3.
IL PIANO PER IL MEZZOGIORNO
E LE MISURE PER I LAVORATORI SVANTAGGIATI PER IL RILANCIO DEL SISTEMA PAESE ROBERTA CARAGNANO, NICOLA D’ERARIO (*)
SOMMARIO: 1. Scenario di riferimento: i numeri della crisi e l’impatto occupazionale del Piano. – 2. Gli incentivi per le assunzioni: strumenti da programmare in maniera si-nergica con le politiche territoriali occupazionali e di sviluppo. – 3. La riprogramma-zione dei fondi comunitari: vincoli, opportunità. – 3.1. Le misure per i lavoratori svan-taggiati tra il regolamento comunitario 6 agosto 2008, n. 800, e il decreto ministeriale 20 marzo 2013. – 3.1.1. L’estensione del credito d’imposta per i lavoratori svantaggia-ti “già” assunsvantaggia-ti nelle Regioni del sud. – 4. Gli strumensvantaggia-ti di polisvantaggia-tica economica per la promozione delle misure di autoimprenditorialità e la rimodulazione del Piano di a-zione coesione. – 4.1. La necessità di un potenziamento della concertaa-zione locale e dei patti sociali. – 5. Nota bibliografica.
Decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99
Articolo 2
(Interventi straordinari per favorire l’occupazione) [omissis]
9. All’articolo 2, comma 6, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, le parole «entro due anni dalla data di assunzione» sono sostituite dalle seguenti: «entro il 15 magio 2015». [omissis]
Articolo 3
(Misure urgenti per l’occupazione giovanile
e contro la povertà nel Mezzogiorno – Carta per l’inclusione)
(*) Il presente lavoro è frutto di una riflessione comune tra gli Autori, tuttavia a Roberta
1. In aggiunta alle misure di cui agli articoli 1 e 2, al fine di favorire l’occupazione giovanile e l’attivazione dei giovani, a valere sulla corrispondente riprogramma-zione delle risorse del Fondo di rotariprogramma-zione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183 già destinate ai Programmi operativi 2007/2013, nonché, per garantirne il tempe-stivo avvio, alla rimodulazione delle risorse del medesimo Fondo di rotazione già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione, ai sensi dell’articolo 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, previo consenso, per quanto oc-corra, della Commissione europea, si attiveranno le seguenti ulteriori misure nei territori del Mezzogiorno mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato quanto a 108 milioni di euro per l’anno 2013, a 108 milioni di euro per l’anno 2014 e a 112 milioni di euro per l’anno 2015 quanto a 108 milioni di euro per
l’anno 2013, a 68 milioni di euro per l’anno 2014 e a 152 milioni di euro per l’anno 2015 per essere riassegnate alle finalità di cui alle successive lettere:
a) per le misure per l’autoimpiego e autoimprenditorialità previste dal decreto le-gislativo 21 aprile 2000, n. 185, nel limite di 26 milioni di euro per l’anno 2013, 26 milioni di euro per l’anno 2014 e 28 milioni di euro per l’anno 2015;
b) per l’azione del Piano di Azione Coesione rivolta alla promozione e realizzazio-ne di progetti promossi da giovani e da soggetti delle categorie svantaggiate da
giovani e da soggetti delle categorie svantaggiate e molto svantaggiate per
l’infrastrutturazione sociale e la valorizzazione di beni pubblici nel Mezzogiorno
con particolare riferimento ai beni immobili confiscati di cui all’articolo 48, comma 3, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nel limite di 26 milioni di euro per
l’anno 2013, 26 milioni di euro per l’anno 2014 e 28 milioni di euro per l’anno 2015;
c) per le borse di tirocinio formativo a favore di giovani che non lavorano, non studiano e non partecipano ad alcuna attività di formazione, di età compresa fra i 18 e i 29 anni, residenti e/o domiciliati nelle Regioni del Mezzogiorno. Tali tirocini comportano la percezione di una indennità di partecipazione, conformemente a quanto previsto dalle normative statali e regionali, nel limite di 56 milioni di euro per l’anno 2013, 56 milioni di euro per l’anno 2014 e 56 milioni di euro per l’anno 2015 16 milioni di euro per l’anno 2014 e 96 milioni di euro per l’anno 2015.
1-bis. Per gli interventi e le misure di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dovran-no essere finanziati, in via prioritaria, i bandi che prevedadovran-no il sostegdovran-no di nuovi progetti o imprese che possano avvalersi di un’azione di accompagnamento e tu-toraggio per l’avvio e il consolidamento dell’attività imprenditoriale da parte di altra impresa già operante da tempo, con successo, in altro luogo e nella mede-sima attività. La remunerazione dell’impresa che svolge attività di tutoraggio, nell’ambito delle risorse di cui alle lettere a) e b) del comma 1, è definita con ap-posito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con i Ministri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del pre-sente decreto. La remunerazione è corrisposta solo a fronte di successo dell’impresa oggetto del tutoraggio. L’impresa che svolge attività di tutoraggio non deve vantare alcuna forma di partecipazione o controllo societario nei con-fronti dell’impresa oggetto del tutoraggio.
1. Scenario di riferimento: i numeri della crisi e l’impatto occupazionale del Piano
Il Piano per il Mezzogiorno, e gli interventi per la sua attuazione, costitui-scono uno dei pilastri centrali del decreto-legge in commento che si pone l’obiettivo di rilanciare l’economia stimolando l’occupazione, in particolare quella giovanile, e indurre una ripresa dei consumi iniettando nel sistema ri-sorse economiche in supporto alle famiglie in difficoltà. A fronte della versio-ne originaria del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, che faceva riferimento genericamente alla Regioni del Mezzogiorno, durante i lavori parlamentari di conversione in legge sono state individuate esattamente le Regioni beneficiarie in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia, anche alla luce della situazione di crisi generale che interessa l’economia del nostro sistema Paese e che è confermata dai dati Svimez resi noti il 26 luglio 2013.
