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~ 233 ~ CAPITOLO II

LE IPOTESI DI REMISSIONE PARZIALE DEI DEBITI DI IMPOSTA NELLA FASE DELLA RISCOSSIONE

1. Dalla c.d. “transazione dei ruoli” all’attuale disciplina sul trattamento dei crediti tributari nell’ambito delle soluzioni concordate della crisi d’impresa; 2. La vexata quaestio dei possibili rimedi giurisdizionali avverso il diniego illegittimo alla proposta di transazione fiscale; 3. Il regime normativo dei crediti tributari nell’ambito delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento dei soggetti non fallibili.

1. Dalla c.d. “transazione dei ruoli” all’attuale disciplina sul trattamento dei crediti tributari nell’ambito delle soluzioni concordate della crisi d’impresa.

Parte della dottrina330 ritiene compatibili con la perdurante vigenza del

principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria istituti quali l’accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale, e la mediazione

330 In particolare, LUPI, R., Manuale di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1999, 82 ss.,

precisa che “l’accertamento con adesione – ma il discorso è estendibile agli altri istituti con analoga ratio, n.d.a. – è senza dubbio atto dispositivo, ma non di un credito quanto di una controversia (potremmo dire di una pretesa contestata o contestabile)”, trattandosi di credito ancora sub iudice con la prospettiva di un contenzioso dall’esito incerto. L’Autore sottolinea, poi, il ruolo della definizione consensuale quale ipotesi di gestione efficiente delle controversie al fine di escludere un conflitto tra indisponibilità del credito tributario e definizione concordata dell’imposta dovuta; cfr. Id., Manuale giuridico professionale di diritto tributario, Ipsoa, 2001, 135.

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fiscale di più recente introduzione, posto che, tramite essi, l’Amministrazione finanziaria non disporrebbe di un credito certo nell’an e nel quantum, poiché si limiterebbe a determinare in modo più ragionevole e accurato la propria pretesa, previa risoluzione, con la partecipazione e il consenso del soggetto passivo d’imposta, di ogni questione controversa inerente al rapporto impositivo.

Più arduo è negare che gli accordi intervenienti nella fase di riscossione del tributo, e comportanti la rinuncia parziale a crediti finanche accertati in via definitiva – quindi sottratti all’alea del giudizio – scalfiscano l’antico monolite dell’indisponibilità, mostrandone le vistose crepe.

Tentativi in questo senso si sono registrati331 ma si tratta, a mio sommesso avviso, di posizioni che, in omaggio ad un forzato dogmatismo, fingono di non accorgersi di come l’irrinunciabilità tout court del credito tributario, quale corollario della presunta intangibilità dei criteri di riparto dei carichi pubblici codificati dalle leggi di imposta, di cui i singoli provvedimenti impositivi costituirebbero attuazione, ha ormai assunto un carattere recessivo rispetto all’economicità dell’agire amministrativo. Quest’ultimo principio, da tempo assurto a presupposto indefettibile del buon andamento della P.A. in ogni settore, e quindi anche nel peculiare comparto della gestione dei tributi, esige che ogni decisione amministrativa venga attentamente ponderata alla stregua di un’analisi comparativa “costi – benefici” che coinvolga tutte le alternative di azione concretamente praticabili, sì da privilegiare quella che, oltre a garantire l’osservanza formale della legge, si palesi come la più opportuna e conveniente sotto il profilo economico – sostanziale.

Ne discende che, così come non è ammissibile che l’Amministrazione finanziaria coltivi ad oltranza una lite che sa di non meritare di vincere,

331 Cfr. MOSCATELLI, M.T., Crisi dell’impresa e debito tributario: riflessioni sulla

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magari appigliandosi ad interpretazioni oltremodo formalistiche delle disposizioni tributarie, è auspicabile che, a fronte di una situazione di crisi conclamata dell’imprenditore – debitore, il Fisco sia incline ad accettare una falcidia anche considerevole del proprio credito quando è fondatamente prevedibile che, in caso di fallimento, le concrete prospettive di realizzo sarebbero addirittura peggiori.

A siffatte conclusioni, oggigiorno abbastanza ovvie, si è però giunti in tempi relativamente recenti.

All’inizio fu la cosiddetta “transazione dei ruoli” di cui all’articolo 3, comma 3, del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, istituto ricordato più per la rilevanza ed innovatività sul piano sistematico – tanto che la dottrina ne salutò l’introduzione parlando di “storica deroga al principio di indisponibilità del

credito erariale”332 – che per la sua diffusione applicativa, in verità piuttosto

scarsa333.

Al dichiarato intento di potenziare l’attività di esazione dei tributi, venne riconosciuto per la prima volta all’Agenzia delle Entrate il potere di transigere i tributi iscritti a ruolo dai propri Uffici nell’ipotesi di accertata maggiore economicità e proficuità rispetto alla riscossione coattiva, a condizione però che, nel corso della procedura esecutiva, il debitore si fosse dimostrato insolvente o fosse stato assoggettato a procedure concorsuali.

Il nomen iuris prescelto si era da subito rivelato atecnico ed impreciso, dal momento che l’istituto non aveva niente da spartire con il suo omonimo “civilistico” (il contratto di transazione regolato dagli artt. 1965 e segg. del

332 Così MASTROGIACOMO, E., “Condono esattoriale” e sottrazione fraudolenta al

pagamento delle imposte, in Il fisco n. 35/2002, fasc. n. 1, 5628.

333 Tra le pochissime imprese che beneficiarono dell’istituto, una considerevole eco

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codice civile), difettando della res litigiosa, attuale o potenziale, siccome avente ad oggetto crediti erariali certi, liquidi ed esigibili334.

Tempo quattro anni e la disposizione fu abrogata per fare spazio al nuovo articolo 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, previsione introdotta nel corpo della legge fallimentare in occasione della riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali recata dal decreto legislativo del 9 gennaio 2006, n. 5, e destinata ad operare, in origine, nell’ambito delle sole procedure di concordato preventivo, per poi essere estesa, di lì a poco, agli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis, l.fall.335.

334 A tal proposito, ROSSI, A., Transazione dei tributi in esecuzione coattiva nei confronti

del debitore insolvente, in Il fisco n. 36/2002, fasc. n. 1, 5697, non ha mancato di evidenziare come “(…) in un’ampia serie di situazioni comunemente riscontrabili nella prassi non sussiste (…) alcuna lite tra le parti, fra l’altro possibile in sede esecutiva solo in limiti assai ristretti non essendo consentita, nella fase di esecuzione coattiva in cui deve intervenire la transazione, l’opposizione prevista dagli artt. 615 e 617 del codice di procedura civile, ovvero la contestazione della regolarità formale del titolo esecutivo o del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata (cfr. art. 57 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602 come sostituito dall’art. 16 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46), sussistendo di fatto solo la pretesa ormai incontroversa dell’Amministrazione finanziaria non soddisfatta dal contribuente per mera mancanza di mezzi economici (…). Tale situazione non integra – per difetto di un elemento essenziale – la fattispecie tipica della transazione. Né si vede, in questo genere comune di situazioni, quali potrebbero essere le concessioni che il contribuente avrebbe la possibilità di fare all’Amministrazione finanziaria a fronte del ridimensionamento della pretesa satisfattoria di questa (…). Il nuovo istituto potrebbe invece ritenersi operante (…) qualora il riferimento allo strumento della transazione effettuato dal legislatore dovesse intendersi in senso generico ed atecnico, ovvero come regolamento convenzionale dell’estinzione dell’obbligazione tributaria, novativo o comunque modificativo di quello originario disciplinato dalla legge”. Si esprime in termini di fattispecie negoziale con effetti estintivi dell’obbligazione d’imposta anche NAPOLI, A., op. cit., loc. cit., mentre MASTROGIACOMO, E., op. cit., 5628, preferisce parlare di “sanatoria” o “condono esattoriale”.

