotto da una strozzatura del filo e da una giustapposizione di un anello saldato al filo. Le gemme sono state studiate dai relativi autori prevalentemente su base antiquaria e datate a non prima del VI secolo (v. anche ibidem, Tableau Recapitulatif V), datazione che la Quillard abbassa almeno alla fine di tale secolo. Tra i materiali editi successivamente si cita Acquaro 1987b, n. 45, p. 235, scarabeo in corniola attribuito alla prima metà del VI secolo.

503 V. ad es. Acquaro 1976, p. 168, tav. XXIV, 1, che presenta un anello molto più grande rispetto ad altri dello

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consentirebbe di circoscrivere la datazione per quegli scarabei montati in questo modo, che al momento risulta piuttosto ampia e coprire tutto l’arco di tempo dell’attività delle botteghe tharrensi. L’attenzione a questo aspetto dell’analisi servirebbe a comprendere e verificare l’ipotesi che l’incisione e la montatura non avvenissero nello stesso luogo o centro504.

Va comunque aggiunto alla serie sarda un altro filo, montato in questo caso su un vago cilindrico di corniola e conservato al Museo Sanna505. I suoi editori ne hanno messo in evidenza la analogia con il sigillo di tipo cilindrico, per lo più sconosciuto nel mediterraneo occidentale, fatto che legato alla sua presenza sul più diffuso sigillo occidentale non fa che suggerire nuovamente l’origine della tipologia da Oriente.

A questo riguardo506, nella ripartizione geografica identificata dalla Quillard in Oriente, il tipo di montatura in esame è rappresentato da due soli esemplari ciprioti507, i quali invece presentano come castone due amuleti: una testa di pecora e un udjat entrambi in oro. Il primo è stato datato al VI secolo da Marshall508, datazione poi confermata dal Boardman509, il secondo invece all’inizio del V dal Karageorghis510. I due hanno relazione cronologica molto stretta tra loro, con gli esemplari cartaginesi e con il nostro, potrebbero essere quindi gli immediati predecessori della più larga diffusione in occidente della tipologia511, oppure il segno di contatti tra Sardegna e Cipro e forse di una mediazione cartaginese tra le due isole.

Per quanto concerne la datazione in ambito occidentale, la mancanza già notata di precise indicazioni del contesto di provenienza per molti anni ha indotto gli studiosi a fornire datazioni molto dilatate agli scarabei, onde per cui anche per questo tipo di montatura ne consegue una datazione tra prima metà del VI512 e corso del IV secolo, che la Quillard dal canto suo restringe al solo V secolo, datazione verosimile almeno

504 Come già proposto per gli scarabei cartaginesi: Quillard 1987, p. 129.

505 Iocalia punica 1987, D 24, tav. XXXII e datato dalla Pisano al VI secolo: Pisano 1988a, p 391, figura in alto a

sinistra.

506 V. anche Boardman 2003, p. 8 (type B), in cui traspare un certo dubbio sulla maggiore rappresentatività

occidentale di questa tipologia, forse risultato di uno stato parziale della ricerca.

507 Quillard 1987, p. 122.

508 Marshall 1911, n. 1599, fig. 46, tav. XXVI, cit. in ibidem. 509 Boardman 1968, pp. 154-155, n. 589, tav. XXXVII. 510 Salamis II 1970, tav. A, 1 e CLIII, 13.

511 Quillard 1987, p. 124. 512 Cfr. nota precedente 502.

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per i soli due esemplari del Museo del Bardo, di cui solo uno proveniente da contesto noto513.

Il nostro esemplare, da contesto di V secolo sembrerebbe appartenere agli esemplari più antichi, ed a tale datazione portano i confronti iconografici della gemma che saranno trattati nel relativo capitolo. Lo stesso vale per quanto riguarda la montatura che, lungi dal cimentarci in seriazioni tipologiche che meriterebbero uno studio approfondito, trova puntuali confronti nella ben nota gemma tharrense raffigurante alla base una barca di papiro con edicola al di sotto della quale è un personaggio regale su trono affiancato da leoni514, in uno scarabeo in alabastro con raffigurazione di rana da Tharros conservato nel Museo Sanna di Sassari515 ed in un esemplare ibicenco, conservato al Museo Arqueologico Nacional di Madrid e appartenente alla collezione Vives y Escudero, e perciò supposto provenire dalla necropoli di Puig del Molins516. La datazione di quest’ultimo ad età ellenistica è proposta acriticamente per la prossimità con il numero successivo della sequenza catalogica517, ma non può trovare conferma data la mancata conservazione della gemma e dell’indicazione del luogo di rinvenimento. Ancora a fine VI – inizi V secolo rimanda uno scarabeo in corniola con montatura identica alla nostra rinvenuto nella stessa necropoli ibicenca518.

