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1.2 Presentazione dell’autore Juan Rulfo ed analisi di alcuni racconti tratti da El Llano en llamas (1953)

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1.2

Presentazione dell’autore Juan Rulfo ed analisi di alcuni

racconti tratti da El Llano en llamas (1953)

Juan Nepomuceno Carlos Pérez Rulfo Vizcaíno è nato a Sayula nel 1918 e morto a Città del Messico nel 1986. Trascorse gli anni della sua infanzia a San Gabriel, nella regione di Jalisco, un paese come tanti distrutto dalla Rivoluzione. Gli anni successivi durante la sanguinosa guerra de los cristeros rimane orfano di padre ed in seguito alla morte della madre, sei anni più tardi, viene accolto in un orfanotrofio e ne uscirà ormai adolescente. Bastano questi pochi dati per dare un’idea delle circostanze negative che circondano l’infanzia e l’adolescenza dello scrittore e che condizioneranno la sua immagine del mondo e della vita in generale. Lo scenario storico del Messico di quegli anni è devastante ed è fondamentale per comprendere la sua scrittura: privato dei suoi affetti in un paese straziato dalle guerre, dalla violenza e dalla povertà. L’infanzia di Rulfo è infatti scandita da rivolte contadine, massacri, incendi, violenza ed è in questo scenario che ha origine la sua attitudine tragica e la descrizione suoi paesaggi desolati.

Juan Rulfo era un uomo molto riservato, schivo e di poche parole; odiava le interviste e la mondanità. Viveva isolato nel suo appartamento a Città del Messico senza telefono né televisore, non rispondeva alle lettere di amici, ammiratori e critici e fuggiva da qualsiasi tipo d’intervista. Negli anni ’60 e ’70 la sua fama era enorme, ma chiamato in varie trasmissioni per parlare dei suoi libri, rifiutava la maggior parte delle interviste. Sulla sua biografia così si sa molto poco e le notizie giunte fino ad oggi sono vaghe e imprecise. Sappiamo che dopo studi irregolari Rulfo iniziò a lavorare nel ’36 all’ufficio federale di migrazione, poi come rappresentante di pneumatici (dal ’48 al ’52). Nel 1952 ottenne una borsa di studio dalla fondazione Rockefeller con la quale si dedicò a studi

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letterari; nel 1963 ricevette un incarico presso l’istituto nazionale indigenista ed iniziò la sua ricerca su base sociologica e antropologica del suo amato e odiato Messico.

Non definendosi mai uno “scrittore professionale” Rulfo iniziò a pubblicare qualche racconto solo negli anni ’50 e, approfittando dei lunghi viaggi di lavoro nel paese, coltivò anche la sua passione per la fotografia. Il grande interrogativo sulla sua carriera letteraria è stato il perché abbia smesso di scrivere. Dopo aver pubblicato una raccolta di racconti Llano en Llamas (1953) ed un romanzo Pedro Páramo (1955), per i successivi trent’anni fino alla sua morte avvenuta nel 1986 non ha scritto più nulla, nonostante critica e pubblico gli chiedessero di continuare. Ha perfino illuso la stampa diffondendo la notizia di un testo a cui stava lavorando dal titolo La Cordillera, mai scritto.

Fino alla fine dei suoi giorni ha mantenuto un tenace silenzio su se stesso, rotto solo da poche e rare interviste. Silenzio, quindi, anche sui motivi che lo hanno portato a non scrivere più nulla e ad essere uno “scrittore del No” proprio come Lo scrivano Bartleby di Melville1, il quale si chiude in un silenzio ostinato e misterioso ripetendo sempre il suo “preferisco di no”.

Nella sua breve ma intensa creazione narrativa Rulfo descrive campagne aride, paesaggi desolati, climi infernali, paesi disabitati e persone sole che si ritrovano a dialogare con i morti. Nei racconti di El Llano en Llamas prima, poi in Pedro Páramo, troviamo i grandi temi ossessivi della sua scrittura: la crudeltà umana, l’insensibilità, l’incesto, l’esasperazione della religiosità, la frustrazione, il fracasso, il rimorso, la vendetta, la morte, l’odio, la colpa, il fatalismo. Non c’è giustizia nei racconti di Rulfo, non c’è perdono, non c’è speranza di redenzione. I personaggi rappresentati in El Llano en llamas sono per la maggior parte indios e poveri contadini frustrati che cercano di sopravvivere in un paesaggio ostile e in una terra tanto inospitale quanto quella del Messico

1

Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street (titolo originale Bartleby the Scrivener) è un racconto di Herman Melville. Fu pubblicato la prima volta anonimo, in due parti, sulla rivista Putnam's

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dei primi decenni del Novecento. I racconti infatti s’inseriscono in un arco di tempo limitato, orientativamente un quarantennio (dal 1910 al 1950) ed i paesaggi descritti sono quelli appunto della regione di Jalisco in cui Rulfo visse quasi tutta la vita.

