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C

APITOLO

TERZO

La natura giuridica dei nomi a

dominio

SOMMARIO: 1. Il Domain Name System: uno sguardo tecnico. — 2. La commercializzazione della rete e le esigenze di qualificazione. — 3. La natura di segno distintivo. — 3.1. Argomentazioni di carattere formale e sostanziale. — 3.2. Capacità distintiva e carattere imprenditoriale. — 3.3. Il conseguimento di notorietà. — 3.4. L’equiparabilità all’insegna. — 3.5. L’esclusione della natura distintiva. — 3.6. Un’efficacia distintiva latente.

1. - il Domain Name System: uno sguardo tecnico.

Qualunque sia il dispositivo utilizzato e qualunque sia il servizio internet a cui l’utente intende rivolgersi — world wide web, posta elettronica, file sharing, cloud computing etc. — l’accesso alla rete è possibile attraverso un protocollo di comunicazione che sfrutta codici numerici univoci. Quest’ultimi, detti anche “IP number”, sono tali da rendere possibile l’identificazione di qualunque terminale di accesso a cui sono assegnati da parte della generalità degli altri

host, che rappresentano i numerosi nodi in cui si sviluppa la rete . A 1

Come si è già accennato nel primo capitolo, si definisce host qualsiasi terminale

1

collegato alla rete. Ciascuno di essi costituisce uno degli infiniti nodi in sui si sviluppa la “ragnatela telematica”. Si rinvia a quanto detto in proposito al paragrafo 1 del primo capitolo.

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questi codici numerici il Domain Name System associa una 2 sequenza alfanumerica leggibile e di più facile memorizzazione, conosciuta come «domain name» o «nome a dominio». 


La nascita del protocollo DNS, che si affianca a quello degli indirizzi

IP, risponde alla necessità di rendere più agevole la navigazione in

rete da parte degli utenti: il nome a dominio, quindi, non è che una delle tante soluzioni escogitate nel tempo al fine di facilitare il dialogo utente-macchina. In questo senso, appare emblematica l’espressione utilizzata dai tecnici del M.I.T. di Boston per individuare la funzione caratteristica dell’allora neonato nome a dominio: lo scopo era quello di rendere internet uno strumento “computer

friendly” , i cui meccanismi di esplorazione fossero facilitati dalla 3 presenza di indirizzi facilmente memorizzabili dagli utenti. Così, l’avvento del DNS, consentendo a chiunque di sfruttare come indirizzo web una sigla, un cognome, un marchio, un titolo o una qualunque altra espressione linguistica di senso, si muoveva in questa precisa direzione. Ad oggi l’utente medio ha ormai ampiamente a familiarizzato con l’aspetto del nome a dominio, ben più incisivo rispetto all’anonima quaterna di numeri separati da un punto che costituisce il singolo indirizzo IP, codice a cui il nome a dominio viene associato dal sistema.

Quest’ultima funzione, prettamente informatica, spiega bene una delle espressioni con cui si è soliti riferirsi volgarmente al nome a dominio: esso costituirebbe la traduzione alfanumerica dell’indirizzo IP . A ben vedere, oltre a non essere del tutto esatta 4 dal punto di vista info-telematico, siffatta definizione può risultare

Nel prosieguo, si adotta l’abbreviazione “DNS”, in uso anche nel gergo tecnico.

2

L’espressione, piuttosto risalente, appartiene al linguaggio dei tecnici del

3

Massachusetts Institute of Technology come evidenziato da MENESINI, La libertà di

concorrenza nel web mercato, in Palazzo-Ruffolo (a cura di), La tutela del navigatore in internet, 2002, Milano, 269.

Così ad esempio CASSANO, Diritto dell’internet. Il sistema di tutele della persona,

4

(3)

fuorviante anche al giurista che si interroghi sulla natura giuridica e la funzione informatica attribuibile ai comuni indirizzo web, ormai diventati di utilizzo quotidiano. Tecnicamente, il protocollo DNS non opera infatti alcuna conversione, bensì una semplice associazione fra due elementi che rimangono ben distinti e conservano una propria identità: da un lato, l’indirizzo telematico che segue il ben noto prefisso “www” — la cui digitazione risulta ormai superflua nei moderni browser di navigazione — dall’altro, la quaterna puntata rappresentata dall’IP number . In questo modo, il sistema non 5 elimina affatto quest’ultima stringa numerica, ma semplicemente la nasconde agli occhi degli utenti navigatori, ai quali si manifesta soltanto il classico indirizzo web che tutti hanno appunto imparato a conoscere sotto forma di domain name.

Tipica del nome a dominio è la sua struttura a più livelli, detta anche ad albero: procedendo da sinistra verso destra, ciascun livello rappresenta un riferimento sempre più dettagliato alle attività o ai contenuti presenti su ciascun sito web, all’interno delle sue pagine.

Il riferimento più generico è rappresentato dal cosiddetto TLD (Top Level Domain), che figura nella parte finale e che consta solitamente di due o tre lettere che consentono di stabilire la tipologia del cosiddetto «dominio di primo livello». Questa sorta di suffisso dell’indirizzo telematico sarà, infatti, di tipo geografico quando i caratteri di cui si compone corrispondono ad un’area geografica o territoriale della rete (ad esempio “.it”, “.uk”, “.eu”, che sono detti appunto Country Code TLD o ccTLD); di tipo tematico quando tali lettere identificano in qualche modo l’attività svolta sotto quell’indirizzo (ad esempio “.com”, “.org”, “.net”, detti anche Generic

TLD o gTLD, si riferiscono rispettivamente ad attività commerciali,

attività di organizzazioni non profit e attività legate alla rete o alla

VARÌ, La tutela giuridica dei nomi a dominio, 2001, Padova, 12. In questi termini,

5

senz’altro più corretti dal punto di vista tecnico, si veda anche Trib. Modena 1 agosto 2000 in Giur. merito, 2001, 328.

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connettività); di tipo infrastrutturale quando quell’indirizzo assolve ad alcune funzioni tecniche proprie dei provider: in tal caso viene definito infrastructure TLD . 6

Il secondo riferimento è il SLD (Second Level Domain), posto a sinistra del TLD. Si tratta del livello più importante per qualunque nome a dominio: è infatti l’unico per cui l’utente è libero di scegliere la relativa composizione alfanumerica, pur dovendo sottostare ad alcuni vincoli che vedremo subito infra. Il SLD costituisce così la parte individualizzante dell’indirizzo telematico o il “vero momento identificativo del sito” come è stato definito .7

Gli eventuali livelli ulteriori del nome a dominio sono tutti posti a sinistra del SLD, separati da un punto. Si è soliti indicare questi livelli successivi con il termine di “sottodomini” dell’indirizzo web, in quanto costituiscono parti del più ampio dominio di secondo livello: essi consentono ad esempio di creare delle sottosezioni all’interno di un sito internet . Infine, anche la sigla iniziale “www”, 8 convenzionalmente utilizzata per la visualizzazione di pagine web, costituisce a ben vedere un ulteriore livello, ossia il third level

domain .9

Gli organismi che presiedono all’assegnazione dei domain

names operano in base a due tipi di regole: quelle sostanziali, dette

regole di naming, che disciplinano la composizione alfanumerica dell’indirizzo; e quelle procedurali, che stabiliscono invece le modalità operative con cui viene effettuata l’assegnazione dei nomi ai richiedenti da parte dalle Registration Autorithies.

MARTINELLI, La disciplina dei nomi a dominio e rimedi esperibili in caso di

6

cybersquatting, in Ciberspazio e Diritto, 2015, 406. Trib. Modena 1 agosto 2000, in Giur. merito, 2001, 328.

7

Cfr. VISCONTI, La valutazione dei nomi a dominio su Internet, in Dir. ind., 2015, 34;

8

MARTINELLI, La disciplina dei nomi a dominio e rimedi esperibili in caso di cybersquatting, in Ciberspazio e Diritto, 2015, 406.