Alla serie si possono aggiungere il n. 67 del catalogo di B. Quillard sempre in corniola e con datazione al V secolo519 e uno scarabeo in diaspro conservato al Museo Civico di Como datato anch’esso allo stesso secolo520. Insignificanti differenze nei confronti del nostro sono i giri di spirale del filo d’oro della montatura: nel primo raggiunge l’anello e ci si avvolge per 3/4 volte, mentre nel secondo non raggiunge

513 Cfr. nota precedente 501. Lo scarabeo era datato dal Vercoutter al V sec.: Vercoutter 1945, p. 238, n. 654,

tav. XVIII.

514 Acquaro 1994, pp. 2-3, 6, n. 1, in cui propone una datazione a fine VI – inizi V secolo e avanza dubbi

sull’importazione dalla Fenicia (p. 3).

515 Acquaro 1987b, n. 53, p. 236, tav. XIV, l’autore indica il VI secolo come datazione per il legame con la

glittica arcaica e nota la mancanza di confronti che, insieme al materiale impiegato, potrebbe indicare una produzione greca, così come supposto dal Boardman per il motivo del nostro scarabeo.

516 Almagro Gorbea 1986, p. 210, n. 267, tav. LXXII, n. 267. 517 Ibidem, p. 210, nn. 267-268.

518 Fernandez, Padró 1982, n. 46, pp. 136-137, fig. a p. 169. 519 Quillard 1987, p. 21, n. 67, tav. VIIb.

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neanche l’anello, indicando che la misura di partenza del filo fosse maggiore nel primo caso e non nel secondo.

Per quanto concerne il luogo di produzione, se di uno solo si dovesse parlare, per questa tipologia, la localizzazione dei rinvenimenti non permette di esprimersi con sicurezza. Minimi dettagli, anche chimici o semplicemente metrici, potrebbero fornire differenze per ora non riscontrabili nei soggetti appartenenti a questa tipologia che, come già riscontrato da B. Quillard, è diffusa tra Cartagine, Sardegna e Spagna (Ibiza e Villaricos)521, ma con maggior quantità di attestazioni nella seconda. Il luogo dove veniva realizzata la montatura poteva inoltre e giustamente non coincidere con quello dello scarabeo, per cui anche in questo caso un dato si sottrae all’analisi. Appare piuttosto evidente invece che, almeno nel caso di scarabei con montatura, questi dovessero seguire gli stessi percorsi dell’oreficeria, condividere gli intermediari, o per lo meno confluire nelle mani di questi nel luogo dello smistamento. La montatura tuttavia, costituita da un semplice filo, poteva essere avvolto attorno allo scarabeo al momento della vendita522 e non richiedeva probabilmente l’intervento di un artigiano particolarmente esperto. Data la mancanza di omogeneità stilistica o iconografica dei soggetti delle gemme montate in questo tipo, ma di un livello qualitativo elevato, l’ipotesi è che si potesse trattare di commercianti di gioielli e di scarabei realizzati anche molto lontano (Levante o anche Grecia, ma nel nostro caso acquistati a Tharros). Questi al momento della vendita al dettaglio avrebbero provveduto a montare le gemme con montature, acquistate o realizzate in un primo momento, aggiungendovi in collane, a seconda dei casi, anche altri vaghi o amuleti.

4.1.4. ORECCHINI

Possiamo comprendere entro questa categoria tre pezzi provenienti da tre diverse tombe: i numeri 2, 34 e 52. Provenienti rispettivamente dalle tombe 1 PGM BLV, 6 PGM e 9 AR.

