Torino, Settembre 1953 Bollettino N. 4 - Anno V
IL SABBA DELLO SPIRITISMO
(Luca XVI, 19-31)
…C'era un ricco il quale vestiva di porpora e di lino e dava ogni giorno splendidi banchetti, e c'era anche un povero il quale giaceva, coperto di piaghe, alla soglia del ricco, bramoso di sfamarsi delle briciole che cadevano dalla mensa, ma nessuno glie ne dava; solo i cani venivano a leccargli le piaghe. Or avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo; morì anche il ricco ma fu sepolto nell'inferno, da dove, alzando gli occhi mentre stava nei tormenti, veduto da lontano Abramo e Lazzaro nel seno di lui gridò: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell'acqua la punta del suo dito per refrigerarmi la lingua, perché spasimo in questa fiamma!”. Ma Abramo gli rispose: “Ricordati figliolo, che hai ricevuto dei beni mentre eri in vita, e Lazzaro invece dei mali. Ora, questi è consolato, e tu sei tormentato. C'è inoltre un grande abisso fra noi e voi, di modo che chi vuoi passare di qui a voi non può, come neppure di lì a noi”. E quegli allora replicò: “Ti prego, Padre, mandalo almeno nella casa di mio padre, dove ho cinque fratelli, perché li avverta affinché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento!”. E Abramo: “Hanno Mosé e i Profeti; ascoltino quelli!”. “No, Padre Abramo, non li ascoltano, ma se un morto andrà da loro faranno penitenza!”. “Se non ascoltano Mosè e i Profeti” soggiunse Abramo “non crederanno neppure se uno susciterà dai morti»…
Abbiamo voluto riportare, per intero, questa stupenda pagina del Vangelo ricca di significati e di insegnamenti. Una delle più belle, a nostro avviso, parabole di Gesù e delle meno equivocabili.
Lasciando per ora la materia d'insegnamento apparentemente più ovvia e anche più sfruttata, del contrasto in vita e in morte del povero buono, e del ricco, se non addirittura cattivo, almeno ignavo e disamorato, veniamo a porre la nostra attenzione sopra quella parte dove, senza averne l'apparenza, il Cristo insegna alcuni misteri della vita d'oltre tomba e implicitamente, se non condanna, sconsiglia le pratiche spiritiche siano pur esse fatte a fin di bene e suggerite dai più nobili sentimenti.
Il ricco Epulone che a sue spese sta provando quanto poco giovi sciupare in crapula la vita, prova nel suo spirito tormentato l'angoscia del pensiero dei suoi fratelli ancor vivi ed ignari di ciò che li attenderà dopo la vita. Oh! Poter avvisare in tempo, poter mandare un morto in mezzo ai vivi per testimoniare con la sua presenza la realtà d'oltre tomba! Ma il saggio Abramo risponde: «Hanno Mosè e i Profeti, ascoltino quelli!».
Una lunga serie di prodigi dall'inizio dell'umanità testimonia di una trascendenza e di un’immanenza spirituale. L'uomo ha in se stesso la testimonianza migliore della sua immortalità, la testimonianza di un qualcosa di non materiale e di non peribile, dal quale emana la reale natura spirituale dell'essenza umana. Nell'avventura dell'essere, l'uomo ha sempre identificato nella virtù la sua vera necessità ma, questa virtù, ha avuto il suo sostegno in un'alta intuizione del divino, ed ogni escatologia si è conclusa sempre in una precettistica avente di mira l'evoluzione dello spirito umano sia attraverso lo
sforzo e la conquista cosciente della virtù, che attraverso la visione di una trascendenza celeste.
L'uomo, sa quale sia il bene e quale il male, quale il dovere e quale il diritto.
L'uomo non è senza guida e senza difesa, ovunque volga lo sguardo, ovunque tenda l'orecchio, ecco che egli vede splendere il segno divino in ogni cosa creata e sente l'alta parola di Dio addottorarlo traverso la Voce dei profeti e traverso l'imposizione delle leggi morali, l’uomo non è solo nel creato, non è privo di un ammaestramento celeste, le religioni, le filosofie, le stesse arti parlano un linguaggio concorde, un linguaggio universalmente umano, un linguaggio elevato ed elevante mediante il quale, l'essenza spirituale dell’uomo si rivela e tutte le possibilità d'ascendere si rendono manifeste.
