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INTRODUZIONE STORIA DI UNA RIFORMA, DAL CODICE CIVILE DEL 1942 AL D. LGS. 154/2013

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INTRODUZIONE

STORIA DI UNA RIFORMA, DAL CODICE CIVILE DEL 1942 AL D. LGS. 154/2013

Le origini

La legge sull'affidamento condiviso (8 febbraio 2006, n. 54) e la recentissima riforma legislativa in materia di filiazione naturale (l. 10 dicembre 2012, n. 219 e d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), operando una sostanziale frattura rispetto alla disciplina precedente, hanno portato all'accoglimento nel nostro ordinamento del principio della bigenitorialità; esse sono il frutto di un dibattito lungo e articolato e sintetizzano le riflessioni svolte negli ultimi vent'anni dalla dottrina e dalla giurisprudenza circa l'impatto che la crisi del rapporto coniugale provoca al benessere dei figli.

Il codice civile del 1865 non conteneva nessuna indicazione riguardo ai criteri da utilizzare per l'affidamento dei figli minori in caso di separazione. Anche la dottrina riteneva la questione di scarsa rilevanza, tanto da occuparsene sporadicamente e sommariamente.

Con il codice del 1942 la situazione iniziò invece a mutare. L'art. 155, 1° comma, affidava al tribunale il compito di indicare quale coniuge dovesse tenere con sé i figli. L'articolo stabiliva: «Il giudice che pronuncia la

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5 separazione dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa».

L'affidamento era in questi casi collegato alla colpa, si evitava cioè di affidare i minori al coniuge che avesse provocato la separazione attraverso suoi comportamenti non conformi ai doveri coniugali, ad esempio attraverso sevizie, ingiurie gravi o adulterio. Tuttavia ai sensi dell'art. 151 c.c. del 1942 l'adulterio poteva dar luogo alla separazione solo se commesso dalla moglie; la negazione dell'affidamento al coniuge colpevole di infedeltà colpiva quindi in modo esclusivo le madri; questa evidente disparità di trattamento non cessò fino al 19681, anno in cui la Corte Costituzionale emise una sentenza che ammetteva come causa di separazione anche l'adulterio del marito.

Erano inoltre presi in considerazione altri criteri per decidere sull'affidamento, in particolare l'età del minore e le possibilità economiche dei coniugi. Mentre il primo criterio tendeva generalmente a favorire le madri, il secondo, considerato anche il momento storico in cui si colloca il codice del 1942, privilegiava tendenzialmente i padri.

A partire dai primi anni settanta, con l'emanazione della legge 1 dicembre 1970 n.898, che ha introdotto in Italia l'istituto del divorzio, la situazione è notevolmente mutata. Le separazioni, proiettate verso la soluzione del divorzio, sono diventate un fenomeno socialmente rilevante2.

1

Sent. 16-19 dicembre 1968, n.127. In Giur. It., 1969, I, 1, c . 414 ss.

2

Secondo una ricerca Istat effettuata a maggio 2013 i tassi di separazione e divorzio sono in continua crescita. Nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni si contavano 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2011 si arriva a 311 separazioni e a 182 divorzi.

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6 L'art. 6 della legge 898/70, come modificato dalla l. 6 marzo 1987, n.74, così disponeva:

«Il tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio dichiara a quale genitore i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Ove il tribunale lo ritenga utile all’interesse dei minori, anche in relazione all’età degli stessi, può essere disposto l’affidamento congiunto o alternato».

Venivano così introdotti due nuovi istituti: l'affidamento congiunto e l'affidamento alternato.

Il primo si caratterizzava per l'assunzione, da parte di entrambi i genitori, di uguali poteri e responsabilità nello sviluppo fisico e morale dei figli.

Il tradizionale affidamento monogenitoriale, al contrario, attribuiva l'esercizio esclusivo della potestà al genitore affidatario, consentendo l'intervento del genitore non affidatario solo con riguardo alle decisioni di maggiore interesse per la prole.

La creazione del nuovo istituto era determinata dalla volontà di garantire ai figli la possibilità di non perdere la vicinanza e il contributo educativo sia della madre che del padre.

L'affidamento alternato consisteva invece nella custodia dei figli, per periodi prefissati pressoché identici, ora all'uno, ora all'altro genitore, che per quel periodo esercitava la potestà sui figli esclusivamente ed indipendentemente dall'altro.