SIROTTI GAUDENZI, Proprietà Intellettuale e Diritto della Concorrenza. Volume

9

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Le une e le altre sono riconducibili all’Internet Governance, ossia quella “ragnatela di accordi” che costituiscono il complesso di regole dei servizi della società dell’informazione . Di esse è bene 10 sottolineare la natura pattizia, che ne determina l’appartenenza al settore della soft law .11

L’Internet Governance affonda, infatti, le sue radici in una prassi consolidata, tanto che secondo alcuni non sarebbe scorretto parlare di una lex electronica sviluppatasi similmente a quanto avvenuto secoli addietro per lo jus mercatorum . Trattasi in sostanza di una 12 forma di self-regulation che, pur essendo in grado di oltrepassare le barriere territoriali del diritto nazionale, manca inevitabilmente di quel carattere di imperatività che, com’è noto, è prerogativa delle norme di diritto positivo.

L’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN) è l’organizzazione internazionale non profit che presiede alla gestione dei domini di primo livello. Tale ente delega le funzioni di registro alle diverse Registration Authorities presenti nei vari Stati. Ad esse spetta, dunque, l’incarico di gestire i nomi a domino con il relativo suffisso nazionale (“.fr", “.uk”, “.it”); parallelamente, ad altri soggetti accreditati vengono delegate le funzioni di registro per quanto riguarda i gTLD, ossia i domini di primo livello tematici (“.com”, “.org”, “.net” etc.). In Italia l’incarico è stato conferito fin dal 1987 al C.N.R., il quale ha delegato a sua volta il suo Istituto di Informatica e Telematica (IIT-CNR), avente sede a Pisa. Le funzioni di registro sono dunque svolte presso tale istituto, che si occupa

VISCONTI, La valutazione dei nomi a dominio su Internet, in Dir. ind., 2015, 34; cfr.

10

anche SIROTTI GAUDENZI, Proprietà Intellettuale e Diritto della Concorrenza. Volume

secondo. La tutela dei diritti di privativa, 2010, Milano, 219.

Non tutti concordano sulla perfetta sovrapponibilità delle regole in questione con

11

quelle ascrivibili alla categoria del soft law. E’ di quest’avviso, RUOTOLO, Il sistema

dei nomi di dominio alla luce di alcune recenti tendenze dell’ordinamento internazionale, in Dir. inform., 2016, 45.

KARAVAS-TEUBNER, Www.CompanyNameSucks.com. Effetti orizzontali dei diritti

12

fondamentali sulle parti private all’interno della legge autonoma di Internet, in

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della gestione dei domini Internet a targa “.it”, essenzialmente attraverso il portale telematico “Registro.it”.

L’assegnazione e la gestione dei nomi a dominio segue dunque delle regole, tra cui quelle di Naming, che sono predisposte singolarmente da ciascun ente accreditato presso l’ICANN e che ricalcano in gran parte quelle stabilite a livello internazionale dall’associazione statunitense. Il riferimento principale, per quanto riguarda il nostro Paese, è costituito dal “Regolamento di Assegnazione e Gestione dei Nomi a Dominio”, adottato dal Registro italiano . Esso reca le varie disposizioni concernenti 13 l’assegnazione dei nomi all'interno del ccTLD “.it”.

Al pari degli altri istituti presenti nei singoli Stati, il Registro non prende direttamente in carico le richieste di assegnazione provenienti dai terzi utenti e imprenditori: questa funzione è infatti svolta per tramite dei cosiddetti Registrar, una serie di fornitori di servizi internet accreditati che, oltre a curare la fase dell’assegnazione, si occupano del mantenimento dei nomi a dominio per conto dei terzi assegnatari. I Registrar operano nei termini stabiliti dall’accordo stipulato con l’Istituto di Informatica e Telematica: grazie all’adeguata infrastruttura tecnica di cui devono necessariamente disporre per essere accreditati, questi enti fungono da intermediari delle Autorità di Registrazione e sono, peraltro, dotati di piena autonomia contrattuale per quanto riguarda le condizioni economiche e la natura servizi offerti agli utenti che intendono fare domanda di assegnazione.

Il Regolamento di Assegnazione e Gestione dei nomi a dominio reca, fra le altre, le regole di Naming, ossia quell’insieme di parametri sostanziali che determinano la composizione alfanumerica e strutturale del nome a dominio: si tratta di regole la cui puntuale osservanza è richiesta a tutti coloro che intendono comporre un

L’ultima versione del Regolamento, attualmente la 7.1, è consultabile sul sito web

13

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proprio indirizzo a targa .it, pena la nullità della relativa richiesta di assegnazione.

Il principio cardine su cui si fonda, expressis verbis, l’intero sistema di regole è quello del “first come, first served”: l’assegnazione in uso del nome a dominio segue l’ordine cronologico di presentazione delle richieste . A fare fede, dunque, 14 sono la data e l’orario con cui una richiesta di registrazione vien inserita nell’apposito Database. Si tratta, peraltro, di un principio comunemente usato in vari contesti, tra cui quello dell’Ufficio italiano brevetti e marchi: in dottrina, si sottolineano spesso le origini statunitensi di questo criterio cronologico, trascurando invero la sua forte somiglianza, per non dire identità, con quello del prior in

tempore, potior in jure, di tradizione latina senz’altro più longeva e

consolidata nella nostra cultura giuridica.

Il complesso di regole appena detto, accanto alla regola della priorità cronologica delle richieste, definisce che cosa può validamente costituire oggetto di registrazione: la scelta del richiedente infatti non riguarda il domain name in tutti i suoi livelli, ma unicamente quella parte di esso che si è soliti individuare come il “cuore” dell’indirizzo web , ovvero il SLD. Mentre il suffisso finale 15 del nome a dominio dipende essenzialmente dall’Autorità di Registrazione eletta dal registrante, in base alla relativa competenza settoriale, per il dominio di secondo livello vi è tendenziale libertà di scelta dei termini, numeri e i simboli da utilizzare. Gli unici vincoli derivano infatti dai meccanismi tecnici del DNS, che ad esempio non tollerano l’inserimento di alcuni simboli, e dalle altre regole di

naming. A questi vincoli sono poi da aggiungere quelli che

discendono indirettamente dalle disposizioni imperative presenti nel nostro ordinamento.

Par. 4. del Regolamento di Assegnazione e Gestione dei Nomi a Dominio, d’ora

14

in avanti indicato semplicemente come “Reg.”.

Cfr., ex multis, SARTI, I soggetti in Internet, in AIDA, 1997, 5.

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Un primo limite, dovuto alla struttura tecnica del web, sta nell’impossibilità di registrare una denominazione identica ad una già assegnata sotto il medesimo TLD. . Questa regola, conosciuta 16 anche come criterio di unicità, risponde alla necessità che lo strumento telematico assolva correttamente la sua funzione individualizzante: di fatto, questa regola preclude ai soggetti titolari di diritti d’autore, privativa od altra natura su una certa denominazione, la possibilità di vedersi assegnati un nome a dominio ad essa corrispondente, nel caso in cui un terzo si sia attivato con anticipo, “occupando” uno o più indirizzi web identici o simili a quella determinata espressione .17

Si può facilmente intuire come quest’ultima circostanza rappresenti la maggior fonte di problemi, che emergono soprattuto per quanto sistema giuridico di marchi, segni distintivi e privative industriali in genere.

Per concludere questo sommario inquadramento tecnico, è bene rammentare che la regolamentazione predisposta dal Registro, così come quella delle Registration Authority presenti nei vari stati, è meramente tecnica e, sopratutto, ha origine pattizia: ad oggi si ritiene pacificamente che essa sia destinata a soccombere 18 almeno nei casi in cui il nome a dominio, al di là della sua sua mera funzionalità tecnica e di indirizzo telematico, viene in considerazione

Ciò discende implicitamente dal principio cronologico previsto dal par. 4 Reg.

16

si è parlato anche di ius escludendi alios non de jure, bensì de facto o tecnico, in

17

capo all’assegnatario del nome a dominio, PEYRON, nota a Trib. Cagliari 30 marzo 2000, in Giur. It., 2000, 1671-1672.

Cfr. il par. 6.3.1 Reg. che ammette espressamente la revoca del nome a dominio

18

a seguito di un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria o da altra autorità competente.