521 Quillard 1987, p. 121-122.

522 Secondo un opinione condivisa da diversi autori ad eccezione della Quillard in merito agli scarabei

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I numeri 2 e 52 appartengono ad un tipo noto con diversi nomi523 tra i quali preferiamo quello di “orecchino ad arco ingrossato” aperto su di un lato, largamente diffuso in ambito fenicio-punico per la semplicità della sua forma. Essa costituisce infatti la base per gli orecchini compositi rinvenuti in maggior parte a Tharros e dotati di decorazione o anello di sospensione saldati alla base dell’arco ingrossato524.

Lo scarso dettaglio dedicato all’esame della documentazione disponibile ha portato le studiose, che hanno dato un contributo all’analisi di questa tipologia, a limitarsi ad attestarne l’ampia diffusione sia nel mediterraneo orientale525 che in quello occidentale, includendo in essa sia esemplari in oro, argento e bronzo che tra loro dimensionalmente e formalmente difformi526. Per limitare il discorso al Sulcis-Iglesiente, questa tipologia è attestata da esemplari in argento a San Giorgio di Portoscuso datati al primo periodo arcaico527, in argento dalla necropoli fenicia di Bithia528 e in oro da quella di Monte Sirai529, nonché da uno in bronzo di età tarda del tempio di Antas530. A Sant’Antioco la tipologia è presente da diversi esemplari tra i quali in particolare spiccano due orecchini rinvenuti recentemente nel tophet in contesto di fine VII – fine VI secolo531 e due in oro appartenenti alla collezione Biggio532. Gli esemplari del Sulcis in oro (tab. 4) tuttavia offrono la possibilità di cogliere certe caratteristiche che non si riscontrano nel resto della documentazione mediterranea.

523 Quillard 1987, p. 142, con bibliografia.

524 V. Pisano 1974, nn. 1-44, 210-280; Pisano 1987a, pp. 78-81, (orecchini dei tipi I-IV).

525 L’uso di questo tipo di orecchino è attestato ad Ur dal III millennio: ibidem, p. 144. La sua diffusione

vicino-orientale è stata oggetto di uno studio dettagliato (Les boucles d’oreilles en forme d’Aiskos) da parte di B. Van den Driessche in una tesi di dottorato inedita ma riassunta in Revue des Archèologues et Historiens d’Art de Louvain vol. III (1970), pp. 217-218, cit. in Quillard 1987, p. 142, nota 710.

526 V. ad es. Quillard 1987, p. 143; Pisano 1990, p. 61; Montis 2005.

527 Cinque orecchini in argento provengono dalla tomba 4 ad incinerazione di VIII secolo: Bernardini 1997a, pp.

55-57, n. 48 del catalogo generale, p. 237.

528 Marras 1996a, pp. 130, 181-182, n. 151 (BTH 591), tav. XI, 6. Si tratta di 6 esemplari, appartenenti al corredo

della tomba 20 databile entro l’ultimo quarto del VII secolo, incompleti in argento, per i quali l’autrice rifiuta la possibile appartenenza al tipo “a canestrello”, per la mancanza di tracce del caratteristico pendente (p. 130).

529 Campanella 2000, p. 124, n. 95 (MSN 139), tav. XLIII, c (tomba a incinerazione 32 del primo quarto del VI

sec.); Bartoloni 2000a, MSN 323, p. 22, tav. II, b (tomba 88 degli scavi condotti nel 1997 e datata al secondo quarto del VI sec.

530 Antas 1997, pp. 105-113, n. 207 del catalogo generale, p. 272, in bronzo datato a IV-III secolo.

531 Montis 2005, n. 8, tav. III, in oro (dall’urna SATH/U50), n. 24, tav. V, in argento (dall’urna SATH/U190),

entrambi di dimensioni miniaturistiche.

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PROVENIENZA TOMBA LUNGH. LARGH. SPESSORE PESO DATAZIONE BIBLIOGRAFIA

SULCIS ? 41 mm 16 mm 3 mm 4,8 g ? Uberti 1977b, n. 2 SULCIS ? 27 mm 11 mm 1 mm 1,7 g ? Uberti 1977b, n. 3 SULCIS 1 PGM BLV 87 mm 24 mm 1-2,5 mm inizio V ns. cat. n. 2 SULCIS 9 AR 75 mm 23 mm 1-4 mm 4,9 g inizio V ns. cat. n. 52 SULCIS SATH/U50 12 mm fine VII - fine VI Montis 2005, n. 8 M. SIRAI 32 res. 15 mm 15 mm 2 mm primo quarto VI Campanella 2000, MSN 139 M. SIRAI 88 secondo quarto VI Bartoloni 2000a, MSN 323

Tabella 4. Orecchini ellittici ad arco ingrossato in oro dal Sulcis.