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7 specificamente il divorzio, la dottrina e la giurisprudenza di legittimità l'hanno da sempre ritenuta applicabile anche per la separazione. Quindi nei casi in cui uno dei due tipi di affidamento fosse stato ritenuto la scelta più opportuna, non avrebbe avuto senso attendere il divorzio per poterlo applicare.

Tuttavia la novella della legge 74/1987, pur introducendo la possibilità per il tribunale di disporre l'affidamento congiunto o alternato, ove riconosciuto utile all'interesse dei minori, di fatto costituiva non più di un'eccezione alla regola dell'affidamento monogenitoriale3. La legge in questione non forniva infatti nessuna definizione normativa dei due istituti; non venivano nemmeno individuati i criteri sui quali basare il giudizio circa la maggiore utilità di uno dei due tipi di affidamento, tranne che per un vago riferimento all'età del minore.

A ciò pose rimedio la giurisprudenza che fin dall'inizio fu concorde nell'affermare che la scarsa conflittualità tra i coniugi dopo la separazione dovesse essere il primo elemento da valutare per l'applicabilità di tali forme di affidamento.

Con specifico riguardo all'affidamento congiunto bisogna anzi notare che il venirsi a creare di una situazione di accordo tra coniugi, fu il motivo principale che spinse alcune pronunce, addirittura antecedenti all'entrata in vigore della l. 6 marzo 1987, n.74, ad optare per questo tipo di affidamento, ritenuto già allora il mezzo più idoneo ad assicurare il perseguimento dell'interesse morale e materiale dei figli minori.

3

L. Napolitano, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e divorzio, Torino, 2006, pp. 23 e ss.

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8 Nello specifico merita ricordare due sentenze: la prima, emessa dal Tribunale di Piacenza4, recepiva, in sede di divorzio, la volontà dei coniugi di ratificare la situazione di affidamento congiunto creatasi durante la separazione. La motivazione della sentenza dichiarava che tale tipo di affidamento:

«è, in linea di principio, la soluzione più opportuna in quanto consona all'interesse ottimale del minore stesso: la presenza alternata nei due nuclei familiari rende pressoché impossibile la strumentalizzazione della prole o la dissacrazione del partner assente, ovvero, ancora, altri atteggiamenti distorti ed anomali che influiscono inevitabilmente in modo negativo sullo sviluppo psicofisico dei soggetti in età evolutiva».

La seconda sentenza5, emessa dalla Corte d'Appello di Milano, stabiliva che, diversamente da quanto deciso in primo grado, doveva considerarsi ammissibile la clausola della separazione consensuale che affidava a entrambi i coniugi il minore, di nove anni.

La sentenza così recitava:

«.. ben può disporsi, nell'interesse della prole, l'affidamento congiunto di questa ai genitori (affidamento denominato joint custody nell'esperienza nord-americana): un affidamento siffatto, invero, lungi dal rappresentare un artificio astratto e meramente concettuale, risponde invece ad esigenze reali, d'ordine psicologico e affettivo, del minore, poiché attenua la potenziale

4

Trib. Piacenza, 4 febbraio 1986, in Dir. Fam. Pers., 1986, pag 183.

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9 conflittualità dei genitori insita in ogni allentamento del vincolo coniugale e parentale, e contribuisce al mantenimento del programma educativo originariamente concordato dai coniugi, poiché offre alla prole quell'ambiente psicologico unitario in seno al quale si sperimenta e si attua l'ambivalenza di ciascun genitore».

La situazione di accordo tra i coniugi è stata, per molto tempo, l’unico fattore in grado di orientare la scelta del giudice di merito in favore di forme di affidamento congiunto. L'assenza di conflittualità tra i coniugi che intraprendono la via della separazione è però, da sempre, una circostanza di non facile realizzazione, in una situazione in cui, vista l'impossibilità di proseguire nella vita coniugale, è quasi sempre presente una forte conflittualità.

