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Arrestato dalla Finanza il faccendiere Salvatore Micelli per una truffa da oltre 3 milioni all INPS

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Academic year: 2022

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Arrestato dalla Finanza il

“faccendiere” Salvatore Micelli per una truffa da oltre 3 milioni all’

INPS

Salvatore Micelli, ex militante del PD di Taranto

ROMA – All’alba di questa mattina i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Taranto, guidato dal T.Col. Antonio Marco Antonucci hanno eseguito l’

arresto del noto truffatore di origine brindisina Salvatore Micelli, 34 ani residente a Taranto senza fissa dimora, del quale il CORRIERE DEL GIORNO (unico giornale a farlo) si è più volte occupato su queste pagine per le sua attività truffaldine e delinquenziali. Fra gli indagati compare anche sua sorella, Barbara Micelli onnipresente nelle truffe organizzate e portate a termine dal fratello.

Salvatore Micelli aveva più volte provato in passato ad insinuarsi nella politica candidandosi inizialmente per i “dem” della Margherita, successivamente ci ha provato con il Pd, e quindi insieme al consigliere comunale Alfredo Spalluto (consiliatura sindaco Ippazio

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Stefàno) alle ultime Elezioni Amministrative del Comune di Taranto dove aveva presentato una lista civica “PROGETTO IN COMUNE” con capolista la sorella del Micelli, per sostenere la candidata sindaca del centrodestra Stefania Baldassari, che il destino vuole essere anche il direttore del carcere di Taranto, la quale a sua volta aveva ricevuto garanzie proprio dallo Spalluto sull’ etica e legalità dei componenti della compagine civica. Ma tutto ciò, come i fatti provano, non era assolutamente vero.

All’inizio dell’ anno 2018 il Micelli aveva persino provato a candidarsi a Taranto in occasione delle Elezioni Politiche dello scorso marzo per l’ Udeur (operazione annunciata in pompa “magna” dalla Gazzetta del Mezzogiorno) con il chiaro tentativo di trovare delle “protezioni” politiche, ma il suo ennesimo tentativo di infiltrazione nella politica era naufragato nel nulla, grazie una provvidenziale conversazione telefonica intercorsa fra Clemente Mastella ed il nostro direttore Antonello de Gennaro, che schiarì le idee all’ attuale sindaco di Benevento, leader dell’

U d e u r , i n f o r m a n d o l o s u c h i f o s s e i n r e a l t à l ’ a s p i r a n t e candidato Micelli che si era offerto di presentare una lista sotto l’effige del movimento di Mastella. E l’auto-candidatura sparì nel dimenticatoio delle illusioni.

Nel primo pomeriggio il faccendiere-truffatore Salvatore Micelli è stato associato alle carceri mentre Loredana Ladiana di 58 anni, moglie di Roberto Ruggieri un noto esponente della malavita tarantina precedentemente arrestato e condannato in appello a 8 anni per mafia nell’inchiesta “Alias“, è stata posta agli arresti domiciliari, ritenuta responsabile unitamente ad altre 3 persone accusate dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e falsità materiale commessa dal privato in atto pubblico, per una mega truffa nei confronti degli Enti Pubblici per oltre 3milioni di euro.

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Due delle donne indagate, in particolare Loredana Ladiana, raggiunta dalla misura cautelare degli arresti domiciliari (i cui mariti sono allo stato detenuti in carcere, a seguito di condanna, per reati, tra gli altri, di associazione a delinquere di stampo mafioso), attraverso alcune società poste in essere ad hoc, avevano percepito illecitamente i contributi erogati alle “finte” società che avevano ottenuto i contributi europei a fondo perduto dalla Regione Puglia, per poi utilizzarli a fini personali, grazie anche alla complicità dei due funzionari regionali indagati, gli ispettori Michele Antonazzo e Vincenzo Alfarano, i quali secondo le indagini svolte dalla Guardia di Finanza, nel corso di un controllo “in loco” hanno certificato la presenza delle lavoratrici assunte da un’azienda che in realtà a quella data non era più operativa !