Colui che è sordo a questa universalità, colui che è cieco a questa concorde manifestazione di luce non diverrà meno cieco né meno sordo anche se un morto risuscita, o l'anima di un morto si manifesta, poiché la sua sordità e la sua cecità sono di natura mentale e nascono dalla sua individuale cattiva volontà. Questa è la verità dolorosa che Abramo in poche amare parole identifica e sancisce: “Se non credono a Mosè e ai profeti” che hanno con loro la testimonianza del prodigio divino e quella della confermazione nei secoli “tanto meno crederanno alla comparsa di un morto risuscitato” poiché se è un morto che risuscita la spiegazione sarà pronta... il morto non era morto e se, invece di un corpo morto appare un'anima spoglia di carne, ecco che con la parolina “allucinazione” si potrà comodamente ridurla e cacciarla più sicuramente che non con il più energico degli esorcismi. E' così facile non credere ai morti, quando si è negato di credere ai vivi; che valore ha mai la testimonianza della tomba se si nega valore alla testimonianza della volta celeste alla testimonianza del miracolo perenne della creazione e della vita? Si ascolterà la voce della morte e della putrefazione che è la fine, tanto materiale quanto logica, di quanto avendo avuto un principio necessariamente tende ad una fine?
La testimonianza dei morti non serve ai vivi, perché sono i vivi che debbono, in libertà, operare per il bene e per il male, per la scelta cosciente di un loro futuro ultraterreno, che sia la rispondenza piena delle loro opere e delle loro volontà di terreni. Per questo, mai sulla terra si poté (anche in tempi di grande primitività o di grande superstizione, come anche in tempi splendidi di sensitività medianiche) costruire una vera religione o una vera filosofia che avesse, come base, l'insegnamento spiritico più o meno dato ai mortali traverso l'opera medianica.
All'insegnamento spiritico mancò sempre quello che è il segno essenziale d’ogni vera rivelazione religiosa e d’ogni autentica intuizione filosofica; manca nell'insegnamento spiritico l'essenza unitaria di un vero che, essendo nuovo, sia pure sentito e riconosciuto autentico ed abbia il crisma dell'uomo nella parola degli uomini.
Nelle grandi ore protostoriche e storiche l'umanità vede levarsi in mezzo ad essa, non una medium ossessa o una pitonessa invasata, ma una guida umana perché, maestro o condottiero, genio esprimente una razza o semi-dio esprimente l'ecumenicità umana, sempre “vivente e responsabile” fu la voce dell'uomo, il pensiero dell'uomo, la volontà dell'uomo, ciò che espresse la necessità di una nuova via di conquista spirituale ciò che indicò come tenere o come trovare questa strada. Se la leggenda favoleggiò di Prometeo o di Orfeo fu, però, la storia dell'uomo che si arricchì, volta per volta, dei nomi, di Buddha e di Socrate,
Pitagora e Platone, Mazzini e Gandhi per non parlare, infine, del Nazareno:
essenza vivente dell'uomo e del Dio.
Ognuno di questi nomi espresse una linea della tavola della legge, una sillaba della divina Parola e trasmise, all'umanità, un aspetto del vero sancendolo con l'autorità proveniente da una convinzione che, per essere testimoniata, non rifiutava le catene, né l'esilio, né la morte. Nella profonda onestà della mente umana, questi uomini traverso i millenni si trasmisero la fiaccola d'Olimpia, e solo si preoccuparono che essa giungesse accesa nell'ora della suprema immolazione.