La forma dell’ellisse è particolarmente lunga533 ed il loro rinvenimento, quando noto, è singolo all’interno della tomba e limitato ad un periodo compreso tra VI – prima metà del V secolo. La maggior parte inoltre sembra essere realizzata tramite laminazione e trafilatura, tecniche che permettevano di ottenere un filo di metallo pieno, ma probabilmente senza anima di bronzo534. Nel caso del n. 52 inoltre sembra riconoscibile una linea di sutura al centro dell’arco inferiore, ad indicare quindi che qui venivano saldati due fili. Che l’interno del filo nella parte ingrossata non fosse cavo è suggerito, oltre che dalle stesse dimensioni, dal peso degli oggetti così misurati535. Indizi di una differente tecnica di esecuzione si hanno nel piccolo orecchino del tophet, che presenta un’ingrossatura più pronunciata forse cava all’interno, e nel n. 2 del nostro catalogo, per lo stato di conservazione si induce a credere composto da oro e altro metallo, forse placcato, o così degradato per via di una non conseguita compattezza della lamina arrotolata.

Per l’individuazione del luogo di produzione il riconoscimento delle tecniche non offre particolari suggerimenti, essendo sia l’espediente della lamina cava, sia il

533 Quillard 1987, p. 143, nota 712.

534 Campanella 2000, p. 124, ritiene l’orecchino MSN 95 ottenuto a getto, ovvero tramite fusione entro matrice, e

menziona due confronti cartaginesi ottenuti con due tecniche diverse (moulage e façonnage): Quillard 1987, n. 101-102, pp. 99-100, tav. X, per le tecniche v. pp. 75-76. Notare la confusione in Uberti 1977b, p. 52, per la quale i due orecchini sulcitani sarebbero ottenuti con entrambe le tecniche: “dalla sutura di due laminette cave, ingrossate verso il basso, verosimilmente lavorate per fusione a stampo”.

535 V. in particolare il n. 2 della collezione Biggio, che per dimensioni di molto inferiori ha peso solo di poco

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filo pieno usati per l’arco ingrossato tanto negli orecchini compositi di Tharros536 che in quelli semplici e compositi di Cartagine537.

Tuttavia appare evidente come il tipo ben attestato nel VI secolo, e caratterizzante la facies degli athyrmata del Sulcis, indizi la continuità della stessa ancora nei primi decenni del V.

L’altro orecchino (n. 34) rinvenuto nella tomba 6 PGM invece, per la tipologia notevolmente semplificata, risulta maggiormente diffuso. La tecnica di realizzazione è la medesima dei due precedenti ma differisce, oltre che per le dimensioni estremamente ridotte, per l’apertura tra le estremità collocata questa volta in alto, fatto questo che ne ha fatto supporre una differente utilizzazione: come nezem. L’uso di anelli nasali è menzionato in alcuni passi Biblici538 e in ambito più strettamente punico, tra VI e V secolo, è attestato dalla loro presenza su maschere maschili539, ghignanti540 e protomi femminili541, ma continua ancora tra IV e III secolo come testimoniato dalle piccole maschere in pasta vitrea542. In realtà riteniamo che una siffatta apertura dovesse renderne possibile lo scivolamento dal foro nella pelle tanto al naso quanto al lobo dell’orecchio, tale quindi da non precludere questo o quell’uso. In Sardegna, a differenza del resto del mondo punico, sono noti in questa sola forma e dimensione, gli unici esemplari documentati provengono da Tharros e sono conservati al Museo “G. A. Sanna” di Sassari543, che sebbene di poco più grandi presentano lo stesso spessore. Singolare quindi risulta la scarsa ricezione sarda nei confronti di questa tipologia che Cartagine rappresenta con 11 esemplari di dimensioni variabili544 e la Spagna, per fare un esempio, con dodici provenienti da un tesoretto nel sito di

536 Pisano 1974, nn. 1-2, 4-5, 13 (tipi I a-b, IV a, con sanguisuga composta da due lamine saldate lungo i bordi),

nn. 6-10, 14-43 (tipi I c-e, II a, IV b-c, filo assottigliatesi alle estremità); Pisano 1987a, pp. 78 e segg.: solo i tipi Ia-b, presenti con solo 3 orecchini, hanno sanguisuga cava, mentre i restanti tipi hanno filo pieno.