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Fra i i nomi degli indagati appaiono anche i nominativi di altri pregiudicati come Antonio Bruno condannato anche in Appello a 20 anni di carcere per l’omicidio di Giuseppe Axo maturato negli ambienti del traffico e smercio di stupefacenti nel quartiere Salinella di Taranto. Nella precedente sentenza di primo grado, emessa con rito abbreviato, Antonio Bruno e suo fratello Francesco erano stati condannati a 20 anni di carcere con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e alla recidiva.

Secondo la Guardia di Finanza un particolare “peso” fra gli indagati legati alla malavita, lo avrebbe avuto Patrizia Modeo, sorella dei boss storici della malavita tarantina Riccardo, Gianfranco e Claudio Modeo, attualmente sposata con Calogero Bonsignore anch’egli condannato in diversi procedimenti penali tra i quali quelli antimafia

“Alias” e “Città nostra“.

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Nella truffa ai danni dello Stato erano coinvolti anche 2 donne legate, e Cosimo D’ Oronzo figlio del “boss” Orlando attualmente ristretto ai sensi del 416 bis, capo del noto clan mafioso D’ Oronzo- De Vitis., risultato anch’egli indagato nell’inchiesta che ha portato in carcere Salvatore Micelli e Loredana Ladiana. D’ Oronzo era il legale rappresentante della cooperativa Falanto Servizi, amministrata di fatto da Vincenzo Fabrizio Pomes, i quali avvalendosi della compartecipazione del Micelli ingannavano la Regione Puglia ed incassavano ilegittimamente un finanziamento regionale erogato con fondi comunitari.

La cooperativa “Falanto Servizi“, riconducibile secondo gli inquirenti al “clan D’Oronzo-De Vitis” si era infiltrata anche nel business dell’emergenza immigrati, e nel maggio 2015 la Direzione distrettuale antimafia di Lecce, aveva eseguito nei confronti di questa cooperativa un decreto di sequestro nell’ambito dell’operazione “Alias 2” di oltre 640mila euro sequestrati ( e successivamente confiscati) nei conti correnti bloccati dalla Squadra Mobile di Taranto della Polizia di Stato e dal Gico della Guardia di Finanza di Lecce, che ha principalmente colpito l’ex-consigliere comunale Fabrizio Pomes, ex amministratore

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proprio della “Falanto Servizi“, e i conti familiari di Michele De Vitis e della moglie l’ex-consigliera comunale del Ncd (Nuovo Centro Destra) Giuseppina Castellaneta, in quanto la “Falanto” avrebbe infatti ricevuto in affidamento il servizio di distribuzione pasti di un centro nel quale i migranti vengono ospitati una volta giunti nel porto di Taranto, grazie ad un contratto firmato nel marzo scorso con l’associazione Salam, le sarebbero stati affidati anche i servizi legati alla fornitura di lenzuola, cuscini e altro, ed il servizio di vigilanza giorno di notte, della struttura situata a pochi passi dal quartiere Paolo VI.

Guardia di Finanza Micelli UPDATE

Il provvedimento, emesso dal G.I.P. dr. Giuseppe Tommasino del Tribunale di Taranto , su proposta del P.M. dr.ssa Daniela Putignano della locale Procura della Repubblica, fa seguito alle indagini già condotte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria, nell’ambito delle quali sono state individuate 17 imprese, tutte comunque riconducibili alle suindicate persone, costituite unicamente al fine di poter accedere a fondi europei cofinanziati dallo Stato e dalla Regione Puglia, destinati ad incentivare l’occupazione femminile.

Si tratta di piani di intervento tesi a favorire l’assunzione a tempo indeterminato di manodopera femminile residente in Puglia, finanziando sino ad un massimo del 50% del costo salariale per i dodici mesi successivi all’assunzione e comunque per una somma non superiore a 14 mila euro per ogni unità stabilmente assunta, a condizione che i rapporti di lavoro durino almeno 36 mesi.

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Le imprese per la maggior parte assolutamente prive di reale operatività, hanno formalizzato assunzioni meramente cartolari di donne, predisponendo false buste paga ed altre attestazioni per prestazioni di lavoro di fatto mai eseguite, nonché hanno simulato la stipula di polizze fideiussorie a garanzia dei finanziamenti ottenuti dalla Regione, falsificando la firma di procuratori di due agenzie di assicurazione con sede a Lecce e a Bucarest (Romania) e falsificando persino l’impronta del sigillo notarile che ne sanciva la regolarità.