Fino al Cristo, Mosè e i profeti ed estranei al popolo ebreo, una lunga serie di intuitori, vati e filosofi, una lunga serie di uomini saggi, buoni, giusti, illuminati interiormente ed illuminanti i popoli, procedenti verso un universalismo umano ed una palingenesi divina. Dopo il Cristo, un’interminata serie di apostoli, martiri e confessori continua la testimonianza. Il vero è una pianta che per germogliare abbisogna di umano sangue e di umane lacrime, e che affonda le sue radici nell'humus del sacrificio cosciente degli uomini migliori. Senza martiri, né religioni, né filosofie, né scienze, né arti si affermano, poiché è nel sangue la sede dell'anima umana e, solo traverso la sua effusione, essa può spezzare i compartimenti stagni dell'umano egoismo e dell'umana mala fede per splendere di luce propria e fare, di sé stessa, il lume per illuminare la via ad altri.
Questo carattere manca, come sempre ha mancato, allo spiritismo. Le uniche persecuzioni che esso ha saputo suscitare, furono quelle degli umoristi, ben presto rintuzzati e fatti tacere dalla conversione dei maggiori di loro: Gandolin, Jerome, e altri. Ma andiamo adagio a pronunziare la grande parola «conversione».
Lo spiritismo non e mai stato causa di alcuna conversione, tutt'al più può aver acuito e reso palese una crisi di coscienza, o aver dato una spinta ad un’adesione mistica, per lungo tempo maturante inavvertita nel mistero di un'anima agitata e turbata. Misteriose sono le vie della fede e del pari quelle del cuore. Il cuore umano non poteva lasciarsi inaridire da secoli di pseudo illuminismo e da interminabili diatribe teologiche.
Nel 1800 era di moda l'ateismo, il materialismo, l'anticlericalismo a priori: si citava Voltaire senza averlo mai letto, e Giordano Bruno senza averlo mai consultato, si addottorava di d'Alembert e, dai pulpiti e dalle cattedre accademiche ci si rimbalzava accuse e contraccuse che interessavano solo pochissimi dotti. Da un clero ignorante e affamato venivano gettate, al popolo, alcune briciole di fede condite di minacce e di spaventi ed il popolo, per contro, sprofondava sempre più in una pigrizia spirituale e in una spaventosa areligiosità poiché, per i più, la religione consisteva ormai in pratiche sterili e vuote, in superstiziose paure ed angosce nutrite di leggende e di agiografie che, con il pretesto della fede, spacciavano i più grossolani errori antiscientifici. Stordito dalle roboanti parole degli epigoni della scienza, ubriacato dalle avventure politiche e dalle rinascite nazionali, sgomentato dalle restaurazioni dei crollati regimi, il popolo, si trovava come una nave senza timone in balia di un mare infuriato. Fra la scienza che scagliava invettive e la chiesa che rispondeva a dogmi, il marasma, nel cuore umano, era ormai palese.
Una cupa tristezza aduggiava coscienze ed intelligenze e, inutilmente, qua e là menti illuminate, cuori generosi levavano la voce ammonitrice, invano i santi (il secolo XIX fu, malgrado tutto, un secolo di santi) gettarono il peso di tutto il loro
sacrificio sopra la bilancia; la sirena della scienza, materialista e atea, incantava con i suoi canti mortali tutte le anime. Anche coloro che volevano credere avevano paura di proclamarlo a se stessi, anche coloro che volevano difendere i diritti dello spirito umano esitavano a dichiarare battaglia. La scienza spiegava tutto, cianciava di tutto, rideva di tutto e si imponeva a tutti. Fu allora che la battaglia venne dichiarata dallo spirito stesso, e lo spiritismo sorse a gettare alla scienza irridente il guanto di una sfida che presto si dimostro assai impegnativa.
Dal 1840 (sorelle Fox) al 1928 (Garret) tutta una serie di fenomeni, costrinse la scienza materialista ed atea ad ammettere, sia pure a denti stretti, che non tutto muore, che la materia non è affatto il principio e la fine di ogni cosa, e che la stessa scienza non può proprio spiegare tutto senza accettare almeno uno dei dogmi universali dell'umanità “l'esistenza di Dio!”.
