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Nel primo capitolo dell’elaborato, prima di entrare nel dettaglio del lavoro, sono

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Academic year: 2021

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Introduzione

Questo elaborato intende analizzare uno dei mezzi di comunicazione di massa più importanti: la televisione. L’obbiettivo del lavoro non è descrivere il mercato televisivo in generale, ma il servizio pubblico televisivo italiano e le sue anomalie mediante una comparazione con alcuni Paesi Europei. Lo scopo principale è capire se il sistema pubblico televisivo abbia ancora un futuro. L’elaborato ripercorre la storia della televisione pubblica: l’origine, le motivazioni, gli obbiettivi da raggiungere, le problematiche emerse e i suoi eventuali sviluppi futuri. Il servizio pubblico televisivo riveste un ruolo fondamentale nella cultura e nella società della maggior parte dei Paesi Europei ed è un argomento molto attuale alla luce anche dei cambiamenti che stanno avvenendo in campo mediatico. Il panorama mediatico attuale è caratterizzato da nuove tecnologie e modalità di fruizione del contenuto televisivo. La presenza di più canali e piattaforme ha frammentato un pubblico sempre più esigente e difficile da soddisfare.

In Italia, il Governo sta procedendo a riformare il sistema televisivo e, più nello specifico, il servizio pubblico, offerto dalla RAI. Entro la fine del 2015 è probabile che venga emanata la nuova legge in materia; per adesso sono state presentate solo alcune proposte, e niente di concreto è stato ancora realizzato. In Italia il servizio pubblico televisivo è da sempre condizionato da forti legami politici che impediscono all’emittente di svolgere un ruolo imparziale e pluralista. Viene allora spontaneo domandarsi se ha ancora senso che esista questo servizio che tanto

“pubblico” forse in fondo non è. E non solo per i legami politici, ma anche per un'altra serie di motivazioni trattate all’interno di questo lavoro. Tutti i servizi pubblici televisivi devono rivedere il proprio ruolo alla luce dei cambiamenti occorsi in questi ultimi anni e reinventare la propria missione e il proprio ruolo che si sono modificati notevolmente rispetto agli inizi. Nuove sfide attendono i servizi pubblici televisivi.

Nel primo capitolo dell’elaborato, prima di entrare nel dettaglio del lavoro, sono

descritte brevemente le caratteristiche del mercato dei media. La televisione è uno

dei mass media più importanti e riveste un ruolo fondamentale nella società. Il

mercato televisivo si analizza partendo dagli strumenti che ci offre l’economia dei

media. Si cerca, in questa prima parte, di spiegare quali sono questi strumenti, perché

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i mass media sono mercati “a due versanti” e le caratteristiche che li contraddistinguono. Le imprese televisive sono soggetti di cui si studia l’interazione con gli utenti e gli inserzionisti. Le emittenti televisive forniscono informazione ed intrattenimento agli utenti e sono interessate a conquistarne il maggior numero possibile. A loro volta gli inserzionisti desiderano catturare l’attenzione degli utenti attraverso gli annunci pubblicitari; per farlo acquistano “spazi” dalle emittenti che sono seguite da un pubblico numeroso di utenti. I due versanti sono collegati tra loro;

si parla, infatti, di esternalità di rete incrociate. La piattaforma può decidere di adottare anche strategie di prezzo differenziate nei “due versanti” (discriminazione di prezzo di primo, secondo e terzo grado). Sempre nel primo capitolo sono descritti alcuni elementi importanti come i modelli di differenziazione del prodotto (orizzontale e verticale), argomento rilevante e legato al concetto di pluralismo;

inoltre il capitolo descrive il funzionamento del test SSNIP, utile per la definizione del “mercato rilevante”, le numerose strutture di mercato che si possono incontrare e il loro grado di concentrazione. Un mercato può risultare fortemente concentrato per le barriere all’ingresso che ostacolano l’entrata di nuovi soggetti. Le barriere all’entrata possono avere natura legale, tecnologica o strategica e creano un’asimmetria tra le imprese già presenti nel mercato e quelle che ne sono fuori. Il primo capitolo affronta tutti questi argomenti. Questa introduzione al mercato dei media, con particolare riferimento a quello televisivo, è cruciale perché solo così si colgono le dinamiche del suo funzionamento effettivo.