La regione di Jalisco possiamo considerarla oggi come un luogo periferico, arretrato, scenario di guerra e di devastazione. I personaggi vagano dunque per queste terre legati ad un pessimismo e ad un fatalismo eterno ed estremo: nessuno può scappare dal proprio destino. Pessimismo e fatalismo sono elementi fondamentali della narrazione rulfiana da cui si svilupperanno poi grandi temi universali di riflessione umana. La narrazione di Rulfo, come più volte affermato dai critici, va oltre la comune letteratura di protesta contro le ingiustizie e gli abusi governativi. In altre parole non rispecchia la tradizionale narrazione dell’epoca (La Novela de la Revolución mexicana2) inserendo la storia in un contesto più universale, mitico e simbolico, quello del Real maravilloso.

La maestria di Rulfo consiste infatti nel convertire i problemi sociali del Messico in grandi temi di riflessione umana, primo tra tutti la solitudine dell’uomo e il culto per la morte, oltrepassando le barriere regionalistiche.

Il linguaggio utilizzato nella sua prosa è alternante, tra il popolare e il letterario. Il linguaggio popolare è quello dei contadini di Jalisco, a lui familiare (uno dei segreti della sua splendida prosa). E’un linguaggio semplice, schietto, diretto, che Rulfo maneggia con straordinaria padronanza producendo un ritmo alternante ed intenso di grandissimo impatto. Il linguaggio popolare mescolato con la lingua letteraria crea una produzione letteraria nuova di alto livello espressivo, che deriva dal popolare ma lo supera e va oltre.

Rulfo utilizza inoltre una straordinaria economia verbale e fa anche largo uso della figura retorica dell’ellissi lasciando ampio spazio

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Rappresentante di questa corrente, primo tra tutti, Mariano Azuela, scrittore messicano (1873-1952) con il romanzo Los de abajo (1915).

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all’immaginazione del lettore, e producendo così un chiaro ed elaborato effetto di spaesamento.

Gustavo Fares3, studioso contemporaneo di Juan Rulfo, analizza la situazione storico-politica del Messico negli anni’50 ed afferma come, in seguito alla Rivoluzione, la legge sia diventata uno strumento di dominio, inefficace e dannoso.

Nel Messico pre-rivoluzionario le relazioni di classe si determinavano in base alla loro funzione nella catena di produzione agricola, quindi sul potere dei proprietari latifondisti ed i loro mezzi di produzione.

Durante il Porfiriato la politica di apertura al capitale straniero e l’industrializzazione sconvolse gli equilibri tra le classi sociali allora esistenti. Dalla Rivoluzione in poi infatti l’agricoltura messicana venne gestita non più dai latifondisti locali ma dal Governo e dai privati che compravano e rivendevano terreni al campesinado . Le relazioni tra campesinado e Governo erano difficili e violente. L’obiettivo dello Stato oscillava tra un’agricoltura capitalista basata su organizzazioni collettive e la promozione di un’agricoltura moderna, gestita da privati stranieri. Così il campesinado fu alternativamente incluso o lasciato in disparte secondo i diversi piani governativi. Personaggi come Carranza e Zapata furono i promotori di varie rivolte nel Nord e nel Sud del Paese intese a ridefinire in maniera equa l’utilizzo dei terreni agricoli.

Con la Riforma Agraria promossa da Lázaro Cárdenas (1934-1940), si cercò di risolvere il problema attraverso una ri-distribuzione delle terre agricole e furono introdotti appezzamenti, individuali o collettivi, gestiti dal governo, chiamati ejidos. Gli ejidos però, presi a simbolo nazionale della nuova riforma, si rivelarono presto una contraddizione poiché solo una piccolissima parte (circa l’1,2%delle terre ) venne realmente distribuita in proprietà collettiva ai contadini, il resto servì allo sviluppo

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Gustavo Fares (1957-) critico letterario argentino, autore di Ensayos sobre la obra de Juan Rulfo, Peter Lang, New York,1998.

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capitalista dei grandi proprietari4 ,i così chiamati caciques, sia messicani che stranieri, legati ai principi e alle ideologie statunitensi.

Questa contraddizione tra ideologia e realtà, tra proprietà capitalista e collettiva, portò alla formazione, secondo Fares, di due diversi modi di fare giustizia: attraverso il diritto “consuetudinario” e il diritto “codificato”: due diversi approcci nei confronti della Legge, due diverse maniere di comportamento e di gestione, entrambe presenti e il cui peso incombente affliggeva la popolazione, indecisa tra l’accettazione e la ribellione.

El derecho aparece costantemente de una u otra manera en la obra de Rulfo y constituye uno de los pocos límites que el mundo rulfiano acepta en la existencia de los personajes, de sus vidas y de sus muertes5

Questi due universi (quello “ufficiale” quello “dei costumi”- “del diritto d’uso”) appaiono chiaramente nei racconti di Rulfo; in particolare analizzerò i racconti Nos han dado la tierra, Diles que no me maten, e Luvina6. Una delle differenze immediatamente riconoscibili tra le due tipologie di Legge è data dalla diversa modalità di diffusione, la prima scritta, la seconda tramandata oralmente. Questi universi si mettono in relazione tra di loro attraverso la violenza, sia questa un assassinio, una lotta armata o una condanna legale.