335 Modifica effettuata ad opera del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, recante “Disposizioni

integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80”.

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La ribattezzata “transazione fiscale” offriva alle imprese in crisi la facoltà di formulare, nel piano presentato a supporto del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione, una proposta avente ad oggetto l’adempimento parziale ancorché con effetto integralmente liberatorio, oppure il pagamento semplicemente dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, inclusi quelli non iscritti a ruolo, anche se con alcune importanti limitazioni (i.e. non falcidiabilità dell’Iva e delle ritenute alla fonte operate e non versate; divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari rispetto a quelli assistiti da cause di prelazione di grado inferiore e ai crediti chirografari)336.

La scelta semantica rifletteva il desiderio di continuità, ma al tempo stesso di originalità del nuovo istituto rispetto alla soppressa transazione dei ruoli; da un lato, infatti, veniva mantenuto (impropriamente) il richiamo alla fattispecie negoziale tipica con cui “le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro”, dall’altro, l’impiego dell’aggettivo “fiscale” segnava un orizzonte applicativo, almeno sotto il profilo oggettivo, più ampio di quello circoscritto ai soli carichi esattoriali, in quanto comprendente anche crediti erariali non consacrati in un titolo esecutivo.

È quasi superfluo rilevare che l’accostamento alla transazione di diritto privato si addice maggiormente ad istituti con una più spiccata vocazione deflattiva del contenzioso in subiecta materia, i già citati accertamento con adesione, mediazione e conciliazione giudiziale; tutti strumenti volti a favorire, attraverso il contraddittorio tra Fisco e contribuente, la ricerca di soluzioni

336 Per i complessi profili teorici collegati all’istituto, e per i dubbi di conformità all’art. 53

Cost., si veda, principalmente, FALSITTA, G., Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, cit., 1064; BEGHIN, M., Giustizia tributaria e indisponibilità dell’imposta nei più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, cit., 698; MARINI, G., La transazione fiscale, in Rass. trib., 2010, 1211).

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condivise alle questioni di fatto e di diritto che, rendendo incerta la determinazione qualitativa e quantitativa del presupposto d’imposta, rappresentano o possono rappresentare terreno di scontro in giudizio.

La definizione concordata della res dubia nell’ottica della prevenzione o composizione di una lite, costituisce in effetti il principale tratto caratterizzante tanto del contratto di transazione, quanto del negozio atipico di accertamento, figure alle quali gli strumenti deflattivi del contenzioso tributario sono stati sovente ricondotti da quella parte della dottrina che ne ha individuato la natura giuridica in termini sostanzialmente contrattualistici, qualificandoli alla stregua di “eccezioni” al principio dell’indisponibilità della pretesa tributaria337.

La transazione sui generis disciplinata dall’art. 182-ter l.fall., invece, risalta nel panorama dei moduli amministrativi di ispirazione consensuale perché non

337 Siffatta ricostruzione, che si rifà ad una concezione in chiave negoziale (e, segnatamente,

transattiva) degli istituti precipuamente finalizzati a deflazionare il contenzioso tributario attraverso “concessioni reciproche” delle parti in ordine alla determinazione dell’obbligazione d’imposta, è stata sostenuta, in particolar modo, da BATISTONI FERRARA, F., Accertamento con adesione, cit., 22; RUSSO, P., Manuale, op. cit., 322 ss.; TOSI, L., La conciliazione giudiziale, cit., 885 ss. Per completezza di trattazione, si rammenta che a questa corrente di pensiero se ne affiancano altre, per così dire “non contrattuali”, che muovendo dall’assenza di pariordinazione dei soggetti del rapporto – e quindi della possibilità di fusione delle rispettive volontà (e di disposizione del credito tributario) – giungono a ravvisare nei moduli di attuazione consensuale delle norme tributarie previsti dall’ordinamento, ora i connotati di un atto unilaterale di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, cui si aggiunge, rimanendo però distinta da esso, l’adesione del contribuente quale mera condicio iuris (peraltro necessaria ma non sempre sufficiente) per la sua vincolatività (MARELLO, E., Concordato tributario, in Diz. dir. pubbl., cit., 1134); ora, invece, i caratteri di un atto bilaterale non avente natura contrattuale, siccome diretto all’individuazione concorde della situazione di fatto e di diritto a cui applicare le norme tributarie al fine di superare lo stato di incertezza preesistente, e non a disporre liberalmente del rapporto obbligatorio d’imposta (GALLO, F., La natura giuridica dell’accertamento con adesione, cit., 433); ancora ed infine, le forme e gli effetti di accordi amministrativi non molto dissimili da quelli regolati dall’art. 11 della l. n. 241/1990 (VERSIGLIONI, M., Accordi amministrativi (dir. trib.), in Diz. dir. pubbl., cit., 91).

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è finalizzata ad incidere sulla determinazione della base imponibile, a differenza degli altri istituti richiamati.

Essa, infatti, attiene propriamente alla fase della riscossione, configurandosi come una modalità di estinzione dell’obbligazione tributaria alternativa

all’adempimento completo e puntuale338.

I vantaggi del nuovo istituto per il contribuente, invero, consistevano essenzialmente nel “consolidamento” del debito fiscale, e nella possibilità di estinguere il medesimo con un pagamento in misura ridotta (salvo, come detto, per l’Iva e le ritenute alla fonte non versate) o in forma rateale, anche in deroga alle regole ordinarie.

L’Amministrazione finanziaria, dal canto suo, veniva spronata a “fare la propria parte”, in qualità di creditore istituzionale, nella gestione della crisi d’impresa: non solo la presentazione della proposta transattiva obbligava gli Uffici a quantificare in tempi brevi l’ammontare del credito complessivamente vantato e a renderlo noto, ma li costringeva pure a valutazioni di convenienza senza precedenti, spesso assai complesse, con relativa assunzione di responsabilità dei funzionari addetti339.

338 Cfr. ATTARDI, C., Transazione fiscale: questioni procedurali, effetti sui crediti e sulla

tutela giurisdizionale, in Il fisco, n. 46/2017, I, 4448.

339 Preme tuttavia segnalare che la materia è stata successivamente oggetto di un importante

intervento normativo ad opera dell’art. 29, co. 7, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella l. 30 luglio 2010, n. 122, il quale stabilisce testualmente: “Con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate ai fini della definizione del contesto mediante gli istituti previsti dall’art. 182-ter del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (…) la responsabilità di cui all’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, è limitata alle ipotesi di dolo”. È chiara, pertanto, la volontà del legislatore di circoscrivere all’estremo limite del dolo (e non anche della colpa grave) la responsabilità dei funzionari chiamati a compiere scelte che potrebbero avere conseguenze molto pregiudizievoli – in termini patrimoniali – per l’Amministrazione e, dunque, potenzialmente produttive di ingenti danni erariali, al fine di consentire loro di porre in essere quelle decisioni ed agevolare, dunque, le soluzioni concordate delle crisi d’impresa.