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come bene giuridico , ossia come cosa oggetto di un interesse 19 giuridicamente rilevante : in tal caso entreranno in gioco sia 20 situazioni di natura personale-esistenziale, come il diritto al nome , 21 il diritto alla riservatezza, all’immagine e all’identità personale ; sia 22 situazioni di natura patrimoniale, come quelli che caratterizzano la normativa sui marchi, concorrenza sleale, segni distintivi e proprietà industriali in genere . Invero, per quanto riguarda la prevalenza di 23 quest’ultima disciplina, laddove applicabile, non dovrebbero sussistere dubbi, posto che il nome a dominio è espressamente menzionato nel testo di alcune disposizioni dell’attuale Codice della Proprietà Industriale. Si tratta di una prima conclusione a cui sembra difficile non aderire, a prescindere dalle spinose questioni di qualificazione giuridica dell’indirizzo web che hanno impegnato, ormai da qualche tempo, la dottrina e la giurisprudenza italiane. Depongono in questo senso anche diversi provvedimenti giurisdizionali anteriori all’avvento dell’interconnessione delle reti:

Pur essendo sganciati dal profilo della corporalità, i nomi a dominio sono

19

indubbiamente “beni”, in quanto sicuramente idonei a formare oggetto di diritti reali ed assoluti ex art. 810 c.c.. Del pari, anche i segni distintivi dell’azienda costituiscono beni immateriali. Cfr. CASCIONE, I domain names come oggetto di

espropriazione e di garanzia: profili problematici, in Dir. Inform., 2008, 34; SIROTTI

GAUDENZI, Proprietà Intellettuale e Diritto della Concorrenza. Volume terzo. I

contratti nel diritto d’autore e nel diritto industriale, 2010, Milano, 170. GIUSTI, I nomi

a dominio: un nuovo segno distintivo, consultabile su www.dimt.it .

In senso positivo, SAMMARCO, in Rosello-Finocchiaro-Tosi (a cura di), Commercio

20

elettronico documento informatico e firma digitale. la nuova disciplina, 2003, Torino,

505-509.

La cui tutela è dettata dal nostro Codice Civile agli artt. 7 e ss.. Le esigenze di

21

protezione si pongono in particolar modo per i nomi di personaggi celebri: si pensi alla registrazione di un dominio del tipo www.francescototti.it o di quello appartenente ad un personaggio che abbia acquisito notorietà ex post, attraverso la fama ad esso procurata dall’indirizzo web coincidente con il proprio nome anagrafico. In argomento si veda Trib. Torino 13 gennaio 2004, in Guida dir., 2004, fasc. 17, 52. In dottrina si veda invece TRUCCO, Il nome (di dominio) di associazioni

(politiche) tra profili ideologici e interessi mediatici, in Diritto dell’Internet, 2008, 339.

CASSANO, Diritto dell’internet. Il sistema di tutele della persona, 2005, Milano,

22

174.

Cfr. Trib. Napoli 26 febbraio 2002, in Dir. Inform., 2002, 1014; SAETTA, Nomi a

23

(10)

chiamati a dirimere controversie inerenti in cui erano coinvolti altri identificativi tecnici utilizzati nell’ambito di diversi mezzi di comunicazione, come il telefono o il telex, i nostri giudici non hanno infatti mostrato alcuna esitazione nell’applicare le disposizioni in materia di segni distintivi, nonostante la presenza delle varie regolamentazioni tecniche di settore . 24

2. - La commercializzazione della rete e le

esigenze di qualificazione.

Nell’ordinamento giuridico italiano non esiste alcuna disposizione che attribuisca espressamente una qualche natura giuridica al nome a dominio. Nè esiste, tantomeno, una qualche disposizione che lo qualifichi giuridicamente come segno distintivo. L’unica definizione contenuta in un documento normativo giuridicamente vincolante è infatti quella offerta del terzo considerando del regolamento Ce n. 733/2002, il quale tuttavia si limita sostanzialmente a riconoscere che i nomi a dominio, soprattutto quelli di primo livello, rappresentano strumenti fondamentali dell’infrastruttura tecnica della rete. Accanto al 25 regolamento appena citato, un altro riferimento normativo è contenuto nell’art. 15 del d. lgs. n. 259 del 2003, detto anche Codice delle Comunicazioni elettroniche, che ha attuato nel nostro ordinamento alcune direttive comunitarie del 2002. Anche in questo caso tuttavia, la disposizione appena citata ha contenuto essenzialmente programmatico e i nomi a dominio sono considerati

MAYR, I domain names ed i diritti sui segni distintivi: una coesistenza

24

problematica, in AIDA, 1996, 223 e ss .

Il regolamento 733/2002 è il provvedimento comunitario relativo alla messa in

25

opera del dominio di primo livello “.eu”, che ha determinato la nascita di un ccTLD per l’Unione Europea. Cfr. MENCHETTI, Più garanzie per i nomi a dominio aziendali, in Guida dir., 2005, fasc. 3, 130.

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in quanto risorse nell’ambito delle comunicazioni elettroniche, non già come beni giuridici. Si conferma così l’assenza di un’espressa qualificazione giuridica nelle norme appartenenti al nostro ordinamento.

Fatta questa premessa, è innegabile che il problema sia stato sollevato più volte in giurisprudenza ed in dottrina. Ed è altrettanto innegabile che il silenzio del legislatore sul punto, tutt’altro che dirimente , abbia assunto, con lo sviluppo esponenziale della rete 26 di cui tutti noi siamo quotidianamente testimoni, i connotati di una vera e propria lacuna di fronte alla quale dottrina e giurisprudenza certamente non sarebbero potute rimanere inerti e, di fatto, così è stato.

L’emergere di nuove forme di comunicazione, sfruttate anche nella prassi commerciale, ha infatti imposto agli operatori la ricerca di nuovi strumenti di tutela da affiancare a quelli offerti nel nostro ordinamento ai classici segni distintivi rappresentati da marchio, ditta ed insegna: ricerca che spesso ha reso necessario un ricorso all’applicazione analogica o all’interpretazione estensiva delle norme e dei principi generali che informano la materia dei segni distintivi, nell’intento di abbracciare fattispecie diverse e sempre nuove. Ciò è avvenuto ad esempio per lo slogan pubblicitario, il quale ha assunto nelle moderne strategie di marketing un’importanza tale da assurgere giuridicamente a simbolo identificativo dell’imprenditore, con ciò che ne consegue in termini di protezione accordata . Più 27 recente è invece il caso delle denominazioni usate all’interno dei

social networks: vi sono infatti alcuni precedenti giurisprudenziali

A fronte di quest’assenza, argomentare sostenendo che ubi lex voluit dixit ubi

26

tacuit noluit, escludendo in radice una qualche natura giuridica sarebbe senz’altro

mistificatorio. Ciò equivarrebbe infatti a disconoscere la seppur scarna disciplina che il c.p.i. dedica al nomi a dominio che contraddistingue un “sito usato nell’attività economica”.

Cass. 28 maggio 1980, n. 3501, in Giur. it., 1981, 1112; App. Roma 20 gennaio

27

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che riconoscono ad esse la qualità di segni distintivi atipici, tanto nel caso in cui contraddistinguano un account, quanto nel caso in cui quelle denominazioni si riferiscono invece a delle singole pagine o a dei gruppi di conversazione o di condivisione . 28

Nonostante la diversa prospettiva da cui trae spunto, rivolta piuttosto all’ampliamento della tutela per i titolari di altri segni distintivi, un medesimo percorso interpretativo si è verificato per il nome a dominio, sulla scorta degli sporadici riferimenti inseriti nel corpo di disposizioni dedicato alle proprietà industriali: riferimenti apportati, innanzitutto, con l’opera del legislatore delegato del 2005 e l’introduzione del Codice della Proprietà industriale in sostituzione della vecchia legge marchi, mentre i successivi interventi di riforma dello stesso codice hanno tentato di specificarne meglio la portata. Un percorso normativo in cui non mancano, inoltre, disegni di legge

ad hoc mai andati in porto . 29

A questi mutamenti del tessuto normativo, è indubbiamente da aggiungere l’evoluzione in senso commerciale attraversata dalla

Trib. Torino 7 luglio 2011, in Le sezioni specializzate italiane della proprietà

28

industriale e intellettuale, 2012, I, 562; Cfr. anche FALLETTI, I social network: primi

orientamenti giurisprudenziali, in Corr. giur., 2015, 992.