Al di là di queste rare eccezioni, risulta però evidente come in Italia l'applicazione dell'affidamento congiunto sia stata per molto tempo marginale. La giurisprudenza non sopperì infatti alla carenza di disciplina che lo caratterizzava. L'istituto dell'affidamento congiunto trovò anzi numerosi e autorevoli oppositori. Venne affermato che i figli avrebbero potuto ricevere addirittura un danno dall'affidamento congiunto, ritenuto spesso superfluo e illusorio6. L'istituto fu considerato un “capolavoro difficile”, in cui un grande risultato di civiltà era appeso al filo di condizioni obiettive difficili da realizzarsi, la cui sporadica attuazione spiegava l'accertata rarità della sua

6

L. Canova - L. Grasso, Ancora sull'affidamento congiunto od alternato: interesse del minore

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10 realizzazione7.

Alcune sentenze dei primi anni novanta ben rappresentano questa communis opinio riguardo all'effettiva efficacia dell'istituto in questione. Il Tribunale di Genova, in una sentenza del 19918, affermava che l'affidamento congiunto dei figli presupponesse il massimo spirito collaborativo tra i coniugi e che quindi dovesse escludersi la sua applicazione in caso di persistenti contrasti tra i medesimi.

Il Tribunale di Catania ribadiva lo stesso orientamento in una sentenza del 19949, affermando che l'affidamento congiunto presupponeva, malgrado la crisi personale, un sostanziale accordo tra i coniugi per quanto riguardava l'allevamento e l'assistenza dei figli. Nel caso di specie, il Tribunale osservava che tale accordo, necessario per poter disporre l'affidamento congiunto, mancava perfino in ordine a questioni che interessavano l'aspetto fisico del minore, in particolare il taglio dei capelli.

Ancora minor fortuna riscosse nella prassi applicativa l'affidamento alternato. Le prime interpretazioni da parte della giurisprudenza di merito, successive al 1987, avevano infatti confermato l'inapplicabilità di tale istituto nell'ambito dei giudizi di separazione, sottolineando l'inadeguatezza di tale forma di affidamento in vista del perseguimento dell'interesse della prole.

In proposito si osservava che nell'affidamento alternato «i contesti

7

A. Galoppini, Affidamento dei figli nella crisi coniugale e trasformazione dei ruoli

genitoriali, in Dir. Fam., 1994, p.738.

8

Trib. Genova, 18 aprile 1991, in Giust. Civ,, 1991, p. 3095.

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11 educativi corrispondenti ai due rapporti genitoriali restano costantemente estranei e non si fondono»10; in questo tipo di affidamento, infatti, sono i figli a ruotare periodicamente intorno ai genitori. Questo tipo di organizzazione va a detrimento della creazione di un ambiente stabile di crescita del minore e non rende necessaria la collaborazione tra i due genitori che possono, di fatto, impostare e portare avanti due modelli educativi tra loro molto differenti.

Si è quindi colta un'obiettiva difficoltà intrinseca nella struttura stessa di tale tipo di affidamento. Ciò ha comportato, nella prassi, una ricerca di strumenti alternativi volti ad ovviare agli inconvenienti derivanti dall'applicazione di tale istituto. Nota è la pronuncia del Tribunale di Roma11, che nel disporre in un giudizio di separazione personale dei coniugi l'affidamento alternato dei figli minori, ebbe a stabilire che non fossero i figli a doversi periodicamente allontanarsi dalla casa familiare per raggiungere il genitore che aveva cambiato abitazione, ma che l'abitazione restasse assegnata a ciascuno dei genitori per i rispettivi periodi di permanenza con i figli.

Si tratta di certo di una decisione molto particolare, oggetto di valutazioni contrastanti, ma che ben evidenzia l'assoluta necessità di dare la priorità alla creazione di un ambiente di crescita stabile intorno ai figli minori.

In definitiva, può dirsi che l'affidamento alternato abbia avuto una limitata applicazione; ad esso si è fatto principalmente ricorso in ipotesi di coniugi separati o divorziati con residenze molto distanti (es. nel caso di residenza all'estero di uno dei coniugi). Ma anche in questi casi è stata preliminarmente

10

B. De Filippis - G. Casaburi, Separazione e divorzio nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 2004.

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12 verificata la congruità di tale regime di affidamento in funzione del perseguimento del superiore interesse della prole.