Nel secondo capitolo è presente un accenno all’economia del benessere e al concetto

di bene pubblico. Innanzitutto, viene descritto il significato di bene pubblico, la

differenza con i beni privati, per poi successivamente analizzare le caratteristiche di

bene pubblico del prodotto televisivo che, almeno nei suoi primi anni, era

considerato un bene pubblico puro, per la non rivalità e non escludibilità nel

consumo. Proprio per le caratteristiche di bene pubblico, il prodotto televisivo è stato

posizionato all’interno di un gruppo ristretto di beni e servizi per i quali si riteneva

opportuno l’intervento pubblico attraverso misure di regolamentazione. Per questo

motivo molti Paesi Europei decisero di optare per il servizio pubblico televisivo,

l’unico in grado di garantire un accesso universale e un’informazione pluralistica. In

America il mercato televisivo si sviluppò in maniera diversa; per questo del capitolo

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una parte è dedicata alle differenze tra modello americano ed europeo. Negli USA si sviluppò un mercato privato molto efficiente basato sui ricavi pubblicitari che ancora oggi rappresenta un modello di successo, mentre il servizio pubblico televisivo è praticamente inesistente. È presente anche una parte storico-descrittiva che racconta la nascita del mezzo televisivo e la sua evoluzione tecnologica dagli inizi fino ad oggi: dalla prima forma di brodacasting che il mondo ha conosciuto ai primi apparecchi televisivi, come e quando questi sono apparsi nei diversi Paesi Europei, la loro evoluzione fino ai moderni televisori che noi oggi conosciamo. Il secondo capitolo si occupa delle nuove tecnologie, nate negli anni Cinquanta e Sessanta, con le quali è stato possibile fruire del prodotto televisivo in modo diverso, ad esempio il cavo e il satellite. Non in tutti i Paesi si sono diffuse contemporaneamente queste nuove tecnologie. L’ultima parte del capitolo è dedicata alla digitalizzazione, fenomeno più recente e che ha cambiato le offerte e il panorama mediatico. Non esiste più il classico modello duale che vedeva contrapporsi la tv pubblica alle tv private. L’avvento delle tecnologie digitali, come il digitale terrestre, la fibra ottica, l’IPTV, la mobile TV e il VOD accrescono la concorrenza e frammentano l’audience.

È evidente che il prodotto televisivo oggi non può più essere considerato un bene pubblico puro.

Il terzo capitolo riguarda il servizio pubblico televisivo, il tema centrale

dell’elaborato. La prima parte descrive le motivazioni e i doveri di un servizio

pubblico in generale. Sostanzialmente indica quali compiti esso debba svolgere per

giustificare la propria esistenza e per essere considerato un servizio pubblico a tutti

gli effetti. Sono elencate le motivazioni principali che hanno determinato la nascita

del servizio pubblico televisivo nei Paesi Europei, per esempio quella di contribuire

alla formazione di un senso d’identità e comunità nazionali, oppure garantire un

accesso universale e un’informazione pluralistica. È importante verificare come

avvenga il finanziamento del servizio e la programmazione offerta rispetto ai

concorrenti presenti sul mercato. In sintesi, esistono due tipi di finanziamento: il

canone pagato dai contribuenti e i finanziamenti commerciali ovvero i guadagni

derivanti dalla vendita di “spazi” pubblicitari agli inserzionisti. La programmazione

dell’emittente pubblica deve essere originale e distinta da quella trasmessa dalle

emittenti private, proponendo anche programmi non profittevoli nel proprio

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palinsesto. La seconda parte del capitolo riguarda il servizio pubblico televisivo italiano. Viene descritta la storia del servizio pubblico in Italia, le norme principali che si sono succedute nel corso degli anni e le questioni rimaste irrisolte. Dalla nascita della televisione nel 1954 fino ad oggi si sono succedute diverse norme. Sono descritte quelle più importanti per la disciplina del settore televisivo, come la Legge di riforma n.103 del 1975, la Legge Mammì, la Legge Maccanico e la Legge Gasparri, ancora in vigore. Queste norme hanno regolamentato aspetti significativi, ma ne hanno tralasciati altri, ciò fa sì che il nostro servizio pubblico abbia alcuni problemi: la mancanza di una legge sul conflitto d’interessi, l’alta concentrazione del mercato televisivo e soprattutto la scarsa indipendenza del servizio pubblico italiano dalla politica e dai partiti di maggioranza. La parte finale del capitolo si chiede se esista ancora un ruolo per il servizio pubblico italiano alla luce della situazione attuale.

Il quarto ed ultimo capitolo descrive il servizio pubblico televisivo in alcuni Paesi Europei (Regno Unito, Francia e Spagna), cercando di cogliere le differenze e le analogie con quello italiano. Ogni servizio pubblico è analizzato singolarmente. Il servizio pubblico televisivo di ciascuno Stato si distingue dagli altri, risultato della propria storia e cultura. L’intento è descrivere la nascita e l’evoluzione del servizio pubblico, facendo riferimento alle principali norme che lo hanno regolamentato e in particolare tenendo presente il paragone con l’Italia. Non solo il servizio pubblico italiano ha problemi da risolvere, ma tutti i Paesi considerati hanno aspetti del proprio servizio pubblico da migliorare se vogliono continuare a rivestire un ruolo di primo piano all’interno del nuovo panorama televisivo. Il modello più imitato e ritenuto più efficiente è sicuramente quello inglese; in tanti hanno provato ad imitarlo, spesso senza successo.

