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Cenni di magnetostatica nel Vuoto

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Academic year: 2021

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1.1 (Lezione L14 – Prof. Della Valle) 1. Effetti Meccanici del Campo Magnetico

1.1 La Magnetostatica

L’elettrostatica studia le forze di interazione fra cariche elettriche ferme.

Ogni carica elettrica q è soggetta ad una forza elettrostatica che può essere calcolata come il prodotto di q per un campo elettrico, generato da tutte le altre cariche.

Il magnetismo studia le forze di interazione fra:

- particolari sostanze dette magneti (calamite) - cariche in moto (correnti elettriche) e magneti - cariche in moto (correnti elettriche)

Per il momento non ci preoccupiamo dell’esistenza dei magneti, la cui natura può esser ricondotta a quella delle correnti elettriche.

Il Campo Magnetico viene quindi generato dalle correnti elettriche ed ha effetti meccanici sulle correnti elettriche.

L’interazione fra le cariche in moto o le correnti è più complessa, però, di quella che si ha fra le cariche elettriche ferme. In questo corso ci occupiamo solo dell’interazione fra correnti elettriche stazionarie, cioè di intensità costante nel tempo. Studiamo quindi il campo magnetico in condizioni statiche, proprio come abbiamo fatto per il campo elettrico: per questo motivo la branca della fisica corrispondente viene detta Magnetostatica.

1.2 Definizione operativa di Campo Magnetico

Per dare una definizione di campo magnetico, poniamoci inizialmente in una situazione ben precisa; poi cercheremo di generalizzare la definizione.

Immaginiamo di avere un filo conduttore percorso da una corrente stazionaria I0, e poniamo nelle sue vicinanze un circuito di prova, costituito da un generatore di tensione f connesso ad un resistore variabile R attraverso un amperòmetro, cioè uno strumento che misura l’intensità di corrente. Un tratto rettilineo di filo conduttore del circuito, attraversato dalla corrente I misurata dallo amperòmetro e di piccola lunghezza l, sia connesso al resto del circuito attraverso due contatti mobili, realizzati con

l’aiuto di due molle di costante elastica k nota (vedi figura).

Fissato il resto del circuito, il tratto di conduttore mobile subisce una forza magnetica F!

per effetto della corrente I0. Le molle costituiscono un dinamometro che ci permette di misurare la forza

F! .

Se la lunghezza l è trascurabile rispetto alla distanza dalla corrente I0, sperimentalmente si verificano le seguenti relazioni:

1) F !Il cioè il modulo della forza è direttamente proporzionale all’intensità I della corrente e alla lunghezza l del conduttore. In particolare, la forza si annulla se si stacca il generatore di tensione e quindi si annulla la corrente I.

I0

l R

f I

k

k F!

A

(2)

2) F! l!

! , dove l!

è il vettore di modulo l orientato come la corrente I, cioè per qualunque orientazione del circuito di prova, la direzione della forza è sempre ortogonale a quella del filo che la sperimenta.

3) Il modulo F della forza dipende dall’orientazione del circuito di prova, ed è massimo quando l!

risulta parallelo alla corrente esterna I0, mentre si annulla se l!

è ortogonale al conduttore percorso da I0. Più precisamente, detto ! l’angolo formato fra l!

e la corrente I0, F risulta proporzionale a cos . !

Questi risultati sperimentali, peraltro piuttosto complessi, si possono riassumere in una legge abbastanza semplice se introduciamo in maniera opportuna il Campo Magnetico

B!

generato dalla corrente stazionaria I0: F! Il! B!

!

= .

Oss.1 Poiché l!

ed I sono note, mentre F!

viene misurata sperimentalmente, questa legge costituisce una definizione operativa del campo magnetico; essa viene anche detta seconda formula di Laplace.

Questa relazione ci dice infatti come è possibile misurare il campo magnetico utilizzando il circuito di prova, e questa misura (indiretta) ne costituisce la definizione; è possibile dare una definizione in questa forma perché essa rispetta le osservazioni sperimentali.

Oss.2 Dalla legge che abbiamo introdotto, infatti, si ottengono le relazioni seguenti:

1) F = IlBsin! , dove ! è l’angolo compreso fra l! e B!

; 2) F! l!

! , F! B!

! per ogni possibile orientamento del circuito.

Queste relazioni si accordano con le osservazioni sperimentali se si postula che il campo B! generato dalla corrente I0 abbia in ogni punto dello spazio una ben precisa direzione, che è sempre ortogonale sia al filo conduttore sia alla direzione radiale, ovvero che sia diretto come il versore ! di un sistema di coordinate cilindriche con l’asse z coincidente con l’asse del conduttore.

U.d.M. Da questa relazione si ottiene anche l’unità di misura del campo magnetico:

[ ]

B =

[ ]

F

[ ]

I

[ ]

l =

N

A m= J s

A m2s= Ws A m2 = Vs

m2 .

Si introducono poi altre due unità di misura, cioè il Weber (Wb), definito come 1Wb!1Vs, ed il Tesla (T), definito come 1 !T 1Wb m2 .

Di conseguenza l’unità di misura del campo magnetico è il Tesla, mentre il flusso del campo magnetico si misura in Weber.