La XIII Legislatura e il Progetto Lucchese

Durante la XII Legislatura (10 maggio 1994 – 8 maggio 1996) vennero effettuate alcune proposte di legge aventi ad oggetto l'affidamento dei figli nella separazione12. In particolare si pose l'accento sull'importanza di quella che negli anni successivi sarà definita mediazione familiare; si ipotizzava infatti la previsione dell'obbligo di notificare il ricorso di separazione ai servizi sociali o l'intervento obbligatorio dei consultori familiari in tutti i casi di separazione; ciò avrebbe portato ad effettuare un tentativo di conciliazione e a redigere una relazione da presentare al giudice, che contenesse informazioni utili prima dell'adozione dei provvedimenti presidenziali.

Ma fu soprattutto durante la XIII Legislatura (9 maggio 1996 – 29 maggio 2001) che si ebbe una maggiore attività tesa a dettare una nuova disciplina circa l'affidamento dei minori nella separazione.

Particolare rilevanza ebbe il Progetto Lucchese13, 9 maggio 1996, una proposta di legge complessa, che mirava a dettare una disciplina omogenea e per certi versi innovativa.

Tale progetto nasceva dall'osservazione del sistema vigente che spesso comportava, per il genitore non affidatario, la perdita del rapporto con i figli a seguito della separazione. La proposta di legge, rifacendosi ai dati Istat

12

Cd. Progetto Zancan (proposte di legge n. S 352/94, C 145/94 e C 1903/95).

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13 relativi all'anno 1992, evidenziava come il 93,7 per cento dei figli minori fossero affidati alle madri; la possibilità di visita per il padre, in questi affidamenti ad un solo genitore, era abitualmente limitata ad un fine settimana alternato e a quindici giorni in estate. Questa situazione trasformava di fatto la separazione tra i genitori in una perdita per i figli del rapporto con il genitore non affidatario.

La proposta di legge si caratterizzava per il fatto di prevedere che i figli, salvo casi eccezionali, dovessero essere affidati ad entrambi i genitori e che nessuno dei due potesse rinunciare all'affidamento. L'art. 155 c.c. avrebbe dovuto essere così sostituito: «Il minore ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e a ricevere cura, educazione ed istruzione da ciascuno di essi, anche dopo la loro separazione personale, lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Analoga tutela è stabilita rispetto a tutto il resto dell'ambito parentale del minore.».

Il Progetto Lucchese proseguiva poi prevedendo concrete modalità di funzionamento dell'affidamento congiunto, in particolare con riferimento al mantenimento del minore14 e all'esercizio congiunto della potestà15.

14Art. 155-bis, terzo comma: «Salvo accordi diversi, liberamente sottoscritti dalle parti,

ciascuno dei genitori provvede in forma diretta e per capitoli di spesa al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito».

15

Art. 155-bis, quarto e quinto comma: «La potestà è esercitata congiuntamente da entrambi i genitori, cui competono anche la cura e l'educazione dei figli: anche il genitore non convivente è tenuto a condividerle nella misura più ampia possibile, tenuto conto delle esigenze del minore e delle attitudini, esperienze e situazioni personali del minore.

Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, è facoltà del giudice stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente, attribuendo a ciascuno sfere di competenza distinte, tenuto conto delle loro specifiche attitudini e capacità e del grado di collaborazione ipotizzabile tra essi».

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14 Tale proposta di legge fu assegnata alla Commissione Giustizia nell'agosto 1996; ebbe inizio un periodo di analisi e di discussione circa il suo contenuto che culminò con la nomina di un comitato ristretto (dicembre 1996), che avrebbe avuto il compito di proseguire i lavori più speditamente.

Il comitato si riunì in numerose sedute e nella primavera del 1998 elaborò un proprio progetto di legge. Tale testo, frutto anche di numerosi incontri con associazioni operanti nell'ambito delle problematiche familiari quali l'Osservatorio per l'Infanzia presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, l'Istituto studi sulla paternità e il Centro per la riforma del diritto di famiglia, prevedeva molte novità sia rispetto alla disciplina vigente, che rispetto al Progetto Lucchese. Si occupava inoltre, non solo dell'affidamento dei minori, ma anche dell'intera disciplina riguardante la separazione e il divorzio.