Dal balbettamento di Alan Kardech, alle pagine ultrafaniche di Bice Valbonesi, dai problemi fisici posti dall'Eusapia Paladino, alle complicate verità intuite dal genio di R. Steiner e confermate poi da quello di Nicola Pende e di Einstein: lo spiritismo, come un nuovo Camillo, venne a gettare il suo ferro sulla tracotanza prepotente e sfacciata del Brenno ateo mascherato di scienza.
Ben presto non si poté più parlare di trucchi, illusioni, allucinazioni; ben presto le più belle menti militanti nei campi dell'ateismo materialista passarono armi e bagagli alla nuova affascinante barricata della coscienza e dello spirito umano. Lo spiritismo aveva vinto la scienza e aveva trionfalmente proclamato che non tutto muore dell'uomo, che una vita terribile, diversa ma vera attende oltre la tomba, che la rivelazione e le intuizioni della filosofia spirituale e delle religioni erano vere, o che per lo meno avevano inconfondibili caratteri di verità. La scienza attaccata sul suo stesso terreno non poté che arretrare e divenire testimone aspro ma convinto, della fede.
Se Abramo non giudicò necessario mandare Lazzaro dai fratelli del povero ricco Epulone, il Cristo stimò necessario risuscitare dalla morte il quatriduano Lazzaro perché quella resurrezione fosse caparra e testimonianza della sua postuma resurrezione. Ma il Cristo pianse risuscitando Lazzaro, e così pianse l'intera umanità purgante costretta ad interrompere il «gire al monte» per ripiegare sopra le tombe incolte; per rianimare con larve i non distrutti scheletri, per rientrare nelle vuote case e rammemorarsi alle sconvolte coscienze dei sopravvissuti, pianse ed obbedì; geni e semplici anime di umili mortali, superbie di possenti e sgomenti di poveretti piegò al comando di una forza eterica universalmente suscitata come un tremendo «memento mori».
La voce della saggezza e quella della santità non erano più ascoltate? Ebbene, parli la tomba! Un'anticipazione del Giudizio Universale sgomentò orgogli e tracotanze e piegò vanità e insipienze! Il segno di Giona, il terribile segno promesso dal Cristo era stato dato alla generazione infingarda ed ipocrita. La balena “morte” aveva vomitato sulla Ninive della scienza coloro che aveva divorato. Per un lungo attimo di spavento l'umanità poté credere al biglietto di andata e ritorno fra questo e l'altro inondo. Ma, se quello fu lo scopo, fu raggiunto e superato dal nuovo impulso che, la scienza stessa divenuta spiritualista, ricevette in sé con la psicometria, la metafisica, la stessa, derisa (specie da chi non la conosce), psicanalisi; la conoscenza del mistero dell'uomo si approfondì e il mistero di Dio si velò di luce.
Nuove mete all'indagine umana e nuovi orizzonti all'ascesi mistica si rivelarono folgoreggiando. Ma, come abbiamo già detto, lo spiritismo non operò alcuna conversione. Esso, non era venuto a rivelare nulla di nuovo, era venuto solamente a ricordare vecchie cose dimenticate dalla mente e desiderate dal cuore. Era venuto a ricollocare ogni uomo nella giusta misura e nel suo vero confine, era venuto a sgombrare la strada dagli sterpi, dai rovi, dalle sozzure, dalla presunzione, dall'orgoglio e dall'incredulità per permettere, ai viandanti, d'andare oltre; non si muto in dottrina, non divenne filosofia e, meno che meno, s’ingigantì in religione.
Coloro che dalla dura esperienza di un vero trascendentale si sentirono bruciare l'anima, tornarono donde erano partiti, prima dell'avventura pazza dell'ateismo materialista; tornarono al Dio dei loro padri, alle pratiche (non più vuote, sterili, superstiziose e vane) delle loro religioni e di lì presero e misurarono il passo per proseguire o mutare. Qualche ebreo, qualche buddista divenne cristiano, qualche protestante divenne cattolico e fu tutto. Non ci fu, non ci sarà mai una religione dello spiritismo, poiché, lo ripetiamo, agli spiriti mancano i caratteri dell'unitarietà e della testimonianza.