L’approfondimento delle indagini dell’ operazione denomina ” Quote Rosa 2″ delle Fiamme Gialle ha consentito di individuare altresì 17 persone coinvolte a vario titolo nell’illecita attività, delle quali 15 fittiziamente interessate alle predette imprese di comodo, responsabili dei reati di truffa, malversazione a danno dello Stato e ricettazione e 2 Ispettori della Regione Puglia, incaricati di svolgere verifiche presso le ditte che avevano avanzato le richieste di contributi pubblici, responsabili dei reati di falsità ideologica e materiale commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico.

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Il sodalizio associativo aveva tra le finalità quella di alimentare le risorse finanziarie di alcune famiglie malavitose del territorio tarantino, già interessate in passato da operazioni di polizia riconducibili al clan D’Oronzo-De Vitis, fra i quali figura anche Fabrizio Pomes, esponente del PSI di Taranto, già condannato a 11 anni di carcere per il “processo Alias”, da sempre molto “vicino” ed intimo con l’attuale consigliere comunale Cisberto Zaccheo e con l’ex consigliere comunale del PSI Cosimo Gigante (entrambi al momento estranei agli atti delle inchieste) .

I tre esponenti del PSI di Taranto ( Pomes, Zaccheo e Gigante) venivano chiamati in città “I tre faccendieri” parafrasando i ben più famosi “tre moschietteri” di Alexandre Dumas. Negli atti dell’

inchiesta Alias infatti il politicante socialista Pomes intercettato al telefono con il “boss” mafioso D’ Oronzo gli spiegava che “devi stare tranquillo, abbiamo piazzato un uomo nostro in consiglio comunale“.

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Fabrizio Pomes e Cisberto Zaccheo

Salvatore Micelli

Fabrizio Pomes e Cosimo Gigante

Per quanto riguarda il coinvolgimento del Pomes nell’inchiesta in questione , il gip Giuseppe Tommasino riporta nella sua ordinanza che

“ha utilizzato parte dei contributi regionali ricevuti dalla Falanto Servizi per interessi personali” e spiega che degli accertamenti bancari risulta che avrebbe richiesto l’emissione di un assegno circolare di 19mila euro per pagare una parte dell’acquisto a Bologna di un esercizio commerciale (una tabaccheria successivamente confiscata dall’ Autorità giudiziaria per il processo Alias) intestata fittiziamente alla figlia che negli ultimi dieci anni aveva dichiarato reddditi per soli 3mila euro.

il Gip Giuseppe Tommasino

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Nell’ordinanza del gip Tommasino che ha accolto la richiesta del titolare dell’inchiesta, la pm Daniela Putignano, viene raccontato un episodio del Micelli che delinea la sua pericolosità sociale con attitudine consolidata alla truffa. Salvatore Micelli avrebbe addirittura denunciato alla Procura della Repubblica di Taranto una sua complice, anche lei tra gli indagati di ieri, per non avergli riconosciuto il 20 percento della somma degli aiuti pubblici ottenuti grazie al collaudato trucco delle false assunzioni. Nella denuncia presentata Micelli avrebbe persino allegato il testo di un messaggio in cui la donna dichiarava chiaramente di essere stata usata come prestanome nella richiesta dei finanziamenti pubblici.

Il Gip ha quindi emesso un decreto di sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca, nei confronti di tutti e 22 gli indagati, di beni e disponibilità finanziarie a loro facenti capo, fino alla concorrenza del predetto importo di 1 milione e 271 mila euro.

Micelli adesso resterà in carcere a Taranto per alcuni giorni , dove all’atto del suo ingresso si è autodichiarato “incompatibile” con il carcere di Taranto, dove rischierebbe di trovare non poche persone finite in carcere anche per colpa sua, e con cui avrebbe più di qualche conto in sospeso. In realtà a causa del super affollamento della Casa Circondariale di Taranto, Micelli entro qualche giorno, secondo fonti penitenziarie, dovrebbe venire trasferito in altra struttura carceraria. Domani si svolgeranno come da procedura gli interrogatori di garanzia degli indagati.

