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Discorso di apertura del Prof. C N S

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Academic year: 2021

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L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments               72 (5): 253‐272, 2017 

© 2017 Accademia Italiana di Scienze Forestali 

Dal 5 al 9 novembre 2018 si terrà a Torino il IV Congresso Nazionale di Selvicoltura - Il bosco: bene indispensabile per un presente vivibile e un futuro possibile.

A partire da questo numero pubblichiamo le relazioni di apertura dei tre congressi precedenti.

L’intento è di far conoscere ai giovani come si è evoluto negli ultimi sessanta anni il pensiero forestale sotto l’aspetto scientifico, tecnico e operativo.

Il primo Congresso Nazionale di Selvicoltura: per il miglioramento e la conservazione dei boschi italiani, si svolse a Firenze dal 14 al 18 marzo 1954. La relazione fu tenuta dal Prof. Generoso Patrone, allora Presidente dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali, pro- motrice del Congresso.

C ONGRESSO N AZIONALE DI S ELVICOLTURA

PER IL MIGLIORAMENTO E LA CONSERVAZIONE DEI BOSCHI ITALIANI

F IRENZE , 1954 Discorso di apertura del Prof.

GENEROSO PATRONE

1

Non è senza perplessità che adempio l’incarico affidatomi dal Consiglio dell’Accademia italiana di scienze forestali di parlare, in questa seduta inaugurale del congresso nazionale di selvicoltura per la conservazione e il miglioramento dei boschi italiani, a Voi tutti qui oggi convenuti, da ogni parte della nostra Penisola.

Ho accettato questo delicato compito pur conoscendo la limitatezza delle mie forze - solo in parte controbilanciate dalla passione e dall’amore che ho per le foreste e per le montagne - perché la definizione dei fondamentali e caratteristici termini del problema forestale non ha bisogno, tanto eloquenti sono i fatti, di una parola viva, dotta, convincente, ma solo di un richiamo, di un ricordare un dovere di tutti; e per questo basta anche una parola semplice, non adeguata a porre in evidenza sfumature delicate seppure significative.

Ma prima di ricordare, in primo, luogo a me e a tutti i forestali, i termini dell’equazione del nostro problema silvano, mi è particolarmente gradito rivol- gere il più deferente saluto alle autorità, agli studiosi e ai tecnici tutti qui conve- nuti che, con la loro ambita presenza, altamente onorano l’Accademia e attestano - ardisco sperarlo - approvazione, anzi, più che approvazione, compiacimento per questo convegno di studio e di critica.

1

Tratto da: Atti del Congresso Nazionale di Selvicoltura per il miglioramento e la conservazione dei boschi italiani tenutosi a

Firenze dal 14 al 18 marzo 1954. Vol. I: relazioni. Firenze, Accademia Italiana di Scienze Forestali, 1955, p. XVIII-

XLIV.

(2)

Un affettuoso saluto sento il dovere di rivolgere a tutti i forestali italiani che vedo qui largamente rappresentati a dimostrazione che questo congresso è pro- fondamente sentito da coloro che operano ogni giorno per la restaurazione fo- restale del nostro Paese.

Le leggi dei numeri, anche se trattasi di numeri dati dalle statistiche, sono sempre utilissime a conoscersi; e dalle statistiche si può sempre ricavare abbon- dante materiale per tutti i temi ed anche per il nostro

2

.

Le statistiche ci confermano il fenomeno della importazione di grandi quan- tità di legno e ci rivelano i caratteri salienti tanto della produzione legnosa dei nostri boschi quanto della stessa importazione. L’importazione, al netto dell’esportazione, che è, in termini di quantità, poca cosa, si aggira intorno a 4 milioni e 200 mila metri cubi di legno tondo, valutato all’origine, riferito cioè alla massa degli alberi che occorre abbattere per ricavarne, con le successive lavora- zioni in bosco e nelle segherie, gli assortimenti mercantili che in media annual- mente importiamo.

Il valore di tutto il legname, sia allo stato naturale, sia sotto forma di derivati o di estratti industriali, è di 67 miliardi quello d’importazione e di 9 miliardi quello di esportazione; l’eccedenza dell’importazione sull’esportazione è perciò in cifra tonda di 58 miliardi di lire, pari a circa il 12% del disavanzo generale della nostra bilancia commerciale. Una analisi appena grossolana ci rivela poi che il primato del nostro commercio d’importazione è tenuto per valore, con oltre 30 miliardi e 600 milioni di lire, da 1 milione e 100 mila metri cubi di legno per cellulosa e per fibre tessili e, per quantità, con poco più di 2 milioni e 400 mila metri cubi, dal legname segato e asciato e tondo comune di conifere, che ci costa 26 miliardi e 200 milioni di lire.

Queste poche cifre definiscono i caratteri salienti del nostro commercio estero e l’insufficienza quantitativa e qualitativa della nostra selvicoltura, giacché il legno per la cellulosa e per le fibre tessili e i segati, gli asciati e il tondame di conifere, presi insieme, rappresentano l’85%, tanto del valore quanto della massa calcolata all’origine, di tutta l’importazione.

Se si considera che nel periodo che va dal 1925 al 1930 il fabbisogno nazionale è stato coperto da una importazione di legno, e di derivati di legno di 3 milioni e mezzo di metri cubi valutati all’origine, è ragionevole concludere che la situa- zione di oggi non è diversa da quella di ieri; anzi, si è aggravata, perché il nostro deficit di produzione si avvicina certamente ai 5 milioni di metri cubi. Il fabbi- sogno nazionale di legname è invero coperto anche da un apporto invisibile, via questa estremamente pericolosa che contribuisce a mettere in serio pericolo, se si continua a perseguirla, tutta la nostra economia forestale. Noi, fuori di parafrasi, utilizziamo ogni anno non l’incremento, ma qualche cosa come 600-700 mila metri cubi di legname in più; noi ogni anno liquidiamo, sia pure lentamente, una parte di quel capitale, di quel soprassuolo legnoso che una sana e ordinata economia

2

I valori riportati divergono di poco da quelli letti nella seduta inaugurale del Congresso perché mentre quelli

si riferivano agli anni 1951 e 1952 questi qui ora precisati si riferiscono agli anni 1951, 1952 e 1953.

(3)

RELAZIONE INTRODUTTIVA AL I CONGRESSO NAZIONALE DI SELVICOLTURA 255

vorrebbe intangibile, andando così verso forme selvicolturali sempre più povere, verso boschi con soprassuoli sempre più radi e turni sempre più brevi.

Esaminiamo per un momento i boschi di aghifoglie, il settore più delicato della economia forestale italiana.

La superficie dei boschi di conifere è in cifra tonda uguale ad 1 milione e 110 mila ettari; poiché da tali boschi si ricava poco più di 1 milione e 900 mila metri cubi di legname da lavoro, così vuol dire che il volume di tutti gli alberi che è necessario abbattere per avere tale massa, non è minore di 2 milioni e 500 mila metri cubi, a cui corrisponde un’utilizzazione media per anno e per ettaro di metri cubi 2,30.

Se si considera che questi boschi, per la maggior parte di abete rosso, vengono utilizzati ad un turno medio di 120 anni a cui corrisponde, per una fondamentale legge di auxometria, un incremento percentuale di volume uguale, nel caso del bosco normale, a 1,67; se si ricorda che queste nostre fustaie si presentano estre- mamente disordinate e caratterizzate da una netta predominanza di radure e di piante giovani e giovanissime e stramature, è ragionevole concludere che il saggio d’incremento di massa di questi boschi è certamente minore dell’1,50%. Con un tale saggio l’utilizzazione annua di metri cubi 2,30 è uguale all’incremento solo se la provvigione media per ettaro è uguale a 155 metri cubi.