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Per di più, alle Agenzie fiscali, al di là della facoltà di aderire o meno alla proposta del debitore, non era attribuito un “potere di veto”, nel senso che la sorte del credito tributario veniva a dipendere dalla decisione della maggioranza dei creditori, con la conseguente eventualità, tutt’altro che remota, dell’imposizione di una falcidia nonostante il parere contrario dell’Erario340. Si è quindi assistito ad una sostanziale equiparazione delle ragioni creditorie del Fisco a quelle degli altri creditori, sul piano del trattamento, nell’ambito delle forme di gestione concordata delle situazioni pre–dissesto. È stato peraltro evidenziato come l’art. 182-ter l.fall. abbia rappresentato l’ultimo tassello di un processo normativo che, nell’ottica di agevolare il superamento delle crisi aziendali, la prosecuzione delle attività economiche e la salvaguardia dei livelli occupazionali, ha inteso accordare particolari incentivi fiscali a coloro che, avendone i requisiti, si avvalgono degli strumenti di soluzione pattizia della crisi d’impresa: chiaro esempio di utilizzo della leva fiscale per la realizzazione di finalità extrafiscali341.

340 Cfr. Cass., 22.3.2010, n. 6901; Id., 4.11.2011, nn. 22931 e 22932; in senso contrario si

veda Circ. Ag. entrate, 18.4.2008, n. 40, in Il fisco, 2008, 1, 3299. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha precisato che la pretesa fiscale può subire un pregiudizio in ragione delle regole e degli esiti del voto previsti per la generalità dei creditori (anche se una parte della dottrina tende a sottolineare l’effetto del consolidamento; cfr. DEL FEDERICO, L., La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, cit., 229; RANDAZZO, F., Il consolidamento del debito tributario nella transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, 837) in quanto sono collocati sullo stesso piano i diritti patrimoniali dei privati ed il credito tributario in forza di un’applicazione rigorosa del principio della par condicio creditorum.

341 Si consideri il concordato preventivo, cui sono dedicati sia l’art. 86, comma 5, che l’art.

88, comma 4-ter, del T.u.i.r., concernenti la non imponibilità, rispettivamente, delle plusvalenze derivanti da cessioni di beni nell’ambito del concordato e delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti (previsione quest’ultima successivamente estesa, pur con alcuni limiti, anche agli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis e ai piani attestati di risanamento di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), l. fall.; cfr. TINELLI, G., Il regime fiscale del concordato preventivo; FICARI, V., Problematiche fiscali degli accordi di ristrutturazione e relative evoluzioni normative; CARPENTIERI, L., I profili fiscali dei piani attestati di risanamento, tutti in Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, 855, 907, 917).

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I suddetti lineamenti di fondo dell’istituto sono rimasti pressoché immutati, nonostante i numerosi problemi incontrati in sede di concreta applicazione abbiano reso necessari frequenti ritocchi al complessivo impianto dell’articolo 182-ter.

Questi i tratti salienti della disposizione, nella formulazione risultante dall’ultimo restyling operato dall’art. 1, co. 81, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017)342:

- la rubrica dell’articolo è cambiata da “transazione fiscale” a “trattamento dei crediti tributari e contributivi”, a sottolineare che il procedimento ivi disciplinato è obbligatorio ogniqualvolta il contribuente intenda proporre il pagamento in misura ridotta o ripartito nel tempo dei debiti verso il Fisco nell’ambito delle procedure di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis l.fall.

Con un esercizio di interpretazione autentica, la legge di bilancio per il 2017 ha posto fine al dibattito sulla natura, obbligatoria o facoltativa, della transazione fiscale. L’obbligatorietà era sostenuta da chi riteneva che l’istituto avesse la funzione di contemperare il principio di indisponibilità del credito di imposta con il principio di buon andamento della Pubblica

342 Intervento normativo, quest’ultimo, fortemente auspicato dal mondo professionale nel

documento “Il contributo del CNDCEC alla riforma della crisi d’impresa. Profili tributari” presentato alla “Commissione Rordorf” istituita dal Ministro della Giustizia. Sul tema in dottrina cfr. ex pluris DAMI, F., Il nuovo art. 182-ter l.f. Dalla transazione fiscale al trattamento dei crediti tributari e contributivi, in AA.VV., Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e 2016, diretto da Ambrosini, S., Bologna, 2017, 970 ss.; ALLENA, M., La transazione fiscale nell’ordinamento tributario, op. cit.; ANDREANI G. - TUBELLI A., Trattamento “speciale” per i crediti tributari nel concordato preventivo, in Il fisco, 2017, 432; PAPARELLA, F., Il nuovo regime dei debiti tributari di cui all’art. 182-ter L.F.: dalla transazione fiscale soggettiva e consensuale alla retrogradazione oggettiva, in Rass. trib., 2018, 317 ss. e SPADARO, M., Il trattamento dei crediti tributari e contributivi secondo il nuovo art. 182-ter l.fall., in Il fallimento, 2018, 7 ss.

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Amministrazione 343 . Secondo questa impostazione, l’art. 182-ter,

nell’individuare i limiti e le condizioni per poter richiedere la riduzione e/o rateazione dei debiti tributari, riflette la volontà dell’ordinamento di preferire, nel peculiare contesto delle soluzioni concordate delle crisi d’impresa, la controllata, parziale subordinazione dell’interesse fiscale ad altri valori costituzionalmente tutelati344.

A favore della facoltatività dello strumento transattivo – concepito come speciale sub-procedimento passibile di innesto nella “generale” procedura di concordato preventivo – si era invece espressa la Corte di Cassazione con le note sentenze “gemelle” nn. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011 e, da ultimo, con le pronunce rese a sezioni unite n. 26988 del 27 dicembre 2016 e n. 760 del 13 gennaio 2017, nonché con la recentissima ordinanza n. 26639 del 22 ottobre 2018345.

Con gli arresti del 2011, il giudice di legittimità, muovendo dagli effetti tipici dell’istituto così come indicati nella primigenia formulazione dell’art. 182-ter l.fall (consolidamento del debito tributario, inteso come cristallizzazione della pretesa e conseguente liberazione del contribuente dal rischio di successivi accertamenti sui tributi concordati; estinzione dei giudizi pendenti aventi ad oggetto i medesimi tributi per cessazione della materia del contendere), concludeva che, al di fuori del procedimento ivi regolato, il debitore potesse avanzare una proposta di riduzione o di dilazione dei debiti tributari come per

343 Cfr. ATTARDI, C., Sul carattere necessario del procedimento amministrativo di

transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2012, I, 553.

344Così Agenzia delle entrate, Circolare n. 40 del 2008; nel senso dell’obbligatorietà del

procedimento previsto dall’art. 182-ter l.fall. in tutte le ipotesi di concordato preventivo, anche la Circolare 23 luglio 2018, n. 16/E.

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qualunque altro debito – ferma restando l’intangibilità dell’Iva – ovviamente rinunciando agli effetti tipici collegati alla transazione fiscale346.

Di contro, con l’ultimo intervento di riforma dell’art. 182-ter, si è voluta escludere espressamente la possibilità per l’imprenditore in stato di crisi di ricorrere ad altre modalità operative per negoziare la falcidia o la rateazione dei tributi e dei relativi accessori amministrati dall’Agenzia delle Entrate347.

In dottrina vi è chi348 ritiene che con l’eliminazione, dalla rubrica e dai primi

quattro commi dell’art. 182-ter l.fall., di ogni elemento testuale che potesse far pensare alla natura consensuale e transattiva dell’istituto, il legislatore abbia inteso sottrarre il trattamento dei crediti tributari, almeno con riguardo al concordato preventivo, alla negoziazione tra le parti per assoggettarlo al principio endoconcorsuale dell’oggettiva capienza dell’attivo del debitore. Permane, invece, una certa autonomia degli uffici nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis ove, coerentemente con la natura di tali strumenti, il consenso dell’Amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali deve essere deliberato e manifestato mediante sottoscrizione dell’atto negoziale da parte del direttore dell’ufficio e dell’agente della riscossione.

