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Cessione d'azienda: «asset deal»

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Academic year: 2022

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Tassazione ordinaria nel reddito d’impresa

Le cessioni di azienda sono sog- gette a tassazione ordinaria, con la possibilità di optare per la rateiz- zazione della plusvalenza. Even- tualmente, per l’imprenditore in- dividuale, ricorrendone i requisiti, è data facoltà di optare per la tas- sazione separata (art. 17, co. 1, lett.

g), Tuir [CFF· 5117]).

Non sono previste altre forme di tassazione. Con la Riforma del si-

stema fiscale (Cfr. D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344) è stata abolita l’imposta sostitutiva del 19 per cento (prevista dall’art. 1, D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358

[CFF· 5639].

In merito alla tassazione ordinaria che regola è l’art. 86, Tuir [CFF· 5186] il quale contiene disposizio- ni che trattano:

› della determinazione della misura della plusvalen- za (valevoli, come diremo dopo, anche in caso di tassazione separata);

› del periodo d’imposta di tassazione.

La disposizione, scritta per i soggetti Ires, vale anche per quelli Irpef che operano in regime d’impresa per via del rimando (generale) contenuto all’art. 56, Tuir

[CFF· 5156].

Assume quindi rilievo in caso di cessione del- l’azienda da parte di:

› società di capitali (società a responsabilità limitata, società per azioni e in accomandita per azioni);

› società cooperative e di mutua assicurazione;

› enti pubblici o privati che abbiano o meno per og- getto esclusivo principale l’esercizio di attività commerciali residenti;

› società ed enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato,

relativamente alle stabili organizzazioni;

› società di persone (società in nome collettivo, in accomandita semplice e ad esse assimilate);

› persone fisiche titolari di reddito d’impresa.

Se invece chi vende l’azienda fosse un soggetto non imprenditore, cosa che si verifica nel caso di azienda acquistata per successione o donazione ovvero nel caso di cessione dell’unica azienda dopo che questa è stata data in affitto o usufrutto, le regole sono conte- nute all’art. 67, Tuir [CFF· 5167]. In merito si rimanda a quanto detto nei rispettivi paragrafi.

Per quanto concerne il momento di realizzo, oc- corre fare riferimento alle disposizioni generali (art.

109, co. 2, lett. a), Tuir [CFF· 5209]), secondo le quali la plusvalenza si considera realizzata alla data della stipulazione dell’atto, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitu- tivo della proprietà o di altro diritto reale.

Determinazione della plusvalenza

Viene disposto che le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso siano costituite dalla diffe- renza tra il corrispettivo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione e il costo non ammortizzato dei beni.

Cessione d'azienda:

«asset deal»

Artt. 17, 67 e 86, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917

Giacomo Manzana ed Elena Iori

Dal punto di vista fiscale, la cessione d’azienda:

› genera in capo al cedente una plusvalenza imponibile ai fini delle imposte sui redditi;

› è irrilevante ai fini Irap, nel senso che l’eventuale plusvalenza realizzata non concorre a formare la base imponibile Irap (e così pure l’eventuale minusvalenza realizzata non può essere dedotta dalla base imponibile Irap);

› è esclusa dal campo di applicazione Iva e, per il principio di alternatività, soggetta all’ imposta di registro con le aliquote proporzionali applicabili in ragione degli elementi patrimoniali che compongono il complesso aziendale.

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Il costo non ammortizzato dell’azienda corrispon- de alla somma algebrica dei valori fiscalmente rico- nosciuti ai singoli beni aziendali ceduti.

Alla determinazione del costo non ammortizzato dei singoli beni concorrere la quota di ammortamento maturata durante l’esercizio nel corso del quale l’azienda viene trasferita, in quanto, per la parte d’esercizio in cui vi è stato il possesso, il bene in questione ha pur sempre ceduto la propria utilità per il conseguimento dell’utile.

(Cfr. R.M.. Ag. Entrate 3/E/2002; Leo, Monacchi, Schia- vo, Le imposte sui redditi nel Tuir, Milano, 1999, n. 801).

Qualora l’azienda sia in contabilità semplificata, si de- ve fare riferimento ai valori desumibili dal libro dei ce- spiti ammortizzabili o dalle altre scritture contabili obbli- gatorie (registri Iva).