La prima novità era l'abolizione dell'addebito nella separazione; non sarebbe più stato possibile individuare il responsabile della crisi coniugale. La separazione con addebito venne infatti giudicata dal comitato come un istituto fonte di aspri contenziosi, per altro non più giustificabile in relazione all'evoluzione del costume sociale e delle stesse finalità poste alla base della disciplina della separazione e del divorzio. Il venirsi a creare di una situazione di intollerabilità nella prosecuzione della vita in comune, presupposto della separazione, e la cessazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi, conseguenza del divorzio, erano constatazioni oggettive che lasciavano poco spazio ad apprezzamenti soggettivi circa le cause addebitabili

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15 all'uno o all'altro coniuge16.

Il progetto di legge prevedeva inoltre la creazione di un Fondo presso la Banca d'Italia, con il compito di corrispondere agli aventi diritto l'assegno di mantenimento che il coniuge inadempiente non versava.

Per favorire la diminuzione di situazioni di conflittualità era poi previsto l'intervento della mediazione, espletabile in ogni stato e grado del procedimento; uno strumento che avrebbe dovuto portare all’adozione, da parte dei coniugi, di provvedimenti riguardanti la prole sui quali essi potessero raggiungere il più alto gradi di accordo possibile.

Veniva inoltre prevista l'abolizione del giudizio di separazione: dopo una sola udienza era possibile passare direttamente al procedimento di divorzio.

La novità più rilevante riguardava comunque la questione dell'affidamento dei figli. Il progetto di legge non effettuava una scelta tra affidamento ad un solo genitore o ad entrambi; si decise di eliminare completamente il concetto di affidamento, in quanto non necessario. I genitori infatti, anche dopo la separazione, dovevano continuare ad esercitare la potestà, sia pure secondo modalità stabilite dal giudice. Il concetto stesso di affidamento era così considerato fuorviante perché conteneva in sé l'idea che i figli dovessero essere attribuiti all'uno o all'altro genitore.

Marcella Lucidi, relatore per le disposizioni concernenti i minori, così commentava la scelta effettuata dal comitato:

«È proprio il ricorso a nozioni quale quella dell'affidamento a determinare

16

On. Vittorio Tarditi, relatore per le disposizioni concernenti le relazioni tra i coniugi, elaborate dal comitato.

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16 talune, spesso infondate, rigidità psicologiche che si riflettono sui rapporti tra i coniugi e tra genitori e figli. Si è quindi scelto un approccio di tipo più sostanziale che, prescindendo da impostazioni talora meramente nominalistiche che spesso lasciano impregiudicata la soluzione di problemi reali, privilegia l'aspetto della concreta determinazione delle scelte relative alla vita sia del minore che di entrambi i genitori e cerca, al contrario, di indurre una minore litigiosità per favorire un rapporto di collaborazione che vede il ricorso al giudice come elemento necessario, ma non come forma di conflittualità». (Lucidi, 14/05/1998)

Il testo approvato dal comitato ristretto suscitò notevole interesse e diede luogo ad ampi dibattiti. Il percorso da compiere per giungere all'emanazione di una disciplina nuova e unitaria era tuttavia ancora molto lungo. La delicatezza della materia infatti, comportava divisioni all'interno dei partiti stessi, in virtù di idee e convinzioni personali divergenti.

Il punto focale della discussione rimaneva comunque l'affidamento dei figli nella separazione. La proposta elaborata dal comitato, ossia l'abolizione del concetto stesso di affidamento, nacque per rispondere all'esigenza di un maggior coinvolgimento di entrambi i genitori, senza però cadere in una cristallizzazione normativa dei rapporti tra genitori e figli a seguito della separazione coniugale.

Nell'iter in Commissione Giustizia furono presentati 245 emendamenti al testo elaborato, ma non furono compiuti sostanziali passi avanti prima della fine della legislatura.

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17

Dalla proposta 66 alla legge sull’affidamento condiviso

Esattamente il primo giorno della XIV Legislatura (30 maggio 2001), l' onorevole Vittorio Tarditi, già relatore, insieme all'onorevole Marcella Lucidi, del testo di legge creato dal comitato ristretto operante nella legislatura precedente, presentò alla Camera il progetto di legge n. 66, intitolato “Nuove norme in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli”. La velocità nella presentazione della proposta di legge indicava inequivocabilmente la volontà di concludere il lavoro iniziato dal comitato ristretto a partire dal 1998.