Non è un caso, forse, che solo nei commi 5 e 6 del riformulato art. 182-ter, relativi per l’appunto agli accordi di ristrutturazione, il legislatore ha

346 Per un commento cfr. NICOLETTI, F., La natura “opzionale” della transazione fiscale e

il necessario soddisfacimento dell’Iva nel concordato preventivo, in Il fisco, n. 9/2012, 1289. Circa la possibilità, nel vigore del “vecchio” art. 182-ter, di ricorrere alla transazione fiscale anche limitatamente ad alcuni tributi o contributi per i quali il proponente intendeva conseguire il beneficio del consolidamento, v. Cass. 22 settembre 2016, n. 18561, in Corr. trib., 2017, 3, 184.

347 Le stesse regole valgono per i tributi e i relativi accessori di competenza delle altre

agenzie fiscali, nonché per i contributi e i relativi accessori amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.

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mantenuto la locuzione “transazione fiscale” ed ha continuato ad utilizzare i

termini “adesione” ed “assenso” alla proposta349.

- E’ stato rimosso il divieto di prevedere, mediante la transazione fiscale, il soddisfacimento soltanto parziale, ma con effetto integralmente liberatorio, dei crediti erariali per Iva e ritenute alla fonte operate e non versate350; passività delle quali, in precedenza, era imposto il pagamento integrale, seppur dilazionabile.

È venuto meno, pertanto, uno dei grossi limiti che caratterizzavano l’istituto, l’infalcidiabilità dell’Iva, la cui ratio giustificatrice veniva ricondotta alla necessità di non contravvenire alla “normativa comunitaria che vieta agli stati membri di disporre una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e verifica” relativamente al tributo

armonizzato351. Esigenza, questa, che alla luce della nota sentenza della Corte

349 Sul diverso atteggiarsi dell’istituto nei due contesti concordatari si veda ROSSI, P.,

L’ambito applicativo della “nuova” transazione fiscale, e Id., Il trattamento dei crediti tributari nel concordato e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, entrambi documenti di ricerca della Fondazione nazionale dei commercialisti, rispettivamente del 4 maggio 2018 e del 20 febbraio 2019.

350 L’equiparazione tra il credito erariale per Iva e quello per le ritenute alla fonte trattenute

dall’impresa e non versate risiedeva probabilmente nel fatto che queste ultime, al pari dell’Iva, non costituiscono un tributo a carico dell’impresa debitrice, la quale è tenuta al versamento delle stesse all’Erario non in qualità di soggetto passivo d’imposta, ma come “sostituto d’imposta” che interviene per legge nella riscossione del tributo. E proprio in questo senso si è espressa l’Agenzia delle entrate con la Circolare 6 maggio 2015, n. 19/E, rilevando che le ritenute operate e non versate costituiscono somme che attengono al lavoratore/sostituito e non all’imprenditore/sostituto d’imposta, il quale può trattenerle al solo scopo di riversarle allo Stato. Tuttavia, come da taluno osservato (ANDREANI, G. - TUBELLI, A., Come rendere più efficace la transazione fiscale, in Il fisco n. 13 del 2016, I, 1256), dal mancato versamento all’Erario dell’Iva e delle ritenute alla fonte non sembra possa derivare, per il Fisco, un danno superiore a quello cagionato dall’omesso versamento di imposte “proprie” dell’impresa, sicché l’intangibilità di tali crediti erariali, in special modo delle ritenute alla fonte operate e non versate, per le quali nessun vincolo di matrice sovranazionale poteva rinvenirsi, è sempre risultato di non facile comprensione.

351 Cfr. Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del D.L. 29 novembre 2008,

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di Giustizia dell’Unione Europea del 7 aprile 2016, resa nella causa C-546/14 (c.d. “sentenza Degano Trasporti”)352, non pareva più sussistere, tanto da indurre il Parlamento nazionale a prevedere, nella legge delega per la riforma

della crisi di impresa e dell’insolvenza353, che l’Esecutivo tenesse conto delle

pronunce della C.G.U.E. nel disciplinare il trattamento del credito Iva nell’ambito della procedura di concordato preventivo.

In base ai principi affermati dalla Corte di Lussemburgo, le norme europee in materia di imposta sul valore aggiunto non ostano ad una normativa nazionale che consenta ad un imprenditore in stato di insolvenza di presentare una domanda di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito Iva, purché un esperto indipendente attesti che tale fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 182-ter l.fall. sollevata dal Tribunale di Verona, sul presupposto che “è la natura dell’Iva quale “risorsa propria” dell’Unione Europea a spiegare i vincoli per gli Stati membri nella gestione e riscossione dell’imposta, come pure l’inderogabilità della disciplina interna del tributo e, nella specie, la formulazione dell’art. 182-ter della legge fallimentare, che, in ossequio al principio dell’indisponibilità della pretesa tributaria all’infuori di specifica previsione normativa che ne preveda la rideterminazione, ha escluso la falcidiabilità del credito Iva in sede di transazione fiscale, consentendone soltanto la dilazione del pagamento”. Corte costituzionale 11 novembre 2015, n. 232, aveva poi ribadito tale orientamento dichiarando la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 160 e 182-ter l.fall. sollevata sempre dal Tribunale di Verona.

352 Corte di giustizia UE, 7 aprile 2016, causa C-546/14, in Corr. trib., 2016, 1555 ss., con

nota di FICARI, V., La Corte UE ammette la riduzione dell’IVA mediante transazione fiscale.

353 Legge del 19 ottobre 2017, n. 155, art. 6, comma 1, lett. p), relativo ai principi e criteri

direttivi per il riordino della disciplina del concordato preventivo. Va tuttavia rammentato che, nel frattempo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 27 dicembre 2016, n. 26988, avevano aperto la strada alla possibilità di falcidia dell’Iva nell’ipotesi di domanda di concordato preventivo non accompagnata da una proposta di transazione fiscale, affermando che la regola dell’infalcidiabilità – in quanto norma eccezionale, stante la generale falcidiabilità dei crediti privilegiati nell’ambito del concordato preventivo, stabilita dall’art. 160, co. 2, l.fall. – operava solo in caso di ricorso alla speciale procedura prevista dall’art. 182-ter l.fall. (principio ribadito a stretto giro da Cass., sez. un., 13 gennaio 2017, n. 760).

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debito non riceverebbe un trattamento migliore in caso di fallimento (in tal modo garantendo che non si tratti di una “rinuncia generale ed indiscriminata” alla riscossione dell’Iva).

A queste condizioni la possibilità di falcidia dell’Iva risulta altresì compatibile con la normativa eurounitaria in tema di divieto di aiuti di Stato; l’aiuto, infatti, per essere considerato compatibile con il mercato comune deve essere strumentale al conseguimento di finalità di pubblico interesse, qual è, nel caso della transazione fiscale, l’interesse per una efficiente azione amministrativa in termini di massimizzazione del gettito, considerato lo stato di crisi dell’imprenditore354.

Pertanto, prima che il giudice delle leggi ne dichiarasse l’incostituzionalità, l’unico limite legale alla falcidia dell’Iva era contenuto nella disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento, a norma dell’art. 7, comma 1, della l. n. 3/2012 (sulla quale si veda infra).

Per effetto delle ultime modifiche apportate al testo dell’art. 182-ter l.fall., la disposizione ha assunto un ambito di applicazione generale con riferimento ai tributi erariali, a quelli gestiti ex lege dall’Agenzia delle Entrate (ad es. Irap e addizionali all’Irpef) e ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, accessori inclusi355.