La plusvalenza non va quantificata con riferimen- to ai singoli beni, bensì in relazione all’intera azienda intesa come universalità, con la conseguenza che concorrono alla formazione della plusvalenza anche quei beni che, per loro natura, non sono plusvalenti.

(Cfr. R.M. 8 febbraio 1979, n. 9/199). Da ciò ne conse- gue anche che se viene ceduta una azienda che com- prende partecipazioni in esenzione non è possibile scomputare dalla plusvalenza la quota imputabile alle azioni o quote cedute, facendo concorrere questa parte di plusvalenza al reddito in misura parziale (Cfr. C.M. Ag. Entrate 13 febbraio 2006, n. 6).

Può essere che non si realizzi una plusvalenza ma una minusvalenza. In questo caso che regola è l’art.

101, Tuir [CFF· 5201] in base al quale «le minusvalenze  dei beni relativi all'impresa, diversi da quelli indicati ne­

gli artt. 85, comma 1 e 87, determinate con gli stessi cri­

teri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, so­

no  deducibili  se  sono  realizzate  ai  sensi  dell’art.  86,  commi 1 , lett. a), b) e c) e 2».

I fondi per rischi e oneri tassati (cioè formati con accantonamenti non dedotti dal reddito imponibile) relativi all’azienda ceduta devono considerarsi estinti presso il cedente, il quale avrà il diritto di effettuare una variazione in diminuzione del reddito imponibile per recuperare la variazione in aumento fatta in oc- casione dell’accantonamento. Il cessionario, nell’allo- care il prezzo d’acquisto sugli elementi attivi e passivi dell’azienda acquistata, potrà o meno decidere di ri- pristinarli, anche in misura diversa; in tal caso saran- no considerati come una passività anche fiscalmente, e quindi non potranno essere fonte di future varia- zioni in diminuzione (Cfr. norma 148 dell’Aidc; qual- che dubbio in tal senso la R.M. 142/E/2000).

L’avviamento è una qualità dell’azienda. Quindi, se una soggetto acquista un’azienda pagando un avvia- mento e prima che questo sia totalmente ammortiz- zato rivende l’azienda, la quota di avviamento che non è stata ancora fiscalmente ammortizzata concor- re a formare il costo fiscale dell’azienda da dedurre dal corrispettivo di cessione. (Cfr. norma 181 dell’Ai- dc; qualche dubbio in tal senso la C.M. 8/E/2010 la quale - affrontando il tema con riferimento a un con- testo molto complesso e particolare - ha, invece, la- sciato intendere che l’avviamento non sia un elemen- to dell’azienda ceduta, con l’effetto che il cedente do- vrebbe continuare ad ammortizzarlo fiscalmente pur avendolo cancellato dal bilancio).

Sindacato di congruità del valore dell’avviamento da parte del Fisco

L'art. 5, co. 3, D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (cd. De- creto internalizzazione) [CFF· 6272] prevede che «3.

Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del decreto del Presidente del­

la Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5­

bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento  di diritti reali sugli stessi, l'esistenza di un maggior cor­

rispettivo non è presumibile soltanto sulla base del va­

lore  anche  se  dichiarato,  e  accertato  o  definito  ai  fini  dell'imposta  di  registro  di  cui  al  decreto  del  Presidente  della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero ai finì del­

le imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legisla­

tivo 31 ottobre 1990, n. 347».

Viene quindi stabilito con norma di interpretazione autentica, che il maggior corrispettivo non è presu- mibile soltanto sulla base del valore dichiarato o ac- certato ai fini dell’imposta di registro ovvero ai fini delle imposte ipotecarie e catastali.

Tale norma conferma la prassi dell’agenzia delle Entrate (C.M. 18/E/2010) e l’orientamento prevalente della Cassazione (sentenze nn. 1972, 13092 e 19942 del 2012 e nn. 245, 457, 15052, 20914 e 24054 del 2014) in merito alla rettifica dei corrispettivi delle cessioni immobiliari ed è stata introdotta per supe- rare le residue prese di posizione in senso contrario della giurisprudenza di legittimità. Risulta, invece, in- novativa con riguardo alle cessioni di azienda, per- ché la Suprema corte - pur riconoscendo che i criteri di determinazione della base imponibile stabiliti ai fi- ni delle imposte sui redditi e dell’imposta di registro sono diversi - ha costantemente affermato nel corso

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degli ultimi anni la legittimità della rettifica delle re- lative plusvalenze operata esclusivamente sulla base del valore definito ai fini di quest’ultima imposta, po- nendo l’onere della prova contraria a carico del con- tribuente.