I morti non possono e non debbono insegnare ai viventi, possono solo ammonirli; possono, con la loro manifestazione, essere una terribile prova del nove, ma a questo si arresta il compito, il mandato e la missione dello spiritismo, a questo si arresta anche il dovere delle anime dei morti di obbedire al richiamo.
Ai viventi trarre le conclusioni, ricercare il vero, comportarsi come i ninivesi alla predicazione di Giona, ai rappresentanti delle varie chiese spetta anche il dovere di smetterla di dare, di ogni manifestazione spiritica, la colpa o il merito al diavolo, il quale diavolo davvero non mostrerebbe molta intelligenza a demolire, come sta’ facendo, e come ha fatto, il suo regno per testimoniare quello di Dio. O il diavolo non è il diavolo o davvero la mente di certi uomini è più complicata e malvagia della sua.
Lo spiritismo ha giovato all'umanità vivente impedendo che i dogmi scientifici prendessero il posto di quelli religiosi, di ciò sia dato atto e merito alle care anime dei defunti sollecite della salute dei vivi, al sacrificio fisico ( qualche volta mentale e spirituale) dei così detti “mezzi” e sia data lode e gloria all'amore eterno ed eternamente operante, che questo ha rimesso.
Se è vero che il “buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle” allora è vero che, proprio Lui, ha cercato con ogni mezzo le sue pecore smarrite, con ogni mezzo ha precluso, al lupo vorace, l'ingresso all'ovile. Più degli “dei falsi e bugiardi” erano pericolose, alle pecorelle del gregge divino, le nuove e terribili deviazioni della scienza atea. Per una volta, il Cristo non vuole che i morti seppelliscano i morti, ma risuscita i morti e impone loro di salvare i vivi. In questa luce evangelica, lo spiritismo può e deve essere accolto e contenuto. In questa luce cristica egli ha, ad un tempo, spiegazione e giustificazione.
A questo punto cesserebbe il nostro assunto se non avessimo ancora alcune cose da dire ed esse non riguardano più gli estranei, gli exoterici ma i soteri, ossia gli iniziati o sedicenti tali. Se noi pensiamo allo spiritismo, lo dobbiamo vedere, agli albori del secolo diciannovesimo, come una difesa che lo spirito umano, vincitore della morte, fa a se stesso. Non possiamo disconoscere che è avvenuto traverso un tremendo sforzo ed un concorde sacrificio delle anime dei
disincarnati. Ai nostri cari morti, noi tutti che seguiamo questa via, dobbiamo la luce che folgorando le anime nostre ci ha permesso di riconoscere il vero.
Ma, giunti a questo punto, l'insistervi sarebbe criminoso. Dio ammette anche che si dubiti di lui, ma non ammette la non rispondenza alla sua grazia e al suo amore. Egli si manifesta per esser riconosciuto, ma non ammette che in suo luogo si riconosca una marionetta. Egli è giustamente il Dio geloso, poiché davvero è l'ardente amatore delle anime che non ammette sia disprezzato il suo amore.
Anche lo spiritismo può essere uno dei mezzi che la sua grazia usa, ma mezzo non fine! Quindi, tutti coloro che del mezzo fanno un fine sbagliano!
Le anime dei morti non si manifestano per cose di importanza terrena, non si manifestano per riprendere quei rapporti che la morte giusta e saggia, anche se maledetta, troncò. La loro manifestazione non può aver di mira che una maggiore evoluzione dello spirito, nell'ambito della conoscenza (supernormale ma non antinormale) e quindi nell'evocare occorre che due angioli siano al nostro fianco, l'angelo della prudenza e quello della generosità. Della prudenza, per non prendere l'orpello per oro, e della generosità per non correre il rischio di non rispondere pienamente alla grazia! I nostri morti per venire a noi debbono varcare un “grande abisso” perché lo varcherebbero? Per entrare nelle nostre diatribe? Per lusingare le nostre misere debolezze? Per influire sopra i nostri egoismi? Per potenziare la nostra personalità? O non piuttosto per additarci quel vero che forma per ognuno il premio pieno e il castigo unico?