537 Quillard 1987, nn. 72-84, 85-93, 95- 98, (orecchini di vari tipi con spessore dell’arco non elevato, ma per i

quali l’autrice non esprime giudizio sulla tecnica), 94, 101-102, (orecchino composito con pendente a ghianda e due semplici, i quali ultimi sarebbero eseguiti rispettivamente per fusione in stampo e sagomatura per martellatura: v. nota precedente 534).

538 Antico Testamento: Genesi 24,47, Isaia 3,21, Ezechiele 16,12. I portatori sono tanto uomini quanto donne. 539 Quillard 1987, p. 144, tav. XXXIV, fig. 1. Datata al VI secolo.

540 Moscati 1990, p. 124, fig. in basso a destra. Maschera ghignante da San Sperate (CA) datata tra VI e V

secolo.

541 Quillard 1987, p. 157, tav. XXXIV, fig. 2.

542 Seefried 1976, cit. in Quillard 1987, nota 157. Per ulteriori monumenti v. pp. 157-158.

543 Iocalia Punica 1987, p. 111, nn. D39-41, tav. XXIX. I tre anellini hanno diametro compreso tra i 12 e 13 mm,

e spessore di 2 mm.

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Tutugi-Galera nella provincia di Granada545. Altri siti contribuiscono, sebbene in misura minore alla rappresentatività di questa tipologia che deve sottostare a dei limiti editoriali notevoli. Nel presente discorso abbiamo tenuto infatti conto dei soli esemplari aurei, che ci rendono possibile restringere il campo di indagine, ma bisogna tener presente l’esistenza di innumerevoli esemplari in argento o materiali meno nobili che, per questo motivo, sovente non sono considerati nelle edizioni e parimenti posso sfuggire all’occhio dello scopritore o ancora superare le ingiurie dei secoli. Consci di questa situazione, sulla base del relativo campione statistico a disposizione si può avanzare un’ipotesi con beneficio di dubbio: la Sardegna punica dovette essere scarsamente interessata da questa usanza, che sembra riscuotere maggiore successo a Cartagine, forse centro propulsivo di questa moda o maggiormente rappresentativa perché più popolata; nel primo caso il tesoretto di Tutugi potrebbe essere stato raccolto e sepolto da un nucleo di genti provenienti direttamente da Cartagine. In secondo luogo si può supporre che la scarsa diffusione di questa tipologia tra gli oggetti in oro sia un segno di una relativa diffusione tra le classi sociali più elevate.

4.1.5. ANELLI CRINALI

Tra gli anelli crinali o fermatrecce, comprendiamo in questa sede i numeri 35 e 36, dalla tomba 6 PGM, e 75 e 76 dalla tomba 11 AR, sebbene con qualche riserva. I nostri quattro esemplari, sebbene in dimensioni leggermente diverse, sono realizzati con la medesima tecnica: un filo d’oro ottenuto tramite laminazione e trafilatura presenta le estremità assottigliate, sovrapposte per circa un quarto di giro e avvolte a spirale attorno al corpo per formare un anellino di circa 13, nella prima coppia, e 15 mm nella seconda. Ulteriore differenza è l’anima di bronzo nella seconda coppia resa evidente dall’apertura del rivestimento aureo.

Gli anelli in questione rientrano tra gli orecchini del tipo V della Pisano546, ampiamente diffuso in tutto il mediterraneo punico occidentale547, e fanno la loro

545 Almagro Gorbea 1987, pp. 83-85, nn. 51-62, tav. XIV. In particolare il n. 58 che misura 11 mm di diametro è

pressoché identico al nostro. I dodici anelli, chiamati qui “pendientes” sono datati al V-IV sec. dagli altri oggetti del tesoretto.