4

La situazione fu invariata nelle due amministrazioni successive, quella di A.Camacho e di Miguel Alemán, fino agli anni’50.

5

Gustavo Fares, Ensayos sobre la obra de Rulfo, Peter Lang, New York, 1998, p.18

6

Ho utilizzato per l’analisi dei brani il testo in lingua originale El Llano en Llamas. Edición de Carlos Blanca Aguinaga, Catedra, 2009. In traduzione taliana La pianura in fiamme, a cura di Ernesto Franco, Einaudi,Torino, 2012. Nel corso della redazione della mia tesi citerò in nota l’edizione italiana con la sigla PF- la versione originale in lingua spagnola con LL.

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1.2.1. ¡ Diles que no me maten!

Nel racconto ¡Diles que no me maten! ( Digli che non mi ammazzino!) Rulfo narra di un omicidio e s’inserisce in quella tipologia chiamata da Fares “diritto consuetudinario” in cui a fare le veci della giustizia e a condannare a morte di Juvencio Nava è il figlio dell’uomo che ha ammazzato trent’anni prima. Juvencio Nava aveva infatti ucciso Don Lupe Terreros, suo proprietario terriero e padre del colonello Terreros, così adesso, nel presente della narrazione, il figlio si vendica riscattando la morte di suo padre avvenuta trent’anni prima. Nava è dunque un perfetto rappresentante di quel mondo rurale che non rispettava l’ordine impostogli dalla legge. L’esecuzione di Nava non è una condanna voluta dallo Stato bensì una vendetta privata di suo figlio:la morte viene ripagata con altra morte, semplice legge del popolo.

L’incomprensione delle leggi codificate genera violenza, morte e vendetta. In questo caso Don Lupe aveva esagerato nell’imporre i suoi limiti alla proprietà privata vietando il pascolo alle bestie di Juvencio sul suo territorio. Lo aveva fatto per ignoranza, perché aveva introiettato la Legge senza capirla difendendo un semplice principio promulgato dallo Stato. L’incomprensione delle leggi caratterizza la vita dei personaggi rulfiani, tipici di un campesiando ignaro e sofferente. La classe dirigente colta aveva imposto le sue leggi ad un campesinado che non era pronto a capire e ad interiorizzare questi cambiamenti e perciò reagiva attuando l’unica legge che

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1.2.2. Nos han dado la tierra

In Nos han dado la tierra ( Ci hanno dato la terra ) il tema principale è quello della Riforma agraria. E’un monologo. E’la storia di quello che successe quando, terminata la Rivoluzione, i contadini cercarono di migliorare le proprie condizioni di vita, resi fiduciosi dalla Riforma e dalla distribuzione statale degli ejidos. Rulfo mette in scena la partenza di un gruppo di contadini verso il paese dove il Governo aveva dato loro un ejido collettivo. Il racconto si apre nel momento in cui sono già vicini, il clima è torrido, la stanchezza immensa e la speranza era rimasta kilometri indietro. Il topos del “viaggio della speranza” diventa qui un viaggio della disillusione, poiché la terra assegnata loro (el Llano Grande) è sì grande, ma arido, incoltivabile e inutile. Non a caso il personaggio narratore descrive ripetutamente la sterminata grandezza del Llano negandone l’utilità :

Chi diavolo l’avrà fatta questa piana tanto grande?a cosa serve?[…] Ci dissero:-Dal paese fin qua è tutto vostro.

Noi domandammo: -El Llano? -Sì, el Llano. Tutto el Llano Grande.

Noi a muso duro dicemmo che el Llano non lo volevamo. Che volevamo la parte del fiume[…]non questa dura pelle di vacca vecchia che si chiama El Llano7.

Il Llano è dunque al centro del monologo, Fares lo definisce un laberinto a la manera de Borges8 e ci viene rappresentato come uno spazio vuoto abitato solo da voci. Quando i contadini si erano resi conto che la terra loro assegnata era arida e inutile avrebbero voluto lamentarsi con il Governo, ma non viene permesso loro di parlare:

7 Ci hanno dato la terra, La pianura in fiamme, Einaudi,2012 p.4-5 [¿ Quién diablos haría este

llano tan grande?¿Para qué sirve,eh) [...] Nos dijeron: -Del pueblo para acá es de ustedes. Nosotros preguntamos:- ¿El Llano? – Sí, el llano. Todo el Llano Grande - Catedra, 2009, p.38-39].

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[…]Ma non ci lasciarono dire le nostre ragioni. Il delagato non era venuto per discutere con noi9.

Camminavano in silenzio. Il Governo anche era in silenzio. C’era incomunicabilità tra di loro poiché i mezzi di comunicazione erano diversi: orali, semplici e diretti per i contadini; scritti e codificati per il Governo. Per questo il delegato, alla lamentela del contadino, gli risponde di sporgere una denuncia per iscritto.

La differenza di questi due ordini giuridici (“noi”contadini, “loro”istituzioni) si manifesta a partire dal titolo Nos han dado (ellos)la tierra e si ripete nell’ultima frase del racconto La tierra que nos han dado está allá arriba.