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Processo “ALIAS”. Chiesti 140 anni di carcere per il clan D’Oronzo- De Vitis

ROMA – Nell’udienza di giovedì scorso del maxi processo antimafia di secondo grado “Alias”, di fronte al collegio presieduto dalla Dr.ssa Patrizia Todisco del tribunale di Taranto con i giudici a latere Madaro e De Cristofaro , il P.M. Alessio Coccioli della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, ha ripercorso con un intervento durato 5 ore, le azioni criminose del clan mafioso tarantino capeggiato da Orlando D’Oronzo e Nicola De Vitis, che a partire dagli anni ’90 aveva messo a ferro e fuoco Taranto in una guerra tra bande senza esclusioni di colpi.

Un’associazione mafiosa che, come si legge nelle carte della magistratura, “aveva acquisito nuova linfa, essendo in grado di ingenerare nella generalità della popolazione quella condizione di assoggettamento e la conseguente omertà, propria di ogni associazione criminale di stampo mafioso”.

L’indagine “Alias 2” era stata preceduta dall’inchiesta “Alias” del 6 ottobre 2014 che aveva condotto gli inquirenti all’arresto di 52 persone dello stesso clan accusate, a vario titolo, dei reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, omicidio, estorsione, rapina e detenzione di armi. A coordinare l’attività giudiziaria, era stato il PM Alessio Coccioli.

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Fabrizio Pomes

Pressante l’interesse del D’Oronzo per l’aggiudicazione di appalti e servizi presso le Pubbliche Amministrazioni di Taranto e provincia. A tal fine si era fatto promotore di un consorzio di imprese per mettere le mani sui lavori di rifacimento del porto mercantile di Taranto. Le indagini della Squadra Mobile di Taranto hanno consentito di accertare che Orlando D’Oronzo e Vincenzo Fabrizio Pomes con la complicità di funzionari del Comune di Taranto utilizzavano la cooperativa Falanto Servizi al fine di gestire il centro sportivo Magna Grecia nonché altre strutture comunali senza sborsare un solo centesimo di euro all’amministrazione comunale tarantina . L’obiettivo del clan era, inoltre, quello di aggiudicarsi gli appalti “per i quali il Comune aveva indetto delle gare pubbliche”.

Dalle indagini del GICO della Guardia di Finanza di Lecce è emersa la s p r o p o r z i o n e t r a i r e d d i t i d i c h i a r a t i d a i c o m p o n e n t i dell’organizzazione criminale, i componenti della famiglia Pomes ed il patrimonio posseduto. Sono stati sequestrati conti bancari, terreni, quote societarie, interi compendi aziendali, auto, moto e diverse unità immobiliari per un valore di oltre 4 milioni di euro. “Dovete capire che adesso comandiamo noi”, dicevano gli esponenti del clan ai proprietari delle più fiorenti attività commerciali. E, in effetti, prima del provvidenziale e incisivo intervento della Magistratura e delle Forze di Polizia erano riusciti a mettere le mani sulla città.

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Nel corso della sua requisitoria il pm Coccioli ha ricordato il forte legame ed alleanza intercorrente fra D’Oronzo e De Vitis con Antonio Modeo, nella lotta contro i suoi fratelli, culminata con l’uccisione di Cosima Ceci, la madre dei fratelli Modeo, morte per la quale Nicola De Vitis è stato condannato a 25 anni di reclusione. Il pm Coccioli durante il suo intervento di ieri in Tribunale a Taranto, ha parlato dei contatti dei due con la malavita tarantina, della ramificazione del clan all’interno del tessuto criminale non solo tarantino, ma anche dei legami con altre organizzazioni criminali operanti in Sardegna, Calabria, Sassari, Brindisi, Matera, ma anche dei sodali utilizzati come “ponte” nel territorio veronese durante il loro obbligo di soggiorno, con il basso profilo adottato alla ripresa delle loro attività illegali, arrivando alla scarcerazione avvenuta nel 2012.

Il P.M. Coccioli ha quindi chiesto 32 condanne per un totale di 140 anni di reclusione, per i componenti del clan D’Oronzo- De Vitis .

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