Si tratta dei disegni di legge n. 4681 e 4594, quest’ultimo meglio conosciuto

29

come D.d.l. Passigli, dal nome del suo relatore, presentato in Senato nel corso della XIII Legislatura, il 12 aprile del 2000. Il documento recava la “Disciplina dell’utilizzazione di nomi per l’identificazione di domini Internet e servizi in rete”. Entrambe le proposte furono criticate aspramente da parte di enti ed addetti ai lavori e furono presto abbandonate. In particolare, i lavori sul D.d.l. redatto dal sottosegretario Passigli, oltre ad essere bollati da molti come un’iniziativa puramente demagogica diretta a dare un segnale dell’interesse del Governo in carica per i problemi di Internet, subirono una brusca accelerazione col diffondersi della notizia di un imprenditore che stesse registrando migliaia di domain names, tra cui, ironia della sorte, alcuni con lo stesso nome del sottosegretario. Cfr. SCIAUDONE, Il disegno di legge sulla regolamentazione dei nomi a dominio in

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rete già dalla fine del secolo scorso : un processo che ha 30 inevitabilmente destato le attenzioni di dottrina e giurisprudenza attorno alle esigenze di qualificazione giuridica di diverse fattispecie proprie della realtà telematica, tra cui appunto quelle sollevate dall’uso e dalla registrazione degli indirizzi web.

Tale tendenza interpretativa può iscriversi, dunque, in un generale processo di adattamento del diritto vivente in materia di proprietà industriale, al culmine del quale è maturata la convinzione pressoché unanime, secondo cui i segni distintivi dell’imprenditore non costituiscono affatto un numerus clausus . Nella prassi delle 31 relazioni commerciali si è, infatti, consolidata la possibilità che l’imprenditore si avvalga in concreto di simboli, emblemi e denominazioni ulteriori rispetto agli strumenti di identificazione previsti dal legislatore: strumenti ai quali sarebbe da riconoscere, nondimeno, la qualità giuridica di segni distintivi atipici. Di tal guisa, per un verso il rispettivo utilizzatore dovrebbe vedersi garantito l’accesso alle medesime forme di tutela predisposte per i titolari dei segni tipici; per altro verso, anche nell’uso dei nuovi identificativi, egli non potrebbe essere sollevato dall’onere di osservare i principi generali che informano la materia, onde evitare ad esempio, la lesione di diritti d’esclusiva altrui o la violazione di quel fondamentale canone di comportamento volto a prevenire le derive

A partire dal 1997, diversi provvedimenti dell’A.G.C.M. contengono l’affermazione

30

secondo cui Internet, sebbene sia innanzitutto una forma di comunicazione, anche di impresa, costituisce anche un “veicolo pubblicitario”. Fra queste pronunce dell’Autorità si veda, ex multis, il provvedimento n. 4820 del 27 marzo 1997, in Dir.

ind., 1997, 1064, con nota di STABILE; si è espresso con le stesse identiche parole del provvedimento appena menzionato anche il Trib. Napoli, 26 febbraio 2002, in

Dir. inform., 2002, 1024. Cfr. anche SCIAUDONE, L’uso del marchio altrui come metatag, in Riv. dir. ind., 2002, II, 190-191.

In senso parzialmente opposto, ed ormai anacronistico, si segala una sentenza statunitense resa nello stesso periodo, stando alla quale Internet non sarebbe né esclusivamente, né principalmente, un mezzo di comunicazione commerciale. Corte Federale U.S.A. 11 giugno 1996, in Dir. inform., 1996, 604 e ss., spec. 620.

CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Vol. I. Diritto dell’impresa, Milano, 2013, 163.

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patologiche connaturate al modello della libera concorrenza: canone evocato anche dal nostro Codice Civile con la cosiddetta clausola di correttezza professionale.

3. - La natura di segno distintivo.

3.1. - Argomentazioni di carattere formale e

sostanziale.

Sulla natura giuridica del nome a dominio quale segno distintivo si registrava una certa convergenza, sia in dottrina che in giurisprudenza, già prima dell’entrata in vigore del Codice della Proprietà Industriale. I tanti sostenitori di quest’orientamento generale si rifanno solitamente alle conferme, più o meno dirette, derivanti dal testo di diverse disposizioni del d. lgs. n. 30 del 2005 e, segnatamente, dal dettato dell’art. 22. Come specificato dalla rubrica dell’articolo appena citato, i suoi due commi delineano il principio di unitarietà dei segni distintivi, secondo cui l’interferenza fra i segni assume rilevanza giuridica a prescindere dalla loro tipologia. Secondo alcune voci, la positivizzazione di tale principio consente di ricondurre tutti i conflitti fra segni nel campo di applicazione della norma in esame : tutti i conflitti, possiamo qui 32 aggiungere, o quantomeno, quelli in cui sia coinvolto un marchio registrato, giacché la disposizione stabilisce un generale divieto di imitarlo che è da estendere ad ogni segno menzionato negli identici elenchi riprodotti da entrambi i capoversi dell’art. 22 citato, la cui enumerazione si chiude con una clausola aperta, ossia la locuzione “altro segno distintivo”.

FRASSI, in Internet e segni distintivi, in Riv. dir. ind., 1997, II, 182; MARCHETTI

-32

UBERTAZZI, Commentario breve al diritto della concorrenza, 1997, Padova, sub. art. 13 l. mar .

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Secondo alcuni autori, questa formulazione assumerebbe portata tale da sancire l’implicita qualificazione giuridica degli elementi che precedono nell’elenco, i quali individuerebbero quindi altrettanti segni distintivi dell’impresa. Tale qualificazione sarebbe da estendere appunto anche al nome a dominio che figura in questa lista accompagnato dalla specificazione dell’oggetto contraddistinto, o s s i a i l “ s i t o u s a t o n e l l ’ a t t i v i t à e c o n o m i c a ” . O g g i quest’argomentazione sembra essere ripresa anche nel testo di una recente pronuncia del giudice di legittimità .33

In assenza di un simile appiglio testuale la dottrina antecedente al c.p.i. giungeva a conclusioni non dissimili, offrendo argomenti di carattere più sostanziale. Nel corso degli anni ’90, la rapidità e la capillarità della diffusione dell’interconnessione delle reti avevano già indotto a valutare l’importanza del sito web quale strumento operativo nell’attività di impresa. In quest’ottica, si era constatato come l’iniziativa commerciale online avesse assunto dimensioni sempre maggiori, determinando così la nascita di nuove strategie imprenditoriali volte a sfruttare a pieno le possibilità offerte dal nuovo canale di comunicazione. Tra queste, non poteva certo passare inosservata quella offerta dalla struttura tecnica del DNS, consistente nella facoltà di scegliere, per la propria ubicazione telematica, un indirizzo dalla denominazione intuitiva, capace di rendere individuabili e facilmente reperibili per gli utenti le proprie risorse informatiche. L’importanza assunta all’interno del web mercato questa particolare struttura della rete è confermata dagli studi di pubblicitari e ed esperti della comunicazione, fra i quali ormai da tempo è maturata la convinzione, pressoché unanime, che una scelta ben ponderata del domain name sia un fattore determinante per la buona riuscita di qualsiasi iniziativa imprenditoriale in rete: si è infatti rilevato come esso possa assumere un peso addirittura superiore a quello generalmente

Cass. 18 agosto 2017, n. 20189, in filodiritto.com.

(16)

attribuito ad altri segni distintivi nelle tradizionali dinamiche del mercato . A tal proposito, è sufficiente ricordare qui l’impatto visivo 34 e semantico che una denominazione ben congegnata effettua nella mente dell’utente, orientando le sue scelte di navigazione, specialmente se questi non conosca a priori l’indirizzo di un’azienda a cui è interessato e proceda ad una ricerca per tentativi ; per non 35 parlare poi dell’influenza che il second level domain è tutt’ora in grado di esercitare nell’indicizzazione dei risultati forniti dai moderni

software utilizzati da un qualsiasi motore di ricerca . 36

In generale, non occorrono esperti di marketing per intuire i vantaggi, in termini di visibilità e di maggior forza dell’immagine espressa agli occhi del pubblico, che derivano dalla coincidenza dell’indirizzo web di un’attività economica con i rispettivi marchi aziendali : ciò specialmente qualora questi segni si siano già bene 37 impressi nella mente dei potenziali clienti.