Rispetto al progetto precedente, la proposta di legge presentata dall'onorevole Tarditi, aveva un oggetto più limitato. Essa si occupava dell'introduzione dell'affidamento condiviso; dettava alcune norme in tema di diritti e doveri nell'ambito del rapporto genitoriale; prevedeva alcune disposizioni con riguardo all'assegnazione della casa coniugale. Non si poneva invece, come aveva fatto la proposta precedente, l'obiettivo di modificare la generale disciplina della separazione e divorzio.

La proposta si componeva di otto articoli ed evidenziava le carenze presenti nella normativa in vigore. Quest'ultima, favorendo, a seguito della separazione tra i coniugi, soluzioni di affidamento monogenitoriali, contravveniva all'art. 30, primo comma, della Costituzione, secondo cui il diritto-dovere dei genitori verso i figli non si esaurisce nel mantenimento economico, ma si estende a più ampi ed importanti compiti di educazione ed

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18 istruzione17.

Il primo articolo della proposta di legge 66, modificava profondamente l'art. 155 del codice civile. Esso così recitava:

«Il minore ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e a ricevere cura, educazione ed istruzione da ciascuno di essi, anche dopo la loro separazione personale, lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Analoga tutela è stabilita rispetto a tutto il resto dell'ambito parentale del minore.

Per i fini di cui al primo comma, il giudice che pronuncia la sentenza di cui al medesimo comma, esperito inutilmente un tentativo di riconciliazione, dispone, salvo quanto previsto dall'art. 155-quater, che i figli restino affidati a entrambi i genitori e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa quale risulta dal citato primo comma. In particolare il giudice prende atto degli accordi intercorsi tra i genitori sulla residenza dei figli, ovvero stabilisce, in caso di disaccordo, i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore e fissa la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli secondo i criteri previsti dall'art. 155-bis.

Il giudice può altresì disporre che le parti siano assistite dalle strutture previste dall'art. 155-ter, secondo le modalità ivi indicate; a tali strutture il giudice può inviare la coppia anche per un ulteriore tentativo di

17

Art. 30 Cost.: «È dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio».

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19 riconciliazione, ove ne ravvisi l'opportunità.

Nessuno dei genitori può rinunciare all'affidamento, ove il giudice abbia ritenuto che ne sussistano i requisiti, né sottrarsi agli obblighi da esso derivanti.

Il giudice, qualora ritenga le modalità concordate dai genitori non conformi a quanto indicato dal primo comma del presente articolo e dall'art. 155-bis, concede loro un termine per provvedere alla modifica delle stesse. Scaduto tale termine senza che siano state convenute modalità soddisfacenti, l'adeguamento a suddetti criteri è operato d'ufficio dal tribunale.

Il giudice dà inoltre disposizione circa l'amministrazione dei beni dei figli e, nell'ipotesi che l'esercizio della potestà sia attribuito a entrambi i genitori, il concorso degli stessi al godimento dell'usufrutto legale. In ogni caso il giudice può, per gravi motivi, ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o, nell'impossibilità, in un istituto di educazione».

Tale articolo stabiliva quindi che i figli restassero affidati a entrambi i genitori (salvo casi eccezionali, individuati dall'art. 155-quater), ed evidenziava l'apporto fattivo dei “Centri familiari polifunzionali”, dando al giudice ampi poteri di ricorrere all'utilizzo di queste strutture che avrebbero dovuto effettuare attività di mediazione, consulenza e terapia familiare.

Il secondo articolo della proposta di legge inseriva nel codice civile gli articoli 155, da bis a decies, disciplinando così le modalità pratiche di attuazione dell'affidamento condiviso. Le disposizioni riconoscevano un ampio grado di libertà sia ai genitori che al giudice, autorizzando una scelta

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20 caso per caso delle soluzioni, sempre volta al mantenimento di ampi spazi di partecipazione alla vita e all'educazione dei figli ad entrambi i genitori.

Nella presentazione della proposta 66 veniva infatti affermato:

«Quale che sia il genitore al momento convivente, tutte le possibilità di contatto dei figli con l'altro dovranno essere raccolte ed utilizzate; non sarà più pensabile che si opponga rifiuto all'offerta, da parte del genitore al momento non convivente, di assumersi il compito di andare regolarmente a prendere il figlio a scuola o in palestra, per accompagnarlo ove sia fissato che vada. […] D'altra parte, lo strumento fondamentale per assicurare un'effettiva e serena presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli è il “mantenimento diretto”, un altro punto centrale della proposta di legge (art. 155, terzo comma), che si accompagna inevitabilmente all'affidamento condiviso. È evidente infatti che se dei figli si occuperanno in misura significativa entrambi i genitori, tutti e due dovranno provvedere a coprire necessità economiche, volendo evitare la rischiosissima condizione che uno decida e l'altro paghi».