Oss. In un caso più generale possiamo avere più circuiti percorsi da corrente, ciascuno dei quali genera un campo magnetico; in ogni punto dello spazio il campo magnetico complessivo è la somma vettoriale dei campi generati dai singoli conduttori (principio di sovrapposizione degli effetti) e può essere misurato con lo stesso circuito di prova che abbiamo descritto sopra.

Il circuito di prova deve essere sufficientemente piccolo da rendere trascurabile ogni effetto di variazione del campo lungo il circuito stesso, in particolare lungo il conduttore di lunghezza l che subisce la forza magnetica.

Tutte le altre correnti costituiscono le sorgenti del campo.

(3)

1.3 Forza magnetica su un filo conduttore percorso da corrente stazionaria

Il campo magnetico, dunque, esercita una forza sui conduttori percorsi da corrente. Se abbiamo un filo conduttore di lunghezza infinitesima dl e di spessore trascurabile, percorso da corrente stazionaria I, esso è soggetto ad una forza magnetica infinitesima che vale:

B l d I F

d! ! !

!

= ,

dove ld!

è un vettore di modulo dl con la direzione e il verso della corrente I, e B!

è il vettore campo magnetico nel punto in cui si trova il conduttore. Questa legge è una generalizzazione ovvia di quella che costituisce la definizione operativa di campo magnetico.

Oss. Abbiamo considerato un conduttore di lunghezza infinitesima perché in questo modo siamo sicuri che il campo magnetico sia uniforme lungo il conduttore.

Per un filo conduttore di lunghezza finita, in generale curvo, la forza magnetica complessiva si trova sommando tutti i contributi esercitati sui singoli tratti di conduttore, cioè integrando la precedente relazione: !

Ftot = I d! l ! !

""

B.

L’integrale viene eseguito su una linea chiusa corrispondente al circuito percorso dalla corrente I.

Oss.1 E’ importante osservare che, se il campo magnetico è uniforme lungo tutto il circuito chiuso, la forza risultante si annulla: B!

uniforme ! !

Ftot = I d!

""

l

( )

#B = 0! .

Infatti il prodotto vettore con il campo magnetico si può portare fuori dal segno di integrale;

l’integrale lungo una linea del vettore ld!

è pari al vettore che congiunge i due estremi della linea; se la linea è chiusa questo vettore si annulla.

Per convincersene, basti pensare ad esempio ad un circuito rettangolare immerso in un campo magnetico uniforme: è facile vedere, in questo caso, che le forze magnetiche agenti sui lati del circuito sono a due a due uguali ed opposte.

Oss.2 Se poi si vuole calcolare la forza agente su un tratto del conduttore, ad esempio perché esso è mobile rispetto al resto del circuito, basterà estendere l’integrale solo alla linea aperta corrispondente: in questo caso la forza può risultare diversa da zero anche se il campo è uniforme; si pensi all’esempio del circuito di prova che abbiamo visto all’inizio.

1.5 Forza su di una singola carica in moto: Forza di Lorentz

La forza magnetica che si manifesta sulla corrente è la risultante delle forze esercitate sulle singole cariche elettriche in moto che costituiscono la corrente stessa: si può dimostrare infatti che ogni carica elettrica in moto in una regione di spazio in cui è presente un campo magnetico sperimenta una forza magnetica.

Per trovare la legge che lega tale forza al campo magnetico e alle caratteristiche della carica in moto, consideriamo l’espressione della forza agente su un tratto di filo conduttore di lunghezza infinitesima dl e vi sostituiamo la densità di corrente J =I S, dove S è la sezione del conduttore: dF! Idl! B! JSdl! B! SdlJ! B! Sdlnqv!d B!

!

=

!

=

!

=

!

= .

Nell’ultima espressione possiamo ora riconoscere che il prodotto dei primi tre termini rappresenta il numero di portatori di carica presenti nel volume di conduttore considerato:

B v q dN F d dl

S n

dN ! !d !

!

=

"

= .

Questa relazione, ora, può essere interpretata come il prodotto del numero di portatori per la forza esercitata sul singolo portatore, nella schematizzazione in cui la corrente stazionaria è costituita da un flusso di cariche elettriche che si muovono tutte con velocità costante, pari alla velocità di deriva. Risulta dunque verosimile che una carica elettrica q che si muove di

(4)

B! F! R v!!

m q, B

v q F! ! !

!

= .

Questa legge prende il nome di forza di Lorentz e si può verificare sperimentalmente, ad esempio con esperimenti sul moto degli elettroni all’interno di un tubo a raggi catodici.

Oss. Stabilisce che la forza magnetica ha modulo direttamente proporzionale alla velocità, al campo e alla carica; la direzione della forza è ortogonale sia alla velocità sia al campo magnetico, ed il verso può essere stabilito con la regola della vite destrorsa (tenendo conto, infine, anche del segno di q).

Oss. Questa forza, essendo ortogonale alla velocità, ha al più l’effetto di curvare la traiettoria, ma non di variare il modulo della velocità, quindi, in base al teorema dell’energia cinetica, la Forza di Lorentz non può compiere mai lavoro.