Il parametro adottato dal legislatore per stabilire i tributi oggetto del trattamento delineato dal “rivisto” art. 182-ter è quello relativo alla gestione anziché alla spettanza del gettito. La norma continua a non trovare applicazione ai tributi locali, quali Imu, Tasi, Tari, Tosap, ecc., la cui sorte, in

354 Per un excursus completo della vicenda processuale culminata nella pronuncia dei

giudici europei, cfr., anche, ALLENA, M., op. ult. cit., 111-117.

355 Sul punto si veda BAGAROTTO, E.M., L’ambito oggettivo di applicazione della

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sede di concordato preventivo, rimane quindi assoggettata alla disciplina generale di cui all’art. 160 l.fall.356.

Tuttavia, allo stato della legislazione vigente, nulla vieta che una Regione, una Provincia o un Comune attribuisca per convenzione il potere di gestione dei propri tributi alle Agenzie fiscali ai sensi dell’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 300 del 1999, con la conseguenza che, divenendo tributi “amministrati dalle Agenzie”, gli stessi potranno essere trattati a norma dell’art. 182-ter357. Circostanza, questa, che rende ancor più irragionevole, dal punto di vista costituzionale, l’esclusione dei tributi amministrati dagli enti locali dall’ambito di operatività della transazione fiscale, tanto più che la procedura di composizione negoziale della crisi da sovraindebitamento di cui alla l. n. 3/2012 – sostanzialmente assimilabile alle soluzioni concordate della crisi d’impresa – abbraccia anche i tributi locali358.

Quanto alla nozione di “accessorio al tributo”, essa ricomprende, oltre agli interessi, le indennità di mora e le sanzioni amministrative collegate a violazioni tributarie che, a prescindere dalla loro diversa natura, sono tutte soggette, per quanto riguarda la loro transigibilità, al principio accessorium sequitur principale359.

- La falcidia dei crediti tributari è ammessa a condizione che il piano concordatario ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione del patrimonio del debitore. Tale valutazione di convenienza

356 Cfr. Ag. entrate, Circ. n. 40/E del 2008, posizione confermata nella Circ. n. 19/E del 2015. 357 Cfr. ROSSI, P., L’ambito applicativo della “nuova” transazione fiscale, cit., par. 3.1. 358 Sul tema si veda GIOE’, C., La transazione fiscale in materia di tributi locali, in Rass.

trib., 2011, I, 108 ss.

359 In questo senso si è espressa anche l’Agenzia delle entrate con la Circ. n. 40/E del 2008 e,

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deve essere effettuata avendo riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste l’eventuale causa di prelazione360.

E’ importante sottolineare che, ai fini della previsione del grado di soddisfazione dei crediti tributari ottenibile in caso di fallimento, non assume rilevanza l’esito di possibili azioni revocatorie o di responsabilità astrattamente idonee ad incrementare l’attivo, ma solamente il ricavato conseguibile mediante la liquidazione dei beni del debitore.

Per converso, l’Agenzia delle entrate ha da ultimo precisato che, nel valutare la preferibilità dell’ipotesi concordataria rispetto all’alternativa fallimentare, l’attestatore dovrà tenere conto anche del maggiore apporto patrimoniale, rappresentato dai flussi o dagli investimenti generati dalla eventuale continuità aziendale, oppure ottenuto all’esito dell’attività liquidatoria gestita in sede concordataria, che non costituisce una risorsa economica nuova, ma deve essere considerato finanza endogena, in quanto, ai sensi dell’art. 2740 c.c. l’imprenditore è chiamato a rispondere dei debiti assunti con tutti i propri beni, presenti e futuri361.

Allo scopo di semplificare il giudizio prognostico del Fisco e di conferire serietà e credibilità alla proposta, la legge impone che il valore di mercato degli assets risulti da una relazione di stima redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d), l.fall.

360 Derivante, ad esempio, da ipoteca iscritta a favore dell’Amministrazione finanziaria ai

sensi dell’art. 22 del d.lgs. n. 472/1997 o da privilegio.

361 Così la Circolare n. 16/E/2018, par. 5.1.2.. ove, in nota, è riportato un passaggio della

sentenza n. 9373/2012, in cui la Suprema Corte si è occupata della necessità di rispettare o meno la regola di cui all’art. 160, comma 2, l.fall. con riguardo all’apporto finanziario del terzo che costituisce la fattispecie tipica di “finanza esterna”. Per i rilievi critici a tale orientamento si rimanda a: ANDREANI G. – TUBELLI, A., La posizione dell’Agenzia delle entrate sulla “transazione fiscale”: pregi e difetti, in Il fisco, 2018, spec. 3243 ss.; ANDREANI, G., I “chiarimenti” dell’Agenzia delle entrate sulla “transazione fiscale”, in Il fallimentarista, 2018; ROSSI, P., Il trattamento dei crediti tributari nel concordato e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., par. 2.1.

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Ai sensi di tale disposizione, il professionista incaricato di rilasciare le attestazioni prescritte dalla legge fallimentare deve essere iscritto nel registro dei revisori legali ed essere indipendente. Egli, pertanto, non può essere legato all’impresa committente ovvero a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento, ristrutturazione del debito o concordato, da rapporti di natura personale o professionale tali da compromettere l’indipendenza di giudizio. In ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 c.c. e non deve aver prestato, neanche per il tramite di soggetti con il quale è unito in associazione professionale, negli ultimi cinque anni, attività di lavoro dipendente o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione e controllo.

La relazione di stima richiesta dall’art. 182-ter, comma 1 (che ricalca la formula di cui all’art. 160, comma 2, l.fall.), può essere redatta dallo stesso professionista designato dal debitore per rendere l’attestazione “generale” di cui all’art. 161, comma 3, l.fall. Così, come non è necessario far ricorso a due professionisti, è parimenti possibile la presentazione di un’unica relazione riportante, oltre al giudizio in merito alla veridicità dei dati aziendali e alla fattibilità del piano concordatario, anche il confronto tra i prevedibili esiti della procedura di concordato preventivo e della liquidazione fallimentare per i creditori interessati dalla falcidia, dalla quale emerga che la prima ipotesi soddisfi l’Amministrazione finanziaria in misura superiore rispetto alla seconda362.

Nelle fasi propedeutiche alla stipula degli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis, il ruolo dell’attestatore è ancor più delicato e complesso; questi, infatti, non deve limitarsi a confrontare il pagamento offerto dal debitore con

362 Cfr., sul tema, il documento CNDCEC del 23 febbraio 2009 “La relazione giurata

estimativa del professionista nel concordato preventivo e nel concordato fallimentare”. In tal senso anche la Circolare n. 16/E/2018, par. 5.1.2., e ANDREANI G. – TUBELLI, A., op. ult. cit., 3241 ss.

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la soddisfazione che i crediti fiscali riceverebbero nella (sola) ipotesi fallimentare, ma dovrà valutare la convenienza del trattamento proposto rispetto a tutte le “alternative concretamente praticabili”; elemento che deve costituire oggetto di specifica valutazione anche da parte del Tribunale.

Ciò comporta un accertamento decisamente più ampio di quello previsto nel primo comma dell’art. 182-ter, dovendo estendersi a qualunque soluzione prospettabile (come, ad es., la liquidazione ordinaria, il concordato liquidatorio, l’esperimento di eventuali azioni esecutive individuali da parte dell’agente della riscossione, il fallimento), purché concretamente attuabile alla luce delle specifiche condizioni in cui versa l’impresa debitrice al momento della formulazione della proposta.

Più che nell’ambito del concordato preventivo, le attestazioni rese dal professionista incaricato in relazione all’accordo di ristrutturazione dei debiti hanno dunque la finalità di “certificare” che il pagamento offerto dal debitore rappresenti per l’Amministrazione finanziaria il miglior risultato conseguibile, in linea con le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia U.E. con la sentenza del 7 aprile 2016 nella causa C-564/14.