Si comprende facilmente, alla luce di queste brevi considerazioni, come al domain name si sia andata riconoscendo, fin dalle origini del world wide web, una funzione individualizzante sempre più accentuata: ciò che ha imposto di considerarne, anche in astratto, la potenziale interferenza con i segni distintivi classici.

In prima battuta, si è tentato di risolvere i problemi sollevati da questo potenziale conflitto, facendo ragionevolmente ricorso alle norme regolatrici dei rapporti tra i segni. Il terreno di risoluzione di eventuali interferenze fu quindi indicato nella norma espressa

SCORZA, Il diritto dei Consumatori e della Concorrenza in Internet, Padova, 2006,

34

157.

CASSANO, In tema di domain name, in Dir. inform., 2000, 494

35

Sul tema, si rimanda al capitolo 2 del presente lavoro.

36

CARAPELLA-CASSANO, I conflitti tra marchi e nomi a dominio tra pronunce dei

37

giudici e primi accenni a una risoluzione «virtuale», in Riv. dir. ind., 2000, II, 376;

(17)

dall’art. 13 del r.d. n. 929/1942 , predecessore dell’attuale art. 22 38 c.p.i. . Nessun ostacolo fu infatti ravvisato dalla dottrina del tempo, 39 nell’ovvia mancanza di un esplicito riferimento all’indirizzo web nel testo della disposizione previgente: il vuoto di disciplina fu colmato attraverso l’interpretazione estensiva del disposto, o comunque con l’applicazione in via analogica della norma da esso espressa al nome a dominio . A prescindere dall’opzione in favore dell’una o 40 l’altra delle due operazioni interpretative, per questa via si perveniva dunque alla qualificazione dell’indirizzo web come segno distintivo . 41 Una diversa impostazione seguita da altri autori durante il regime normativo previgente sposta l’attenzione su un’altra disposizione della legge marchi che, con qualche modifica, è stata mantenuta intatta nel c.p.i.: si tratta del secondo comma dell’art. 1 legge marchi . Tra le prerogative attribuite al titolare della privativa, 42 la cui enumerazione peraltro non sarebbe affatto tassativa, in materia di nomi a dominio acquisterebbe particolare interesse quella che delinea il diritto di vietare ai terzi di far uso del segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità. Così, benché il nome a dominio rappresenti sotto il profilo tecnico una denominazione che designa un luogo virtuale della rete, la riproduzione al suo interno di un segno altrui produrrebbe un

Si tratta testo legislativo in vigore in materie di marchi registrati, prima

38

dell’approvazione del Codice della Proprietà Industriale. Nel prosieguo si farà riferimento ad esso con il nome di “legge marchi”.

In giurisprudenza, si veda Trib. Bologna, 14 novembre 2008, in Dir. ind., 2009,

39

331; Cfr. SAMMARCO, in Rosello-Finocchiaro-Tosi (a cura di), Commercio elettronico

documento informatico e firma digitale. la nuova disciplina, 2003, Torino, 490.

Durante il regime normativo previgente, delineato dalla legge marchi, alcuni autori individuavano invece nell’art. 1 comma 2, attuale art. 20/2 c.p.i., la disciplina del conflitto tra marchio e nome a dominio. FAZZINI, Il Diritto di Marchio nell’Universo di

Internet, in AIDA, 1998, 593.

Cfr. Trib. Milano 8 febbraio 2002, in Riv. dir. ind., 2002, II, 352 e ss., spec. 355.

40

Cfr. ex multis, FRASSI, in Internet e segni distintivi, in Riv. dir. ind., 1997, II, 182.

41

Ora art. 20/2 c.p.i.

(18)

conflitto destinato a trovare soluzione in base ai consueti parametri di somiglianza ed affinità merceologica stabiliti dal comma precedente, a cui la disposizione appena citata fa espresso riferimento. Tale fattispecie, consistente nell’uso del marchio altrui come nome a dominio, coinciderebbe infatti con un’ipotesi di utilizzo del segno “nella pubblicità” o in quella particolare forma di “corrispondenza commerciale”, imposta dalla struttura tecnica della rete, che per il reperimento di un sito web richiede la digitazione di un U.R.L. o l’attivazione di un link . 43

Come si vede, in queste ricostruzioni il procedimento analogico o l’interpretazione estensiva fungevano da suggello formale per quegli argomenti di carattere sostanziale , qui brevemente 44 richiamati, che già durante i primi passi del world wide web la dottrina e la giurisprudenza del tempo avevano colto e messo in rilievo, nel tentativo di offrire un’immediata risposta all’integrazione del sistema delle proprietà industriali e della regolamentazione del mercato con l’interconnessione delle reti, probabilmente nella consapevolezza dei futuri risvolti economici e commerciali del fenomeno.

FAZZINI, Il Diritto di Marchio nell’Universo di Internet, in AIDA, 1998, 593. In

43

questo senso anche Trib. Napoli, 26 febbraio 2002, in Dir. Inform., 2002, 1013, che ne sottolinea l’aderenza di questa qualificazione ad alcuni profili propri di Internet, e Trib. di Siracusa, 23 marzo 2001, in Giust. Civ., 2002, I, 2301, che ritiene l’offerta di servizi effettuata tramite Internet rientri nella sfera di “pubblicità e promozione” su cui il titolare del marchio gode di una prerogativa nell’uso del segno in base alla legge.

Tuttavia queste operazioni interpretative, talvolta sono state apertamente respinte

44

anche da parte di chi sosteneva “l’applicabilità ad Internet del diritto dei marchi”: il principio espresso già con il vecchio art. 13 legge marchi si fonderebbe appunto su un “unitarietà” dei segni tale da escludere l’analogia e permettere un’applicazione in via diretta della sua disciplina ai domain name, compresa la figura-archetipo costituita dal marchio. Trib. Napoli, 26 febbraio 2002, in Dir. Inform., 2002, 1013.

(19)

3.2. - Capacità distintiva e carattere imprenditoriale.

Ad oggi, in linea di massima, l’orientamento dottrinale predominante segue ancora le conclusioni predette, avvicinandosi talvolta ad una sorta di automatismo nell’etichettare con la qualifica di segni distintivi la categoria degli indirizzi telematici . Qualche 45 traccia di questa conclusione generalizzante ed automatica si rinviene anche nella giurisprudenza formatasi nel nostro Paese: alcune decisioni equiparano, infatti, l’utilizzo di un nome a dominio riproducente un marchio altrui ad un uso distintivo di quella denominazione, specificando inoltre che “dopo l'entrata in vigore del Codice della proprietà industriale esiste concordanza di opinioni sul fatto che il domain name sia un segno distintivo” .46

In dottrina, fra coloro che prima dell’avvento del c.p.i. inquadravano il nome a dominio fra i segni distintivi atipici , ve ne 47 sono alcuni che hanno addirittura salutato la “nuova” formulazione entrata in vigore con il c.p.i.— e segnatamente il disposto dell’art. 22

TREVISAN-CUONZO, Proprietà Industriale, Intellettuale e IT, Milano, 2017, 267;

45

INTROVIGINE, in Bottero (a cura di), La riforma del codice della proprietà industriale. Commentario alle modifiche al codice della proprietà industriale apportate dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n.131, 2011, Milano, 49. Per la dottrina ante

c.p.i., cfr. QUARANTA, la registrazione abusiva del “domain name", in Dir. ind., 1999, I, 37; MARCHEGIANI, Il diritto sulla propria notorietà, in Riv. dir. civ., 2001, I, 240; CERINA, Il diritto industriale 10 anni dopo. Il punto su … Internet, in Dir. ind., 2002, 351 e ss.

Nella caso di specie si trattava di un marchio rinomato. Trib. Roma 15 giugno

46

2012, in Giur. dir. ind., 2013, 558.