La parte conclusiva dell’elaborato cerca di fornire risposta alla domanda se sia

possibile un futuro per il servizio pubblico televisivo. Non è facile dare una risposta

definitiva, perché il panorama mediatico è in continuo mutamento. La possibilità di

scelta tra più piattaforme e più canali per l’offerta di contenuti televisivi ha portato

ad una frammentazione dell’audience. È sempre più difficile per il servizio pubblico

mantenere un ruolo di primo piano nel panorama televisivo. La RAI deve essere

totalmente riorganizzata per tornare a svolgere un vero e proprio servizio pubblico

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nei confronti dei propri utenti, altrimenti dovrà essere presa in considerazione la

possibilità di privatizzare la concessionaria e l’apertura del mercato televisivo ad altri

soggetti. Solo nel prossimo futuro sapremo cosa deciderà in merito il Governo in

carica e se ci saranno novità introdotte dalla riforma promessa.

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Capitolo 1 I mass media

1.1 Il mercato dei media: un mercato a due versanti

“Mass media” è una locuzione che deriva dall’unione della parola inglese “mass”, che significa “massa”, e della parola latina “medium” (plurale “media”) che significa

“mezzo”. Il termine “mass media” racchiude in sé tutti quei mezzi di comunicazione

di massa che si sono sviluppati nel corso della storia, a partire dalla nascita della

stampa nel 1455, proseguendo con il telegrafo, il telefono, il cinema, la radio, la

televisione e infine quelli che oggi chiamiamo nuovi media o nuove tecnologie

dell’informazione, dove Internet riveste un ruolo fondamentale. I media ricoprono un

ruolo molto importante nella vita dell’uomo, tutti noi dedichiamo molto del nostro

tempo al consumo e uso di televisione, radio ed Internet. Questi mezzi permettono di

comunicare, di scambiarsi dati e di trasmettere immagini in movimento a grande

distanza, superando le barriere spazio-temporali. Ogni nuovo strumento della

comunicazione ha profondamente rivoluzionato e trasformato la cultura e la società

nella quale viviamo. L’industria della comunicazione è responsabile del 3-5% del

PIL (prodotto interno lordo), con una variabilità tra uno Stato e l’altro dovuta alle

differenze istituzionali e socio-economiche (Mangani, 2013). I mezzi di

comunicazione di massa rivestono un ruolo di primo piano all’interno della società

contemporanea, in particolar modo in tutte quelle economie avanzate dove essi

hanno avuto maggiori possibilità di svilupparsi. L’attenzione rivolta a questo settore

da parte dell’economia è solo recente e risale agli anni Ottanta e Novanta; prima di

allora questi mezzi di comunicazione sono stati studiati solamente da un punto di

vista giuridico, politico e sociale. L’economia dei media si occupa di studiare le

strutture economiche e di mercato ad essa applicata. Se si guarda ai media da un

punto di vista economico possiamo notare che questo mercato si distingue dalla

molteplicità degli altri per alcune sue caratteristiche peculiari; esso infatti non ha una

struttura classica, ma può essere definito “a due versanti”, perché la piattaforma

media si rivolge a due mercati: quello dei consumatori, gli utenti, e quello degli

inserzionisti pubblicitari; i prezzi che vengono praticati non sono il risultato solo

dell’incontro della domanda e dell’offerta, ma dipendono anche dalle esternalità di

rete incrociate; ciò significa che le dimensioni di un mercato provocano cambiamenti

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nella produzione e nel consumo del mercato distinto (Mangani, 2013). Il mercato delle carte di credito, ad esempio, è un tipico mercato che possiamo definire a due versanti; da una parte, i ricavi per una società emittente carte di credito dipendono da tutte quelle attività commerciali che sono convenzionate con la carta, dall’altra parte ci sono i ricavi che derivano dai clienti che decidono di usare la carta di credito della società; la decisione da parte dei clienti viene presa in base al numero di attività convenzionate, ma anche le varie attività sono interessate ad una carta utilizzata da un numero elevato di clienti. L’impresa, in questo caso la società che emette la carta di credito, può adottare una politica di prezzo differenziato su i due versanti, a seconda dell’importanza che attribuisce a ciascun gruppo. Dall’esempio proposto si può notare come i due versanti siano reciprocamente influenzati l’uno dall’altro, e l’impresa possa adottare politiche di prezzo diverse su ciascun versante.

Vediamo adesso più nel dettaglio che cosa caratterizza il mercato dei mass media e lo distingue dai mercati tradizionali.