Nel Mezzogiorno, nel 2013, l’occupazione perderà quasi il 2% contro il -1,1% del nord-est e il -1,3% di centro e nord-ovest, con difficoltà maggiori in Campania, in misura pari al -2,5%, in Sardegna con il -2,4%, in Calabria con un calo del 2,2%, in Molise con una riduzione del 2% e con valori che si pre-vede resteranno negativi anche nel 2014: -0,1% contro il +0,2% del nord e il +0,1% del centro (sul punto si rinvia al rapporto Svimez 2013 citato nella nota bibliografica, § 5).
Dopo la legge 19 dicembre 1992, n. 488, che con una politica pubblica di pregnante intensità e durata interveniva sugli aspetti di fondo delle politiche per lo sviluppo, il provvedimento in commento torna ad accendere i riflettori sul Mezzogiorno di Italia, che è nuovamente tra le priorità dell’Agenda nazio-nale. Un progetto, questo, che si colloca anche nella più ampia strategia Euro-pa 2020, che mira a disegnare il futuro della politica di coesione e il suo ruolo essenziale nel contribuire a una crescita, intelligente, sostenibile e inclusiva, promuovendo al tempo stesso uno sviluppo armonioso dell’Unione e delle sue Regioni grazie a una riduzione delle sue disparità regionali.
Lo sviluppo del sud costituisce, quindi, uno degli obiettivi prioritari della politica economica del governo proprio perché in queste aree si concentrano i problemi più seri del Paese (disoccupazione, inoccupazione, lavoro sommerso e lavoro nero), ma allo stesso tempo è nel Mezzogiorno che vi sono la maggior parte delle opportunità ancora non colte, insieme alla capacità di produrre più lavoro ed innalzare la produttività.
I numeri sull’impatto occupazionale della misura sono esemplificativi. Il Piano, stando ai dati ufficiali diffusi dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 26 giugno 2013 (1), coinvolgerà oltre 300 mila persone e determinerà, nel 2013-2014, la creazione di circa 80 mila nuovi posti di lavoro con una
(1) Sul punto si legga il comunicato stampa del 26 giugno 2013 del Consiglio dei Ministri Il
Mezzogiorno al lavoro. Misure urgenti per l’occupazione giovanile e contro la povertà nel Mez-zogiorno.
scita del PIL stimabile in circa il +0,2% per il 2014, rispetto al livello atteso, e dello +0,4% per il 2015.
Gli interventi urgenti per migliorare il funzionamento del mercato del la-voro, oltre ad essere una risposta concreta alle Raccomandazioni rivolte all’Italia dalla Commissione europea il 29 maggio 2013, nel quadro della pro-cedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività (“se-mestre europeo”), sono necessari alla luce della situazione emergenziale che vede crescere nelle Regioni meridionali ampie sacche di disoccupazione ma anche di inoccupati e di giovani NEET (Not in Employment, Education or
Training).
I dati statistici, anche in questo caso, sono allarmanti ed evidenziano, solo nel Mezzogiorno, la presenza di 1.250.000 giovani (15-29 anni), che non stu-diano né lavorano, con una proporzione pari ad 1 sue 3, più che nell’intero centro-nord. Allo stesso modo anche i tassi di occupazione dei diplomati e dei laureati, nel 2012, sono bassi e pari rispettivamente al 31% e al 49%; tassi en-trambi di circa 15 punti inferiori rispetto al resto del Paese, con una durata media della ricerca della prima occupazione che supera i 3 anni.
Il tutto in un contesto nel quale, parallelamente all’aumento della disoccu-pazione, cresce in maniera esponenziale la partecipazione al mercato del lavo-ro, per effetto di variabili microeconomiche per le quali l’offerta (di lavoro) aumenta più rapidamente nelle Regioni nelle quali la disoccupazione è più marcata.
La scelta programmatica messa in campo per arginare la questione occu-pazionale prevede, pertanto, interventi ad ampio raggio che vanno dagli incen-tivi alle assunzioni al rilancio delle politiche di promozione imprenditoriale, per ridurre il divario di produttività e compensare le condizioni di svantaggio, e si configura come strategia di sviluppo che passa attraverso la riprogramma-zione dei fondi comunitari.
La linee di azione si muovono su quattro assi: incentivazione della crea-zione di lavoro a tempo indeterminato; incentivi per l’autoimprenditorialità e l’impresa sociale; avvicinamento dei giovani NEET al lavoro attraverso i tiro-cini; contrasto alla povertà estrema (la povertà assoluta, sempre secondo i dati dello Svimez, nel periodo 2007-2012 è aumentata di quattro punti nel Mezzo-giorno, con un balzo dal 5,8 al 9,8%).
2. Gli incentivi per le assunzioni: strumenti da programmare in maniera sinergica con le politiche territoriali occupazionali e di sviluppo
La chiave di lettura del provvedimento è negli incentivi (2) per la creazione di posti di lavoro per promuovere «occupazione stabile», attraverso forme di decontribuzione per le imprese che assumono giovani in difficoltà economica
(2) Ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, l’incentivo non spetta per le assunzioni con contratti di lavoro domestico.
o convertono (stabilizzazione) contratti temporanei in contratti a tempo inde-terminato. La misura nel dettaglio si applica ai giovani di età compresa tra i 18 e 29 anni, aventi determinati requisiti tra loro non concorrenti (è sufficiente che ricorra una delle due condizioni): essere privo di impiego regolarmente re-tribuito da almeno 6 mesi; non aver conseguito un diploma di scuola media superiore o professionale (3). Per effetto della misura sperimentale le aziende potranno usufruire di una decontribuzione con un tetto massimo mensile per ogni lavoratore di 650 euro e con una misura dell’incentivo pari al 33% della retribuzione mensile lorda complessiva per un periodo di: 18 mesi, nel caso di nuove assunzioni e 12 mesi nel caso di trasformazione (quindi stabilizzazione) dei contratti in essere in contratti a tempo indeterminato (4).