TOSI, «Domain Grabbing», «linking», «framing» e utilizzo illecito di «meta-tag»

47

nella giurisprudenza italiana: pratiche confusorie online «vecchie» e nuove tra contraffazione di marchio e concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., 2002, II, 372;

TERRANO, La tutela del valore distintivo nell'era di Internet: il "domain name" come

(20)

— come la definitiva tipizzazione del segno .48

Viceversa, altri autori ritengono che il domain name sarebbe da considerarsi ancora come un semplice segno atipico : conclusione 49 che sembra condivisa, almeno in parte, anche da chi attribuisce la qualifica in parola a prescindere dal suo carattere aziendale. Così, l’uso di un segno come proprio indirizzo web, è stato ritenuto idoneo a determinare in capo al suo titolare un diritto su un segno distintivo atipico “non necessariamente imprenditoriale”, posto che lo stesso sito web identificato potrebbe essere di tipo non imprenditoriale . 50 Anche secondo un orientamento più recente l’applicabilità delle disposizioni del c.p.i., alla luce della riforma del 2010, richiederebbe semplicemente che il sito web contraddistinto sia utilizzato per finalità economiche . 51

Queste tesi postulano evidentemente la possibilità di scindere la natura giuridicamente distintiva di un segno da quel tradizionale presupposto che consiste nell’imprenditorialità. Nella fattispecie in esame, tale premessa si giustifica con la volontà di consentire a qualunque titolare di un nome a dominio di poter attingere alla tutela delineata dal sistema dei segni distintivi, ivi compresi quei soggetti che se ne servono in modo esclusivamente “civile”: come si avrà modo di vedere nel prosieguo, una parte della dottrina è solita

TOSI, Contraffazione di marchio e concorrenza sleale in Internet: dal classico

48

«domain grabbing» all’innovativo «key-word» marketing confusorio, in Riv. dir. ind.,

2009, II, 392; ALARI GHIGI, Il principio dell’unitarietà dei segni distintivi, in Dir. ind., 2009, 339. TREVISAN-CUONZO, op. cit., 267.

HERCOLANI, Il dominio web e il suo trasferimento, in Riv. not., 2017, I, 93.

49

GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 23. A tal proposito non

50

sarebbe sufficiente constatare che quel sito non veicola offerte di prodotti o servizi, né funge da canale promozionale per la propria attività economico-imprenditoriale: occorrerebbe infatti accertare anche che la gestione del sito web avvenga in modo del tutto incurante della raccolta di pubblicità per poter inferire l’utilizzo civile del relativo indirizzo. SPADA, Domain Names e Dominio dei nomi, in Riv. dir. civ., 2000, II, 734.

GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 23; GALLI,

51

L’allargamento della tutela del marchio e i problemi di Internet, in Riv. dir. ind., 2002,

(21)

indicare con quest’ultimo termine quelle modalità d’uso del segno che non sono economiche, neppure in senso lato.

Aderendo a quest’orientamento, dunque, chiunque potrebbe far valere l’anteriorità ed il legittimo utilizzo del proprio nome a dominio avverso qualsiasi forma di adozione ed impiego confusorio di una denominazione imitante, aggirando così quei requisiti soggettivi — come la qualifica di imprenditore od esercente un’attività economica — e oggettivi — l’esistenza di un rapporto di concorrenzialità — richiesti dalla disciplina della concorrenza sleale .52

Si tratta di un’impostazione che, nella sua atipicità, merita qualche breve considerazione di carattere sistematico. In generale, infatti, scindere la disciplina dei segni distintivi da quel carattere di imprenditorialità che le è proprio, e che solitamente denota le attività che tali segni contraddistinguono, è premessa foriera di diverse conseguenze, che giocoforza investono la fattispecie qui considerata: a tacer d’altro, una delle tante implicazioni è rappresentata dall’ampliamento delle situazioni in cui l’anteriorità nell’uso di un segno è in grado di esplicare il cosiddetto potere distruttivo della novità, impedendo o invalidando le registrazioni successive, in particolare di marchi identici o simili. Così, tutti i soggetti titolari di un domain name anteriore, anche se non imprenditori, potrebbero legittimamente opporsi — anche in via d’eccezione — all’uso di un marchio di fatto, di una ditta o di un marchio che è stato registrato senza il proprio consenso. In tutti e tre i casi, non vi sarebbe necessità di accertare se l’indirizzo web è oggetto di un impiego “civile”: qualora sia riscontrata una somiglianza con le denominazioni adottate dai terzi, si potrebbe constatare un conflitto giuridicamente a prescindere dalle modalità di impiego.

Una volta escluso il presupposto dell’imprenditorialità, la facoltà di impedire o di contrastare queste iniziative discenderebbe

GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 23.

(22)

direttamente da quelle disposizioni che sanciscono la nullità di un marchio imitante successivo, per difetto del fondamentale requisito della novità: tra queste disposizioni, nel testo attuale del c.p.i. ve n’è una in particolare che fa riferimento al nome a dominio, ossia l’art. dall’art. 12/1 lett. b. Anche in questo caso tuttavia, l’unico riconoscimento operato è quello dei “nom[i] a dominio usat[i] nell’attività economica”, facendo sì che il potere impeditivo della registrazione possa essere legittimamente esercitato soltanto da alcuni assegnatari di un domain name. Aderendo a questa formulazione dovrebbe dunque concludersi che dal lato delle proprietà industriali il nostro ordinamento non accorda alcuna protezione, nel rapporto con altri segni, agli utilizzatori “civili” di un indirizzo telematico.

Tuttavia, fin da prima dell’entrata in vigore del c.p.i., il difetto di novità di un marchio registrato o registrando, in grado di decretarne l’invalidità, non si configura soltanto come una conseguenza del conflitto fra segni distintivi: sia l’art. 21 legge marchi che l’art. 8 c.p.i. prevedono, infatti, un analogo potere impeditivo nel caso di somiglianza con denominazioni precedenti di altro tipo, fra i quali può essere certamente ricondotto, nonostante non sia espressamente menzionato, anche un nome a dominio non usato per finalità economiche. Si tratta, peraltro, di un potere che l’ultimo intervento di riforma del Codice ha inteso ampliare: gli aventi diritto su questi segni possono infatti opporsi non solo alla registrazione, ma anche al semplice uso di un marchio simile . Ne deriva che la 53 definizione del nome a dominio come segno distintivo non necessariamente imprenditoriale, oltre che discutibile dal punto di vista sistematico, non è in grado di garantire maggiori spazi di tutela di quelli attualmente definiti dalla disciplina in vigore.

Lo si legge anche nella relazione illustrativa al decreto correttivo del c.p.i.

53

approvato nel 2010, in sede di commento all’art. 5. La relazione è consultabile all’indirizzo www.ubertazzi.it.

(23)

Sul punto, acquista particolare interesse quanto espresso dalla giurisprudenza comunitaria in merito alla domanda di registrazione di un marchio europeo: la soluzione adottata appare infatti diametralmente opposta a quella appena vista.

Il Tribunale di primo grado dell’Unione ha avuto modo di precisare che non ogni nome a dominio anteriormente registrato rappresenta un elemento distruttivo della novità: affinchè l’anteriorità possa essere efficacemente opposta al registrante ex art. 8.4 RMUE , occorre infatti che il domain name sia stato oggetto anche 54 di un’effettiva utilizzazione “nel quadro di un’attività commerciale finalizzata ad un vantaggio economico” . Peraltro, il Tribunale ha 55 specificato che la prova di questo impiego effettivo necessita di elementi concreti, che vanno oltre il perfezionamento dell’operazione tecnica di assegnazione da parte dell’ente di registrazione.

La lettura secondo cui sarebbe possibile ammettere un segno distintivo “non necessariamente imprenditoriale”, oltre che con la pronuncia comunitaria appena citata, oggi appare in contrasto, soprattutto, con gli sporadici riferimenti al nome a domino presenti nel dettato normativo attuale: al di là della presunta natura distintiva da essi attribuita, secondo alcuni autori, tali riferimenti fanno costante menzione del segno accompagnato dalla specificazione “del sito usato nell’attività economica” o del carattere “aziendale”

Si fa riferimento qui all’art. 8 par. 4 del Reg. 2015/2424, dal quale peraltro sembra

54

emergere, in linea di principio, che l’opposizione alla registrazione di un marchio europeo può essere legittimamente esercitata dai titolari di segni “utilizzat[i] nella normale prassi commerciale”, oltre che “di portata non puramente locale”: la distintività sembra dunque riconnettersi all’uso commerciale, cosa che come si vedrà nel prosieguo, viene sostenuta anche da una parte della dottrina italiana.