Nella mercato dei media, oggetto del nostro studio, quando si parla di piattaforma ci si riferisce ai mezzi di comunicazione di massa, quindi un’emittente televisiva, una stazione radio o un quotidiano. I due versanti sono rappresentati da un lato dagli utenti, cioè dai consumatori che leggono un libro, guardano un programma, ascoltano la radio; l’altro versante è rappresentato dagli inserzionisti pubblicitari che vogliono accedere alla piattaforma comprando “spazi” per poter trasmettere i loro messaggi pubblicitari e poter conquistare il pubblico degli ascoltatori, auspicando che si possano trasformare in potenziali acquirenti. I ricavi derivanti dalla pubblicità rappresentano la principale fonte di reddito per televisioni, radio commerciali, per i quotidiani e per molti periodici; per quanto riguarda il mezzo televisivo, viene data molta importanza alla rilevazione dell’audience

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, da cui dipendono i ricavi pubblicitari.

Nei mercati a due versanti si distinguono gli utenti “single-homing” e “multi- homing”; la differenza risiede principalmente in chi fa uso di una o più piattaforme.

Un utente o un gruppo di utenti può seguire più piattaforme contemporaneamente o

1 Con il termine audience si intende tutti gli spettatori che seguono una determinata trasmissione o alcuni messaggi pubblicitari in una data fascia oraria, la rilevazione di questi dati avviene attraverso il

“meter”, un apparecchio inserito nelle case di alcune famiglie che sono state scelte come campione da analizzare.

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seguirne una sola. Nel caso dei mass media, un utente può seguire più emittenti televisive ma ascoltare contemporaneamente anche diverse stazioni radio; al contrario può esserci un utente che non legge giornali, non ascolta la radio ma fa un consumo giornaliero del mezzo televisivo. Queste caratteristiche valgono anche per gli inserzionisti che possono rivolgersi ad una sola piattaforma o a più piattaforme contemporaneamente per acquistare spazi pubblicitari.

1.1.1 Le esternalità di rete

I mercati a due versanti sono caratterizzati da esternalità di rete incrociate per cui le dimensioni e le caratteristiche di un versante influenzano il comportamento dei componenti dell’altro. Prendendo in considerazione il mercato televisivo, il versante degli utenti influenza la dimensione dell’altro versante, quello degli inserzionisti;

infatti quanti più utenti seguono un programma televisivo tanto più interessati sono gli investitori pubblicitari all’acquisto di spazi, per conquistare l’audience massima, e quindi maggiormente disponibili a pagare; ma l’aumento dei messaggi pubblicitari può provocare un calo degli ascolti se gli utenti hanno avversione per la pubblicità e la presenza di sostituti potrebbe far spostare l’audience da un network ad un altro. Vi sono comunque dei casi particolari per cui gli inserzionisti possono essere interessati ad attirare un particolare tipo di pubblico con specifiche caratteristiche; in questo caso un incremento dell’audience non si traduce automaticamente in un incremento dei ricavi pubblicitari perché la disponibilità a pagare degli inserzionisti non è strettamente proporzionale al numero degli utenti (Mangani, 2013). Un pubblico di utenti ad elevato reddito che possono trasformarsi più probabilmente in acquirenti futuri suscita maggiore interesse negli inserzionisti. Possiamo dunque dire che le esternalità di rete per i media non dipendono solo dall’ampiezza di ciascun versante ma anche dalle caratteristiche socio-demografiche degli utenti e dalla ”qualità”

percepita dagli utenti stessi dei messaggi pubblicitari. Le piattaforme media non sono

solo caratterizzate da esternalità di rete incrociate; ad esempio per quanto riguarda le

reti sociali si parla di esternalità dirette. In questo caso l’aumento di utilità per

l’utente deriva dall’aumento dell’ampiezza della rete: tante più persone ne fanno

parte maggiore è l’utilità che se ne deriva. Possedere un telefono, mezzo che ci

permette di comunicare a distanza con altre persone, è inutile se anche gli altri non lo

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possiedono: tanto più grande è la rete di persone che lo utilizza maggiore è l’utilità che se ne trae.

1.1.2 I costi di un’impresa

Un’altra peculiarità dei mercati a due versanti rispetto ai mercati tradizionali sono le strategie di prezzo utilizzate; infatti su ogni versante è possibile praticare un prezzo fisso o variabile; le televisioni commerciali normalmente praticano un prezzo pari a zero verso gli utenti, per poter attrarne il maggior numero possibile, così da aumentare i ricavi derivanti dalla vendita di spazi pubblicitari agli inserzionisti, disponibili a pagare un prezzo più alto per raggiungere il maggior numero di utenti. I costi che di norma un’impresa media deve affrontare vengono suddivisi in costi fissi e costi variabili. I costi fissi rappresentano quei costi che devono essere sostenuti per garantire l’operatività di base di un’impresa (Picard, 2009); questi costi non cambiano nel breve periodo al variare del livello di produzione. Vi sono alcuni costi fissi che non possono essere recuperati, e perciò sono definiti costi non recuperabili. I costi variabili al contrario dipendono dal livello di output prodotto, e dal costo degli input necessari. Il costo totale è dato dalla somma dei costi fissi e dei costi variabili.