In realtà, poiché la provvigione media per ettaro non supera i 120-130 metri cubi - le statistiche invero ci fanno sapere che la provvigione media è di solo 94 metri cubi di massa cormometrica, a cui corrisponde un volume dendrometrico di non oltre 125 metri cubi -, così vuol dire che noi utilizziamo, per anno e per ettaro, non meno di mezzo metro cubo di legno tondo in più di quello che pro- duciamo. Ogni anno la provvigione di tutte le nostre fustaie di resinose, che è al presente di 104 milioni di metri cubi e che dovrebbe essere non meno di 200 milioni, diminuisce in ragione di 500 mila metri cubi, con un ritmo cioè che lascia perplesso ogni tecnico e ogni italiano. Non è fuori luogo ricordare che secondo un’accurata indagine del Serpieri eseguita verso la fine della prima guerra mon- diale, l’utilizzazione media nel decennio 1903-1913 di legname resinoso da opera è stata di 500 mila metri cubi e pure di 500 mila metri cubi è stata l’utilizzazione dei boschi delle terre italiane oltre i confini del 1914. In un periodo di 40 anni i tagli di legname resinoso si sono cioè raddoppiati e non certo in conseguenza di un corrispondente aumento di produzione.

Un caso eloquente di forma distruttiva data alle utilizzazioni è quello delle fustaie di resinose delle Calabrie. Queste fustaie, quasi tutte di pino laricio, hanno un’estensione di circa 50 mila ettari; sono trattate con un turno di 80 anni e si accrescono, nelle buone stazioni, con un incremento che permette di ottenere a maturità 640 metri cubi. La ripresa normale è, in termini di superficie, di 625 ettari e, in termini di massa di 40 mila metri cubi.

Le utilizzazioni annue ascendono invece a 220 mila metri cubi di legname da lavoro

3

; e perciò ogni anno tagliamo non uno, ma da 5 a 6 incrementi; anzi,

3

Valore medio relativo agli anni 1951 e 1952.

(4)

per la carenza di provvigione che caratterizza questi boschi, non meno di 8-10 incrementi.

Come è possibile un potenziamento della nostra economia silvana se in primo luogo non subordiniamo le utilizzazioni all’incremento?

Un vero, positivo progresso della nostra economia forestale non può atten- dersi se non attraverso una perfetta conoscenza del nostro patrimonio boschivo, dei suoi caratteri, dei suoi bisogni, del possibile suo avvenire prossimo e lontano.

E questa conoscenza non si può ottenere se non attraverso i piani economici, la cui base è l’accertamento dell’entità della provvigione da amministrare. Solo l’as- sestamento mentre poi riesce a definire, sulla base di fatti concreti, il capitale più conveniente da immettere nell’unità di superficie, consente d’isolare l’incre- mento dalla provvigione, il frutto dal capitale.

Maggiore è il disordine dei boschi e meno utilizzata è la loro potenzialità; più i boschi sono degradati e minore ne è il reddito; meno conosciamo della provvi- gione e dell’incremento e solo una debole argomentazione possiamo opporre alla ingordigia di non pochi proprietari; più i boschi sono dissestati e meno stretti sono i rapporti di coordinazione del bosco con il pascolo e il campo; sono cose queste che non richiedono una particolare dimostrazione e fanno vedere l’utilità dei piani economici.

La gloriosa Repubblica Veneta, quando il problema forestale, sono esatta- mente 5 secoli, assunse, per ragioni fiscali e di trasporto, aspetti preoccupanti, non fece forse ricorso all’assestamento per salvare da sicura rovina le foreste del Cadore, della Carnia, del Comelico e delle altre terre venete che venivano dai Comuni sfruttate intensamente, sottoposte a tagli intempestivi e irrazionali? E i catasti forestali, veri e geniali piani economici, predisposti e rigorosamente applicati la prima volta nel 1536, poi nel 1542 e a partire dal 1568 e fino al 1801 ripetuti ogni 20 anni, assolsero in pieno il loro compito, quello cioè di assicurare a Ve- nezia la legna per gli usi domestici, il legname all’Arsenale e la difesa della laguna dagli straripamenti del Piave.

Non certamente più rassicurante è la situazione delle fustaie di latifoglie e quella dei cedui.

Se poi dalla insufficienza quantitativa passiamo a quella qualitativa, la situa- zione migliora a nostro vantaggio, ma solo leggermente. Giacché se l’importa- zione di segati, squadrati e asciati di conifere è discesa, rispetto al 1925-1930, da 2 milioni a 1 milione e 500 mila metri cubi, l’importazione di pasta chimica per la cellulosa e le fibre tessili si è portata, nello stesso periodo di tempo da poco più di 1 milione e 600 mila quintali a quasi 2 milioni e 300 mila quintali.

Comunque, per l’aumentata corrente di esportazione di alcuni prodotti lavo-

rati quali il sughero, le doghe, le casse da imballaggio, i fogli di legno fino, i com-

pensati e soprattutto gli estratti tannici, lo squilibrio fra esportazione e importa-

zione si è venuto in questi ultimi tempi attenuando; e invero, mentre l’importa-

zione attuale rispetto a quella di 25-30 anni fa si è portata da 1 miliardo e 100

milioni a 67 miliardi, è passata così da 1 a 67, l’esportazione è passata da 100

milioni a 9 miliardi, è passata cioè da 1 a 90.

(5)

RELAZIONE INTRODUTTIVA AL I CONGRESSO NAZIONALE DI SELVICOLTURA 257

Fermiamoci ancora per un momento sulle statistiche per conoscere i linea- menti caratteristici della produzione legnosa nazionale.

Annualmente noi asportiamo dai nostri boschi poco più di 11 milioni e 600 mila metri cubi di legname tondo valutato all’origine. Di questi 11 milioni e 600 mila metri cubi, poco meno di 2 milioni è formato da tondame da lavoro di conifere, poco più di 2 milioni è legname da lavoro di latifoglie e la restante parte, il grosso, non è che legna da ardere e carbone vegetale.

E tutta questa ingente massa legnosa che è, non dimentichiamolo, per il 5%

capitale e per il 95% frutto, ha un valore di macchiatico di appena 57 miliardi di lire, quanta è grosso modo l’eccedenza, in termini di valore, della importazione sulla esportazione.

L’eloquenza di queste poche cifre è veramente impressionante, perché dimo- strano in termini rigorosi la grande povertà della nostra economia forestale. Un macchiatico medio, dei tanti metri cubi di legname che utilizziamo, di appena 4700 lire, poco cioè maggiore del valore in bosco di un metro cubo di legna da ardere di cerro, è indice di un’economia silvana basata sulla produzione di assor- timenti poveri, quali la legna da ardere e da carbone.

La necessità e l’utilità di eliminare o quanto meno contenere il non lieve tri- buto che l’Italia paga ogni anno all’estero per soddisfare al consumo nazionale di legname non hanno bisogno di particolare dimostrazione, né alcuna partico- lare dimostrazione richiede l’assunto che impone una utilizzazione uguale all’in- cremento nel caso di boschi normali e minore dell’incremento quando, ed è da noi il solo caso reale, la provvigione, il capitale legnoso è minore di quello di maggiore convenienza.

Ma la necessità d’incrementare la redditività delle nostre selve scaturisce an- cora da due fatti di carattere internazionale.