Noi che amammo e rispettammo i loro nomi come viventi, vorremmo prostituirli perché oggi appartengono al regno dei morti? Smettiamola di immischiare Mazzini e Garibaldi alle nostre querelle e, soprattutto, smettiamola di immischiarvi le sacre anime dei nostri trapassati. Non continuiamo la sacrilega beffa! Tutti i diritti di accertar la verità, ma tutti i doveri per servirla, una volta riconosciuta.
I nostri morti, che vivono, possono manifestarsi a noi, ma la loro manifestazione è una grazia che deve esser lungamente meritata, essa non deve, mai e poi mai, tradursi in un trattenimento mondano o peggio, in una speculazione, qualunque ne possa essere il carattere. Non sempre la speculazione è finanziaria, talora essa ha caratteri esibizionistici, e talvolta maschera ma non cela aspirazioni di esaltazione personalistica. Il medium troppo spesso oblia che egli è un mezzo, e del resto troppe cose concorrono a farglielo obliare.
Oggi, la medianità, più o meno autentica, ha trovato il suo posto fra la chiromanzia e la cartomanzia e ciò è spaventosamente triste! Le buone donnette che vanno dal medium, non capiscono che proprio loro tolgono a questa tremenda rivelazione divina ogni valore, come non capiscono l'impossibilità che anime di trapassati abbiano ad occuparsi ancora di terrene miserie. Chi è morto ha troppo da purgare, per sé, per poter accollarsi gli errori altrui. Ecco, quindi, che proprio questi accaniti spiritisti contribuiscono a confondere lo spiritismo con la magia, con la negromanzia e altre formule che il buon senso umano, prima ancora di canoni religiosi, ha ripudiato.
L'anima dei morti, se si manifesta e quando si manifesta, lo fa per un mandato divino e con un altissimo scopo. Non spingiamo il senso dell'assurdo e il massimo del ridicolo nel dichiarare che i molteplici isterismi di pseudo medium siano questo mandato. Rispettiamo almeno la morte, poiché non sapemmo rispettar la vita!
Lo spiritismo ha fatto il suo tempo, riconosciamolo onestamente e licenziamoci da lui, come da un amico buono e devoto, che ci ha dato il suo meglio e non si è offeso se noi in cambio gli abbiamo dato il nostro peggio! Onoriamo anche questo sforzo dello spirito umano e, staccandocene, accettiamo di riconoscere come egli ci abbia migliorato. Ma lo spiritismo ha un erede; un erede che, scevro dalle miserie e dalle ingenuità dell'avo tende con fiera coscienza ad identificare il vero di ogni verità. Quest'erede è lo spiritualismo! Lo spiritualismo che trae le sue origini dalla più pura ed antica tradizione. Lo spiritualismo è l'antagonista naturale del materialismo, egli ritiene lo Spirito e quindi per antonomasia Dio:
“Autore unico di ogni forma di vita”; ritiene altresì temporanea la manifestazione creativa ed eterna l'immanifestazione, ritiene immanente lo Spirito in tutte le opere sue, e l'uomo “essente” (anche se “esistente” nella forma) perciò preesistente la forma stessa.
Lo spiritualismo comprende il dogma, ma non se ne fa asservire, onora la scienza, ma ne identifica le lacune, inoltre, ammette un deposito cosmico di conoscenza, al quale è dato agli umani, in speciali circostanze, di poter attingere.
Il pensiero dell'Uomo (per se stesso immortale) può comunicarsi agli uomini e agli uomini si comunicò sino dai primordi della creazione. Questo pensiero fu l'origine di ogni filosofia e religione, tuttora, questo pensiero aleggia sull'umanità e può esser captato da particolari strumenti umani sensibilizzati e resi allergici alle sue menome manifestazioni.