546 Pisano 1974, pp. 49-50. In particolare i nostri appartengono ai sottotipi Va e Vb, distinti in base alla forma

della sezione del corpo ingrossato: circolare nel primo caso e a D nel secondo. I limiti di questa distinzione sono espressi in Quillard 1987, nota 744, che invece li comprende nel type D1 – Anneaux à ligatures à simple révolution, pp. 146-148.

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comparsa nelle tombe cartaginesi alla fine del VI o all’inizio del V secolo e rimangono in uso sino alla distruzione della città. Per questo lungo periodo di quasi quattro secoli, secondo P. Gauckler548, venendo a sostituire il tipo fenicio dell’orecchino con croce ansata549, evolvono in maniera molto limitata: aumentano leggermente le dimensioni, il corpo ingrossato tende ad assottigliarsi e all’uso esclusivo o quasi dell’oro si sostituisce il rivestimento o la placcatura di un anima di argento o bronzo.

I nostri esemplari sono tutti di dimensioni relativamente ridotte, ma in quest’ottica un elemento di orientamento cronologico può essere l’anima di bronzo, sicuramente presente nella coppia della tomba 11 AR550, e dal corpo meno ingrossato della medesima. Indizi questi che suggeriscono la seriorità di questa coppia in confronto a quella della tomba 6 PGM, senza che si possa desumere una datazione più precisa551.

Quanto alla funzione di questi oggetti occorre qui esprimere chiaramente le riserve accennate più sopra. Abbiamo qui definito i presenti esemplari come fermatrecce per via dell’evidente difficoltà di una loro montatura all’orecchio552, che tuttavia non dovette risultare impossibile. B. Quillard sostiene che anelli à ligatures simili ai nostri potessero essere montati nel foro del lobo, in virtù del fatto che sugli oggetti da lei studiati solo un’estremità avvolta risultava saldata, e descrive come potessero essere inseriti e poi infine chiusi con l’avvolgimento della restante estremità553. Anellini del nostro tipo potevano rendere necessaria una procedura analoga con la differenza che nel nostro caso le estremità del bastoncello dovevano essere avvolte entrambe dopo l’inserzione, oppure in alternativa una poteva essere avvolta precedentemente. Sarebbe stato poi sfilato il bastoncello dal suo interno ancora

547 V. bibliografia in ibidem, pp. 147-148, e in Moscati 1988b, p. 48.

548 Gauckler P., (1915). Necropoles puniques de Carthage, vol II. Parigi, p. 533, cit. in Quillard 1987, p. 153. 549 Analogo nel corpo ai nostri numeri 2 e 52, ma completato da una croce ansata sprovvista del braccio

superiore e saldata all’estremità inferiore.

550 Il perfetto stato di conservazione della coppia della tomba 6 PGM non permette di riconoscervi il bronzo

all’interno. Qualche informazione in più potrebbe venire dalla pesatura, che non è stato possibile operare.

551 Della stessa opinione è lo scavatore delle due tombe: Bernardini c.p. La tomba 6 PGM dovette essere in uso

nel secondo quarto del V secolo, mentre la 11 AR, dalla quale provengono i nn. 75 e 76 da due distinte deposizioni, le più antiche della tomba, era in uso tra fine del V e inizi del IV secolo.

552 Seguiamo la definizione data a questo tipo di orecchini dal loro scopritore, ad esempio: Bernardini 1991, p.

193, nota 27; v. anche Iocalia Punica 1987, p. 95, cui si deve la messa in dubbio della funzione come orecchini. In realtà alcuni esemplari ivi pubblicati si adattano molto bene a questa funzione essendo le estremità del bastoncello avvolte per non più di un giro di spirale, tav. XXXIV, nn. D 49-51.

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rigido per essere reinserito di seguito al foro del lobo: restava in questo caso solo la seconda estremità da avvolgere direttamente à demeure, di cui un segno potrebbe essere la meno accurata chiusura di una delle spirali del n. 36554. Un tale procedimento poteva risultare macchinoso e poco pratico, ma assicurava la tenuta dell’orecchino che diventava in questo modo un elemento permanente (o quasi) di ornamento, è poteva essere inteso con un significato simbolico quale quello dato ad esempio ai tatuaggi. Ad una ricostruzione siffatta non osta la documentazione iconografica e letteraria, per quanto sappiamo silenziosa riguardo all’uso di anelli crinali, e la circostanza che, almeno nella tomba 6 PGM, siffatti anelli vengano ritrovati frequentemente in coppia. Dobbiamo aggiungere inoltre che per nostra stessa osservazione il filo d’oro che costituisce questi anelli, nel punto di massimo assottigliamento, non doveva essere tanto rigido555, ed infine che su tutti gli esemplari noti di questa tipologia lo spazio lasciato tra i due avvolgimenti a spirale è sempre di qualche mm tale che vi potesse alloggiare il lobo dell’orecchio o qualche altra membrana del corpo forata.