Il primo è questo. Secondo una recente indagine della F.A.O. (Organisation pour l’alimentation et l’agriculture) l’Europa è oggi pressoché autosufficiente, ma l’equilibrio tra fabbisogno e produzione è fittizio perché anche i paesi più ricchi di foreste utilizzano più dell’incremento. Le previsioni per il prossimo futuro sono queste: nel 1960 l’Europa avrà bisogno da 30 a 50 milioni di metri cubi di legno tondo valutato all’origine, in più degli attuali 180 milioni, soprattutto per il crescente fabbisogno di pasta meccanica e chimica di legno che da 4 milioni e 600 mila tonnellate consumati nel 1913 è passato a 9 milioni e 900 mila tonnellate nel 1950.

Il secondo è questo. La situazione negli altri continenti non è più promettente di quella europea. Anche gli Stati Uniti d’America e il Canadà hanno dato, e non da oggi, alle utilizzazioni boschive un carattere distruttivo: la esauribilità più o meno lontana delle grandi riserve naturali, della grande foresta boreale di conifere dell’Eurasia e dell’America, estesa 3 volte l’Europa, appare sempre più manifesta.

Stati Uniti d’America e Canadà, divorano annualmente immense quantità di

legno sotto forma cartacea: mentre per produrre un albero delle dimensioni

richieste dalle varie industrie cui esso è indispensabile occorrono decenni e de-

cenni, spesso un secolo ed oltre, Stati Uniti di America e Canadà consumano

(6)

ogni anno quasi 21 milioni di tonnellate di pasta di legno contro i 4-5 milioni del 1920 e i 3 milioni e mezzo del 1913. Nel 1950 la produzione di pasta di legno è stata, tra l’Europa, il Canadà e l’America del Nord, di circa 31 milioni di tonnellate ed ha richiesto il taglio di 120 milioni di metri cubi di legno, di una massa legnosa cioè alquanto maggiore di quella di tutte le nostre fustaie di resinose.

C OEFFICIENTE DI CONVERSIONE DELLE QUANTITÀ DI ASSORTIMENTI IN METRI CUBI DI LEGNAME TONDO ALL ’ ORIGINE

N° A SSORTIMENTI U NITÀ DI

M ISURA C OEFFI-

CIENTE

N OTE 1 Legname in tronchi: sgrossato

con l’ascia mc 1.17 indicato da Serpieri

2 Legname squadrato o segato mc 1.67 indicato dalla F.A.O.

3 Legna da ardere ql 0.413 peso specifico: ql 7/mc

4 Carbone di legna ql 0.59 rendimento: ql 1.7 mc

5 Traversine per strade ferrate mc 1.60

6 Legname segato per doghe mc 2.00

7 Legname ridotto in lavorati ql 0.36 peso specifico: ql 7/mc;

rendimento: 0.40 8 Legnami per tinta e concia ql 0.143 peso specifico: ql 7/mc

9 Estratti tannici ql 0.71 rendimento: 0.20 (da Del

Bravo); peso spec.: ql 7 10 Pasta di legno meccanica ql 0.50 indicato dalla F.A.O.

11 Pasta di legno chimica ql 0.25 indicato dalla F.A.O.

La gravità della situazione dei nostri boschi di montagna si colora di viva luce quando poi si considera che il bosco mal tenuto, sfruttato in misura eccessiva, povero di provvigione non esercita un’efficace azione sul deflusso delle acque selvagge e sulla portata solida: la fondamentale importanza del bosco di monta- gna nell’economia naturale si riduce sensibilmente quando la provvigione è scarsa e si annulla quando il soprassuolo risulta formato dalla metà degli alberi che la stazione e la specie legnosa consentono, come tutte le esperienze in pro- posito confermano.

Non solo dunque ragioni strettamente economiche, ma anche ragioni idro-

geologiche, di difesa dalle piene, dalle inondazioni e dalle frane, consigliano di

curare, seguire, vigilare, nel senso di porre in atto tutte le norme che la tecnica

suggerisce per esaltare la produzione legnosa per la quale esistono margini no-

tevolissimi.

(7)

Tav. 1 - Importazione ed es portazione del legn am e nel tri ennio 1951-53.

Quantità di legname equivalente in tondo in mc Valori in migliaia di lire Importazione EsportazioneImportazione Esportazione 195119521943media 195119521943media 195119521943media 195119521943media I- Legno comune a)conifere195978821873133118184242176239357135824094190111716803426230589351872732619529950258125303577620277745 b)altre essenze4004284669494254924309562479896063759127214299855583335149732225035476453787237595101587264323 2360216265426235436762852718641552318878533173221467889320639404016049531230775956368490630179207542068 II – Legno fino 450484818067861540961870977 303 1050153044520512982567131204962525629475271907930745 III - Combustibili368057377896731810492588823416204412995221665954213846334923902432269761281261397678493017 IV - Legname ri- dotto in assorti- menti134092694644485282801770931205971157791378232937045857328887425893924167315323743934873013630685 V - Sughero e la- vori di sughero 744792358695391632831701965756142785314631581618922 VI - Materie prime per la tinta e la concia 598 9 108 239 1762822013986621814796613413697 272956133265704431343013186932965942 VII - Materie oc- correnti per la fabbricazione della carta e fibre tessili 110771396238412258331098643156524301180172540185571310387472069341730639245496381262941934865094 38960414069877561377345265644291993647941954623298186523145568114746683440676723008910506538976931265635708946473

RELAZIONE INTRODUTTIVA AL I CONGRESSO NAZIONALE DI SELVICOLTURA 259

(8)

Tav. 2 - Importazione ed esportazione dei prodotti legnosi - anno 1951.

Assortimenti legnosi Unità di

misura Importazione Esportazione Quantità equivalenti

in tondo

Quantità Valore Quantità Valore Import. Esport.

I - LEGNO COMUNE A) Conifere

1 - In tronchi o sgrossato con l’ascia (puntelli da miniera, pali,

tondame da sega, di altra specie) mc. 306.844 1.971.058 1.026 15.309 395.007 1.200 2 - Squadrato con l’ascia (pali,

di altra specie) » 109.023 1.137.820 284 5.593 182.068 474

3 - Segato per il lungo » 849.529 14.059.156 22.565 1481.679 1.418.713 37.683

17.168.034 502.581 1.959.8788 39.357

B) Faggio, castagno, pioppo e altre es- senze

1 – In tronchi o sgrossato con l’ascia (puntelli da miniera, pali,

tondame da sega, di altra specie) » 262.706 1.831.280 1.446 17.524 307.366 1.692 2 - Squadrato con l’ascia (pali,

di altra specie) » 326 31.265 356 14.918 545 596

3 - Segato per il lungo » 115.519 2.437.310 13.479 421.345 192.917 22.510

4.299.855 453.787 400.428 24.798

II - LEGNO FINO 1 - Tronchi o sgrossato con

l’ascia » 28.483 1.473.263 33.325

2 - Squadrato con l’ascia » 333 11.392 1 625 11.392 2

3 - Segato per il lungo » 797 45.790 520 25.004 1.331 868

1.530.445 25.629 46.048 1.870

III - COMBUSTIBILI 1 - Legna da ardere, compreso

ramaglie e fasciname ql. 2.249.011 1.478.085 24.865 53.557 321.608 3.556

2 - Carbone da legna » 78.727 164.901 7.929 22.512 46.449 4.678

3. Segatura di legno » 48.176 22.968 41 59

1.665.954 76.128 368.057 8.234

IV- LEGNAME RIDOTTO IN ASSORTIMENTI 1 -Traversine di legno per

strade ferrate mc. 417 1.952 667

2 - Legno preparato per doghe

o segato per lavori da bottaio » 75 3.320 47.227 782.476 150 94.454

3 - Lavori da bottaio, com- preso parti finite, doghe o al-

tro ql. 1.414 35.255 44.312 290.915

4 - Fogli di legno comune, com-

presi quelli per impiallacciature » 1.076 12.186 7.766 236.384 5 - Fogli di legno fino, compreso