L’obiettivo dichiarato è che le assunzioni avvengano, entro e non oltre, il 30 giugno 2015 e comportino, per l’azienda, un incremento occupazionale net-to, ossia ulteriori assunzioni di lavoratori con contratto di lavoro dipendente; il
quantum delle risorse, nel quadriennio 2013-2016, ammonta a 100 milioni per
il 2013, 150 per il 2014, 150 per il 2015, 100 per il 2016 (art. 1, comma 12, lett. a).
Le misure di intervento a sostegno delle imprese devono essere così in grado di produrre una netta inversione di tendenza, soprattutto relativamente al livello di competitività del nostro sistema industriale, con conseguenti effetti positivi anche sui modesti tassi di sviluppo registrati in questi anni.
La previsione degli incentivi, se da un lato è un segnale importante, perché l’adozione di tali strumenti, in una ottica di medio/lungo periodo, dovrebbe rappresentare un volano per sostenere e promuovere adeguate politiche di svi-luppo, dall’altro induce delle riflessioni sul perché nel Mezzogiorno si sia in-tervenuti solo in tale direzione, escludendo azioni mirate per implementare concrete e immediate politiche attive di sviluppo in linea con le politiche indu-striali. Ed è proprio questo il puntum dolens: la mancanza di politiche naziona-li non solo industrianaziona-li, ma anche e soprattutto di sviluppo occupazionale, di lungo periodo, coerenti con i territori, che purtroppo da tempo hanno perso la spinta propulsiva nei confronti del sistema economico e produttivo.
Il tema è delicato e si sarebbe potuto programmare e affrontare in maniera più sinergica e concreta; la chiave di volta, infatti, è individuare i fattori che innescano la creazione di valore e la produzione (tra questi, nel Mezzogiorno, vi sono il turismo e l’innovazione tecnologica), e valutare insieme, con le isti-tuzioni nazionali e regionali, strategie che consentano il mantenimento dei li-velli occupazionali delle realtà esistenti oppure la creazione di nuovi
(3) Nel testo definitivo della legge in commento e rispetto al d.l. n. 76/2013 è stata soppres-sa la lett. c che chiedeva come ulteriore requisito, per il beneficiario, di vivere da solo o con una persona a carico.
(4) Sul punto approfondimenti sugli incentivi e sulla loro operatività si legga il contributo di N.D’ERARIO, M.TIRABOSCHI, I (lunghi) tempi di entrata a regime e le (scarse) risorse
menti produttivi legati alle politiche attive, ragionando in una ottica di
workfa-re.
In questa direzione si auspica che la rimodulazione delle risorse del Piano di azione coesione, previsto dal decreto-legge in commento e dalla legge di conversione, possa essere concretamente potenziato nella parte in cui prevede interventi di rilancio delle aree colpite da crisi industriali per la definizione di accordi di programma nell’ambito di progetti di riconversione e riqualificazio-ne industriale che puntino all’ambiente, all’efficientamento dei siti, nonché al-la tuteal-la dei posti di al-lavoro insieme all’aumento delle competenze e delal-la qua-lità del capitale umano. In tal modo l’area della siderurgia di Taranto, il di-stretto automobilistico di Termini Imerese, il settore chimico e tessile di alcune zone della Campania potrebbero ricevere nuovo impulso.
Un secondo aspetto sul quale appare opportuno soffermarsi attiene, poi, al-la utilità degli incentivi, considerando che ad oggi per al-la maggior parte degli interventi erogati negli anni passati non si è riusciti a pervenire ad una vera e propria valutazione finale degli effetti poiché è mancata una adeguata strategia di governance, nazionale e regionale, in termini di politiche industriali. Tanto la legge 19 dicembre 1992, n. 488, quanto gli interventi comunitari, attraverso i Fondi strutturali, negli anni, infatti, sono stati destinati a favorire l’allargamento della base produttiva, attraverso il finanziamento degli investi-menti fissi, senza però riuscire a modificare qualitativamente e quantitativa-mente la struttura produttiva del nostro Paese. Gli incentivi, infatti, sono tanto più efficaci ed efficienti quanto più sono collegati ad obiettivi programmatici di medio/lungo periodo e ad una corretta politica industriale che consenta di individuare un numero non elevato di strumenti operativi, integrati e comple-mentari fra di loro, che possano interagire ai vari livelli di governo, senza so-vrapporsi per non generare disfunzioni. Questo, in generale, è un elemento da tener presente perché induce le aziende, nella incertezza della operatività degli strumenti, a non ricorrere agli stessi; a ciò si aggiunge, poi, anche la minore attrattività degli stessi (incentivi) nella misura in cui l’evoluzione normativa alla ricerca del continuo perfezionamento determina un accrescimento degli adempimenti e degli obblighi formali da parte delle imprese.
Ne discende, quindi, la necessità di una semplificazione del sistema agevo-lativo nel quale gli incentivi rappresentino risorse non sostitutive, ma aggiun-tive a quelle private o regionali, così da determinare effetti addizionali strate-gici per il conseguimento di obiettivi prioritariamente definiti nell’ottica del principio di sussidiarietà che presuppone anche una incisiva azione di raffor-zamento delle strutture amministrative responsabili del coordinamento, della programmazione e della gestione degli interventi cofinanziati dai Fondi strut-turali.