Trib. Ue 14 maggio 2013, T-322-11, spec. al punto 40. Come rileva Mayr, si tratta

55

di un “parametro affidato alla valutazione secondo il diritto comunitario”. MAYR, Il

rapporto tra marchi e segni distintivi diversi: ditta, insegna, domain names e denominazioni varietali, in Dir. ind., 2017, 200.

(24)

dello stesso : specificazioni che, lungi dall’essere considerate come 56 mere formule vuote, impongono l’attribuzione di un significato che non può che essere quello di circoscrivere il novero degli indirizzi

web giuridicamente rilevanti nell’area dei rapporti fra proprietà

industriali, come conferma la relazione illustrativa al decreto correttivo del c.p.i. approvato nel 2010 . Peraltro, l’attributo 57 “aziendale”, oggi inspiegabilmente rimasto intatto all’interno del solo art. 118/6 c.p.i., già all’epoca della sua introduzione con la riforma del 2005 era stato oggetto di diverse critiche in dottrina: si era infatti evidenziato che con questa dizione, il legislatore di fatto negava l’accesso al sistema dei segni distintivi anche ad alcuni domain

name impiegati in ambito imprenditoriale o pubblicitario, mentre una

simile limitazione appariva giustificabile per i soli indirizzi web utilizzati in modo “civile” .58

Un recente contributo dottrinario sottolinea come la sostituzione lessicale operata con la riforma abbia il pregio di superare definitivamente l’errore con cui i domain name erano accostati ai segni distintivi in via generalizzata, senza operare alcuna distinzione fra quei domini c.d. “personali” o “a scopo informativo”, che designano spazi telematici senza alcuna attinenza con l’esercizio di un’attività economica, gli indirizzi impiegati in ambito imprenditoriale o professionale. Anche in questo caso si ritiene, dunque, che solo per quest’ultimi possa trovare applicazione la disciplina delle proprietà industriali, mentre i primi ne rimarrebbero totalmente

In verità, a seguito del d.lgs. n. 131 del 13 agosto del 2010 l’attributo “aziendale”

56

nel c.p.i. è rimasto inspiegabilmente immutato per un’unica disposizione, l’art. 118/6 c.p.i., mentre le restanti menzioni del nome a dominio sono puntualmente corredate dal riferimento al “sito usato nell’attività economica”: emblematica è l’adozione di questa seconda scelta lessicale per l’art. 22 c.p.i.

Nella relazione, consultabile su www.ubertazzi.it, si dà conto di questo

57

intendimento, in sede di commento all’articolo 13, presente a pagina 3.

CASABURI, Il Codice e il processo industrialistico: frammenti per un primo

58

commento, in Dir. ind., 2005, 61. Cfr. anche MENCHETTI, Più garanzie per i nomi a

dominio aziendali, in Guida dir., 2005, fasc. 3, 130; FITTANTE, La rilevanza del nome

(25)

estranei . 59

Occorre osservare che se è pressoché certo che la formulazione attuale sicuramente estende il divieto posto dall’art. 22 c.p.i. anche a soggetti senza la qualifica di imprenditori, permane invece qualche dubbio riguardo al fatto che l’estensione così operata corrisponda ad un riconoscimento più ampio del carattere distintivo per la categoria degli indirizzi telematici .60

Sganciare la natura di segno distintivo dall’esercizio di un attività imprenditoriale appare, infine, in netta controtendenza rispetto all’orientamento dottrinario “di scuola”. Se è vero che la tesi in esame può accordarsi con l’interpretazione addotta dalla maggior parte degli autori, tendenti ad inquadrare il domain name fra i segni atipici, raramente in materia di segni distintivi si giunge a negare la necessaria attinenza di questi “collettori di clientela” con il contesto 61 imprenditoriale. L’insegnamento tradizionale in materia, da sempre considera e tratta la disciplina di marchio, ditta, insegna etc. alla stregua di un gruppo di istituti afferenti ad una specifica branca del diritto commerciale, i cui fondamenti si rinvengono nelle disposizioni che ad essa fanno capo nel Libro V del Codice Civile: il diritto dell’impresa.

Oltre alla Relazione Illustrativa citata in nota precedente, secondo cui questa

59

distinzione e le sue implicazioni sono espressamente affermate nel dettato del c.p.i., questo aspetto è emerso anche nella dottrina più recente. In particolare si veda FITTANTE, La rilevanza del nome a dominio ed il conflitto con i marchi e gli altri

segni distintivi, in Dir. ind., 2018, 86.

Sembrano essere di quest’avviso, TREVISAN-CUONZO, op. cit., 267. Gli autori

60

peraltro sottolineano come la qualifica di imprenditore in capo al titolare, non costituirebbe un presupposto neanche per gli altri segni distintivi.

L’origine dell’espressione “collettore di clientela”, oggi comunemente in uso nel

61

gergo giuridico per designare i segni distntivi, è piuttosto risalente. E’ stata impiegata per la priva volta da GHIRON, Il Marchio nel sistema del diritto industriale

italiano, in Riv. dir. civ., 1915, 150, a significare che non al marchio non va

riconosciuta una mera funzione di indicazione dell’origine, ma anche funzioni ulteriori, quali quella di garanzia e qualità. Proprio per tali profili, che si risolvono in una capacità attrattiva, esso dovrebbe essere qualificato appunto come “collettore di clientela”.

(26)

Ne costituisce riprova il fatto che le discipline che il nostro Codice dedica ai segni distintivi ed alla concorrenza, vengono spesso individuate come parte integrante del cosiddetto statuto generale dell’imprenditore, ovvero quel corpo di disposizioni applicabili alla generalità degli imprenditori ed alle rispettive attività: dette disposizioni infatti, non contengono alcuna ulteriore specificazione riguardo, ad esempio, alla natura commerciale dell’impresa stessa .62

3.3 - il conseguimento di notorietà.

Una delle prospettive con cui il tema della natura giuridica del

domain name è stato affrontato, ruota attorno alla notorietà

conseguita dal segno. Un concetto che, secondo dottrina autorevole, è strettamente connesso a quello di capacità distintiva. In assenza di altre forme di pubblicità in grado di far scattare una presunzione di conoscenza, un qualunque segno di fatto, nome a dominio compreso , sarebbe suscettibile di conseguire notorietà 63 solo attraverso l’uso ripetuto e la sua concreta presenza sul mercato. Più precisamente, la prassi di utilizzo sarebbe in grado di diffondere nel pubblico l’idea che il segno rimandi ad una certa provenienza, procurandogli così la pubblica considerazione di elemento atto a distinguere i prodotti e le attività di un determinato imprenditore, dai prodotti e le attività di altri soggetti. Ciò non può ovviamente accadere in virtù di un uso sporadico o occasionale: affinché maturi tale percezione comune il segno dovrà aver raggiunto un certo livello di notorietà nell’immaginario collettivo. I

CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Vol. I. Diritto dell’impresa, Milano, 2013,

62

21-22.

Il domain name può indubbiamente definirsi un segno. Si tratta di una premessa

63

generalmente condivisa. Si veda in particolare, D’ARCANGELI, Il dibattito sul Domain Name e la prima sentenza di merito, in Riv. dir. civ., 2004, IV, 510.