Il costo medio si calcola dividendo il costo totale per la quantità prodotta.

Legato ai concetti di costo totale e costo variabile è il costo marginale che indica l’incremento di costo derivante dalla produzione di un unità addizionale di output (Carlton, Perloff, 2005).

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Nel mercato dei media sono molto rilevanti i costi fissi; ad esempio un’emittente

televisiva, inizialmente, deve sostenere elevati costi per iniziare a trasmettere un

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programma. Questi costi sono relativi a determinati fattori specifici: le tecnologie utilizzate, la sceneggiatura di un film, il budget di un regista, il salario degli attori. In futuro se il programma trasmesso ha molto successo ed incrementa il numero degli utenti, i costi medi di lungo periodo

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diminuiscono all’aumentare del volume di output. Una volta realizzata la “prima copia”, la sua riproduzione e distribuzione ad un gran numero di clienti costa poco o nulla. I costi variabili nei media dipendono dalla riproduzione dei contenuti e dalla distribuzione di essi. I costi marginali sono invece difficili da calcolare nelle industrie dei media, perché vi è differenza tra i due versanti, quello degli utenti e quello degli inserzionisti che hanno un output completamente diverso e non omogeneo. I mass media inoltre presentano economie di scala dovute agli alti costi fissi della “prima copia”, e le economie di scala fanno sì che i costi medi totali diminuiscano all’aumentare dell’output prodotto; questo significa che i costi marginali sono inferiori ai costi medi, perciò se l’impresa praticasse un prezzo uguale al costo marginale avrebbe delle perdite. La presenza di economie di scala nei mercati dei media è dovuta alla natura di “bene pubblico” del loro output. Un bene pubblico presenta delle differenze da un bene normale o privato;

in particolare quest’ultimo è caratterizzato da scarsità nel consumo, perché ne fanno parte beni che si esauriscono mentre vengono consumati. Il bene pubblico è caratterizzato da elevati costi fissi iniziali ma i costi marginali per la fornitura di una sua unità in più sono vicini allo zero; i costi marginali sono così minori dei costi medi. Con il trascorrere del tempo i costi medi tendono a diminuire all’aumentare del numero degli utenti; quando questo accade l’impresa ottiene economie di scala e maggiori profitti. Il bene pubblico non viene esaurito all’atto del consumo ma può essere proposto ad numero sempre maggiore di consumatori (Doyle, 2012).

I mass media, come ogni altra impresa che si rivolge al mercato, cercano di scegliere la giusta combinazione tra produzione interna ed esternalizzazione che minimizza i costi complessivi (Mangani, 2013); l’impresa decide quindi se produrre e distribuire in proprio, creando il contenuto e distribuendolo, oppure affidarsi ad un fornitore esterno per i contenuti e/o la distribuzione. Se un’emittente televisiva decide per la

2 “Con il termine Lungo periodo in microeconomia si intende un lasso temporale sufficientemente esteso da consentire una variazione di tutti i fattori di produzione a costo zero.

Con il termine breve periodo invece si vuole intendere un lasso di tempo cosi breve da non consentire una variazione a costo zero di alcuni fattori di produzione”(Carlton, Perloff, 2005).

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produzione interna si occuperà di tutte le sue fasi, dalla scelta dei fattori specifici, all’assemblaggio dei contenuti e alla loro distribuzione. Se un’impresa opta invece per esternalizzare alcune fasi della produzione deve prepararsi a sostenere alcuni costi “d’uso del mercato”, cioè tutti quei costi relativi alla ricerca di informazioni delle opzioni disponibili, l’assunzione di rischio nei confronti di eventi imprevisti o comportamenti che non rispettano le regole da parte delle controparti (Mangani, 2013).

Le piattaforme media, come ogni altra impresa, tendono alla massimizzazione del profitto che è dato dai ricavi totali meno i costi totali.

I ricavi totali comprendono il numero di prodotti acquistati dagli utenti , per il prezzo loro praticato , sommato alla quantità di spazi pubblicitari venduti agli inserzionisti , per il loro prezzo . I costi totali sono il risultato della somma tra costi fissi e variabili; i costi variabili di una piattaforma media sono tutti quei costi sostenuti per la produzione di contenuti e spazi pubblicitari. Nel mercato dei media tuttavia bisogna considerare le esternalità di rete incrociate, per cui la domanda di contenuti e di spazi pubblicitari non è il risultato solo dei prezzi praticati dall’impresa su ciascun versante; gli utenti sono influenzati dalla quantità di messaggi pubblicitari e dallo loro “qualità”; gli inserzionisti sono disposti a pagare in base al numero di utenti ma anche in base alle loro caratteristiche socio-demografiche.