3. La riprogrammazione dei fondi comunitari: vincoli, opportunità I finanziamenti del Piano, ai sensi del comma 1 dell’articolo 3, in epigrafe, sono da recuperarsi dalla riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazio-ne (di cui alla l. n. 183/1987 già destinate ai Programmi operativi 2007/2013), nonché dalla rimodulazione delle risorse del medesimo Fondo già destinate a-gli interventi del Piano di azione coesione (previo parere positivo della Com-missione europea), destinati e vincolati al Mezzogiorno (5).
E proprio dal legame con i Fondi strutturali deriva il limite invalicabile di età, dei beneficiari degli incentivi alle assunzioni, ossia i giovani tra i 18 e i 29 anni come previsto dal regolamento comunitario 6 agosto 2008, n. 800, in ma-teria di Aiuti per l’assunzione di lavoratori svantaggiati sotto forma di integra-zioni salariali, tuttavia si evidenzia come questo aspetto rappresenti una critici-tà nella misura in cui lascia fuori i giovani over 30 e le donne.
I primi sono soggetti nel pieno della età lavorativa e hanno il più delle vol-te titoli di studio elevati ma difficoltà di inserimento; le seconde, sono, di per sé una categoria svantaggiata che dopo l’abolizione del contratto di inserimen-to (strumeninserimen-to utilizzainserimen-to principalmente nelle Regioni del Mezzogiorno), per effetto della legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. legge Fornero), hanno visto ri-durre ancora di più le possibilità occupazionali. Questo aspetto, poi, è ancora più critico in assenza di un piano più generale di supporto all’occupazione femminile.
La sola estensione dell’utilizzo del credito d’imposta per l’assunzione di lavoratori con contratto a tempo indeterminato di cui, al comma 9, dell’articolo 2, al 15 maggio 2015, e la previsione delle misure per l’applicazione delle agevolazioni contributive per determinate categorie di la-voratori svantaggiati (si rinvia al § che segue), di cui alla circolare del Ministe-ro del lavoMiniste-ro e delle politiche sociali, del 25 luglio 2013, in attuazione della legge Fornero non sembrano, da sole, sufficienti per fronteggiare il problema occupazionale. Il Piano previsto dal decreto-legge in commento, infatti, neces-sita di un raccordo molto più stretto con le politiche locali (6) affinché le misu-re, al momento emergenziali e sperimentali, per promuovere l’occupazione e la coesione sociale, diventino strutturali.
Il rischio è che la mancanza di progettualità – a livello nazionale e regio-nale – nella costruzione condivisa di una nuova governance legata ad un robu-sto tessuto produttivo locale, che coinvolga responsabilmente la pubblica am-ministrazione, renda anche questo intervento privo di reale efficacia concreta,
(5) Sul punto si legga la nota tecnica del Ministro della coesione territoriale del 22 ottobre 2012, Strumenti diretti per impresa e lavoro nel sud. Per la terza e ultima riprogrammazione Piano Azione Coesione.
(6) Sul raccordo tra amministrazioni statali e regionali per la programmazione e il sostegno alla politica di coesione sociale nonché sull’utilizzo dei fondi strutturali si legga l’art. 10 del d.l. n. 101/2013 e il § 1 del contributo di R.CARAGNANO,N.D’ERARIO, Le misure e le procedure
ponendo l’annoso problema di un rimando della questione piuttosto che di una soluzione.
La progressiva perdita di competitività del sistema produttivo italiano, ve-rificatasi in questi ultimi anni, rende, infatti, necessari interventi specifici che possano incidere rapidamente sui fattori strutturali che hanno finito per deter-minare la scarsa competitività del nostro sistema industriale, che ha avuto co-me conseguenza dei tassi di crescita costanteco-mente inferiori, anche in misura significativa, rispetto a quelli degli altri Paesi europei, anch’essi – tra l’altro – in difficoltà rispetto ad economie di aree geografiche diverse.
Gli interventi incentivanti possono migliorare le condizioni di contesto, aumentare la competitività delle imprese e, conseguentemente, produrre un aumento permanente di occupazione e fatturato, tuttavia senza una riduzione del costo del lavoro e del cuneo fiscale che pesa sulle imprese, gli effetti, nel medio/lungo periodo, potrebbero non essere quelli prospettati.
Ciò, quindi, impone una riflessione, anche per il prossimo futuro, sulla ne-cessità di una riforma fiscale e sugli interventi sul costo del lavoro. La caratte-ristica italiana, quasi unica nel panorama internazionale, è, infatti, la combina-zione tra basso costo del lavoro, alto cuneo fiscale, elevata quota di tassacombina-zione attribuibile anche alla contribuzione delle pensioni. L’abbassamento del costo del lavoro è un fattore importante per lo slancio del nostro sistema Paese e per far fronte al possibile rimbalzo dell’economia, previsto per la seconda metà del 2014. Allo stesso tempo è importante agire attraverso la leva della contratta-zione collettiva e della contrattacontratta-zione aziendale, in particolare, e redistribuire il carico fiscale a favore di famiglie e imprese, per riattivare consumi e investi-menti.
3.1. Le misure per i lavoratori svantaggiati tra il regolamento comu-nitario 6 agosto 2008, n. 800, e il decreto ministeriale 20 marzo 2013
All’interno dell’intero pacchetto normativo sono rinvenibili due riferimen-ti diretriferimen-ti volriferimen-ti a disciplinare forme di incenriferimen-tivazione relariferimen-tive alle assunzioni di lavoratori definiti “svantaggiati”.