Il viaggio rivela dunque il fallimento della ridistribuzione delle terre e della Riforma Agraria.

Attuata in quei termini la Riforma agraria non fa che sentenziare l’immutabilità dello stato di povertà ed emarginazione cui sono condannate le comunità contadine. Le terre fertili, lo spazio positivo continuano ad essere inaccessibili, recintati e naturalmente, degli altri, dei Don Lupe Terreros (¡Diles que no me maten!), dei Torricos (La cuesta de las comadres ), o di Justo Brambila (En la madrugada)10.

Dopo la Rivoluzione antichi rivoluzionari si erano convertiti in nuovi proprietari terrieri delle aree più produttive,insieme ai vecchi latifondisti, mentre i contadini (ex rivoluzionari) erano stati relegati nelle zone più aride dove l’acqua era scarsa (o inesistente) e i terreni impossibili da coltivare. Si stima che tra il 1953 e il 1970 il 91% delle terre distribuite dallo Stato erano aride o montagnose11. In una di queste aree marginali si svolge il racconto di Rulfo. A quel tempo il contadino aveva due soluzioni: o rubare il terreno di qualcun altro o rassegnarsi a vivere miseramente.

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PF.p.5 [Pero no nos dejaron decir nuestras cosas. El delegado no venía a conversar con nosotros. LL.p.39].

10

Dieci racconti di Juan Rulfo, traduzione introduzione e note Tommaso Scarano, ed. I Giardini, Pisa, 1980.

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Entrambe le soluzioni lo avrebbero portato a vivere emarginato socialmente e legalmente nel primo caso, economicamente nel secondo12.

Il racconto, che sembrava dovesse avere un finale felice, rimane in sospeso, non sappiamo cosa faranno i contadini una volta insediati in quella terra arida. In generale tutti i racconti di Rulfo mostrano l’impotenza dell’uomo e la sua rassegnazione nei confronti del potere centrale. Anche quando decidono di farsi giustizia da sé (come in ¡Diles que no me matan!) la situazione non migliora ed il castigo è la morte. Los personajes de las narraciones de “El Llano en llamas” se presentan y sienten más como víctimas que como beneficiarios de las leyes, más cargados de obligaciones a cumplir que de derechos a reclamar13.

I messicani non avevano mezzi per difendersi dalle autorità se non la violenza, e la legge s’imponeva loro come uno strumento di dominio più che di ordine e d’uguaglianza. Da questo si nota come il cambiamento di regime politico non avesse portato ad un miglioramento della qualità della vita per cui, in teoria, si era lottato durante la Rivoluzione. I contadini che avevano fatto la Rivoluzione continuavano a vivere nelle stesse condizioni, di oppressione e di violenza, senza una legge a proteggerli ed assicurare loro una speranza di vita migliore.

Questo portò ad un grosso spopolamento delle zone rurali come nella regione di Jalisco in cui visse Rulfo, che s’intensificò negli anni ’50 a causa della mancanza di strade e collegamenti verso le città (Zapotlán e Guadalajara). L’afflusso alle zone urbane relegò nell’ombra tutti quei paesi e quelle persone che si rifiutarono di lasciare la propria terra; Rulfo ne riporta un esempio con Luvina e Comala, due paesi fantasma, abbandonati dal governo e lasciati in balia di se stessi e delle proprie credenze ormai superate.

12

G.Fares, Ensayos sobre la obra de Juan Rulfo, Peter Lang, New York, 1998, p.24.

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1.2.3. Luvina

A Luvina abitano solo i vecchi e quelli che non sono ancora nati […] e le donne sole, o con un marito che se ne va in giro Dio solo sa dove…Vengono di tanto in tanto come i temporali […]lasciano il fagotto delle provviste per i vecchi e piantano un altro figlio nel ventre delle mogli, e poi nessuno ne sa più niente fino all’anno dopo, a volte mai… E’l’usanza. Lì dicono la legge ma è la medesima cosa.[…]i vecchi li aspettano il giorno della morte, seduti sulla porta di casa, con le braccia abbandonate, tenuti su solo da quella grazia che è la gratitudine del figlio…Soli in quella solitudine di Luvina.14

Luvina è’la storia di un paese e dei suoi pochi abitanti; è un luogo inospitale, lontano dalla civiltà, dimenticato dal governo e dalla classe media. Periodicamente il governo manda loro un maestro per alfabetizzare e modernizzare il paese ma con scarsi risultati. Sembra che inizialmente Rulfo avesse chiamato Luvina con un altro nome: “Loobina” che nel linguaggio zapoteco attuale significa etimologicamente “cara de la pobreza” [faccia della povertà]15.

Il racconto, composto tra dicembre 1952 e gennaio 1953, fu l’ultimo scritto da Juan Rulfo prima del suo romanzo Pedro Páramo, di cui sembrerebbe quasi l’ispiratore. In Luvina infatti s’incontrano gli scenari, l’ambientazione, i personaggi ed i temi che Rulfo riprenderà con maggior chiarezza in Pedro Páramo. Luvina può essere considerato come un esperimento, ben riuscito, attraverso cui Rulfo costruisce quel mondo sinistro che sarà poi l’ambientazione del suo primo romanzo pur mantenendo la tecnica narrativa fino ad ora utilizzata nei suoi racconti.