Tenendo in considerazione tutte queste variabili si determina così la domanda degli

utenti e la domanda degli inserzionisti. Gli inserzionisti non sono solo interessati al

prezzo dello spazio da acquistare ma anche alle caratteristiche dell’audience: alcuni

hanno interesse a catturare l’attenzione di utenti a basso reddito, mentre altri

preferiscono utenti ad alto reddito. Distinguere tra utenti che hanno una diversa

disponibilità a pagare non è semplice. I media riescono a risolvere questo problema

offrendo contenuti diversi che attraggono diversi target di consumatore, e associando

in questo modo un certo contenuto ad utenti con determinate caratteristiche; per gli

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inserzionisti può risultare così più semplice carpire le preferenze del consumatore e la sua posizione reddituale.

1.1.3 Le strutture di mercato

Quando si analizza un mercato non si può prescindere dalla descrizione della sua struttura. Le strutture di mercato che si possono incontrare sono numerose:

concorrenza perfetta o imperfetta, concorrenza monopolistica, monopolio, monopsonio, oligopolio. Ogni struttura ha le proprie particolarità.

La concorrenza perfetta è una condizione che nei mercati reali si verifica raramente;

le condizioni di base affinché si possa parlare di concorrenza perfetta sono: presenza di più imprese sul mercato che offrono beni omogenei e perfettamente divisibili, informazione perfetta, assenza di costi di transazione, imprese price-taker ( il prezzo è determinato dal mercato), assenza di esternalità e di barriere all’entrata (Doyle, 2012).

Il monopolio è la struttura di mercato all’estremo opposto caratterizzata da un solo venditore e produttore; il monopolista agisce sul prezzo ed esistono elevate barriere all’entrata. Un monopolio può nascere perché ad esempio soltanto una determinata impresa conosce e sa produrre un certo prodotto ad un costo inferiore rispetto ad altre imprese, oppure l’impresa può essere tutelata dallo Stato nella creazione e nel mantenimento del monopolio impedendo l’accesso ad altre imprese; in altri casi ancora è conveniente che una solo impresa realizzi l’intero output perché la presenza di due o più imprese aumenta quelli che sono i costi totali; e in questo caso si parla di monopolio naturale.

La concorrenza monopolistica presenta elementi in comune con la concorrenza perfetta, ad esempio: elevato numero di imprese e di consumatori, informazione perfetta, e assenza di barriere all’entrata. La differenza principale è che nella concorrenza monopolistica vengono offerti beni differenziati e non omogenei come in concorrenza perfetta.

In oligopolio vi sono poche imprese che si spartiscono il mercato detenendone ampie

quote, e i prodotti possono essere sia omogenei oppure differenziati; inoltre ci sono

barriere all’entrata nel mercato.

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A seconda del tipo di struttura di mercato nel quale l’impresa si trova ad operare, questa adotta strategie di prezzo diverse. Ad esempio, in una situazione di monopolio sia sul versante degli utenti che su quello degli inserzionisti, il monopolista ha una maggior indipendenza decisionale nella scelta dei prezzi, anche se deve comunque tenere di conto della reattività di utenti e inserzionisti al prezzo e l’avversione alla pubblicità degli utenti. La reattività si misura attraverso il calcolo dell’elasticità, con cui si misura la variazione percentuale della quantità domandata a fronte di una piccola variazione del prezzo (Carlton, Perloff, 2005).

La situazione che si riscontra più frequentemente nel mercato dei media, in particolar modo se guardiamo al mercato televisivo, è quella di oligopolio, con poche imprese che si spartiscono e contendono il mercato. La concorrenza tra le imprese non dipende solo dal prezzo praticato ma anche da tutte le altre variabili che caratterizzano il mercato a due versanti: l’avversione degli utenti alla pubblicità, la quantità e “qualità” dei messaggi pubblicitari e le caratteristiche socio-demografiche che interessano agli inserzionisti. Un elemento molto importante che riduce la reattività della domanda è l’aumento della differenziazione dei contenuti; in questo caso diminuisce la concorrenza di prezzo ed è maggiore l’indipendenza decisionale della piattaforma (Mangani, 2013).

1.1.4 La discriminazione di prezzo

Le piattaforme media spesso praticano quella che viene definita “discriminazione di prezzo”, per cui vengono imposti prezzi diversi a diversi consumatori per lo stesso tipo di bene. I media praticano la “discriminazione di prezzo” per poter estrarre la maggior parte del surplus dei consumatori, vale a dire la differenza tra quanto i consumatori sono disposti a pagare per un bene o servizio e il prezzo di mercato (Mangani, 2013); ogni consumatore ha una propria disponibilità a pagare per ricevere un determinato bene, la willingness to pay, e rappresenta l’utilità percepita e quanto il consumatore valuta un determinato bene.