quello per impiallacciature » 1.191 39.038 9.564 280.436

6 - Legno compensato o con- troplaccato (con aggiunta o

senza di altre materie » 1.281 22.759 78.246 1.653.104

7 - Casse da imballaggio, com-

prese quelle di compensato » 31.257 126.761 43.602 150.321

8 - Legno in fuscelli per fiam-

miferi e stoini » 70 1.122 27.058 373.131

9 - Legno spaccato, anche in stecche, liste di legno per cer- chi, pioli e picchetti, strisce e nastri di legno, legno per ba- stoni e manici, liste di legno per pavimenti, legno scanalato per la giuntura, quadrelli di le- gno per strade, graticci di le-

gno per chiusure » 51.311 100.548 12.592 82.639

293.704 4.167.315 13.409 177.093

Segue

(9)

RELAZIONE INTRODUTTIVA AL I CONGRESSO NAZIONALE DI SELVICOLTURA 261

Segue Tav. 2

Assortimenti legnosi Unità di

misura Importazione Esportazione Quantità equivalenti

in tondo

Quantità Valore Quantità Valore Import. Esport.

V - SUGHERO E LAVORI DI SUGHERO

1 - Sughero naturale, greggio,

compreso quello in cascami ql. 6.863 46.390 136.713 1.494.920 2 - Sughero semilavorato e la-

vorato (macinato, in lastre, in

cubi, turaccioli ecc.) » 2.770 28.089 12.947 470.836

74.479 1.965.756

VI - MATERIE PRIME PER LA TINTA E LA CONCIA 1- Legni per tinta e concia,

macinati e non macinati ql. 217 2.358 201 499 31 29

2 - Estratti tannici di castagno,

quercia e vallonea » 799 11.055 248.244 3.265.205 567 176.253

13.413 3.265.704 598 176.282

VII - MATERIE OCCOR- RENTI PER LA FABBRI- CAZIONE DELLA CARTA E DELLE FIBRE TESSILI ARTIFICIALI

1 - Pasta di legno, meccanica o

semichimica ql. 154.854 913.872 214 1.193 38.713 54

2 - Pasta di legno chimica » 2.138.000 39.271.699 3.023 48.445 1.069.000 1.511

40.185.571 49.638 1.107.713 1.565

65.231.455 10.506.538 3.896.041 429.199

Di qui l’opportunità di definire, alla luce della scienza e della tecnica, sia pure senza allontanarci dalle tradizioni storiche della nostra selvicoltura, quelle norme;

di qui l’opportunità di esaminare, con qualche dettaglio, i risultati delle ultime esperienze, gli errori passati e recenti; di qui questo convegno di studi sulla con- servazione e il miglioramento dei nostri boschi.

Le relazioni e le memorie presentate, tutte dense di sapere, non astratte ma aderenti alle varie situazioni tecniche, economiche e sociali delle varie montagne italiane, dimostrano con quanto impegno tutti i relatori hanno svolto il loro tema;

confermano il carattere eclettico della selvicoltura italiana e dicono, infine, che questo congresso potrà contribuire, e in misura significativa, al progresso della nostra tecnica silvana.

Le vie per conseguire un incremento di produzione legnosa sono ovvia- mente due, quella dell’estensione dell’area forestale e quella dell’intensifica- zione della coltura.

La prima è ardua, difficile, senza sbocco. Questa via non è largamente prati- cabile per ragioni sociali.

Ecco un elemento di prova inconfutabile: Dal 1867 al 1950, e cioè in 83 anni,

sono stati creati nuovi boschi esattamente per 194.720 ettari, con una media an-

nua di 2.346 ettari. È un valore medio molto basso, specie se posto in relazione

ai caratteri geografici della nostra Penisola e al disordine idrogeologico di mol-

tissime montagne italiane, ma che si spiega con l’alto costo del rimboschimento,

(10)

con la durata di attesa del prodotto e soprattutto con il bisogno di terre coltivate che ha il popolo italiano.

A tale incremento di superficie forestale quale decremento, per trasforma- zione di boschi sia pure in poveri seminativi o in miseri pascoli, ovvero in ce- spuglieti, o in incolti produttivi corrisponde? È questo decremento maggiore o minore dell’accennato incremento? Non so chi possa rispondere alla domanda con dati concreti, ma il bilancio è, probabilmente, più passivo che attivo. In realtà in questi ultimi 3 anni il passo è stato più deciso; si sono rimboschiti ogni anno in media da 13 a 14 mila ettari e disboscati da 2.800 a 3.000 ettari.

Non poche aree - non v’è dubbio - vanno conquistate alla selvicoltura: si pensi alle aree a pascolo e ai seminativi degli alti bacini montani; si pensi ancora alle montagne nude e degradate in gran numero nel nostro Paese, nell’Appennino in particolare. Sono queste terre che - per la singolare funzione pubblica che espli- cano o meglio, che dovrebbero esplicare - lo Stato deve curare, trasformandole anche nell’interesse delle popolazioni montane, da nude a boschi. L’intervento dello Stato non trova qui alcuna ragionevole resistenza, e sono soprattutto queste le terre che devono contribuire, come vuole la legge Fanfani, all’ampliamento del nostro modesto demanio forestale di Stato.

Ma questa prima via dell’estensione dell’area forestale può e deve trovare ade- guato sviluppo quando si passa dai boschi di montagna a quelli di pianura, da una selvicoltura estensiva ad una intensiva. Questa selvicoltura intensiva di pia- nura, per i redditi che assicura e per la lunghezza dei cicli, si trova in posizioni economiche favorevoli di fronte alle altre colture; questa selvicoltura che non ha bisogno di particolare difesa può contribuire in misura notevole alla risoluzione del nostro problema con la produzione di ingenti quantità di legname da indu- stria quando, come è possibile, alla produzione forestale venga impresso un in- dirizzo tecnico e finanziario stabile e sicuro.

Si pensi invero che mentre una fustaia di abete rosso in stazioni favorevoli assicura a 120 anni una produzione di 600 metri cubi di legname da lavoro, un pioppeto razionalmente impiantato e trattato fornisce, a solo 10 anni, 250 metri cubi di legname da industria, per cui una foresta di abete rosso di 1000 ettari frutta, in massa, quanto una di 200 ettari di pioppo.

Più decisivo e ugualmente pronto, potrà essere il contributo delle alberature e delle fasce frangivento dei terreni agrari e della pioppicoltura di ripa, e cioè dei filari lungo i fossi, i torrenti, i canali e i campi. Questa particolare selvicoltura, per la quale esistono ampi margini di sviluppo, assicura redditi elevatissimi e a brevis- sima scadenza, purché le piante corrispondano alle caratteristiche dell’ambiente, e non sottrae alcun’area all’agricoltura o ne sottrae una compresa fra il 2 e il 4%.