Deducibilità dell’avviamento per l’acquirente

L’art. 103, co. 3, Tuir [CFF· 5203], dopo la modifica ap- portata dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203 e della L.

27 dicembre 2005, n. 296 dispone che le quote di am- mortamento del valore di avviamento iscritto nell’at- tivo del bilancio sono deducibili in misura non supe- riore a un diciottesimo del valore stesso (il D.L.

203/2005 aveva previsto un ventesimo poi ridotto a un diciottesimo nella Legge Finanziaria per il 2006).

La modifica ha effetto già per il periodo d’imposta in corso al 3 dicembre 2005.

Secondo l’Agenzia delle Entrate (Cfr. C.M. 13 feb- braio 2006, n. 6/E e 15 marzo 2006, n. 10/E) ciò in quanto è da ritenere che la modifica apportata all’art.

103, co. 3, Tuir dal comma 521 dell’art. 1, L. 23 dicem- bre 2005, n. 266 costituisca una sorta di aggiusta- mento della modifica precedentemente apportata sul- la stessa materia dall’art. 5-bis, D.L. 203/2005 e che, dunque, ad essa debba strettamente collegarsi anche per ciò che attiene al momento di decorrenza.

Prima della modifica la norma prevedeva la dedu- cibilità della ripartizione dell'avviamento attraverso quote non eccedenti un decimo del valore iscritto nell'attivo di bilancio. Questa stesura - ereditata dal previgente art. 68 - risaliva al 1998, dato che in prece- denza il periodo (minimo) fiscale di ripartizione era fissato in 5 anni.

A differenza di altre disposizioni contenute nel te- sto unico, quella riguardante l’ammortamento fiscale dell’avviamento non fa riferimento al concetto di co- sto, ma al «valore iscritto nell’attivo del bilancio».

La previsione sulla deducibilità, per quote, di tale immobilizzazione immateriale non si preoccupa, per- tanto, di individuare il valore da ammortizzare, ri- mettendo tale compito alle valutazioni degli ammini- stratori, effettuate in sede di redazione di bilancio.

Stando il contenuto della norma ne consegue che:

› l’ammortamento complessivo del costo non può essere concluso in un periodo inferiore ai 18 eser- cizi (aliquota di ammortamento del 5,56 per cen- to); nulla vieta che si preveda un piano di ammor- tamento fiscale più lungo;

› non è stabilito un importo minimo deducibile; è

quindi possibile non effettuare l’ammortamento, fermo restando il cd. principio di derivazione (se- condo il quale il reddito fiscale dipende da quello civilistico senza quindi la possibilità di rinvio me- diante variazioni fiscali in aumento – in tal senso si veda Dre Lombardia nota 9 novembre 2005, n.

7798 e R.M. 78/E/2005);

› il processo di ammortamento può iniziare anche successivamente all’acquisizione in quanto l’am- mortamento stesso non è normativamente correla- to alla durata di utilizzazione dell’elemento.

Il valore dell’avviamento, iscritto in bilancio secondo corretti principi contabili, viene quindi ad essere as- sunto a base dell’ammortamento fiscalmente ammes- so, da determinarsi in conformità al disposto del cita- to art. 103, Tuir.

In proposito, l'art. 2426, co. 1, n. 6), Codice civile prevede che l'avviamento può essere iscritto nell'atti- vo con il consenso, ove esistente, del collegio sinda- cale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto ed è ammortizzato secondo la sua vita utile; nei casi eccezionali in cui non è possibile stimare attendibilmente la vita utile, è ammortizzato entro un periodo non superiore a 10 anni. In nota in- tegrativa è fornita una spiegazione del periodo di ammortamento dell’avviamento.

Nella R.M. 15 dicembre 2004, n. 154/E, l’Ammini- strazione finanziaria ha avuto modo di dire che qua- lora il prezzo dell’avviamento sia soggetto, negli esercizi successivi, a delle rettifiche (per effetto, ad esempio, di conguagli, rimborsi, ecc.) il prezzo resi- duo da ammortizzare dovrà essere variato in propor- zione.