Si possono attuare tre tipi di “discriminazione di prezzo”: con “discriminazione di

primo grado” si intende un consumatore che acquista unità di uno stesso bene ma a

prezzi diversi oppure l’impresa arriva a praticare prezzi diversi per consumatori

diversi, cercando di guadagnare di più da coloro che hanno un’alta propensione a

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pagare. Questo tipo di strategia è difficile da praticare perché prevede una conoscenza perfetta da parte dell’impresa della disponibilità a pagare degli utenti, conoscenza difficile da raggiungere se non con costi elevati. Nel caso dei media si possono verificare casi di “discriminazione di prezzo di primo grado”, quando un’emittente televisiva vende spazi pubblicitari ad un prezzo diverso ai vari inserzionisti, a parità di costo. La “discriminazione di secondo grado” si ha quando al variare della quantità venduta, il costo unitario di un prodotto subisce un cambiamento. L’impresa che pratica questa strategia cerca di sfruttare le differenze tra diversi gruppi di consumatori; vi sono gruppi che preferiscono acquistare molte unità di un prodotto e gruppi che preferiscono poche unità del solito prodotto (Mangani, 2013). Quando andiamo al supermercato ci capita molto spesso di trovare promozioni che vengono effettuate su determinati beni, gli sconti quantità, per cui il prezzo unitario di un prodotto diminuisce per chi acquista più unità di quel medesimo prodotto; si discrimina perciò tra chi preferisce comprare singolarmente un prodotto e chi ne desidera più unità. Un altro esempio di “discriminazione di secondo grado”

sono sicuramente gli abbonamenti. Gli abbonamenti ad una palestra, ad una compagnia ferroviaria, ad un teatro, ad una rivista, permettono di acquistare più unità di uno stesso prodotto contemporaneamente per chi è interessato; il prezzo di ciascun bene all’interno di un abbonamento è minore del prezzo unitario di acquisto del singolo bene fuori dall’abbonamento. Ad esempio, acquistare un abbonamento mensile per una compagnia ferroviaria permette un risparmio rispetto all’acquisto del singolo biglietto comprato ogni giorno, per la durata di un mese, al suo prezzo unitario. La “discriminazione di terzo grado” prevede la presenza di più gruppi con preferenze omogenee ma con una diversa elasticità della domanda rispetto al prezzo;

minore l’elasticità, maggiore il prezzo praticato dall’impresa (Mangani, 2013).

Un altro tipo di “discriminazione di prezzo” si può avere quando i media utilizzano il

“bundling”, una modalità di offerta e di assemblaggio di contenuti. Il “bundling”

può essere puro o misto: il primo tipo, è quando i prodotti sono offerti solo

congiuntamente, il secondo è quando i prodotti si possono avere singolarmente al di

fuori del pacchetto. Una delle motivazioni del “bundling” è proprio la

discriminazione di prezzo, perché viene creato un pacchetto di contenuti di vario

genere (programmi sportivi, programmi educativi e culturali) offerto ad un certo

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prezzo, per cui sia il gruppo di utenti interessati ad un tipo di programma che l'altro acquisteranno il pacchetto; è importante però considerare che ogni consumatore ha una propria valutazione di ciascun contenuto e paga un prezzo diverso per gli elementi che costituiscono il pacchetto. L’impresa in questo modo applica una discriminazione di prezzo. Possiamo dire che in linea generale sono queste le strategie di prezzo utilizzate maggiormente dalle imprese dei media.

1.1.5 Il mercato rilevante

Il mercato dei media tende ad essere molto concentrato. In generale l’ampiezza di un mercato viene rilevata misurando il grado di sostituibilità tra prodotti attraverso il calcolo dell’elasticità incrociata, verificando cioè come varia la quantità domandata di un bene x al variare del prezzo del bene y; se il valore risulta positivo i beni sono considerati sostituti. Le autorità antitrust per determinare le quote di mercato detenute da un impresa normalmente utilizzano il test SSNIP (small but significant non transitory increase in prices), attraverso la stima dell’elasticità diretta.

L’elasticità della domanda è la variazione percentuale della quantità domandata a fronte di una piccola variazione di prezzo; l’elasticità della domanda può dipendere da diversi fattori come per esempio la presenza o meno di sostituti sul mercato. Ad esempio, quando sono presenti molti beni sostituti, un aumento di prezzo di un bene provoca una riduzione nella quantità domandata di questo da parte dei consumatori, che tenderanno ad acquistare un altro prodotto con minor costo.