Più precisamente, il riferimento di cui sopra riguarda da un lato l’articolo 1, intitolato «incentivi per nuove assunzioni a tempo indeterminato di lavora-tori giovani», nel quale è riconosciuto uno sgravio contributivo a favore dell’incremento occupazionale, proprio, di tali soggetti compresi, però, in una fascia d’età individuata tra i 18 e 29 anni. Dall’altro lato, invece, il riferimento, riguarda le modifiche all’articolo 2, comma 6, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (7), disposte dall’articolo 2, comma 9 dalla normativa in commen-to, avente ad oggetto un credito d’imposta per le assunzioni di tali lavoratori,
tra l’altro, residenti nel Mezzogiorno. Nel merito, però, tra le due fattispecie incentivanti, lo svantaggio in esame assume un ruolo differente. Nel primo ca-so, infatti, è richiesto come condizione di ammissibilità della misura ad una determinata fascia di età di lavoratori, mentre nel secondo la norma utilizza la medesima espressione rivolgendosi in maniera diretta ad una platea più ampia di soggetti beneficiari. Pertanto, può dirsi, che tra le due situazioni di specie presenti nella legge in commento, il requisito dello svantaggio è utilizzato nel-la sua essenza complessiva soltanto nel secondo.
In tale contesto però non può prescindersi dall’inquadramento preliminare del significato giuridico di lavoratore svantaggiato ai fini che qui interessano. A riguardo la fonte normativa primaria è rinvenibile nel regolamento comuni-tario 6 agosto 2008, n. 800, il quale all’articolo 2, comma 18 distingue cinque categorie di soggetti, cioè: a) chi non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi; b) chi non possiede un diploma di scuola media superiore o professionale (ISCED 3); c) lavoratori che hanno superato i 50 anni di età; d) adulti che vivono soli con una o più persone a carico; e) lavoratori occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo/donna che su-pera almeno del 25% la disparità media uomo/donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato. Tuttavia, nel nostro ordinamento, l’utilizzo delle definizio-ni comudefinizio-nitarie ha spesso portato a difficoltà interpretative specie per i lavora-tori di cui alle lettere a, b ed e, le quali, articolate con una formulazione lessi-cale abbastanza generica si prestano facilmente ad opinioni estensive, o al con-trario, restrittive del loro contenuto. Sul punto, per dirimere queste criticità, è intervenuto il decreto ministeriale 20 marzo 2013, Individuazione dei
lavora-tori svantaggiati (8), con il quale sono state precisate le linee interpretative,
appunto, delle lettere a, b ed e. Nella sostanza, secondo il decreto ministeriale, dovranno intendersi per lavoratori di cui alla lettera a, tutti coloro che negli ul-timi 6 mesi non hanno prestato attività lavorativa riconducibile ad un rapporto di lavoro subordinato della durata di almeno 6 mesi ovvero coloro che negli ultimi 6 mesi hanno svolto attività lavorativa in forma autonoma o parasubor-dinata dalla quale derivi un reddito inferiore al reddito annuale minimo perso-nale escluso da imposizione. Di fatto, quindi, saranno considerati tali gli inoc-cupati e disocinoc-cupati, a cui si aggiungeranno coloro che avranno percepito un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposi-zione (9) e inoltre coloro i quali pur essendo occupati non percepiscono regola-re regola-retribuzione da almeno 6 mesi (10). Quanto ai lavoratori di cui alla lettera b,
(8) Pubblicato in GU, 2 luglio 2013.
(9) Attualmente il reddito minimo personale escluso da imposizione è fissato ad 8 mila euro lordi per i redditi da lavoro dipendente e assimilato (ad es. co.co.pro.) e a 4.800 euro per i lavo-ratori autonomi.
(10) In tale fattispecie, i lavoratori in oggetto, saranno riconosciuti lavoratori svantaggiati nell’ipotesi in cui nei confronti del datore di lavoro sia stata pronunciata una sentenza di stato di insolvenza o di fallimento o, ancora, in caso di emissione del decreto di apertura di concordato preventivo.
sprovvisti di un diploma di scuola media superiore o professionale, ai sensi del decreto saranno intesi coloro i quali sono in possesso eventualmente del solo diploma di scuola media di I livello (ex scuola media inferiore); mentre per la-voratori ricompresi nella lettera c dovranno considerarsi coloro che sono occu-pati in settori economici in cui sia riscontrato il richiamato differenziale nella misura di almeno 25%, come annualmente individuati dalla rilevazione conti-nua sulle forze di lavoro dell’Istat.
Sebbene l’inquadramento giuridico della definizione di lavoratore svan-taggiato sia un’operazione preminente ogni qualvolta si voglia disporre forme di sostegno per questi lavoratori, nelle fattispecie in oggetto devono essere ve-rificate le ulteriori prescrizioni di cui all’articolo 40 del regolamento comunita-rio 6 agosto 2008, n. 800. La norma, infatti, con l’obiettivo di verificare che gli incentivi disposti siano compatibili con le norme comunitarie in materia di aiu-ti per le assunzioni (11), impone agli Stati un obbligo di notifica preventiva del-la disposizione per sottopordel-la al vaglio dei principi comunitari. Fanno eccezio-ne, a tale prescrizioeccezio-ne, gli incentivi che soddisfano le condizioni di cui ai para-grafi da 2 a 5 dell’articolo 40 (12).
3.1.1. L’estensione del credito d’imposta per i lavoratori svantaggia-ti “già” assunsvantaggia-ti nelle Regioni del sud
Fatte le opportune premesse sulla definizione giuridica di lavoratori svan-taggiati ai sensi del regolamento comunitario 6 agosto 2008, n. 800, e sulla re-lativa interpretazione ministeriale riguardo ai soggetti interessati a questa defi-nizione, di seguito si analizzeranno i contenuti della disposizione incentivante di cui all’articolo 2, comma 9, del decreto-legge in commento, dopo aver ap-profondito nel paragrafo 2 l’incentivo di cui all’articolo 1 dello stesso.
Il comma 9, dell’articolo 2, seppur molto breve contiene una modifica so-stanziale al comma 6, articolo 2, della legge 12 luglio 2011, n. 106, disponen-do in merito al termine di estinzione dell’utilizzo del diritto al credito d’imposta maturato dai datori di lavoro ma ancora non fruito. In questo senso, la precedente deadline dei «due anni dalla data di assunzione» viene
(11) Va inteso il rispetto dell’art. 87, § 3, del Trattato europeo.