Preme tuttavia rilevare che il primo comma dell’art. 63 del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza)363, disciplinante l’istituto della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di ristrutturazione di cui agli artt. 57, 60 e 61 del medesimo codice, ha previsto che il giudizio di convenienza rimesso all’attestatore, ed oggetto di specifica valutazione da parte del Tribunale, non sia più riferito genericamente alle “alternative concretamente praticabili”, ma riguardi il confronto (come nel caso del concordato) con la sola liquidazione giudiziale.

- Permane il divieto di offrire all’Erario un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai creditori di rango pari o inferiore. La proposta che il

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debitore rivolge all’Amministrazione finanziaria deve infatti prevedere, per i crediti tributari privilegiati, condizioni (in termini di percentuale di soddisfo, tempi di pagamento ed eventuali garanzie) non meno vantaggiose di quelle offerte ai creditori con grado di privilegio inferiore e, per i crediti tributari chirografari, il medesimo trattamento proposto agli altri creditori chirografari o, nel caso di suddivisione in classi, a quelli tra essi cui sono riservate le condizioni più favorevoli. Inoltre, è obbligatorio l’inserimento in un’apposita classe di chirografo della quota di credito tributario privilegiato oggetto di falcidia.

Tale ultima previsione ha generato non pochi dubbi interpretativi (ed applicativi). La questione nodale è se la quota di credito privilegiato degradata a chirografo, per effetto del pagamento parziale proposto, debba trovare collocazione in una classe distinta rispetto al credito chirografario ab origine oppure se vi può o deve essere commistione – e quindi uniformità di

trattamento – tra queste due componenti del complessivo credito tributario364.

Nel senso dell’equiparazione, dal punto di vista del trattamento, della porzione di credito prelatizio degradata a chirografo alla restante massa chirografaria, depongono sia la disciplina vigente in materia di concordato (art. 177, comma 3, l.fall.), sia l’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 88 del Codice della crisi d’impresa365.

364 Il tema è stato affrontato, in particolare, da ATTARDI, C., Transazione fiscale: questioni

procedurali, effetti sui crediti e sulla tutela giurisdizionale, cit., 4448 ss., spec. 4450 e 4451, il quale propende per l’opzione ermeneutica che porta a distinguere il chirografo tributario conseguente a degradazione per incapienza dell’attivo al credito chirografario per natura.

365 Tesi condivisa anche dall’Agenzia delle entrate nella Circolare n. 16/E/2018, par. 5.1.1.,

ove è stato affermato che le regole disciplinanti i crediti tributari e contributivi di natura chirografaria ab origine, dettate dal comma 1, dell’art. 182-ter, “trovano applicazione anche con riferimento ai crediti privilegiati divenuti chirografari per effetto della degradazione”. Nello stesso paragrafo viene altresì precisato che, a seguito della modifica di cui al d.l. n. 83/2015, anche alla parte di credito degradata a chirografo deve essere assicurato il pagamento nella misura di almeno il venti per cento dell’ammontare complessivo, così come previsto, in generale, per i crediti chirografari dall’art. 160, comma 4, l.fall.

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- sul piano procedimentale, gli adempimenti conseguenti alla presentazione della proposta di cui al primo comma dell’art. 182-ter sono curati, per quanto attiene ai tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, dall’ufficio competente in base all’ultimo domicilio fiscale del contribuente, anche se diverso da quello (o quelli) che ha(nno) formato gli atti impositivi e i titoli esecutivi. Trova quindi applicazione il generale criterio di ripartizione della competenza tra gli uffici dell’Agenzia delle entrate previsto dall’art. 31,

comma 2, del d.p.r. n. 600 del 1973366367, con la particolarità che, essendo il

procedimento in esame non autonomo, ma inscindibilmente legato alla procedura concorsuale di concordato preventivo o all’attività negoziale finalizzata alla stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti con uno o più creditori, occorre fare riferimento, per l’attribuzione della competenza, al domicilio fiscale corrente, rispettivamente, alla data di pubblicazione del ricorso per l’ammissione alla procedura (art. 161, comma 5, l.fall.) e alla data di presentazione della proposta transattiva.

É all’ufficio ut supra individuato che deve essere presentata copia della domanda di concordato contenente la proposta di accordo sui crediti di natura fiscale, in uno con la documentazione richiesta dall’art. 161 l.fall., “contestualmente” al deposito presso il Tribunale.

Tra i documenti da allegare alla domanda figurano anche le dichiarazioni fiscali per le quali non sia già pervenuto l’esito dei controlli automatici e le

366 Fermo restando, in caso di variazione del domicilio fiscale, il rispetto del termine di

sessanta giorni previsto dall’art. 58, comma 5, del medesimo d.p.r. n. 600 del 1973, ai fini dell’opponibilità di tale variazione.

367 Nel caso in cui il soggetto proponente sia qualificabile come “grande contribuente” sulla

base dei dati (volume d’affari, ricavi o compensi) indicati nell’ultima dichiarazione fiscale presentata anteriormente alla pubblicazione del ricorso per l’ammissione al concordato preventivo ovvero alla presentazione della proposta di transazione fiscale, la competenza a gestire il procedimento deve ritenersi attribuita alla Direzione Regionale per effetto dell’art. 27 del d.l. n. 185 del 2008, convertito con modificazioni dalla l. n. 2 del 2009.

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dichiarazioni integrative relative al periodo intercorrente fino alla data di presentazione della domanda.

Alla proposta di transazione fiscale avanzata nei preliminari dell’accordo di ristrutturazione, a norma dell’art. 182-bis, va altresì allegata la dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante, attestante la fedele e integrale rappresentazione della situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio.

L’attività amministrativa innescata dall’avvio del procedimento transattivo consta della liquidazione anticipata dei tributi risultanti dalle dichiarazioni non ancora sottoposte al controllo automatizzato di cui agli artt. 36-bis del d.p.r. n. 600/1973 e 54-bis del d.p.r. n. 633/1972, della notifica dei relativi avvisi di irregolarità, nonché del rilascio di una certificazione sull’entità del debito

derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi368, per la parte non

già affidata per l’esazione, e da ruoli vistati ma non ancora consegnati all’agente della riscossione.

Stando alla lettera del secondo comma dell’art. 182-ter, tutte le operazioni suddette devono essere completate entro trenta giorni dalla data di

presentazione della domanda di concordato369.

368 Ai fini della corretta quantificazione del credito tributario in presenza di atti di

accertamento con adesione, di mediazione o di conciliazione giudiziale già perfezionati e con pagamento dilazionato in corso di esecuzione alla data di pubblicazione del ricorso (nell’ipotesi di concordato preventivo) oppure alla data di presentazione della proposta di transazione (nell’ipotesi di accordo di ristrutturazione dei debiti), la certificazione conterrà la somma complessiva che è risultata dovuta in base all’accordo raggiunto, al netto delle rate già versate.

369 Il legislatore, però, nulla dice in ordine alla conseguenze del mancato rispetto del termine

de quo. Secondo ATTARDI, C., op. ult. cit., par. 4, sarebbe irragionevole, poiché sproporzionato, ritenere che, decorso inutilmente tale termine, la mancata trasmissione della certificazione sui carichi pendenti equivalga ad una certificazione negativa, ossia ad una dichiarazione di inesistenza di posizioni debitorie, alla stregua, ad esempio, di quanto previsto dall’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 472/1997, nel caso di cessione di azienda.