Una volta determinato il valore fiscale residuo del- l’avviamento (risultante dalla differenza tra il nuovo valore di riferimento e le quote già dedotte negli esercizi precedenti) dovrà essere ammortizzato appli- cando un’aliquota non superiore al reciproco di die- ci (periodo di ammortamento minimo ai sensi del- l’art. 103, co. 3, Tuir) meno il numero di esercizi per i quali il relativo ammortamento è già stato dedotto dal reddito imponibile.

La R.M. 25 luglio 2007, n. 184/E fornisce precisa- zioni in merito al corretto trattamento fiscale, ai fini delle imposte dirette, da applicare alla posta contabile relativa all’acquisizione di un ramo d’azienda da par- te di una società, quale differenza negativa fra il prezzo d’acquisto e la somma algebrica di attività e passività trasferite, ossia il valore netto contabile del

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patrimonio trasferito (cd. «avviamento negativo» giu- stificato dalla previsione di perdite future che dovrà sopportare la società acquirente). Posta che la società ha stanziato nella voce B – Fondi rischi e oneri futuri del passivo dello stato patrimoniale a fronte di oneri che dovrà sostenere per l’attuazione di un piano di ri- strutturazione, risanamento e rilancio del ramo d’azienda acquisito.

L’Agenzia non si pone tanto il problema di valutare la deducibilità dell’accantonamento eseguito, conside- rato che il fondo viene accreditato direttamente al pas- sivo dello stato patrimoniale senza transitare per il conto economico, e che quindi il suo trattamento fisca- le non è inquadrabile nella disciplina di cui all’art. 107, Tuir. Il problema è un altro, è l’utilizzo del fondo che secondo l’Agenzia deve dare origine a una sopravve- nienza attiva tassata. Pertanto, il fondo concorrerà, fi- no al suo esaurimento, alla formazione del reddito (ri- levando di volta in volta sopravvenienze attive a conto economico) a compensazione dei componenti negativi conseguiti nell’arco temporale del piano di ristruttura- zione, rimanendo correlato alle perdite previste.

Periodo di tassazione

L’art. 86, Tuir stabilisce che la plusvalenza derivante dalla cessione concorre a formare il reddito:

› per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è rea- lizzata;

› ovvero, facoltativamente, in quote costanti nel- l’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che i beni siano stati posse- duti per un periodo non inferiore a tre anni.

La rateizzazione della plusvalenza è possibile solo nel caso in cui il soggetto cedente continui a esercita- re un’attività d’impresa.

In caso di cessione dell’unica azienda da parte di un imprenditore individuale, il Ministero delle Fi- nanze, rispondendo ad un’interrogazione parlamen- tare in data 12 giugno 1990, ha infatti affermato che la perdita in capo all’alienante della qualifica di im- prenditore preclude la facoltà di tassazione delle plu- svalenze in quote costanti, venendo a mancare, nei periodi d’imposta successivi a quello di realizzazione, l’ambito oggettivo (reddito d’impresa) in cui collocare tale elemento reddituale. Lo stesso Ministero, con R.M. 18 settembre 1996, n. 39525 ha chiarito, però, che «se  la  qualifica  di  imprenditore  permane  in  capo all'alienante  senza  alcuna  soluzione  di  continuità  nel corso del periodo d'imposta pur se per l'esercizio di atti­

vità  diversa  da  quella  svolta  in  precedenza,  si  ritiene possa essere applicata nel caso in esame (la rateizzazio­

ne  delle  plusvalenze  realizzate),  fermo  restando  che nell'ipotesi in cui dovesse cessare nel corso del quinquen­

nio  la  qualifica  di  imprenditore,  la  plusvalenza  concor­

rerebbe  a  formare  il  reddito  dell'ultimo  periodo  per  la parte residua.».

Ne consegue che la rateizzazione risulta possibile, almeno in linea di principio, solamente qualora la ces- sione abbia ad oggetto uno o più rami, ma mai l’azien- da nel suo complesso; in quest'ultima ipotesi, essendo verosimile presupporre la successiva cessazione del- l’attività, la rateizzazione non risulta percorribile, ve- nendo a mancare il soggetto d'imposta da tassare.