4.1.6. ANELLI DIGITALI

Tra gli anelli digitali rientrano con certezza due esemplari: il frammento n. 3 della tomba 1 PGM BLV ed il n. 77 della tomba 11 AR. Si tratta di due anelli in argento molto simili, per lo meno per quanto riguarda il castone: il n. 3 è infatti privo del suo corpo. Quanto lascia osservare il n. 77 è che si tratti della tipologia di un anello di grandi dimensioni, con corpo a sezione circolare ingrossato e assottigliantesi alle estremità, saldate queste ultime ad un castone di forma rettangolare con gli angoli arrotondati imitante la forma del cartiglio egizio. Le dimensioni dei due castoni sono di poco dissimili: appena tre mm di differenza, il che lascia intendere che pure i corpi dei due anelli dovessero esserlo. Il frammento della tomba 1 PGM BLV che si avvicina maggiormente a questa descrizione è il n. 4, un grosso anello dal corpo a sezione circolare e con un’estremità ingrossata. Questo frammento tuttavia poteva benissimo essere la montatura ad anello di uno scarabeo: in questo caso il n. 16.

Tornando all’anello con castone, la tipologia cui appartengono i nostri due anelli corrisponde al tipo Id degli anelli della Pisano: “gold or silver rings with a 554 Cfr. nota precedente 552.

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rectangular bezel with rounded corners; the hoop to which the bezel is soldered is elliptical or round, and is made from e rod that is usually elliptical in section”556. A questa tipologia appartengono 40 esemplari di origine tharrense conservati a Cagliari557 e otto conservati a Londra558. Il tipo è meno diffuso nel Nord Africa e in Spagna559, tra le quali il centro più rappresentativo è Cartagine con 24 esemplari560. Sia la Pisano che la Quillard convengono su una datazione ad epoca fenicia, in particolare quest’ultima afferma che l’anello non doveva essere più in uso dall’inizio del V secolo561. Se una tale datazione è già di per se contraddetta dalla datazione dei contesti dei nostri due esemplari562, alcuni elementi non considerati inducono cautela e possibilità di abbassamento della cronologia: in principio l’affermazione del Cintas, menzionata e ricusata dalla Quillard563, del rinvenimento di anelli di questo tipo in ferro presso le tombe più recenti del settore dell’Odeon e del Teatro di Cartagine564 e in secondo luogo l’evidenza che, ad una più attenta osservazione, i nostri esemplari presentano una differenza rispetto ai trends più comuni della forma del castone. La gran parte degli oggetti editi infatti presenta un castone che “de profil, c’est un épais massif trapézoïdal de métal plein offrant une large échancrure destinée à épouser l’arrondi du doigt.”565, e questo vale pure per la maggior parte degli anelli tharrensi correttamente illustrati566, mentre i nostri nn. 3 e 77 presentano un castone costituito da una semplice placchetta sotto la quale sono saldate le estremità del corpo dell’anello, caratteristica che la stessa Quillard attribuisce ad un tipo più tardo di anelli in uso tra IV e III secolo567.

556 Pisano 1987a, p. 83, tav. 39k.

557 Pisano 1974, p. 25, n. 110 in oro, fig. 3, tav. VIII, nn. 288-326 in argento, figg. 10-12, tav. XXI. 558 Tharros BM 1987, nn. 3/15, 10/16, 11/12, 19/16 (tav. XXXIX, k), 20/14, 28/11, 32/16-17. 559 Quillard 1987, p. 174-175.

560 Ibidem, pp. 42-44 e 171, nn. 268-271 in oro, tav. XVI, v. nota 910 per quelli in argento non analizzati. 561 Ib., p. 175.

562 La tomba 11 AR da cui proviene il n. 77 era in uso a cavallo tra V e IV secolo, in particolare la deposizione n.

6 che lo conteneva è la più recente.