Lo spiritualismo non si oppone a nessuna religione, come non si oppone a nessuna filosofia, ma in ogni filosofia e in ogni religione indaga cercando di riconoscere, in esse, i caratteri spirituali umani. Lo spiritualismo ammette, per principio, ogni fenomeno e, ogni fenomeno, cerca di individuare e indirizzare, allo stesso modo ammette ogni dogma, a patto che ne possa identificare la realtà e la serietà e, mentre nega ogni forma di coercizione, riconosce alla ragione e all'intelligenza divina il diritto di imporsi, come morale, ad ogni operazione umana. Per lo spiritualismo ogni cosa moralmente tradizionale è vera, quindi buona; ogni cosa che esce dalla tradizione e dalla morale è dubbia (quindi non buona per i più) e solo se nei secoli diverrà tradizionale diverrà buona.
Lo spiritualismo è legato alle grandi linee del passato, ma non esita ad imprimersi nell'avvenire. Non fa anticipazioni superflue né risuscita la vena dell'antica profezia. Esso, per ora, tende all'espressione artistica e alla rinnovazione coscienziale, ricorda, più che altro, ciò che gli uomini obliarono e cura, traverso i ricordi, di ben addirizzare i mortali. Molteplici sono i suoi mezzi di penetrazione ed i suoi stessi avversari debbono fare appello a lui per poterlo combattere. Egli è dovunque, meno che nell'ipocrita viltà degli uomini, suscita e placa tempeste, soffia sopra le acque dell’umanità come lo stesso spirito di Dio soffiava sopra le grandi acque. Nel segno dello spiritualismo è combattuta la
“buona battaglia”. Per lo spiritualismo vi è un solo avversario, il materialismo ateo. Esso lo attacca ovunque lo individui, così come, nel suo concetto, un solo pericolo minaccia l’Umanità: «l'immobilismo» cristallizzante in forme vacue il bizantinismo teorico e dogmatico, anche contro questo pericolo lo spiritualismo si adopera.
La parola d'ordine dello spiritualismo è “credere in Dio” principio d'ogni cosa, credere nell'interdipendenza Dio-Uomo incarnato in Gesù di Nazareth detto il Cristo, credere nell'immortalità di ogni anima umana e nei suoi immarcescibili futuri destini di premio o di castigo a seconda se, il personale libero arbitrio, l'uno
o l'altra sorte meriti. Credere infine nel trionfo del bene sul male, del vero sul falso, dell'eterno sopra il temporaneo e riconoscere, allo spirito, il diritto di manifestazione ovunque a lui piaccia e nella forma che ritiene più idonea.
Sacerdoti dello spiritualismo sono tutti gli uomini onesti che onestamente credono in Dio e anelano ad esprimerlo traverso l'opera loro: opera d'arte e di scienza, di esempio e di sacrificio, di pazienza e di coerenza con i propri principi.
Finito il sabba dello spiritismo gli uomini si rivolgono oggi allo Spirito e chiedono alle varie chiese, ai molti dottori, scribi e farisei che hanno la chiave, di aprire, di entrare e di lasciare entrare, dietro a loro, le masse, se non vogliono che esse vadano a ingrossare il regno della “bestia!”.
Noi -dicono oggi gli uomini- abbisogniamo sì di riti, ma soprattutto abbisogniamo che essi divengano ritmi. Le processioni e le adunate oceaniche non sono più di questi tempi; ma di questi tempi è la parola, è lo spirito di Cristo!
Datecelo, fatelo vivere con noi, in noi e tutto il nostro amore divamperà. La fede senza opere è morta! Oggi non c’é né fede né opere di fede, ma solo fantasmi di fede. Noi gridiamo verso il cielo e verso il tempio: “Rivelateci dunque Iddio!
Fatecelo vedere e fateci amare le opere vostre; fiammeggianti, e al vostro fuoco fiammeggeremo. Amate per insegnarci ad amare e risorgete per insegnarci a risorgere”. Oggi, gli uomini hanno bisogno di Dio; di questo bisogno, di questo anelito, di questa urgente verità lo spiritualismo si fa confessore ed apostolo e grida terribilmente nell'arido deserto dell'indifferentismo mascherato di religiosità
“il Signore vive! Preparate le vie del Signore!”.
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