Nel caso di cessione dell’intera azienda bisogna poi procedere alla tassazione per intero della eventuale residua plusvalenza per la quale si era optato per la rateizzazione; in altre parole, le rate non ancora tas- sate «a cascata» verranno a concorrere tutte assieme alla determinazione del reddito dell’ultimo periodo d’imposta (chiarimenti del Sottosegretario alle Finan- ze durante i lavori in Commissione Finanze della Ca- mera in data 12 giugno 1990).

Essendo la rateizzazione una facoltà per il cedente, può beneficiarne a condizione di apposita scelta in sede di dichiarazione dei redditi e sempreché, poten- do, non abbia optato per la tassazione separata.

Per quanto riguarda il periodo minimo di posses- so, il limite deve essere computato con i criteri previ- sti dall’art. 2693, c.c. Viene detto che «i termini di pre­

scrizione  contemplati  dal  presente  codice  e  dalle  altre leggi si computano secondo il calendario comune. Non si  computa  il  giorno  nel  corso  del  quale  cade  il  momento  iniziale  del  termine  e  la  prescrizione  si  verifica  con  lo spirare dell'ultimo istante del giorno finale. Se il termine  scade  in  giorno  festivo,  è  prorogato  di  diritto  al  giorno seguente  non  festivo.  La  prescrizione  a  mesi  si  verifica  nel  mese  di  scadenza  e  nel  giorno  di  questo  corrispon­

dente al giorno del mese iniziale. Se nel mese di scaden­

za  manca  tale  giorno,  il  termine  si  compie  con  l'ultimo giorno dello stesso mese».

In sostanza, occorre tenere conto del giorno e del mese del terzo anno successivo a quello di acquisi- zione o di possesso.

Si tiene conto anche del periodo in cui l’azienda è stata concessa in affitto o usufrutto (Cfr. C.M.

320/1997).

Il computo dei termini va riferito alla data in cui l’azienda è stata acquistata o l’impresa si è costituita;

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ciò è in linea con l’impostazione secondo cui l’azienda deve essere intesa quale universitas rerum. Come si è già detto infatti, in considerazione della sua unitarietà l’azienda è produttiva di plusvalenze (o minusvalenze) in relazione a tutti i beni che la compongono, prescindendo dall’individuazione dei beni costituenti immobilizzi e di quelli facenti parte del magazzino, produttivi di ricavi.

La C.M. 320/E/1997 a tale proposito fa il seguente esempio: «(…) nel caso in cui un imprenditore acquisti il 30  giugno 1996 un macchinario per la propria azienda, costitu­

ita il 10 maggio 1994, e ceda l’azienda il 30 novembre 1997,  egli  potrà  avvalersi  della  disposizione  agevolativa  in  com­

mento».

Le considerazioni appena fatte in merito al termine di possesso assumono significato anche nel caso in cui, ad essere trasferito sia un ramo d’azienda dell’originaria realtà aziendale e non l’intera azienda (Cfr. R.M. 118/

E/2002). In particolare viene detto che nella fattispecie rappresentata rileva la condizione assorbente che gli ele- menti costitutivi del ramo aziendale oggetto di cessione siano non solo contenuti nelle astratte previsioni di cui all’oggetto sociale, ma siano altresì presenti – con con- crete prospettive di sviluppo - come elementi reali della originaria realtà aziendale. Verificandosi tale ultima con- dizione il termine iniziale da prendere a base per il cal- colo del triennio di cui è questione, può farsi decorrere legittimamente dalla concreta esistenza di detti elementi.

Sempre in merito al requisito temporale che deve ve- rificarsi per procedere alla rateizzazione, pare, a tale pro- posito, opportuno ricordare che per effetto dell’art. 6, co.

4, L. 21 novembre 2000, n. 342 [CFF· 5829], le aziende, acquisite tramite conferimenti effettuati ai sensi dell’art.

4, D.Lgs. 358/1997 [CFF· 5642], si devono considerare possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del conferente. Analogamente, le partecipa- zioni ricevute dal soggetto conferente si considerano iscritte, come immobilizzazioni finanziarie, già nei bi- lanci in cui risultavano iscritti i beni costituenti l’azienda oggetto di conferimento. In tal senso anche il nuovo art.