I restanti sei articoli della proposta disciplinavano in modo generale i doveri verso i figli e l'esercizio della potestà da parte dei genitori non coniugati (veniva, tra le altre cose, affermato che il diritto di mantenere ed educare la prole non discendeva dal matrimonio, ma dalla procreazione e si sceglieva di applicare, ai genitori non coniugati, le stesse disposizioni stabilite in caso di affidamento di figli di coppie sposate e separate).

La proposta di legge 66 fu affidata alla Commissione Giustizia della Camera il 18 settembre 2001. Fu nominato relatore l'onorevole Maurizio

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21 Paniz. Nel novembre del 2001 fu costituito un comitato ristretto con il compito di continuare la discussione circa il progetto e di proporre un testo di sintesi. Il primo testo di sintesi fu elaborato ed adottato nel luglio del 2002.

Tale testo di sintesi si componeva di nove articoli che sarebbero andati a modificare sia il codice civile che il codice di procedura penale.

L'affidamento condiviso diventava la normale forma di affidamento dei figli a seguito della separazione; l'affidamento esclusivo diventava invece un'eccezione da applicare in ipotesi residuali18.

Alla mediazione continuava ad essere attribuito un ruolo fondamentale nella risoluzione dei conflitti tra i coniugi, ma in modo non impositivo. La proposta prevedeva che l'art 708 c.p.c. attribuisse al presidente la possibilità di invitare le parti a rivolgersi ad un centro familiare polifunzionale, in modo da elaborare un progetto comune di educazione dei figli.

Una volta presentato tale testo di sintesi, furono assegnati termini per proporre gli emendamenti e il dibattito proseguì serrato.

L'8 aprile 2003, dopo la nomina di un nuovo comitato ristretto, il relatore Paniz propose un nuovo testo di sintesi che avrebbe sostituito del tutto il

18

Art. 155 - (Mantenimento delle relazioni parentali del minore e provvedimenti riguardo ai figli) - «Anche dopo la separazione personale dei genitori, il minore ha diritto di mantenere un rapporti equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, ha dritto di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e ha diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Per realizzare le finalità indicate dal primo comma, il giudice che pronuncia la sentenza di separazione personale dei coniugi dispone, salvo quanto previsto dall'art 155-ter, che i figli restino affidati a entrambi i genitori e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa quale risulta dal citato primo comma. [...]».

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22 precedente.

Questo secondo testo, composto da tre soli articoli, non si occupava delle modifiche da apportare al codice di procedura civile e soprattutto non prevedeva la sostituzione dell'art. 155 del codice civile, di fatto riaffermando la regola dell'affidamento esclusivo. All'art 155 del codice civile veniva però affiancato l'art. 155-bis, istitutivo dell'affidamento condiviso.

La disciplina dell'affidamento, così come prospettata dal secondo testo di sintesi, prevedeva così entrambe le possibilità, specificando però che la preferenza doveva essere data per la più ampia e piena realizzazione della bigenitorialità.

Tale lavoro non ebbe però un grande successo; in breve tempo fu proposto un terzo testo di sintesi (cd. Paniz 3), che di fatto ricalcava il progetto di due anni prima: l'affidamento condiviso tornava ad essere prospettato come unica soluzione, sempre salvo casi eccezionali.

La differenza più rilevante rispetto al “Paniz 1” era la previsione della mediazione obbligatoria; il primo testo prevedeva semplicemente che il giudice, ravvisandone l'opportunità, potesse invitare le parti a rivolgersi ad un centro di mediazione. Il “Paniz 3”, invece, prevedeva l'inserimento nel codice di procedura civile dell'art. 709-bis, intitolato «Mediazione familiare»; l'articolo avrebbe così recitato:

«In tutti i casi di disaccordo, nella fase di elaborazione del progetto condiviso, le parti hanno l'obbligo, prima di adire il giudice e salvo i casi di assoluta urgenza o di grave ed imminente pregiudizio per i minori, di rivolgersi a un centro di mediazione pubblico o privato accreditato.