14

Luvina, PF, p.94 [[ En Luvina sólo viven los puros vieto y los que todavía no han nacido [..] y las

mujeres solas o con un marido que anda donde sólo Dios sabe dónde...vienen de vez en cuando como las tormentas [...] Dejan el costal del bastimento para los viejos y plantan otro hijo en el vientre de sus mujeres, y ya nadie vuelve a saber de ellos sino al año siguiente, y a veces nunca...Es la costumbre. Allí dicen la ley, pero es lo mismo [..] los viejos aguardan por ellos y por el diá de la muerte, sentados en sus puertas, con los brazos caídos movidos sólo por esa gracia que es la gratidud del hijo...Solos en aquella soledea de Luvina. –LL. pp.118-119]].

15

Jiménez de Báez Ivette, Historia y sentido en la obra de Juan Rulfo, in Juan Rulfo Toda la obra, ed.Claude Fell, Colección Archivos de la Biblioteca Nacional de Madrid, 1ªedición 1992, p.704.

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L’atmosfera di Luvina, un mondo fantasmagorico fatto di vento, mormorii, ombre misteriose, offre a Rulfo l’anticipazione perfetta per Comala. Luvina e Comala sono l’altra faccia della stessa realtà. Se in Luvina incontriamo personaggi non ancora morti ed aggrappati con le unghie ad una speranza di salvezza, in Comala i personaggi sono tutti morti. In altre parole San Juan de Luvina può essere considerata come un Purgatorio, Comala come l’Inferno. In Luvina spariscono già quelle frontiere tra reale e irreale, che permettono quel grande dialogo con i morti centrale in Pedro Páramo.

Il racconto si apre con la descrizione di Luvina, primissima anticipazione di Comala. Notiamo la somiglianza fin dalle primissime battute del testo:

Dei monti alto del sud quello di Luvina è il più alto e il più pietroso. C’è dappertutto quella pietra grigia che serve per fare la calce, ma a Luvina non ne fanno calce e non ricavano niente […]

…E la terra è scoscesa. Si squarcia da tutte le parti in precipizi profondi, con il fondo che si perde tanto è lontano. Dicono a Luvina che da quei precipizi salgono i sogni ma io l’unica cosa che ho visto salire da là sotto è stato il vento, con un gran boato, come se soffiasse dentro tubi di canna. Un vento che non lascia crescere neanche le dulcamaras: quelle pianticelle tristi che è già tanto se riescono a vivacchiare rasoterra, aggrappate con tutte le loro mani agli scoscendimenti delle montagne […]16.

In questo racconto, meglio di qualunque altro, Rulfo sviluppa la tecnica chiamata del “cuento de ambiente”, caratterizzata da una scarsa

16

Luvina, PF.p.87 [[De los cerros altos del sur, el de Luvina es el más alto y el más pedegroso. Está

plagado de esa piedra gris con la que hacen la cal, pero en Luvina no hacen cal con ella ni le sacan ningún provecho [...] Y la tierra es empinada. Se desgaja por todos lados en barrancas hondas, de un fondo que se pierde de tan lejano. Dicen los de Luvina que de aquellas barrancas suben los sueños; pero yo lo único que vi subir fue el viento, en tremolina, como si allá abajo lo tuvieran encañonado en tubos de carrizo. Un viento que no deja crecer ni a las dulcamaras: esas plantitas tristes que apenas si pueden vivir un poco untadas a la tierra, agarradas con todas sus manos al despeñadero de los montes. LL. p.112]].

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importanza della fabula e dei personaggi ma capace di rendere l’ambiente stesso unico personaggio e fulcro della storia.

La trama è molto semplice: il racconto si svolge in un bar dove un maestro,sulla strada verso Luvina, si era fermato a passare la notte. Qui incontra il suo predecessore, un altro maestro appena tornato da Luvina, che gli racconta la sua esperienza. Questo secondo maestro (il narratore protagonista) gli descrive Luvina come un paese triste, anzi il più triste che ci possa essere:

[…]direi che è il posto dove annida la tristezza[…]dove l’aria che soffia laggiù la rimescola ma non se la porta mai via. Sta lì come se ci fosse nata” e l’aria è nera e tangibile: […]te la senti anche in bocca, la tocchi, perché ti sta sempre addosso, ti si stringe contro […]”17.

Il narratore sembra essere la trasposizione tipica di un personaggio della mitologia che, tornato dagli Inferi, parla agli increduli viaggiatori che vogliono percorrere lo stesso viaggio delle difficoltà e degli orrori visti nell’aldilà. Il narratario cui si rivolge il maestro è appunto l’altro maestro ma è anche un personaggio misterioso: non sappiamo come si chiama, non ci viene descritto, è un personaggio indefinito che apre una moltitudine d’interpretazioni. L’unica cosa che sappiamo è che sarà il nuovo maestro di Luvina, ma più che un personaggio in carne ed ossa sembra un ombra o uno sdoppiamento dello stesso maestro narratore, che a voce alta, dialoga con se stesso.