563 Quillard 1987, nota 910. 564 Cintas 1976, p. 387.

565 Quillard 1987, p. 171, tav. XXXIX, fig, 1.

566 Si fa eccezione per i nn. 293 e 298: cfr. Pisano 1974, figg. 10-12. I nn. 300-323 e 325-326, a causa del cattivo

stato di conservazione non sono provvisti di illustrazione e la descrizione nel catalogo non ci è di aiuto per questo particolare.

567 Quillard 1987, p. 172. Si tratta del tipo B3 (a) cui si avvicina il n. 312, appartenente al invece al tipo B1 (c)

(p. 171), con castone quadrato ad angoli arrotondati e raffigurazione di Horus infante, non estraneo al repertorio della glittica.

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Di nessun aiuto sono purtroppo le superfici dei castoni, troppo ossidate e corrose per conservare tracce della originaria raffigurazione, sebbene nel n. 3 si riconosca una semplice linea di contorno che in un lato potrebbe formare un neb molto alto. Raffigurazioni incise su questi anelli sono la dimostrazione che potevano risultare alternativi rispetto agli scarabei, con i quali condividevano il repertorio iconografico, e le grandi dimensioni che talvolta raggiungono indicano che, al pari degli scarabei, non sempre erano portati al dito.

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4.2. AMULETI

Il secondo gruppo di oggetti di adorno personale frequentemente rinvenuti nei corredi delle tombe fenicio-puniche è costituito dagli amuleti. Questi oggetti in ambito punico riflettono per la maggior parte tipologie e iconografie già note in Egitto, con un margine relativamente scarso di rielaborazione a seconda del tipo.

I 29 amuleti rinvenuti in cinque delle sei tombe scavate rientrano nei tipi dell’ureo, dell’occhio udjat e dello Ptah-pateco, e con una sola attestazione del leone accovacciato, note da simili reperti egiziani. Un solo amuleto (n. 15), in osso, a forma di mano presenta un iconografia, che sebbene all’origine egiziana, è probabilmente oggetto di rielaborazione in ambito fenicio-punico.

4.2.1. AMULETO A FORMA DI MANO

Il n. 15 del catalogo è l’unico amuleto proveniente dalla tomba 1 PGM BLV. In osso, esso è mutilo della parte superiore e di quella inferiore, ma ciononostante le dimensioni e le incisioni sul dorso permettono di riconoscerne il tipo. Trattasi di una raffigurazione della mano in forma allungata, ma all’interno di tale tipologia si distingue per l’appartenenza ad una variante ben riconoscibile. Rappresenta infatti una mano destra definita nel solo dorso, in quanto il palmo è lasciato piatto e liscio, dalle dita particolarmente lunghe e affusolate separate da profonde incisioni, il pollice è reso quasi a tutto tondo e leggermente estroflesso. Negli esemplari integri di questa variante il polso è impreziosito da un bracciale realizzato tramite due coppie di incisioni parallele. I confronti per il nostro amuleto sono ben dodici: quattro provengono dalla Sardegna568, di cui due da Tharros, tre rinvenuti in Sicilia a Palermo e nella medesima sepoltura569, altri quattro vengono inoltre da Utica570 e uno da Ibiza571. Le dimensioni oscillano tra i 20 e i 25 mm di larghezza, tra i 5 e i 6 mm di spessore e tra i 70 e i 95 mm di lunghezza. Per lo stato frammentario del nostro esemplare possiamo asserire che solo le prime due misure sono rispettate e tra valori di limite alto (largh. 24 mm, spessore 6 mm).

568 Mendleson 1987b, p. 111, n. 23/23, tav. LXVIII, i; Acquaro 1977b, p. 44, nn. 64-66, tav. III. 569 Palermo Punica 1998, p. 154-155, p. 193, nn. 185-187.

570 Cintas 1970, tav. IV, fig. 13, rinvenuti in due diverse tombe (13 e 18). 571 Vives Y Escudero 1917, fig. 72.

Figura

Tabella 1. Vaghi in vetro.
Tabella 2. Vaghi in altro materiale.
Tabella 3. Vaghi in lamina d’oro.
Tabella 4. Orecchini ellittici ad arco ingrossato in oro dal Sulcis.
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