(12) Le condizioni che escludono l’obbligo di comunicazione ai sensi dell’art. 40 del rego-lamento comunitario n. 800/2008 ricomprendono i casi in cui: a) l’intensità dell’aiuto non superi il 50% dei costi ammissibili; b) i costi ammissibili corrispondono ai costi salariali durante un periodo massimo di 12 mesi successivi all’assunzione; c) l’assunzione non rappresenti un au-mento netto del numero di dipendenti dell’impresa interessata rispetto alla media dei 12 mesi precedenti, il posto o i posti occupati sono resi vacanti in seguito a dimissioni volontarie, invali-dità, pensionamento per raggiunti limiti d’età, riduzione volontaria dell’orario di lavoro o licen-ziamento per giusta causa e non in seguito a licenziamenti per riduzione del personale; d) fatto salvo il caso di licenziamento per giusta causa, al lavoratore svantaggiato è garantita la continui-tà dell’impiego per un periodo minimo coerente con la legislazione nazionale o con contratti collettivi in materia di contratti di lavoro.
ta con la possibilità di utilizzare il predetto credito d’imposta «entro il 15 maggio 2015».
Per comprendere il senso e le conseguenze della norma, occorre anzitutto fare un breve focus sulla legge 12 luglio 2011, n. 106.
Questa legge, nello spirito di agevolare le assunzioni di lavoratori svan-taggiati e molto svansvan-taggiati (13) e ai fini di promuovere la produttività nelle Regioni in ritardo di sviluppo, consentiva ai datori di lavoro di beneficiare di un credito d’imposta pari al 50% dei costi salariali di ogni assunzione a tempo indeterminato. L’incentivo era concesso per 12 mesi in caso di assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori svantaggiati e per 24 mesi nel caso di lavo-ratori molto svantaggiati, entrambe effettuate nelle Regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Puglia, Molise, Sardegna e Sicilia).
L’ammissione al beneficio era però concessa alle sole assunzioni effettuate entro 2 anni dall’entrata in vigore del provvedimento (13 maggio 2011) e cioè fino quelle effettuate entro il 15 maggio 2013.
Inoltre, al comma 6, prima della modifica di cui all’oggetto, era previsto un limite all’utilizzazione del credito d’imposta individuato in 2 anni dalla as-sunzione.
Pertanto con la modifica apportata dalla legge in commento, ai datori di lavoro sarà concesso di utilizzare il credito d’imposta anche oltre i 2 anni dall’avvenuta assunzione e fino al 15 maggio 2015.
Ma in realtà questa proroga è soltanto un rimedio a numerosi problemi alla fruizione del relativo credito d’imposta, tanto da richiedere appunto un rime-dio alla soddisfazione del diritto costituitosi in capo ai datori di lavoro già ammessi a beneficiare della misura incentivante, in precedenza frenata da pro-blemi finanziari dell’amministrazione statale e dai rinvii alle normative regio-nali riguardo alla procedibilità della domanda d’accesso.
In sostanza, può dirsi che la disposizione in commento, anche se a prima vista può sembrare un nuovo incentivo, dall’esame tecnico della norma, si pa-lesa essere una disposizione che di per sé non inciderà sull’aumento dell’occupazione ma sostanzialmente andrà a riconoscere ai datori di lavoro, ammessi a questo tipo di agevolazione, quanto spetta di diritto per le assunzio-ni già effettuate nel periodo 2011-2013. Piuttosto, con una visione maggior-mente ottimistica del disposto di legge, si potrebbe propendere per un conside-razione ulteriore, secondo la quale il riconoscimento del credito d’imposta co-stituirebbe un indiretto sostegno alle imprese che seppure percepito con ritar-do, nei prossimi mesi potrebbe essere reinvestito per incrementare l’occupazione, affiancandosi così alle altre norme premiali che hanno ad og-getto lavoratori svantaggiati.
(13) Ai sensi del regolamento comunitario n. 800/2008, per lavoratori molto svantaggiati si intendono i lavoratori senza un impiego da almeno 24 mesi.
4. Gli strumenti di politica economica per la promozione delle misure di autoimprenditorialità e la rimodulazione del Piano di azione coesione Il decreto in commento, al secondo asse, prevede la riattivazione degli strumenti di politica economica che passano attraverso il rifinanziamento – previo consenso della Commissione europea e nei limiti di 80 milioni di euro (confermando il plafond previsto dal d.l. n. 76/2013) – delle misure per l’autoimpiego e autoimprenditorialità di cui al decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185 (art. 3, comma 1, lett. a).
In tal senso si interviene riconoscendo l’importanza di sviluppare strumen-ti di programmazione negoziata diretstrumen-ti a promuovere la crescita di sistemi im-prenditoriali locali.
L’obiettivo è sviluppare nuove iniziative nelle aree economicamente più svantaggiate facendo ricorso ai contributi a fondo perduto, ai mutui agevolati per gli investimenti, all’assistenza tecnica e alla formazione. Allo stesso modo la legge prevede anche il rifinanziamento della misura “giovani del no profit” (già definita dal Piano d’azione coesione c.d. PAC), rivolta ad enti e organiz-zazioni del privato sociale, per la promozione e realizzazione di progetti, pro-mossi da giovani e da soggetti delle categorie svantaggiate e molto svantaggia-te, per l’infrastrutturazione sociale e la valorizzazione di beni pubblici nel Mezzogiorno, con particolare riferimento ai beni immobili confiscati alla ma-fia ai sensi dell’articolo 48, comma 3, del codice antimama-fia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Una previ-sione, quest’ultima, inserita nella fase di conversione del decreto-legge in commento alla luce degli emendamenti proposti; è rimasto invariato, invece, il
quantum delle risorse stanziate, nei limiti di 80 milioni di euro e con la stessa
ripartizione della misure per l’autoimprenditorialità: 26 milioni di euro per l’anno 2013, 26 milioni di euro per l’anno 2014 e 28 milioni (di euro) per l’anno 2015 (art. 3, comma 1, lett. b).