In breve: l’apporto di legno da industria dei vecchi e nuovi boschi di pianura, dai

pioppeti specializzati ai boschi di eucalitto, dai filari, alle fasce, alle alberature di

piante a rapidissimo accrescimento, potrebbe essere di tale entità da consentire entro

pochi anni, una sensibile flessione dell’ importazione di pasta di legno, un incre-

mento dell’esportazione di compensati e quindi una più lieve pressione sui boschi

di alta e media montagna, che hanno bisogno di essere lasciati un po’ in pace.

(11)

RELAZIONE INTRODUTTIVA AL I CONGRESSO NAZIONALE DI SELVICOLTURA 263

Tav. 3 - Importazione ed esportazione dei prodotti legnosi - anno 1952.

Assortimenti legnosi Unità di

misura Importazione Esportazione Quantità equivalenti

in tondo

Quantità Valore Quantità Valore Import. Esport.

I - LEGNO COMUNE A) Conifere

1 - In tronchi o sgrossato con l’ascia (puntelli da miniera, pali,

tondame da sega, di altra specie) mc. 192.359 1.719.457 3.798 74.197 225.060 4.444 2 - Squadrato con l’ascia (pali,

di altra specie) » 123.690 1.719.821 384 11.003 206.562 641

3 - Segato per il lungo » 1.051.312 22.791.311 5.088 167.835 1.755.691 8.497

26.230.589 235.035 2.187.313 13.582

B) Faggio, castagno, pioppo e altre essenze

1 – In tronchi o sgrossato con l’ascia (tondame da sega, di altra

specie) » 286.876 2.953.174 337 7.053 335.645 394

2 - Squadrato con l’ascia » 34 13.292 228 9.843 57 381

3 - Segato per il lungo » 78.591 2.866.885 5.288 220.699 131.247 8.831

5.833.351 237.595 466.949 9.606

II - LEGNO FINO 1 - Tronchi o sgrossato con

l’ascia » 39.570 1.966.031 25 46.247

2 - Squadrato con l’ascia » 773 38.552 16 1073 1.291 27

3 - Segato per il lungo » 504 46.715 569 46.429 842 950

2.051.298 47.527 48.380 977

III - COMBUSTIBILI 1 - Legna da ardere, compreso

ramaglie e fasciname ql. 2.284.336 1.929.577 46.142 75.803 326.660 6.598

2 - Carbone da legna » 86.840 201.699 16.282 50.014 51.236 9.606

3. Segatura di legno » 26.686 7.187 75 322

2.138.463 126.139 377.896 16.204

IV- LEGNAME RIDOTTO IN ASSORTIMENTI 1 -Traversine di legno per

strade ferrate mc. 44 2.308 70

2 - Legno preparato per doghe

o segato per lavori da bottaio » 29.252 623.674 58.504

3 - Lavori da bottaio, compreso

parti finite, doghe o altro ql. 1.615 41.764 31.467 232.860 4 - Fogli di legno comune, com-

presi quelli per impiallacciature » 5.568 74.537 3.911 248.529 5 - Fogli di legno fino, compreso

quello per impiallacciature » 2.272 82.936 9.806 823.081

6 - Legno compensato o con- troplaccato (con aggiunta o

senza di altre materie » 2.459 53.202 34.370 764.911

7 - Casse da imballaggio, com-

prese quelle di compensato » 34.737 139.880 62.018 363.925

8 - Legno in fuscelli per fiam-

miferi e stoini » 1 201 6.997 90.846

9 - Legno spaccato, anche in stecche, liste di legno per cer- chi, pioli e picchetti, strisce e nastri di legno, legno per ba- stoni e manici, liste di legno per pavimenti, legno scanalato per la giuntura, quadrelli di le- gno per strade, graticci di le-

gno per chiusure » 191.021 89.613 26.876 62.093

585.732 3.237.439 26.946 120.597

Segue

(12)

Segue Tav. 3

Assortimenti legnosi Unità di

misura Importazione Esportazione Quantità equivalenti

in tondo

Quantità Valore Quantità Valore Import. Esport.

V - SUGHERO E LAVORI DI SUGHERO

1 - Sughero naturale, greggio,

compreso quello in cascami ql. 16.792 170.974 85.484 1.000.530 2 - Sughero semilavorato e la-

vorato (macinato, in lastre, in

cubi, turaccioli ecc.) » 4.178 64.895 11.200 427.323

235.869 1.427.835

VI - MATERIE PRIME PER LA TINTA E LA CONCIA 1- Legni per tinta e concia,

macinati e non macinati ql. 56 681 402 919 8 57

2 - Estratti tannici di castagno,

quercia e vallonea » 1 16 283.579 4.312.511 1 201.341

697 4.313.430 9 201.398

VII - MATERIE OCCOR- RENTI PER LA FABBRI- CAZIONE DELLA CARTA E DELLE FIBRE TESSILI ARTIFICIALI

1 - Pasta di legno, meccanica o

semichimica ql. 106.343 510.212 26.586

2 - Pasta di legno chimica » 1.871.597 30.528.535 4.860 126.294 935.798 2.430

31.038.747 126.294 962.384 2430

68.114.746 9.769.312 4.069.877 364.794

Tav. 4 - Importazione ed esportazione dei prodotti legnosi - anno 1953.

Assortimenti legnosi Unità di

misura Importazione Esportazione Quantità equivalenti

in tondo

Quantità Valore Quantità Valore Import. Esport.

I - LEGNO COMUNE A) Conifere

1 - In tronchi o sgrossato con l’ascia (puntelli da miniera, pali,

tondame da sega, di altra specie) mc. 343.575 3.222.548 2.513 46.508 401.959 2.940 2 - Squadrato con l’ascia (pali,

di altra specie) » 224.610 2.995.367 112 4.007 375.099 187

3 - Segato per il lungo » 1.401.950 28.969.358 579 27.105 2.341.126 967

35.187.273 77.620 3.118.184 4.094

B) Faggio, castagno, pioppo e altre es- senze

1 – In tronchi o sgrossato con l’ascia (tondame da sega, di altra

specie) » 188.248 1.423.088 282 5.978 220.250 330

2 - Squadrato con l’ascia » 353 20.289 58 2.204 590 97

3 - Segato per il lungo » 122.546 3.529.845 1.995 93.405 204.652 3.332

4.973.222 101.587 425.492 3.759

II - LEGNO FINO 1 – In tronchi o sgrossato con

l’ascia » 53.687 2.432.155 6 1.014 62.814 7

2 - Squadrato con l’ascia » 768 30.789 1.283

3 - Segato per il lungo » 2.254 104.187 177 18.065 3.764 296

2.567.131 19.079 67.861 303

Segue

(13)

RELAZIONE INTRODUTTIVA AL I CONGRESSO NAZIONALE DI SELVICOLTURA 265

Segue Tav. 4

Segue

Assortimenti legnosi Unità di

misura Importazione Esportazione Quantità equivalenti

in tondo

Quantità Valore Quantità Valore Import. Esport.