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Il medesimo ufficio competente all’istruttoria ha altresì il compito di manifestare all’esterno la posizione dell’Agenzia in merito alla proposta del debitore, una volta assunta la relativa determinazione, di concerto con l’organo gerarchicamente sovraordinato, stante la necessità del “parere conforme” della Direzione regionale competente.

L’agente della riscossione, dal canto suo, è tenuto a rilasciare apposita certificazione370 attestante l’entità del debito iscritto a ruolo o comunque oggetto di affidamento a fronte di provvedimenti impoesattivi, fermo restando che la sua partecipazione alla votazione della proposta concordataria (o alla stipula dell’accordo di ristrutturazione con annessa transazione fiscale), è limitata ai soli oneri di riscossione di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 112/1999; spetta, infatti, all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, per quanto detto, la legittimazione a pronunciarsi relativamente al credito tributario complessivo. - è stato eliminato ogni riferimento ai cosiddetti “effetti tipici” della

transazione fiscale, previsti nella precedente formulazione dell’art. 182-ter371:

il consolidamento del debito tributario e la correlata cessazione delle liti fiscali pendenti, che qualche interrogativo avevano sollevato sul piano ermeneutico.

370 Successivamente all’emissione del decreto di ammissione alla procedura di concordato

preventivo, copia degli avvisi di irregolarità e delle certificazioni rese dall’Amministrazione finanziaria e dall’agente della riscossione deve essere trasmessa al commissario giudiziale per gli adempimenti previsti dagli artt. 171, primo comma (verifica dell’elenco dei creditori e dei debitori), e 172 (predisposizione della relazione particolareggiata) della legge fallimentare.

371 L’identica sorte toccata ai due effetti derivanti dal perfezionamento della transazione

fiscale nel vigore del “vecchio” art. 182-ter (consolidamento del debito fiscale e cessazione delle liti tributarie pendenti) sembra oggi avvalorare la tesi di quanti, come ANDREANI G. e TUBELLI, A., Come rendere più efficace la transazione fiscale, cit., par. 5, ne ravvisavano lo stretto nesso funzionale, essendo entrambi volti a “fotografare” il debito tributario maturato con certezza in un dato momento, anche sul piano processuale, in modo da assicurare la compiuta definizione delle pretese erariali e, dunque, la quantificazione certa dei debiti tributari.

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In ordine al primo aspetto, particolarmente problematica si era dimostrata l’individuazione del corretto significato da attribuire alla locuzione impiegata, ove il termine “consolidamento”, riferito al debito fiscale complessivo, sembrava evocare la determinazione definitiva e immodificabile della pretesa erariale, con relativa immunità del contribuente da successive contestazioni per le annualità “cristallizzate”; interpretazione che, se confermata, avrebbe comportato conseguenze preclusive di incerta portata all’esercizio dell’attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria, con riguardo ai tributi e ai periodi di imposta oggetto di transazione fiscale372.

372 Sul tema la dottrina è da subito apparsa divisa tra chi riteneva sussistere un’inibizione

“assoluta” all’ulteriore esercizio della potestà impositiva in ordine ai tributi e alle annualità interessati dalla transazione fiscale – con conseguente impossibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di rettificare in aumento l’ammontare dei propri crediti, una volta condivisi i termini della proposta transattiva – (si vedano, ex multis, STASI, E., La transazione fiscale dal punto di vista del giudice tributario, in Il fallimento, 2014, 1222 ss.; CAPOLUPO, S., La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, in Il fisco, n. 20/2016, 3015; FAUCEGLIA, A., La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo, in Diritto fallimentare, n. 6/2009, II, 496; GAFFURI, G., Aspetti problematici della transazione fiscale, in Rass. trib., n. 5/2011, 1122; GIORDANO, A., Effetti della transazione fiscale “fuori” e “dentro” il concordato preventivo, in Diritto fallimentare, n. 5/2011, II, 539) e chi, viceversa, considerava precluse soltanto le attività di mera liquidazione delle imposte, restando impregiudicati gli ordinari poteri di controllo sostanziale e di accertamento (in questo senso si vedano, ex multis, DEL FEDERICO, L., op. ult. cit., 230; LA ROSA, S., Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei tributi, cit., 330; RANDAZZO, F., op. cit., 825; STEVANATO, D., Transazione fiscale, in Commentario alla legge fallimentare, Milano, 2010, 843 ss.). Le due diverse correnti di pensiero erano state richiamate dalla Corte di Cassazione nell’ambito delle note sentenze nn. 22931 e 22932 del 2011, senza tuttavia che la questione venisse risolta in maniera univoca dal giudice di legittimità (si segnala, ad ogni buon conto, Cass., 22 settembre 2016, n. 18561, cit., secondo la quale il consolidamento comportava la cristallizzazione del debito tributario – dovendosi ritenere che l’Amministrazione non potesse più emettere atti impositivi nei confronti del contribuente in relazione ad obbligazioni tributarie precedenti al deposito della proposta di concordato – e quindi la determinazione in via definitiva di tutte le pretese fiscali). Diversamente hanno fatto le Corti di merito occupatesi del problema, secondo cui l’effetto del “consolidamento del debito fiscale” avrebbe dovuto configurarsi come impedimento per il Fisco all’esercizio dei propri poteri accertativi in ordine ai rapporti tributari oggetto di transazione fiscale (cfr. Trib. Pescara, 2 dicembre 2008; Trib. Bologna, 24 marzo 2009; Trib. La Spezia, 2 luglio

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La modifica normativa ha quindi avuto il merito di chiarire, una volta per tutte, che la “certificazione del credito tributario” si configura quale attività finalizzata ad evidenziare l’esatta quantificazione e composizione del credito vantato dall’Agenzia ai fini della verifica della corrispondenza a quanto dichiarato dal debitore e dell’incidenza del diritto di voto, nonché ai fini delle valutazioni circa la congruità del trattamento economico proposto, senza pregiudicare l’ulteriore esercizio dell’azione accertatrice, atteso che gli uffici possono procedere all’emissione di atti impositivi anche successivamente a tale certificazione.

Qualora la notifica di un ulteriore avviso di rettifica o di accertamento avvenga nel termine entro il quale è prevista la possibilità di modificare la proposta concordataria (quindici giorni prima dell’adunanza dei creditori ai sensi dell’art. 172, comma 2, terza alinea, l.fall.) il credito accertato dovrà essere contemplato nel coacervo dei crediti e considerato ai fini del voto e del 2009; App. Firenze, 13 aprile 2010; App. Torino, 23 aprile 2010; Trib. Ravenna, 19 gennaio 2011; conf. anche Comm. trib. reg. Lombardia, sez. Brescia, sent. n. 5485 del 21 ottobre 2014, per la quale, “qualora gli Uffici potessero “mettere in discussione” i risultati concordati con la parte privata, ponendo in essere una successiva attività di accertamento, l’accordo transattivo perderebbe significativamente di efficacia, divenendo poco appetibile”. Secondo i giudici lombardi, in conclusione, l’interpretazione più ragionevole della nozione di “consolidamento”, o meglio, l’unica che avrebbe consentito di evitare il depotenziamento della transazione, sarebbe stata quella che escludeva del tutto la possibilità di emanare, successivamente all’intervenuta omologazione del concordato, atti di imposizione a carico dell’istante, con la conseguente preclusione di ulteriori controlli di merito sui tributi oggetto della proposta di cui all’art. 182-ter”; sul punto si rinvia a ANDREANI, G. – TUBELLI, A., La transazione fiscale preclude nuovi accertamenti, in Corr. trib., n. 7/2015, 506). Di contrario avviso è sempre stata l’Agenzia delle entrate, la quale, già con la Circolare n. 40/E del 18 aprile 2008, evidenziava che “la disciplina normativa non dispone la preclusione di ulteriore attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria in caso di transazione fiscale” per il che rimane impregiudicato, ricorrendone le condizioni, l’esercizio dei poteri di controllo, con la conseguente possibile “determinazione di un debito tributario superiore rispetto a quello attestato nella certificazione rilasciata al debitore o altrimenti individuato al termine della procedura di transazione fiscale, che l’Amministrazione potrà far valere nei confronti dello stesso contribuente che ha ottenuto l’omologazione del concordato nonché degli obbligati in via di regresso”.