Durante i lavori parlamentari di conversione del decreto-legge, in Senato, all’articolo 3 è stato inserito il comma 1-bis il quale prevede, nei casi in prece-denza indicati e specificatamente per autoimpiego, autoimprenditorialità e mi-sure del Piano di azione coesione, che siano finanziati in via prioritaria i bandi per il sostegno di nuovi progetti o imprese che possano avvalersi di una azione di accompagnamento e tutoraggio per l’avvio e il consolidamento della attività imprenditoriale da parte di una impresa già operante da tempo, con successo, in altro luogo o nella medesima attività. In particolare, si precisa che la remu-nerazione dell’impresa che svolge attività di tutoraggio sarà definita con appo-sito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze d’intesa con i Ministri dello sviluppo economico e del lavoro e sarà corrisposta solo a fronte di suc-cesso dell’impresa, la quale non deve vantare alcuna forma di partecipazione o controllo societario nei confronti dell’impresa oggetto del tutoraggio.
4.1. La necessità di un potenziamento della concertazione locale e dei patti sociali e territoriali
Alla base del Piano per il Mezzogiorno vi è certamente una visione strate-gica di insieme che guarda al rilancio dell’economia, tuttavia, in una lostrate-gica globale si evidenzia come anche altro si sarebbe potuto fare potenziando i con-tratti di programma e i concon-tratti d’area. Se i primi incentivano l’avvio di inizia-tive produtinizia-tive da parte delle imprese di medie e grandi dimensioni o di siste-mi di imprese medio-piccole, per la valorizzazione del patrimonio produttivo delle aree di insediamento; i secondi hanno il compito di assicurare nel caso di crisi industriali di straordinario rilievo e impatto sociale, la realizzazione di ac-cordi e di investimenti che, valorizzando le risorse esistenti, consentano il su-peramento della crisi. Al momento la valorizzazione di tali strumenti sono considerati effetti indiretti nel Piano nella misura in cui la rimodulazione del PAC inciderà sugli stessi. Ad ogni modo degli interventi ad hoc, insieme alla previsione di linee guida da definire in maniera condivisa, avrebbe potuto rap-presentare un valore aggiunto.
Parimenti una ulteriore criticità del Piano è la mancata previsione di incen-tivi per i Patti sociali e territoriali. Lo sviluppo locale, infatti, per essere effica-ce e portare dei significativi cambiamenti deve naseffica-cere dal basso, non essere calato dall’alto, e in tal senso i patti territoriali, quali luoghi di progettazione, rappresentano importanti strumenti. Alla base vi sono la concertazione e la programmazione negoziata che costituiscono il processo sociale diffuso di ag-gregazione degli interessi e delle azioni di imprese, lavoratori, datori di lavoro, enti istituzionali.
I patti territoriali per favorire l’occupazione, infatti, coinvolgono attiva-mente le istituzioni pubbliche nell’attività di concertazione locale con effetti ad ampio spettro che favoriscono la gestione e la fluidificazione dei mercati del lavoro locali.
In una visione complessiva e di governance i patti territoriali, quindi, han-no una importante ruolo, funzionale e strutturale, han-non solo di regolazione ma soprattutto di impulso delle politiche del mercato del lavoro e al tempo stesso influenzano i sistemi aziendali di relazioni contrattuali e di gestione del perso-nale, allargandosi anche nell’ambito delle politiche di welfare territoriale – e-stendendo gli effetti virtuosi dello scambio di livello macro tra moderazione salariale, bassa inflazione e tutela del sistema di welfare – tradizionalmente ri-servate allo Stato e alle sue articolazioni locali, come la gestione e creazione di servizi di sostegno alla famiglie (bambini, anziano, disabili), oltre a perseguire «anche nuove politiche di inclusione nella cittadinanza sociale».
I patti territoriali avrebbero avuto un ruolo ancora più strategico per la cre-azione di incubatori locali di impresa, fungendo anche come ponti tra azienda e mondo accademico, orientando gli investimenti sulla ricerca scientifica fina-lizzata allo spin-off accademico e alla logistica integrata. Tanto anche alla luce della previsione dell’articolo 9, comma 16 del decreto-legge in commento,
che, modificando il comma 2 dell’articolo 25 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, e sopprimendo la lettera a, ha abolito il limite di 35 anni di età per la creazione delle c.d. S.r.l. a un euro, società agevolate, sia per l’ammontare del capitale sociale necessario per la costituzione (appunto un eu-ro), che per i minori costi da sostenere in fase d’avvio.
Sul fronte della ricerca e della innovazione tecnologica si sarebbero potute potenziare anche le risorse destinate a finanziare tali interventi come ad esem-pio Industria 2015, Fondo per l’innovazione tecnologica (FIT), Contratti di in-novazione, Fondo agevolazioni per la ricerca (FAR).
La necessità di garantire sostegno alla ricerca, l’innovazione e la collabo-razione fra imprese e centri di eccellenza universitari, con misure ad esempio di credito d’imposta sulle spese per la ricerca e l’innovazione, è un ulteriore aspetto che può indurre una positiva spinta propulsiva favorendo al tempo stesso anche la transizione dalla scuola al lavoro.
L’intervento sarebbe stato valutabile anche a più ampio raggio, sviluppan-do una visione strategica integrata, anche rispetto al terzo asse del decreto-legge in commento, che prevede l’attivazione di una misura per la promozione di tirocini nelle imprese per i giovani NEET (14).