III - COMBUSTIBILI 1 - Legna da ardere, compreso

ramaglie e fasciname ql. 4.663.946 3.240.986 27.920 75.987 662.654 3.993

2 - Carbone da legna » 117.213 243.032 231 609 69.156 136

3. Segatura di legno » 27.248 8.372 92 188

3.492.390 76.784 731.810 4.129

IV- LEGNAME RIDOTTO IN ASSORTIMENTI 1 -Traversine di legno per

strade ferrate mc. 8.913 153.209 14.261

2 - Legno preparato per doghe

o segato per lavori da bottaio » 318 14.158 27.013 551.442 636 54.026

3 - Lavori da bottaio, com-

preso Parti finite, doghe o altro ql. 2.012 45.415 29.567 307.113 4 - Fogli di legno comune, com-

presi quelli per impiallacciature » 15.042 147.536 5.964 409.812 5 - Fogli di legno fino, compreso

quello per impiallacciature » 4.148 145.523 8.846 867.777

6 - Legno compensato o con- troplaccato (con aggiunta o

senza di altre materie » 7.897 106.110 39.964 839.055

7 - Casse da imballaggio, com-

prese quelle di compensato » 27.248 103.402 56.803 387.497

8 - Legno in fuscelli per fiam-

miferi E stoini » 10.444 124.605

9 - Legno spaccato, anche in stecche, liste di legno per cer- chi, pioli e picchetti, strisce e nastri di legno, legno per ba- stoni e manici, liste di legno per pavimenti, legno scanalato per la giuntura, quadrelli di le- gno per strade, graticci di le-

gno per chiusure » 25.842 173.389 19.947 9.569 29.588 61.753

888.742 3.487.301 44.485 115.779

V - SUGHERO E LAVORI DI SUGHERO

1 - Sughero naturale, greggio,

compreso quello in cascami ql. 20.016 341.120 63.192 1.144.642 2 - Sughero semilavorato e la-

vorato (macinato, in lastre, in

cubi, turaccioli ecc.) » 7.774 198.043 8.323 318.516

539.163 1.463.158

VI - MATERIE PRIME PER LA TINTA E LA CONCIA 1- Legni per tinta e concia,

macinati e non macinati ql. 23 237 6 30 3 1

2 - Estratti tannici di castagno,

quercia e vallonea » 148 2.492 93.263 1.318.663 105 66.217

2.729 1.318.693 108 66.218

VII - MATERIE OCCOR- RENTI PER LA FABBRI- CAZIONE DELLA CARTA E DELLE FIBRE TESSILI ARTIFICIALI

1 - Pasta di legno, meccanica o

semichimica ql. 174.288 705.723 43.572

2 - Pasta di legno chimica » 2.364.523 19.987.694 2.360 19.348 1.182.261 1.180

20.693.417 19.348 1.225.833 1.180

68.344.067 6.563.570 5.613.773 195.462

(14)

La seconda via - quella della intensificazione - è invece più facile, più pronta, meno costosa rispetto a quella della estensione del bosco in montagna.

Il Di Tella prima e il Pavari successivamente, hanno più volte affermato e dimostrato che dai nostri boschi è possibile ottenere più di quanto non si ricavi oggi. Giacché la causa principale della scarsa produttività dei nostri boschi risiede - come riteneva anche il Di Tella 25 anni fa - «non tanto nella povertà estensiva dei terreni forestali, quanto nella qualità delle specie legnose, concorrenti a for- mare i soprassuoli delle nostre selve, oltre che nei modi come questi soprassuoli vengono trattati». La prevalenza del governo a ceduo è la prova più evidente della fondamentale causa di povertà delle nostre selve, in legname da opera. «E ciò - è sempre il Di Tella che parla - non tanto per condizioni edafiche sfavore- voli naturalmente alla selvicoltura, sibbene, come risultato di un complesso di manchevolezze e di contrastanti posizioni economiche, la cui efficace rimedia- bilità la scienza forestale, col costante suo progresso sperimentale, va sempre meglio dimostrando».

La conservazione dei boschi tanto alpini quanto appenninici e mediterranei, è subordinata intanto alla difesa di questi boschi. Difesa né aprioristica né pre- concetta, ma difesa dalla ingordigia di guadagno di proprietari poco scrupolosi, che agiscono con spirito e metodi spiccatamente speculativi e che spesso si pre- sentano potentemente assistiti e difesi.

Ripresa e pascolo nei boschi sono due problemi che acquistano particolare rilievo nel caso di boschi degli Enti, quasi tutti localizzati in montagna, perché questi boschi hanno - come chiaramente dice il Serpieri - «un posto affatto spe- ciale nella economia naturale e sociale del nostro Paese; e imperfettamente giu- dicherebbe della loro importanza chi guardasse solo ai loro prodotti monetari, confrontandoli con quelli ben più ricchi dei seminativi o dei prati da fieno».

La verità è questa. La gran parte dei comuni e degli enti considerano il bosco come una miniera da cui sia lecito prelevare materiale quanto e come si voglia; e pressati da ragioni di bilancio non vedono la salvezza se non nel bosco. Ed ecco il sindaco del comune o il presidente dell’ente domandare una utilizzazione pre- matura o eccessiva; insistere e fare insistere da uomini autorevoli; poi protestare per l’accantono delle somme occorrenti per i più indispensabili e inderogabili lavori di migliorie boschive; per poi ritornare da capo l’anno successivo.

E questo perché? Perché i comuni e gli enti sono portati a sopravalutare i bisogni presenti e a mortificare, oltre ogni ragionevole limite, quelli futuri. Perché occorre trovare soldi per lavori utili e inutili e non ha rilievo se la utilizzazione richiesta è tecnicamente possibile o non, se corrisponde all’incremento o com- prende parte del capitale legnoso, già ridotto a ben poca cosa.

Ma occorre poi anche accontentare i pastori. E così, in nome delle necessità

prime e vere delle povere popolazioni montane, domandare prima il pascolo

delle pecore, poi quello di bovini e infine quello delle capre. E sindaci, e autorità

e cittadini a sostenere che, dopo tutto, l’erba della giovane tagliata, l’erba fresca e

abbondante si perde. E con questa convinzione, anche quando il permesso di

pascolo è negato, e il pericolo di essere sorpreso dalla guardia forestale è meno

(15)

RELAZIONE INTRODUTTIVA AL I CONGRESSO NAZIONALE DI SELVICOLTURA 267

probabile, il pastore - come descrive con tanta vivezza di colori il Di Tella -

«spinge frettolosamente la mandria affamata a rubare una pasciuta, come esso dice nel suo linguaggio di lotta silvo-pastorale. L’incursione spesso ripetuta, di parec- chi greggi in tali boschi da poco tagliati, riesce naturalmente dannosissima, specie nei primi anni, quando appunto l’erba vi cresce più abbondante e sostanziosa; il calpestìo e il morso degli animali turbano il delicato processo dell’accrescimento, ed allora la fase erbacea si prolunga indefinitamente. Il bosco ricresce lenta- mente, a zone sparse qua e là, nei punti più freschi e più fertili, separati da nu- merosi vani e radure, le quali quando il divieto... legale... cessa e gli animali vi possono irrompere senza freno e senza limiti, si anastomizzano, si allargano, ri- ducono il novello bosco ad un quinto del vecchio e talvolta di meno, che così ridotto di bosco non ha più che il nome».

«Il risultato di questa lotta, disboscamento, denudamento e sterilizzazione crescente della terra, apparisce meno brutale, meno violento di quello della coltura e della pastoralizzazione, che un tempo si facevano strada col fuoco e col ferro, ma non per questo è meno reale, è meno disastroso per la consistenza del nostro suolo nativo e per la sua fertilità».

I primi a sentire le conseguenze di tutti gli abusi e di tutte le concessioni strap- pate all’autorità forestale, sono i comuni e i montanari, perché la proprietà co- munale è un prezioso fattore di equilibrio della vita montana: dove essa invero si è mantenuta, tenui sono, generalmente, le tasse locali e rari i nullatenenti; dove essa manca o dove i boschi e i pascoli sono mal tenuti, ivi è la miseria. Così, le entrate effettive ordinarie per abitante sono state nel 1928 di lire 163 per i co- muni montani con notevole patrimonio silvo-pastorale e di lire 57 per i comuni, sempre di montagna, senza boschi e pascoli.