(27)

sostenitori di questa tesi hanno individuato astrattamente questo standard di popolarità, definendolo come “notorietà qualificata”: essa consiste in quel tipo di percezione comune, in termini qualitativi e quantitativi, che, anche secondo dottrina autorevole, finirebbe per coincidere con la capacità distintiva stessa . 64

Alcuni autori hanno adottato stessa prospettiva nel 65 considerare il nome a dominio dal punto di vista giuridico: così, si è rilevato che attraverso l’uso, anche quest'ultimo sarebbe suscettibile di acquisire — al pari di altri segni o indirizzi, tra cui il numero telefonico — il cosiddetto secondary meaning, termine solitamente impiegato per evocare il successivo acquisto di notorietà da parte di un marchio originariamente sprovvisto di capacità distintiva, soprattutto nelle ipotesi in cui ciò avvenga per effetto di un’accorta attività pubblicitaria in grado di imprimere l’«immagine» del segno nella mente dei consumatori. Secondo dottrina autorevole, tale effetto è implicitamente contemplato dall’art. 13 del c.p.i., disposizione con cui il legislatore avrebbe riconosciuto la possibilità che il processo appena descritto renda il segno «forte»: l’acquisto del secondary meaning varrebbe, infatti, ad ovviare all’originaria «debolezza» del segno, che ne impedisce la valida registrazione come marchio. Parallelamente, lo stesso processo sarebbe in grado di sanare la nullità di un marchio già registrato, nonostante il difetto del requisito della capacità distintiva . 66

Nel caso dei nomi a dominio, il verificarsi di questo conseguimento di notorietà ne implicherebbe la trasformazione: da mero indirizzo telematico esso diverrebbe un segno distintivo atipico

La tesi esposta evidenzia come un segno possa definirsi distintivo solo se

64

percepito come tale dal pubblico. Ciò presuppone un certo livello di notorietà in assenza del quale, a ben vedere, non vi sarebbe percezione del segno tout court. La tesi è di VANZETTI-DI CATALDO, op. cit., 41.

MAGNI-SPOLIDORO, La Responsabilità degli Operatori in Internet: profili interni e

65

internazionali, in Dir. Inform., 1997, 68

CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Vol. I. Diritto dell’impresa, Milano, 2013, 181.

(28)

o, addirittura, un marchio vero e proprio .67

Simili conclusioni si rinvengono anche in altri studi: si è infatti rilevato che la libera scelta effettuata dal registrante per la denominazione del proprio dominio web è spesso determinata dalla volontà di far convergere l’attenzione del pubblico sulla propria impresa. Il che è esattamente quanto accade per i marchi. Dunque, anche il nome a dominio dovrebbe essere qualificato come “marchio”, istituto dal quale dovrebbe mutuare la disciplina e le relative forme di tutela .68

3.4. - L’equiparabilità all’insegna.

Rimanendo in tema di equiparabilità ad altri segni, merita citare quel suggestivo orientamento, sorto in giurisprudenza, e successivamente discusso anche in dottrina, secondo cui l’indirizzo

web costituirebbe un vero e proprio segno distintivo atipico

assimilabile all’insegna, in quanto atto a distinguere “il luogo non propriamente fisico […] ove il titolare del sito incontra il pubblico” . 69

MAGNI-SPOLIDORO, La Responsabilità degli Operatori in Internet: profili interni e

67

internazionali, in Dir. Inf., 1997, 68; in giurisprudenza sembrano accedere a questa

costruzione Trib. Modena, 28 luglio 2000 e Trib. Modena 23 agosto 2000, entrambe in GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 353 e 366, laddove si parla di “attribuibilità ad ess[o] nel caso concreto, del carattere di elemento distintivo di merci o di servizi”. In senso contrario, cfr. STUMPO, nomi a dominio e segni

distintivi, in Dir. ind., 2001, 54 e ss.

BALLARINO, Internet nel mondo della legge, 1998, Padova, 196 ss.; cfr., in senso

68

contrario, CARAPELLA-CASSANO, I conflitti tra marchi e nomi a dominio tra pronunce

dei giudici e primi accenni a una risoluzione «virtuale», in Riv. dir. ind., 2000, II,

380-381.

Espressioni riprese dalle due pronunce riportate in nota successiva. Cfr. PEYRON,

69

Nomi a Dominio - Domain Name - e proprietà industriale, un tentativo di conciliazione, in Giur. it., 1997, 697 e ss.; Trib. Parma, 22 gennaio 2001, in GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 452; Trib. Siracusa, 23 marzo 2001, in Giust. civ., 2002, I, 2299. Quest’ultima decisione accosta, in modo del tutto singolare, il domain name ad un’insegna che identifica prodotti e sevizi, e quindi un’insegna indebitamente usata, in quanto il segno svolge piuttosto le funzioni di un marchio.

(29)

Questa affinità fra nome a dominio e insegna fu rilevata per la prima volta, almeno limitatamente al caso di specie ed in via di obiter

dictum, nella motivazione di due provvedimenti piuttosto risalenti . 70 L’occasione fu offerta dalla lite instaurata da una società di servizi turistici contro l’utilizzo contraffattorio del proprio marchio d’impresa come denominazione di un sito internet. Di ciò era chiamata a rispondere la società resistente che, peraltro, operava nel medesimo settore commerciale. Nell’ordinanza cautelare, i giudici milanesi ebbero modo di sottolineare come il nome a dominio avesse assunto, nel caso di specie, un carattere distintivo, essendo idoneo ad identificare l’utilizzatore del sito ed i suoi servizi agli occhi degli utenti. Con quest’osservazione, il provvedimento citato non si discosta molto da altre pronunce rese successivamente: motivo di interesse è invece il tipo di ragionamento seguito, fondato sulla peculiare natura riconosciuta al sito internet: quest’ultimo, secondo i giudici, spesso si configura di fatto come un luogo virtuale in cui l’imprenditore contatta il cliente fino a concludere con esso il contratto . Proprio questa sorta di “estensione metaforica” 71 72 sarebbe in grado di rivelare l’affinità fra nome a dominio, che del sito costituisce appunto la denominazione, e l’insegna, costituendo anch’essa un identificativo di un luogo, benché fisico. Nella decisione qui richiamata, l’equiparazione tra i due segni ha aperto poi la strada alla valutazione della confondibilità su cui si fonda il giudizio di contraffazione.

In altre pronunce, la parificazione, o quantomeno l’affinità fra i segni, appena descritta, ha fatto dedurre che l’eventuale

Trib. Milano 3 giugno 1997, in Giur. it., 697, e Trib. Milano 10 giugno 1997, in Riv.

70

dir. ind., 1998, II, 430.

Espressione fatta propria anche da Trib. Reggio Emilia 30 maggio 2000, in Giur.

71

it., 2001, 96. In termini parzialmente analoghi, anche Trib. Parma 7 dicembre 2000,

in GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 405.

Utilizza questa efficace espressione GARGIULO, L’ultimo nato tra i segni distintivi:

72

(30)

interferenza generata con un’insegna già utilizzata andrebbe risolta alla luce dell'art. 2568 c.c. La disposizione richiama infatti l’art. 2564 c.c., che impone la modificazione o l’integrazione della ditta laddove quest’ultima sia uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e possa creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa è esercitata . 73

Infine, l’equiparabilità all’insegna è stata posta a fondamento di decisioni in cui si è ritenuto che l’impiego di un nome a dominio già utilizzato da altri come segno di altro tipo, integri, ove sia idoneo a generare confusione, un atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c.74

3.4 - l’esclusione della natura distintiva.

Finora si è parlato degli orientamenti che hanno manifestato una certa apertura nel pronunciarsi sulla capacità distintiva esplicata dai domain name e sulla loro equiparabilità agli altri segni disciplinati dal Codice Civile e dal c.p.i. Tuttavia sul tema si è espresso un certo numero di voci, sia in dottrina che in giurisprudenza, che possiamo qui definire “contrarie” solo con l’accortezza di precisare che l’accezione è da riferire non tanto alla diversità di soluzioni offerte, quanto al tipo di analisi della questione, scevra da ogni tentativo generalizzante di ricondurre la fattispecie entro i rigidi schemi degli istituti normativi. Nonostante lo scarso seguito all’interno del dibattito dottrinale, gli orientamenti esposti di seguito hanno il pregio di sottolineare alcuni punti chiave. Così, ponendosi agli antipodi di quanto detto poco supra, alcuni autori si assestano su posizioni di ferma e netta esclusione dell’attribuzione della natura giuridica di segno distintivo al nome a dominio, negando sia la sua presunta

Trib. Modena 23 maggio 2000, in Dir. Inform., 2000, 665.

73

Trib. Ivrea 19 luglio 2000, in Dir. ind., 2001, 177.

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