Luvina è dunque un paese fantasma, tetro e angosciante, dove tutto è spento e la gente anche sembra essere morta, ma forse non se ne rende conto. Ci viene descritto come un paese “bianco”ma non a simbolo di purezza bensì di tomba sepolcrale:

Lassù la chiamano pietra cruda e il colle che sale verso Luvina lo chiamano Cuesta della Piedra Cruda. L’aria e il sole l’hanno sminuzzata, di

17

PF.pp.88-89 [[Yo diría que es el lugar donde anida la tristeza.[...] El aire que allí sopla la

revuelve, pero no se la lleva nunca. Está allí como si allí hubiera nacido. Y hasta se puede probar y sentir, porque está allí siempre encima de uno, apretada contra de uno...LL. p.114 ]].

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modo che la terra da quelle parti è bianca e luccica come se fosse sempre bagnata dalla rugiada dell’alba, ma per modo di dire, perché a Luvina tutti i giorni sono freddi come le notti e la rugiada si rapprende nel cielo prima di cadere a terra.[…] Tutte quelle colline brulle, senza un albero, senza una sola cosa verde per riposare gli occhi;tutto avvolto in quell’alone di cenere. Lo vedrà: quelle montagne spente come fossero morte e Luvina sulla più alta, a coronarla con le sue case bianche come fosse una corona da morto…18.

L’unica cosa viva sembra essere il vento, personificato, si vede e si sente. E’ un vento che erode la terra e flagella gli abitanti; un incubo che minaccia e spaventa col suo ululare, nero come un premonitore di morte. Un vento che non lascia crescere nulla; è scuro poiché porta con sé sabbia scura del vulcano ma anche perché portatore di morte di distruzione cui niente e nessuno può sottrarsi, né gli uomini, né le piante né le cose. L’immagine è quella di un vento che devasta, che entra dentro le persone come un demonio, che si attacca …alle cose come se mordesse […]e poi gratta come se avesse le unghie: lo senti mattina e sera, ora dopo ora, senza tregua,raspa contro le pareti,strappa croste di terra,scava con la sua pala appuntita sotto le porte, finché cominci a sentirtelo dentro, che si agita come se volesse scardinarti le ossa. Lo vedrà anche lei.[…] Dicono quelli del posto che quando c’è luna piena, vedono il vento come un’ombra nera che va per le strade di Luvina trascinando una coperta nera […]Non lo sentite questo vento? Lui vi farà morire tutti. Dura quel che deve durare. E’la volontà di Dio19- gli dissero gli abitanti di Luvina.

18

PF.pp 87-88 [[ Allí la llaman piedra cruda, y la loma que sube hacia Luvina la nombran Cuesta

de la Piedra Cruda. El aire y el sol se han encargado de desmenuzarla, de modo que la tierra de por allí es blanca y brillante como si estuviera rociada siempre por el roció del amanecer ; aunque esto es un puro decir, porque en Luvina los diás son tan fríos como las noches y el rocío se cuaja en el cielo antes que llegue a caer sobre la tierra [...] LL. p.112 – Todo el lomerío pelón, sin un arból, sin una cosa verde para descansar los ojos ; todo envuelto en el calín ceniciento. Usted verá eso:aquellos cerros apagados como si estuvieran muertos y a Luvina el más alto, coronándolo con su blanco caserío como si fuera una corona de muerto...LL.p.113 ]] .

19

PF.pp. 88,90,95 [[Se planta en Luvina prendiéndose de las cosas como si las mordiera [...] Luego

rasca como si tuviera uñas : uno lo oye a mañana y tarde, hora tras hora, sin descanso, raspando las paredes, arrancando tecatas de tierra, escarbando con su pala picuda por debajo de las puertas, hasta sentirlo bullir dentro de uno como si se pusiera a remover los goznes de nuestros mismos huesos. Ya lo verá usted.[...] LL. p.113 [ Dicen los de allí que cuando llena la luna, ven de bulto la figura del viento

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Oltre al vento a Luvina tutte le condizioni metereologiche sono esasperate, la pioggia ad esempio,rara ma tremenda:

Lassù piove poco. Verso la metà dell’anno vengono certi temporali che sferzano la terra e la sbriciolano, lasciando solo il pietrame sparso sopra il tufo.[…] Le nuvole […]vanno da una montagna all’altra ballonzolando come vesciche gonfie d’aria; rimbalzando ed esplodendo in tuoni come se si lacerassero sul filo dei dirupi. Ma passano dieci o dodici giorni e se ne vanno per non tornare fino all’anno dopo, e a volte si dà il caso che non tornino per anni20.

Il sole: Quando capita il sole viene troppo vicino a Luvina e ci succhia il sangue e la poca acqua che abbiamo nella pelle. L’aria serve così il sole se ne stia lassù. Così è meglio21.