Selvicoltura e pastorizia, più che uniformare ai progressi della tecnica metodi e sistemi di coltura, si danneggiano reciprocamente. Bosco e pascolo, selvicoltura e pastorizia non sono, in teoria, termini in conflitto; ma la coesistenza di queste due industrie sulla stessa terra, che in non pochi casi si trovano in un’armonica combinazione tanto tecnica quanto economica, è estremamente delicata come tutte le coabitazioni.

Se non è socialmente possibile dare al problema quella soluzione drastica che pure ragioni ecologiche consiglierebbero; se è sempre vero che l’economia della famiglia del montanaro ha per fulcro il reddito che ritrae dal pascolo; se è vero che alla voce suadente della foresta fa eco quella rude e ad un tempo forte ed umana del montanaro; si deve - necessariamente - trovare una soluzione ragionevole che contemperi le due necessità, quella privata e quella pubblica, ugualmente essenziali.

Come? In un primo luogo imponendo per l’esercizio del pascolo la osser-

vanza di norme semplici e possibili. La verità è - come scriveva il Serpieri 30 anni

or sono - questa: «ogni godimento da parte di collettività è rovinoso, se non sia

sottoposto ad una disciplina; che lo Stato non può disinteressarsi dell’osservanza

di tale disciplina, soprattutto quando si tratta di colture così strettamente con-

nesse con pubblici altissimi interessi, quali sono i pascoli e i boschi». In secondo

luogo migliorando i pascoli esistenti e creandone degli altri.

(16)

Ma anche in questo campo - sebbene la produzione dei pascoli sia suscettibile di ampio sviluppo e più prontamente realizzabile in confronto di quella forestale - si è fatto poco. Dal 1914 a tutto il 1950 la superficie migliorata e sistemata a pascolo è stata di 127.268 ettari, con una media annua di 3.535 ettari. Le Alpi si sono attribuite l’80% e l’Appennino centrale il 10% della superficie migliorata;

la restante parte è toccata per metà alla Sardegna e per metà, e cioè il 5%, a tutte le altre montagne italiane.

Potrà l’istituto dell’azienda speciale per la gestione dei beni silvo-pastorali de- gli enti pubblici previsto dalla legge Fanfani concorrere alla soluzione del pro- blema della razionale gestione non solo amministrativa ma anche tecnica dei pa- trimoni rustici degli enti predisponendo e realizzando organici piani di lavori volti in primo luogo ad esaltare la potenzialità produttiva dei pascoli? Lasciamo che alla risposta provveda il tempo, perché non è il caso di fare il profeta.

Se questo è un momento estremamente delicato per la nostra selvicoltura, è anche un momento particolarmente propizio all’attuazione di un’ampia politica volta alla conservazione e al miglioramento dei boschi.

In primo luogo per una validissima ragione di carattere economico.

L’altezza del prezzo del legno da industria - risultato non di una situazione momentanea bensì del permanente squilibrio fra domanda e offerta, squilibrio che per le considerazioni innanzi svolte tende, col tempo, ad aggravarsi - ha por- tato e sempre più porterà all’ampliamento dell’area forestale in pianura con la conseguente divisione dei compiti fra le foreste dei diversi piani altimetrici. Mentre invero i boschi di pianura tendono sempre più ad assumere la spiccata funzione di boschi di produzione, quelli di alta montagna sempre più quella protettiva.

La formazione di nuovi boschi di pianura e il miglioramento di quelli esistenti è già in atto; ma il lavoro forestale anche in pianura, anche nell’area economica dell’attività privata, richiede del tempo perché nella produzione silvana l’ele- mento tempo è sempre quello fondamentale, insopprimibile.

In secondo luogo ancora per una ragione economica. Il diffondersi, anche nei più lontani casolari delle montagne alpine e appenniniche, dei nuovi e nuovissimi succedanei della legna e del carbone vegetale implica una minore domanda di combustibili vegetali con conseguente diminuzione di prezzi: di qui il restringersi dell’area del ceduo alle posizioni economicamente più favorevoli e l’allargarsi dell’area della fustaia. La conversione di un’ampia massa di cedui appare inelut- tabile. Per forza di cose, questa operazione consigliata da decenni dalla tecnica, per motivi prevalentemente extramercantili, troverà larga applicazione, per quelle ragioni che i più sentono e comprendono.

In terzo luogo, infine, perché oggi, sia pure sotto l’incalzare di eventi disa-

strosi, gli italiani si sono ricordati che la foresta è un bene sommo; che l’ordine

montano, che poggia sul bosco, è un bene generale di tutti gli italiani; che l’equi-

librio fra la forza impetuosa delle acque e l’inerzia della debole terra va continua-

mente rafforzato con il mezzo più sicuro, meno costoso, più elastico, diffon-

dendo e difendendo l’albero, pena la rovina non solo della montagna, ma anche

delle colline e delle pianure sottostanti.

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Oggi, in breve, non c’è chi non ritenga il bosco un efficace mezzo di difesa idrogeologica, anzi non manca chi - a ragione o a torto - è portato a sopravalutare tale funzione.

Il clima è dunque propizio per l’attuazione di un’ampia politica forestale.

Mi pare a questo punto di sentirmi domandare: e i mezzi finanziari? e le leggi?

e gli uomini?

La conservazione e il miglioramento dei boschi sono legati a lavori che non richiedono molti miliardi per due fondamentali ragioni. Perché in primo luogo si tratta di lavori estensivi e perché in secondo luogo i tempi tecnici di esecuzione non si possono abbreviare. Quello che invece è fondamentale per la riuscita del lavoro è che al finanziamento venga dato un carattere di continuità.

Ma è chiaro che passando dal bosco, inteso in senso stretto, alle sistemazioni dei torrenti, per diminuire o attenuare erosioni e torrenzialità, e ai pascoli e alle colture agrarie di monte - ed è necessario passarvi non foss’altro per diminuire la pressione delle popolazioni montane sul bosco - i termini del problema si al- terano profondamente. Tonificare l’economia montana, utilizzare tutti i fattori che non lo sono o lo sono in modo inadeguato, è una politica legata ad investi- menti notevoli e non a pochi miliardi di lire.

È vero che quando si hanno molti soldi non è facile spenderli bene, ma è anche vero che un finanziamento annuo di 5-10 miliardi distribuiti fra 3.200 co- muni - tanti sono ad oggi quelli classificati montani ai sensi della legge per la montagna del 1952 - con una superficie di quasi 13 milioni di ettari è veramente molto modesto. È assolutamente necessario dare alla montagna, ad una regione assai povera, molto di più e nel modo più pronto e più adatto possibile.

Come una politica di facilitazioni creditizie non cambia nei riguardi del mon- tanaro i termini del calcolo di convenienza dei miglioramenti fondiari in monta- gna, così la concentrazione degli investimenti statali non ha altra conseguenza che quella di determinare un maggiore squilibrio fra le regioni preferite e le altre, fra i proprietari agevolati e quelli non agevolati.

Ma proprio questa nostra Italia non può far di più per i montanari mentre tanti e tanti miliardi si spendono - e non è il caso qui d’indagare come si spen- dono - per l’industria?

E delle leggi? La legge forestale del 1923 è una buona legge, maturata attra- verso un lungo lavoro di analisi e di critica da una mente superiore, da un cono- scitore profondo dei nostri problemi silvani e montani, voglio dire da Arrigo Serpieri. Questa legge segna una tappa stabile e sicura nello sviluppo della legi- slazione forestale e si è palesata un efficace mezzo che, pure nella uniformità delle sue linee fondamentali, armonicamente si plasma alle diverse situazioni della montagna e dei boschi d’Italia.