176, co. 4, Tuir. Da ciò deriva che, in caso di successiva cessione dell’azienda, potrà essere invocata la «stagiona- tura» ai fini, in questo caso, della rateizzazione della plu- svalenza realizzata.

Realizzo di una minusvalenza

L'avviamento negativo relativo all'acquisto di un azienda si determina quando il prezzo complessivo so- stenuto è inferiore rispetto al valore netto contabile de- gli elementi patrimoniali attivi e passivi acquisiti. Ciò

accade quando vi sono fondate previsioni che l'azienda acquisita genererà perdite economiche.

Il principio contabile Oic 17, relativo al bilancio con- solidato, ha trattato la rilevazione contabile dell'ecce- denza del patrimonio netto rispetto al costo di acquisi- zione di una partecipazione che entra nell'area di con- solidamento.

Se dopo la riduzione proporzionale dei valori delle attività immobilizzate sussiste un'ulteriore eccedenza del patrimonio netto a valori correnti rispetto al prezzo pagato per l'acquisto della partecipazione e se vi sono previsioni di perdite in capo all'acquirente, ci si deve comportare nel seguente modo: negli esercizi imme- diatamente successivi all'acquisto, questa eccedenza (registrata nel «fondo di consolidamento per rischi e oneri  futuri») va utilizzata «per fronteggiare le perdite che si so­

sterranno», o nel caso in cui le previsioni di perdita non si verifichino più, va riaccreditata a conto economico.

L'accredito «deve avvenire in modo da realizzare l'effetti­

va correlazione con le perdite previste».

Dal punto di vista fiscale il fondo per l'avviamento negativo derivante dall'acquisto di un'azienda deve essere utilizzato per fronteggiare perdite previste ne- gli esercizi successivi. Deve essere registrata una so- pravvenienza attiva tassata e se le perdite preventiva- te al momento dell'acquisto dell'azienda non si verifi- cano, l'eccedenza del fondo va immediatamente stor- nata (in tal senso la R.M. 184/E/2007).

L'istante ha chiesto chiarimenti sul trattamento fi- scale del conto stanziato tra i fondi rischi e oneri fu- turi, in considerazione del fatto che questo corrispon- de agli oneri che s'intende sostenere per attuare il piano di ristrutturazione dell'azienda. L'Agenzia ha chiarito che secondo il «principio di derivazione»

(art. 83, Tuir), l'avviamento negativo concorre «alla determinazione  del  reddito  imponibile  nella  misura  in cui  viene  utilizzato  nel  bilancio  della  cessionaria  a  co­

pertura delle perdite conseguite».

Negli esercizi immediatamente successivi all'acquisi- zione, il fondo dovrà essere utilizzato per fronteggiare le perdite che si sosterranno per attuare il piano trien- nale. Il fondo dovrà essere stornato in dare e come con- tropartita si registrerà una sopravvenienza attiva con rilevanza fiscale. Questa è destinata a compensare «i  componenti  negativi  di  qualsiasi  natura  (nella  misura  in  cui eccedano i componenti positivi)» che si conseguiranno nel triennio. La ripartizione su questo periodo dovrà es- sere sistematica e correlata alle perdite previste, non potendo essere utilizzata in modo arbitrario, magari

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come uno strumento di pianificazione fiscale.

Nel caso in cui le previsioni di perdita non siano più fondate, dovrà essere stralciata l'eventuale ecce- denza del fondo, sempre tramite la rilevazione di una sopravvenienza attiva imponibile. Ciò dovrà avvenire nel 2008, «nel  primo  esercizio  (compreso  nel  piano)  in cui le stimate previsioni di perdita non dovessero più ve­

rificarsi», o nel caso di un trasferimento, a qualsiasi titolo, del patrimonio. Anche in quest'ultimo caso non sarebbe più giustificato il mantenimento del fondo per badwill in bilancio.

Tassazione separata

L’art. 17, co. 1, lett. g), Tuir prevede che le plusvalen- ze, compreso il valore dell’avviamento, realizzate me- diante cessione a titolo oneroso di aziende possedu- te da più di cinque anni possono essere oggetto di tassazione separata.

La tassazione separata è un'ipotesi prevista sola- mente con riferimento all’imprenditore individuale.

Per espressa previsione normativa, tale regime non si applica alle società di persone.