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trattamento economico. Laddove, invece, la notifica dell’atto impositivo (avente ovviamente ad oggetto crediti sorti anteriormente alla pubblicazione della domanda di concordato) avvenga successivamente all’omologazione del concordato preventivo, il credito dovrà essere soddisfatto nella percentuale prevista nella proposta concordataria omologata per i crediti di analoga natura e di pari grado, ai sensi dell’art. 184 l.fall., secondo cui “Il concordato preventivo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’art. 161.”.

Sul versante degli effetti processuali, degna di nota è stata l’espunzione, dal corpo dell’art. 182-ter, del disposto – contenuto nel precedente comma quinto – che ricollegava in via automatica all’omologazione del concordato la cessazione della materia del contendere nelle eventuali liti riguardanti i crediti tributari “transatti”.

Non essendo stata introdotta un’altra previsione specifica sul punto, si è posto il problema di individuare la disciplina applicabile ai contenziosi in corso relativi a pretese erariali rifluite nel piano concordatario. Poiché la materia del trattamento dei crediti fiscali nell’ambito delle soluzioni negoziate della crisi d’impresa si colloca alla confluenza di due settori distinti dell’ordinamento – quello concorsuale e quello tributario – altrettante sono risultate essere le opzioni interpretative sul tavolo. In base ad una prima ricostruzione dottrinale, si è ritenuto che la cancellazione del predetto comma 5 comportasse la reviviscenza delle norme generali sul processo tributario e, segnatamente, dell’art. 46 del decreto legislativo n. 546 del 1992, affermante l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere “nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge”, fra i quali, appunto, avrebbe

dovuto annoverarsi anche la transazione fiscale373.

373 Tesi sostenuta da ALLENA, M., op. ult. cit., 174 e che sembrerebbe trovare implicito

(26)

~ 258 ~

Secondo una diversa (e preferibile) prospettazione, condivisa dall’Agenzia delle entrate374, la regola da applicare sarebbe quella contenuta nell’art. 176 l.fall. – di cui il precedente comma 5 dell’art. 182-ter costituiva una deroga – che, nel consentire l’ammissione dei crediti contestati ai fini del voto e del calcolo delle maggioranze, “senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi”, postula la prosecuzione dei giudizi pendenti tra i creditori e l’impresa ammessa al concordato, a meno che la proposta di trattamento dei crediti tributari approvata dall’Ufficio preveda, per i crediti contestati, anche la chiusura del contenzioso; eventualità questa nella quale, a seguito dell’omologa del concordato, dovrà essere richiesta la declaratoria di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. Diversamente, nell’ipotesi di omologazione del concordato in presenza di voto sfavorevole dell’Ufficio, si ritiene che l’unico effetto dell’omologa riguardi la percentuale del credito contestato destinata, eventualmente, a trovare soddisfazione, mentre la controversia prosegue, in mancanza di assenso alla proposta, secondo le regole ordinarie.

giudice di legittimità afferma che la conclusione di una transazione fiscale in seno ad un accordo di ristrutturazione, pur in assenza di una disposizione ad hoc sulla falsariga di quella allora prevista per la transazione incapsulata in un concordato omologato, produce comunque rilevanti effetti processuali, sotto forma, però, di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse delle parti “ad una pronuncia sul merito dell’impugnazione”. ATTARDI, C., op. ult. cit., par. 5, osserva che, se da un lato la cancellazione del precedente comma 5 dell’art. 182-ter fa senz’altro rivivere le regole generali sull’interesse ad agire e sull’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, dall’altro si potrebbe ipotizzare che sia venuto meno il vecchio presupposto legale per la cessazione della res litigiosa prima individuato, expressis verbis, nell’omologazione del concordato (che notoriamente lascia incerta la soddisfazione dei creditori per come pattuita). L’Autore ritiene quindi possibile, pur nel silenzio dell’attuale dato normativo, una soluzione che àncori l’estinzione del giudizio alla concreta esecuzione del piano concordatario, secondo una logica che valorizza il momento satisfattivo “reale” rispetto al momento meramente consensuale.

374 Cfr. Risposta n. 40 a Telefisco 2018 e Circolare n. 16/E/2018, par. 5.1.5. Sul tema anche

ANDREANI G. – TUBELLI A., Note di variazione in diminuzione e altre problematiche fiscali della crisi d’impresa, in Il fisco, 2018, spec. 1048 e 1049.

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La circostanza che i contenziosi tributari in corso proseguano normalmente, sino alla decisione che statuisce definitivamente nel merito, non significa che i relativi crediti vantanti dall’Erario, ancorché incerti nell’an e/o nel quantum, rimangano estranei alle vicende della procedura concordataria. Al contrario, è opinione comune che il debitore debba dare evidenza, nella proposta di concordato, dell’esistenza di pretese (tributarie e non) ancora in contestazione, e prevedere le modalità del loro soddisfacimento, nell’eventualità e nella misura in cui le somme richieste dagli atti impugnati risultassero effettivamente dovute, tramite l’accantonamento prudenziale di adeguati

fondi375. Siffatta soluzione è peraltro coerente con la scelta di fondo, portata a

compimento dalla recente novella, di parificare, nell’ambito della procedura di concordato preventivo, la posizione dell’Erario a quella dei creditori privati, salve le cause legittime di prelazione.

La conseguenza della modifica normativa che ha eliminato l’effetto della cessazione delle liti aventi ad oggetto i tributi cui si riferisce la proposta è, pertanto, nel solo senso di rapportare la percentuale di soddisfacimento offerta dal contribuente non più all’importo preteso dall’Ufficio con l’atto impugnato,

375 Sulla necessità di inserire nella proposta anche i debiti dell’istante oggetto di

accertamento giudiziale perché, in caso contrario, l’omissione potrebbe alterare le previsioni del piano e pregiudicare gli interessi di coloro i cui diritti non sono ancora stati accertati in via definitiva, Cass., sentenza 7 marzo 2017, n. 5689, in banca dati fisconline, che ribadisce quanto già statuito con la sentenza 26 luglio 2012, n. 13284. Nel senso che il Tribunale, in sede di omologazione di una proposta di concordato preventivo includente crediti tributari sub judice, “è obbligato ad eseguire l’accantonamento”, determinandone le relative modalità, Cass., ord. 13 giugno 2018, n. 15414 (in banca dati fisconline). Difatti, come sottolinea efficacemente ROSSI, P., op. ult. cit., par. 2.5., “indipendentemente dal voto favorevole o contrario espresso dall’Amministrazione, il trattamento del debito tributario (privilegiato e/o chirografario) proposto in sede di concordato andrà applicato anche all’ammontare risultante dalla pronunzia che definisce il giudizio relativo al credito in contestazione, in quanto i crediti tributari, la cui spettanza e/o misura è oggetto di accertamento giudiziale, sono comunque crediti sorti anteriormente all’apertura della procedura e devono, pertanto, essere soddisfatti nella stessa misura riconosciuta al relativo creditore in sede di concordato, pena un’inammissibile violazione della par condicio creditorum”.

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