Resta il personale. Il personale forestale nei suoi vari ordini è manifestamente numericamente insufficiente, specie oggi che dal forestale si vogliono tante cose:

è assolutamente necessario dare all’amministrazione forestale un più organico

assetto in modo da metterla in grado di adempiere i molteplici e delicati compiti

cui è preposta. Proprio se il servizio forestale non deve ridursi a quello solo di

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polizia; proprio se si vogliono conseguire e la tutela dei boschi e gli altri scopi di interesse pubblico che le leggi e i regolamenti precisano, non è possibile, se non con danno di tutti, rimandare oltre la soluzione del problema del potenziamento dell’amministrazione forestale.

Ma non è il numero il problema di fondo.

Le leggi, anche buone; i mezzi finanziari, anche rilevanti; un numero di tecnici anche imponente, sono elementi che indubbiamente hanno il loro peso nella riuscita di un’opera; ma nessuno di essi, singolarmente o fra loro coordinati, è il decisivo, nel lavoro di ricostruzione forestale. Non è il numero che conta. Nel campo forestale il lavoro non è una fatica inutile solo quando l’amore per l’albero diventa un culto. Il lavoro forestale - non è retorica - se non è vivificato dalla passione, per gli inevitabili insuccessi determinati dalle difficoltà sue proprie, dif- ficoltà che da noi, per ragioni di clima e di terreno, assumono spesso proporzioni rilevanti, è destinato a dare magri frutti. Se questo amore manca, la foresta prima o poi si vendica determinando con inondazioni e frane, incalcolabili danni anche nella pianura che crede di difendersi elevando muri ed argini lungo le sponde dei suoi corsi d’acqua.

La storia forestale di Venezia è là a ricordare a tutti gli italiani che la foresta è un bene grandissimo che va governato con amore, con mano leggera e ad un tempo ferma. Per questo insegnamento - oltre che per il mirabile edificio che è la teoria del taglio saltuario, che il trascorrimento di 5 secoli ha lasciata indenne - Venezia è storicamente viva.

Il pensiero, nella sua essenza più profonda, anzi, più che il pensiero, lo spirito che animava il legislatore veneto, non conoscerà tramonti, e noi forestali d’Italia dobbiamo sentire l’orgoglio e l’onore di essere i continuatori dell’opera iniziata dalla gloriosa Repubblica.

I montanari, quando ci si mettono, quando fanno sul serio, sanno fare grandi cose; e proprio perché sanno fare grandi cose, devono sentire tutti e ciascuno, il dovere di contribuire con l’azione, con la parola e con gli scritti a risolvere il problema forestale a cui poi è indissolubilmente legato, per ragioni economiche e fisiche, quello della montagna: questo trovarsi di fronte ad una necessità che si approfondisce di anno in anno deve portare all’unione di tutte le forze di tutti gli italiani, senza eccezione alcuna. Oggi, dalla lontananza del medio evo torna ad alzarsi possente e ammonitrice la voce di Venezia a dirci che è tempo di agire, di affrettare i tempi, di lavorare con mano sapiente.

Questa voce non resterà, ne son certo, senza eco per due fini ugualmente supremi, ugualmente di amore. Per rendere meno dura la vita del montanaro d’Italia e per costruire per tutti gli italiani del piano della collina e del monte, tante cittadelle di spiritualità, tante Vallombrosa, tante Camaldoli, tante La Verna, dove ciascuno di noi possa sentirsi più vicino al Cielo.

Nel pomeriggio dello stesso giorno 14 marzo, al termine della relazione del dr. Doriguzzi

sulle pinete di pino marittimo, entra nell’aula il Ministro dell’Agricoltura e delle Foreste,

Senatore Medici, accompagnato dal suo Capo di gabinetto, ing. Camaiti. La sua venuta era

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stata preannunciata nella mattinata. Il prof. Merendi, che presiede la seduta, pronuncia le seguenti parole.

Egregi e cari colleghi, abbiamo l’alto onore di avere fra di noi il Senatore prof. Medici, Ministro per l’Agricoltura e per le Foreste. Consentitemi di por- gergli a nome vostro il più sentito ringraziamento per l’onore che ci ha riservato e nello stesso tempo di manifestargli la espressione sincera della nostra parti- colare deferenza e devozione. S.E. il Ministro Medici conosce molto bene i problemi forestali e montani italiani da insigne economista agrario quale egli è.

Egli sa quali sono le esigenze della nostra selvicoltura; poiché ho l’onore di presiedere questa nostra seduta, desidero esprimere la certezza che S.E. il Mi- nistro Medici possa dedicare parte della sua attività alla soluzione dei problemi forestali e montani del nostro Paese in un armonico quadro di tutta la nostra economia agraria.

Successivamente il prof. Patrone rivolge al Ministro il saluto, che riportiamo.

Eccellenza, permetta che io le porga il saluto più deferente dell’Accademia italiana di scienze forestali, quello del prof. Serpieri, che mi ha dato questo spe- cifico incarico, e il mio personale.

Noi siamo qui a trattare un problema fondamentale, quello cioè della conser- vazione e del miglioramento dei boschi; problema fondamentale perché la mon- tagna è intimamente collegata al bosco che nell’economia dell’ordine montano è insopprimibile. Problema fondamentale è quello della difesa dei boschi esistenti, anche perché il crearne dei nuovi è difficile, spesso estremamente difficile, sia per ragioni di costo, sia per ragioni sociali. Ma per migliorare occorre in primo luogo un’azione di difesa.

L’uomo cerca di sfruttare sempre più intensamente il bosco, fino al punto da renderlo non più servibile all’uomo stesso. Ma poi il bosco si vendica. Forse si è dato troppo peso all’importanza del bosco come fattore limitante le inondazioni;

ma sta di fatto che dopo il diboscamento le inondazioni si sono fatte più fre- quenti: quando abbiamo boschi di conifere, estesi oltre un milione di ettari, con una provvigione media di 94 mc per ettaro, non direi che sono dei boschi, ma un qualche cosa che per convenzione chiamiamo boschi.

E allora il bosco rende poco in valore monetario, in prodotti, e come difesa

idrogeologica, non assolve cioè quelle funzioni pubbliche che pure dovrebbe as-

solvere. Occorre che anche l’uomo serva al bosco; e il vecchio adagio del padre

che dice al figlio: «vai a dormire che il bosco cresce» si adatta anche a noi: il bosco

cresce purché sia rispettato, non sia distrutto, si utilizzi solo l’incremento e non

il capitale. Non dico con ciò che basta lasciare il bosco all’azione delle sole forze

naturali; dico che occorre fare della tecnica e opera di risparmio. Si tratta di com-

battere l’ingordigia, la sete di guadagno di tanti proprietari, in particolare di co-

loro che alla proprietà della terra sono arrivati da poco, di industriali e commer-

cianti poco scrupolosi.

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Mi sembra perciò doveroso da parte del Ministro dell’agricoltura e delle fore- ste, e a più forte ragione da parte del Senatore Medici, di uno studioso e un tecnico di problemi agrari, difendere i boschi nel senso di imporre una disciplina nelle utilizzazioni che vanno adeguate all’incremento.

Ma per vincere occorre un esercito che sappia e voglia combattere: ebbene,

Eccellenza, i forestali sono tutti alpini e cioè uomini che sanno combattere e

sanno vincere.

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