La struttura del racconto è tipica dei racconti di Rulfo: c’è un narratore principale, (l’autore) che parla al lettore in terza persona da una prospettiva esterna e c’è un narratore secondario: il maestro sconfitto che parla in prima persona al viaggiante, cioè il secondo maestro (e secondo destinatario). Il dialogo si apre con una voce non identificata (“l’uomo che parlava”) che poi si scoprirà essere del narratore secondario, il maestro (che per comodità chiamerò qui maestro1). Il maestro 1 si rivolge ad un interlocutore non identificato (“il signore” ) dandogli del lei, ovvero l’altro maestro (maestro2) e preparandolo alla sua avventura nel regno degli inferi (Luvina). Racconta la sua esperienza e quella della sua famiglia (moglie Agripina), che arrivati al paese in cerca di una locanda dove passare la notte furono costretti a rifugiarsi in chiesa perché non c’era nessun’altra possibilità. Non c’era nulla. Questo spiega il perché nessuno

recorriendo las calles de Luvina, llevando a rastras una cobija negra [...] No oyen ese viento? Él acabará con ustedes- Dura lo que debe durar. Es el mandato de Dios. LL. .p.120 ]].

20

PF.p.89 [[ Allá llueve poco. A mediados de año llegan unas cuantas tormentas que azotan la

tierra y la desgarran, dejando nada más el pedregal flotando encima el tepetate.[...] las nubes [...]]andan de un cerro a otro dando tumbos como si fueran vejidas infladas;rebotando y pegando de truenos igual que si se quebraran en el filo de las barrancas. Pero después de diez o doce días se van y no regresan sino al año siguiente, y a veces se da el caso de que no regresen en varios años. LL. p.114 ]].

21

PF..p.96 [ Cuando eso sucede, el sol se arrima mucho a Luvina y nos chupa la sangre y la poca

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voleva andare o passare per Luvina “neanche scappasse da un posto indemoniato”22.

Anche gli abitanti di Luvina sembravano morti, come in Comala :

Vidi tutte le donne di Luvina con il loro orcio in spalla, con lo scialle in testa, tutte le loro figure nere sullo sfondo nero della notte[…]le vidi ferme davanti a me, mi guardavano. Poi, come fossero ombre, s’incamminarono giù per la via con i loro orci neri23.

Il tempo del racconto è un tempo soggettivo, irreale ed eterno, tipico dei racconti rulfiani : il fatalismo estremo, la straziante e monotona immobilità dell’ambiente fa sì che il tempo sembri si sia fermato:

Mi pare che mi domandasse per quanti anni sono rimasto a Luvina,vero…?il fatto è che non lo so […] ma dev’essere stata un’eternità….è che il tempo lì è molto lento[…]I giorni cominciano e finiscono. Poi viene la notte finché viene il giorno della morte che per loro è una speranza24.

Fermando il tempo Rulfo riesce a bloccare anche tutte le rappresentazioni esterne ai personaggi accentuando quella monotonia e quella sofferenza intima che altrimenti sarebbe stata meno evidente. A Luvina il tempo è irreale, si è fermato, si è bloccato ed il maestro, probabilmente morto, parla a se stesso in uno spazio indefinito e senza tempo.

22

PF.p.91 [ ...como si se alejara de un lugar endemoniado. LL.p.116 ].

23

PF.p.93 [[ Vi a todas las mujeres de Luvina con su cántaro al hombro, con el rebozo colgado de

su cabeza y sus figuras negras sobre el negro fondo de la noche [...] Las vi paradas frente a mí, mirándome. Luego, como si fueran ombras, echaron a caminar calle abajo con sus negros cántaros.

LL.p.118 ]].

24 PF.p.94 [[ -Me parece que usted me preguntó cuántos años estuve en Luvina, ¿verdad? La

verdad es que no lo sé [...] pero debió haber sido una eternidad...Y es que allá el tiempo es muy largo [...] Los diás comienzan y se acaban. Luego viene la noche. Solamente el día y la noche hasta el día de la muerte, que para ellos es una esperanza. LL.p.118 ]].

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Il maestro1 anticipa al maestro2 che non sarebbe riuscito a cambiare nulla a Luvina perché la poca gente rimasta (i vecchi e i non ancora nati) volevano rimanere lì a proteggere i loro defunti, perché “loro abitano qui e non possiamo lasciarli soli”-questo gli dissero-“E sono ancora lassù. Li vedrà adesso che ci va”25.

La critica sociale che aleggia nel racconto è diretta al Governo (personificato) che mandava periodicamente in paesi abbandonati e periferici come Luvina maestri pieni dell’illusione educativa propria del governo messicano degli anni’50. Rulfo attraverso Luvina mostra l’assurdità di questo sistema educativo che ignorava cosa fosse la povertà più estrema e la disperazione di quei posti. Le promesse di prosperità e d’uguaglianza che il Governo messicano aveva rivolto ai suoi cittadini per molto tempo erano state vane. La gente aveva perso fiducia nel Governo e preferiva morire nel proprio paese rimanendo ad accudire ai propri morti piuttosto che vagare alla ricerca di una speranza di vita migliore. San Juan de Luvina è il primo purgatorio Rulfiano, la prima costruzione di Comala.