La norma si limita a individuare un differente cri- terio di determinazione dell'imposta dovuta, lascian- do viceversa immutato il criterio di determinazione della plusvalenza che rimane quello previsto per la tassazione ordinaria.

Essendo un regime di tassazione alternativo rispet- to a quello ordinario, la sua applicazione è subordi- nata alla condizione che l'imprenditore ne faccia esplicita richiesta in dichiarazione dei redditi; il

«passaggio» dalla tassazione ordinaria alla tassazione separata, è reso possibile da quanto disposto dagli artt. 17, co. 2 e 56, co. 3, lett. b), Tuir, in forza dei qua- li le plusvalenze, le indennità e gli altri redditi indicati alle lettere da g) a n) del comma 1 dell'art. 17, costitui- scono proventi non computabili nella determinazione del reddito, «qualora  ne  è  richiesta  la  tassazione  sepa­

rata a norma del comma 2 dello stesso articolo». 

Per espressa disposizione della norma, la plusva- lenza è soggetta a tassazione nel periodo d’imposta nel quale è conseguita, con la conseguenza che la tas- sazione in oggetto, al pari di quella ordinaria, segue il criterio di competenza e non di cassa (fino al 31 di- cembre 1991 invece, valeva l’esatto opposto, nel senso che la tassazione avveniva la momento della percezio- ne e non secondo il criterio di competenza - art. 11, co.1, lett. d), L. 30 dicembre 1991, n. 413 [CFF· 5470]).

Per il computo dei giorni, al fine del rispetto del

requisito temporale, vale quanto detto trattando della tassazione ordinaria rateizzata: vale a dire che occor- re fare riferimento alle regole dall’art. 2963, c.c.

Stesso dicasi in caso di azienda acquistata median- te conferimento bi-sospensivo di cui all’art. 4, D.Lgs.

358/1997 (ovvero dell’art. 176, Tuir).

Appare controverso se vada imputato il periodo in cui l’azienda è data in affitto o usufrutto. Dottrina di stampo ministeriale ritiene che ciò non sia possibile, dovendosi ritenere che in tal caso venga a mancare il possesso del bene (Cfr. M. Leo, F. Monacchi, M. Schia- vo, Le imposte sul reddito nel testo unico, Milano, 1999, pag. 304). Tale affermazione sembrerebbe però smen- tita dall’Amministrazione finanziaria (Cfr. C.M. 320/

E/1997), la quale, approfondendo la medesima situa- zione nel caso di tassazione con imposta sostitutiva, ha ritenuto tale periodo rilevante ai fini del conteggio.

L’art. 21, co. 1, Tuir [CFF· 5121] prevede che l'impo- sta sia determinata applicando alla plusvalenza (la norma espressamente parla di ammontare consegui- to o imputato) l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel bien- nio anteriore all’anno in cui tali redditi sono stati ri- spettivamente conseguiti o imputati.

In sostanza al reddito tassato separatamente viene applicata un’aliquota corrispondente a quella che si applicherebbe alla media dei redditi complessivi net- ti dichiarati nel biennio anteriore all’anno in cui è sorto il diritto alla percezione.

Qualora in uno dei due anni anteriori non fosse ri- levabile alcun reddito imponibile, è previsto si debba applicare l’aliquota corrispondente al reddito com- plessivo netto relativo all’anno in cui è stato prodotto reddito; in mancanza di reddito in ciascuno dei due periodi d’imposta, si renderà invece applicabile l’ali- quota minima prevista ai fini Irpef.

Non è prevista la facoltà di rateizzare il pagamento dell’imposta (art. 58, co. 1, Tuir).

L’art. 1, co. 3, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669 [CFF· 5624]

ha introdotto l’obbligo di versamento a titolo di acconto, pari al 20 per cento, delle imposte dovute sui redditi sog- getti a tassazione separata, da indicare nella dichiarazione dei redditi e non soggetti a ritenuta alla fonte. Il Ministero con C.M. 6 febbraio 1997, n. 25/E ha chiarito che: «il ver­

samento dell'acconto, fissato nella misura del 20 per cento dei  redditi sopra elencati, è dovuto anche qualora le imposte che  risulteranno definitivamente dovute saranno di ammontare  inferiore allo stesso; in tal caso l'ufficio finanziario provvede­

rà a effettuare il rimborso dell'eccedenza». •

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