5. Nota bibliografica
Per un quadro generale sulla situazione economica ed occupazionale dell’Italia si leg-gano ISTAT, Occupati e disoccupati. Giugno 2013. Dati provvisori, 31 luglio 2013;
SVIMEZ, Anticipazioni sui principali andamenti economici. Dal rapporto Svimez 2013
sull’economia del Mezzogiorno. Edito da “il Mulino”, 27 luglio 2013, entrambi con-sultabili in Boll. ADAPT, 2013, n. 28. Sugli orientamenti di massima per le politiche economiche a favore dell’occupazione, degli Stati membri e dell’Unione si legga la raccomandazione del Consiglio europeo del 29 maggio 2013 sul Programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia che formula un parere del Consiglio sul Programma di sta-bilità dell’Italia 2012-2017; MINISTRO PER LA COESIONE TERRITORIALE, Le politiche di
coesione territoriale. Rapporto di fine mandato, 3 aprile 2012. Per una prima lettura sugli incentivi, sulla loro operatività e criticità, alla luce del d.l. n. 76/2013, si leggano N. D’ERARIO, Il quadro dei nuovi incentivi a sostegno della occupazione; N.
D’ERARIO, A.INNESTI, Il quadro degli incentivi economici e normativi dalla legge n.
92/2012 al decreto legge n. 76/2013; L.APOLLONIO, N.D’ERARIO, Norme premiali e
incentivi fiscali e normativi nel Pacchetto Lavoro, tutti in M.TIRABOSCHI (a cura di),
Interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, e del-la coesione sociale. Primo commento al decreto legge 28 giugno 2013, n. 76, ADAPT University Press, 2013. Sul ruolo degli incentivi nel Mezzogiorno e sui loro effetti si leggano F.S.COPPOLA, G.ROSA, Il sistema degli incentivi alle imprese del
Mezzo-giorno. Analisi, scenari e riflessioni, Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogior-no, Giannini, 2009; R. BRONZINI, G. DE BLASIO, Qual è l’effetto degli incentivi agli
(14) Sul punto si rinvia al contributo di M.TIRABOSCHI, Interventi straordinari per favorire
investimenti? Una valutazione della legge 488/92, Banca d’Italia, Temi di discussione del Servizio Studi, 2006 n. 582. Per un primo commento sulle misure previste dal d.l. n. 76/2013 si leggano R.CARAGNANO, Mezzogiorno: al via un nuovo piano di
incenti-vi pubblici senza un progetto e senza imprese; I.DI STANI, Gli aiuti alle Regioni del
Mezzogiorno, in M.TIRABOSCHI (a cura di), op. cit. Per un approfondimento più
am-pio del concetto di lavoratore svantaggiato si legga M.V.BALLESTRERO, G.G.B ALAN-DI , I lavoratori svantaggiati tra eguaglianza e diritto diseguale, Il Mulino, 2005. Per
un’analisi dettagliata degli incentivi a favore dei lavoratori svantaggiati e credito d’imposta di cui alla l. n. 106/2011 si vedano rispettivamente E.MASSI, Lavoratori
svantaggiati e incentivi alla ricollocazione, in DPL, 2011, n. 5, 265, e E.MASSI, In-centivi alle assunzioni dopo la Legge Fornero, in DPL, 2013, n. 7, III-XXXI.
Per un excursus sulle politiche di sviluppo regionali e locali e sui modelli di valutazio-ne cfr. G. VIESTI, Le politiche di sviluppo del mezzogiorno negli ultimi venti anni:
scelte e risultati, in Economia e Politica Industriale – Journal of Industrial and Busi-ness Economics, 2001, n. 4, 95; G. VIESTI,F. PROTA, Le nuove politiche regionali
dell’Unione europea, Il Mulino, 2007; F.BUSILLO,T.MUCCIGROSSO,G.PELLEGRINI,
O.TAROLA,F.TERRIBILE, Measuring the effects of European Regional Policy on
eco-nomic growth: a regression discontinuity approach, Papers in Regional Science, mar-zo 2013, vol. 92, n. 1. Sui patti sociali e territoriali e sul ruolo della concertazione nel-le politiche locali si nel-leggano B.CARUSO, Patti sociali decentrati, sindacato e
contrat-tazione collettiva: un osservatorio sui cambiamenti del diritto del lavoro, in DRI, 2001, n. 4, 429 ss.; C. TRIGILIA, Regolazione territoriale e azione sindacale, in QRS,
2000, n. 1, 3; M.ZOCCATELLI, I patti territoriali e i contratti d’area: genesi,
realizza-zioni e questioni irrisolte, in Le Istiturealizza-zioni del Federalismo, 1998, n. 1-2, 261-283. Con riferimento al modello sociale europeo e alla promozione dei patti sociali territo-riali, che fa da pendant al metodo istituzionale concertativo relativamente alle politi-che sociali comunitarie istituzionalizzato con il Trattato di Maastricht, si legga W. STREECK, Il modello sociale europeo: dalla redistribuzione alla solidarietà
competiti-va, in SM, 2000, n. 59, 13. Sulla pluralità degli attori negoziali che partecipano ai patti territoriali e sulle capacità di tali strumenti di perseguire anche nuove politiche di in-clusione nella cittadinanza sociale, si legga A.VISCOMI, Mercato regole diritti, paper
presentato alla conferenza Occupazione e competitività: quali regole per il lavoro?, Benevento, 16 giugno 2000.
Sull’importanza degli spin-off accademici e sulle esperienze straniere che dimostrano come tali strumenti rappresentino modalità efficaci e durature di trasferimento della conoscenza, si vedano A.BARONCELLI, Imprenditorialità e ricerca, in A.BARONCELLI
(a cura di), Percorsi imprenditoriali generati nell’Università. Il fenomeno “spin-off accademici”, Clueb, 2001; G.ANTONELLI, Organizzare l’innovazione. Spin off da