Per analizzare il racconto Luvina ritengo opportuno tenere in considerazione un’analisi del filosofo argentino Rodolfo Kusch26, influente figura del panorama letterario sudamericano ma ignorato dalla maggior parte della popolazione, e proprio da quella stessa moltitudine indigena del continente americano cui dedica le sue analisi.

Kusch affermava come alla base delle strutture mentali degli indigeni americani vi fosse un pensiero “seminal” ed uno “causal”. Il primo viene da semen/semilla [seme] ed è una modalità di pensiero “originario”(delle origini che cresce spontaneo) . Il secondo è un pensiero “causal” , importato dall’esterno e diverso per forma e contenuto. In altre parole possiamo definire seminal la radice indigena e causal la radice culturale e sociale imposta dai colonizzatori, la cui unione generea quella

25

PF.p.95 [ -Ellos viven aquí y no podemos dejarlos solos.- Y allá siguen. Usted los verá ahora que

vaya. LL.p.120].

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dualità messicana, più volte qui descritta, fonte d’insoddisfazione e di perdita d’identità.

Leggendo attentamente Luvina possiamo notare come questa compresenza duale origini i due diversi pensieri descritti da Kusch. A livello spaziale e narrativo identifichiamo il pensiero “causal” nel “qui” del bar, il luogo della civiltà dove ci sono oggetti e relazioni amichevoli; Luvina invece è il mondo “seminal”, magico e nefasto. La contrapposizione tra i due spazi contribuisce a creare un luogo nuovo dove “pensar seminal” e “pensar causal”possono integrarsi. Il bar dove si svolge l’azione non è localizzato geograficamente ed ha un certo rapporto con l’altro mondo rappresentato da Luvina: un “qui” vivo, fatto di cose concrete (birra, bancone, moscerini e bambini che giocano) contrapposto ad “lì” morto (Luvina); un “qui”colorato contrapposto ad un “lì” grigio e lugubre.

Rulfo rende possibile tutto ciò attraverso un procedimento narrativo di frammentazione delle informazioni ed attraverso l’utilizzo di una varietà di prospettive visive ed auditive. Questa tecnica narrativa sarà fondamentale per mettere in dubbio la certezza di un'unica visione della realtà e prepara il lettore ad entrare in un mondo retto da parametri, per così dire, “originali”. Per aiutare il lettore a familiarizzare con questi nuovi parametri, Rulfo introduce l’universo di Luvina attraverso dei richiami alla storia dell’autore e a quella del personaggio del racconto. Questi richiami servono a creare una sensazione di vero-similitudine ed aggiungono credibilità al racconto.

I racconti di El Llano en llamas sono essenzialmente realisti con la sola eccezione di Luvina, appunto, racconto di eccezionale espressione narrativa riconducibile ai canoni del filone del Real Maravilloso (di cui parlerò più avanti nel cap.2.2).

La straordinarietà del racconto di Luvina sta nella rappresentazione di un paese messicano afflitto dalla sofferenza, senza nessuna speranza né illusione, in una veste magico - onirica in cui aleggia il mistero. Le ombre

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ed i sussurri misteriosi che popolano il purgatorio di Luvina diventeranno i morti-fantasmi dell’inferno di Comala, dove il solo Juan Preciado si recherà alla ricerca di suo padre.

Ma a rendere Luvina ancora più importante oltre alle connessioni con Comala è la sua universalità : allude ad infiniti viaggi e ad infinite storie di gente povera e fallita nel Messico degli anni’50. Ma il suo potere espressivo si estende anche al di fuori dei confini messicani inducendo il lettore ad identificarsi e a trasportare quel paese in una qualsiasi epoca di qualunque mondo; obiettivo, questo, diffuso tra gli scrittori magico - realisti.

Luvina è considerata la più alta espressione letteraria della solitudine intesa come rassegnazione e immobilità di un popolo, di un clima e di un territorio; i suoi abitanti, in un’amara accettazione del proprio fallimento, non hanno nulla a cui aggrapparsi ed aspettano solo di morire, proprio come in un purgatorio:

San Juan Luvina. Mi sapeva di cielo quel nome. Ma quello è il purgatorio. Un posto moribondo dove sono morti anche i cani e non c’è più nessuno ad abbaiare al silenzio; e appena uno si abitua al ventaccio che tira lassù, non sente altro che il silenzio che c’è in tutte le solitudini. E questo ti ammazza. Guardi me. A me mi ha ammazzato. Lei che ci va capirà presto quel che le dico…27.

27

Luvina, PF. p.96 [ San Juan de Luvina. Me sonaba a nombre de cielo aquel nombre. Pero aquello

es el Purgatorio. Un lugar moribundo donde se han muerto hasta los perros y ya no hay ni quien le ladre al silencio; pues en cuanto uno se acostumbra al vendaval que allí sopla, no se oye sino el silencio que hay en todas las soledades. Y eso acaba con uno. Míreme a mí. Conmigo acabó. Usted que va para allá comprenderá pronto lo que le digo... LL. p.120].

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