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23 Ove l'intervento, che può essere interrotto in qualsiasi momento, si concluda positivamente, le parti presenteranno al Presidente del tribunale il testo dell'accordo raggiunto. Gli aspetti economici della separazione possono far parte dell'accordo finale, anche se concordati al di fuori del centro. In caso di insuccesso le parti possono rivolgersi al giudice, come previsto dal successivo articolo 709-ter.

In ogni caso i coniugi devono allegare alla domanda di separazione la certificazione del passaggio presso il centro o rendere concorde dichiarazione circa l'avvenuto passaggio.

In caso di contrasti insorti successivamente, in ogni stato e grado del giudizio di separazione o anche dopo la sua conclusione, il giudice segnala alle parti la opportunità di rivolgersi ad un centro di mediazione familiare di cui al primo comma. Se la segnalazione trova il consenso delle parti, il giudice rinvia la causa ad altra data, in attesa dell'espletamento dell'attività di mediazione.»

L'art. 709-bis fu però presto eliminato dal testo di sintesi. La mediazione non scompariva del tutto, ma diventava uno strumento di cui il giudice poteva discrezionalmente decidere di avvalersi19.

Il 7 luglio 2005 la Camera approvò il testo che sarebbe poi diventato la legge 8 febbraio 2006, n.54, intitolata «Disposizioni in materia di separazione

19Art. 155-sexies - (Poteri istruttori del giudice): «[...] Qualora ne ravvisi la necessità, il

giudice, sentite le parti ed ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'art 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo con particolare riferimento alla tutela del''interesse morale e materiale dei figli».

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24 dei genitori e affidamento condiviso dei figli».

Entrata in vigore il 16 marzo 2006, la legge sull'affidamento condiviso, frutto di un dibattito durato circa un ventennio, è stata, fino ad oggi, il cuore della disciplina sull'affidamento dei figli in caso di separazione coniugale. Tale testo definitivo è stato il risultato del compromesso faticosamente raggiunto tra posizioni molto distanti tra loro.

La l. 54/2006, che analizzeremo più approfonditamente nel prosieguo di questo lavoro, ha modificato profondamente la disciplina italiana dell’affidamento dei minori a seguito di separazione o divorzio.

Brevemente possiamo però ricordare che essa ha riconosciuto, per la prima volta in Italia, il diritto del minore alla bigenitorialità. La legge ha inoltre introdotto la regola dell’affidamento condiviso ad entrambi i genitori, modellando, in base a questo principio, le conseguenze patrimoniali dello scioglimento della famiglia (dall’assegnazione della casa coniugale alla determinazione del contributo per il mantenimento della prole).

La l. 54/2006, novellando le precedenti norme in materia di separazione personale (art. 155 ss. c.c.), ha, tra le altre cose, chiesto ai genitori di superare la conflittualità derivante dalla crisi del rapporto coniugale, pervenendo così ad una genitorialità consensuale e cooperativa.

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25 La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale

Nel dicembre scorso è stata portata a conclusione la riforma della filiazione, iniziata con l’emanazione della l. 219/2012 e conclusa con il d.lgs. 154/201320

. Tale riforma ha inteso equiparare, sotto ogni profilo, la posizione dei figli, siano essi nati da coppia coniugata o meno. In particolare si è voluto uniformare il regime dell’affidamento dei figli in presenza di crisi della coppia genitoriale e dell’impossibilità di proseguire la convivenza.

La riforma, nel tentativo di razionalizzare il sistema, ha abrogato integralmente gli artt. 155-bis - 155-sexies c.c. e i commi 3, 4, 5, 8-12 dell’art. 6 della legge sul divorzio. Il contenuto di questi articoli è stato trasfuso nei nuovi artt. 337-bis - 337-octies c.c., norme racchiuse nel nuovo capo II del titolo IX, rubricato “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio”.

Il risultato di tale riforma è una disciplina, riguardo l’affidamento dei figli e la responsabilità genitoriale, che sicuramente ribadisce e rafforza i principi già espressi dalla l. 54/2006, ma che risulta anche più omogenea, facilitando l’interprete nel reperimento delle norme da applicare ed evitandogli complesse ricerche all’interno del codice o della l. 898/1970.

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