1.6 Moto di una singola carica in un campo magnetico uniforme

Come applicazione della forza di Lorentz, consideriamo una particella di carica q e di massa m in moto in una regione di spazio in cui è presente un campo magnetico B!

uniforme.

Calcoliamo la legge del moto della particella, che varia a seconda della velocità iniziale.

Moto rettilineo uniforme (velocità iniziale parallela al campo magnetico)

Supponiamo anzitutto, per semplicità, che la velocità iniziale della particella sia parallela alla direzione del campo: possiamo indicare tale velocità come v!||, per metterne in evidenza la direzione. In questo caso la forza di Lorentz si annulla: !

F = q! v||! !

B = 0 ;

di conseguenza la particella si muove di moto rettilineo uniforme con velocità v!||.

Moto circolare uniforme (velocità iniziale ortogonale al campo magnetico)

Sicuramente più interessante è il caso inverso, in cui la particella ha una velocità iniziale v!0,! nel piano normale a B!

. In questo caso la forza di Lorentz è massima, si trova anch’essa nel piano ortogonale a B!

, ma è ortogonale (all’istante iniziale) anche a v!0,!: F t = 0!

( )

= qv!0,!" !

B = q v0,!B ˆuN.

Questa forza, essendo ortogonale alla velocità, ha l’effetto di curvare la traiettoria, ma non di variare il modulo della velocità.

Questa situazione continua a permanere agli istanti successivi: la forza è sempre ortogonale alla velocità e giace nel piano ortogonale a B!

, che dunque è il piano del moto; per questo motivo il moto è uniforme, con velocità di modulo v! =v0,!.

L’accelerazione è quindi normale alla traiettoria, e vale: N N uN R u v m

B v q m

a = F = ! ˆ = !2 ˆ

! ! .

Nell’ultima espressione R rappresenta il raggio di curvatura della traiettoria, che è lo stesso in tutti i punti: ciò significa che il moto è circolare uniforme.

Il raggio della traiettoria può essere ricavato dall’espressione dell’accelerazione normale:

B q

v R= m ! .

Il senso di rotazione si inverte se variano il verso del campo magnetico o il segno della carica.

Moto elicoidale uniforme (caso più generale)

La situazione più generale possibile è quella in cui la velocità iniziale v!0 sia inclinata rispetto al campo magnetico di un certo angolo, diverso dall’angolo retto.

(5)

In ogni caso possiamo scomporla in una componente parallela ed una normale a B! : + !

= || 0,

0 v v

v! ! ! .

In questo caso la forza di Lorentz è proporzionale alla sola componente di velocità ortogonale al campo, ed ha direzione normale ad essa, sempre nel piano ortogonale a B!

.

Il moto è allora la composizione dei due moti che abbiamo studiato in precedenza: un moto rettilineo uniforme a velocità v!||, nella direzione del campo, e un moto circolare uniforme con raggio R che dipende da v! =v0,! nel piano ortogonale al campo,

quindi il moto risultante è di tipo elicoidale uniforme, con raggio dell’elica dato dalla stessa espressione vista prima.

Il passo p dell’elica si può calcolare moltiplicando la velocità parallela per il periodo di rotazione T nel piano normale:

||

||

||

2

2 v

B q

m v

v R T v

p ! !

=

=

=

"

.

Oss. Come si vede, il periodo di rotazione e quindi il passo dell’elica risultano indipendenti dalla velocità normale: infatti, se ad esempio tale componente di velocità aumenta, nella stessa proporzione aumenta anche il raggio dell’elica.

1.7 Tubo a raggi catodici (di Thomson)

Il tubo a raggi catodici (qui rappresentato nella versione di Thomso) è un tubo di vetro in cui viene fatto il vuoto spinto (~10-5 torr) e nel quale gli elettroni emessi (per effetto termoionico) da un filamento detto catodo (C) riscaldato per

effetto Joule vengono inizialmente accelerati fino ad un anodo conico (A) mediante un campo elettrico prodotto contattando l’anodo a massa ed il catodo ad un potenziale negativo -V0 (d.d.p.

accelerante V0). Gli elettroni, che hanno acquistato una velocità v, entrano poi in una regione di campo magnetico uniforme B ortogonale a v e subiscono una deflessione d della loro traiettoria che può essere facilmente rivelata mediante la fluorescenza indotta nel punto di impatto P grazie alla presenza di un rivestimento fosforescente all’interno del tubo.

Osserviamo che (vedi figura):

R2 = L2+ R ! d

( )

2 " R = (L2+ d2) / 2d . Ma già sappiamo che R = m v / q B = 2mV0 / ( q B2) ,

ove abbiamo fatto uso della relazione (1 / 2)mv2 = q V0 per esprimere la velocità acquistata dall’elettrone per effetto della differenza di potenziale accelerante V0, ed indicato con q la carica dell’elettrone (in modulo). Combinando queste due equazioni, possiamo esprimere il rapporto carica-massa delle particelle che costituiscono i raggi catodici: q

m = 8V0d2 B2(d2+ l2)2 . p

R

B!

d

R

R A

P

V0

L

B C

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