Con il test SSNIP, è possibile individuare quello che viene definito il “mercato

rilevante” ossia il più piccolo contesto nel cui ambito è possibile la creazione di un

significativo grado di potere di mercato (Preta, 2010) . Per realizzare questo test si

parte da una situazione in cui è presente una singola impresa, che produce un

determinato prodotto; siamo quindi in una situazione di monopolio; il passo

successivo è porsi la domanda: a quale mercato appartiene questo prodotto? Il test

verifica se è conveniente per il produttore aumentare il prezzo del bene nella misura

del 5-10%; se la risposta è affermativa, significa che quel bene non ha sostituti e che

nel mercato rilevante vi è solo quel prodotto; un aumento di prezzo in questo caso

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non determina una riduzione della domanda. Se la risposta è negativa significa che ci sono altri prodotti sostituti che fanno parte dello stesso mercato; un aumento di prezzo del 5-10% potrebbe far spostare la domanda verso un altro bene. Il test prosegue considerando gli altri prodotti presenti sullo stesso mercato, finché la domanda che ci si è posti inizialmente non ha una risposta positiva; in tal caso possiamo dire che tutti i prodotti presi in considerazione fanno parte dello stesso mercato. Nel caso dei media l’applicazione del test SSNIP è difficoltosa proprio per le caratteristiche particolari di questo mercato.

Ad esempio, il prezzo delle inserzioni pubblicitarie non si definisce facilmente: le inserzioni si differenziano per durata, frequenza e fascia oraria in cui vengono trasmesse e vi è la volontà da parte degli inserzionisti di raggiungere utenti con abitudini di consumo estremamente eterogenee (Mangani, 2013); è proprio per questo motivo che il test SSNIP risulta fallimentare con il mercato pubblicitario. Il test potrebbe solo riuscire a definire i mercati rilevanti con una distinzione in base al mezzo utilizzato: mercato della raccolta pubblicitaria televisiva, radiofonica; ma anche in questo caso ci sono elementi che non permettono una distinzione così semplicistica; infatti il mercato della raccolta pubblicitaria può essere caratterizzato da elementi di sostituibilità e di complementarietà. È molto comune, per esempio, che un inserzionista faccia pubblicità sia su una rivista che in televisione, così come è possibile che le abitudini si modifichino nel corso del tempo e un inserzionista che precedentemente faceva pubblicità solo in televisione passi a fare pubblicità in radio.

Anche per il mercato degli utenti è difficile calcolare il mercato rilevante attraverso

il test SSNIP, proprio perché le abitudini dei consumatori sono eterogenee e le

modalità di consumo si modificano nel corso del tempo. Su questo versante, il

calcolo dell’elasticità incrociata e dell’elasticità diretta non può essere effettuato

perché alcuni mezzi come la radio, la televisione in chiaro e Internet offrono

contenuti gratuiti praticando un prezzo pari a zero. Non essendo possibile calcolare

l’ampiezza del mercato rilevante, attraverso il test, è però possibile osservare la

variazione dei mezzi disponibili per gli utenti. Lo possiamo fare misurando il grado

di sostituibilità tra due o più mezzi e verificarne così l’appartenenza al medesimo

mercato. Ad esempio se abbiamo due mezzi, 1 e 2, avremo un certo grado di

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17

sostituibilità se all’aumentare del numero degli operatori di 1 si verifica una riduzione di 2; allora sono considerati beni sostituti (Mangani, 2013).

1.1.6 Gli indici di concentrazione

Normalmente per calcolare l’indice di concentrazione di un mercato si deve tenere conto del numero e delle dimensioni delle imprese. Uno dei possibili modi per calcolare l’indice di concentrazione di un mercato è il calcolo del Cr, che prende in considerazione le quote di mercato delle quattro o massimo cinque aziende principali presenti sul mercato. Il risultato varia tra 0 e 1; lo 0 ci indica una concorrenza perfetta mentre l’l rappresenta una situazione di monopolio:

dove rappresenta la quota di mercato dell’impresa -esima delle imprese presenti sul mercato (si prendono in considerazione solo le prime quattro o cinque più grandi) le cui dimensioni complessive sono pari a .

Un risultato più attendibile si può ottenere con il calcolo dell’indice di Herfindahl- Hirschman (comunemente chiamato HHI), che è dato dalla somma delle quote di mercato al quadrato di tutte le imprese presenti sul mercato (Mangani, 2013), e non solo di quelle più grandi. Come il Cr, anche l’HHI varia anche questo tra 0 e 1:

dove indica la quota di mercato dell’impresa -esima elevata al quadrato.

Il livello di concentrazione di un mercato dipende in larga misura da quelle che sono

le barriere all’entrata; queste possono essere di diversa natura. Esistono diversi tipi di

barriere: legali, tecnologiche e strategiche di cui tratterò nel paragrafo 1.3. Il

prossimo paragrafo, affronta il tema, molto importante, relativo alla differenziazione

dei contenuti nei mass media, il grado di pluralismo presente, e come i consumatori

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18

orientano le loro preferenze; tutto questo analizzando in particolar modo il mercato

televisivo che rappresenta l’oggetto di studio di questa tesi.

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1.2 La differenziazione dei contenuti nei media ed in particolare sul mezzo televisivo

In questo paragrafo vengono descritti i vari modelli di differenziazione del prodotto e dei contenuti che si possono riscontrare nel mercato dei media. I mass media, infatti, non offrono contenuti omogenei, ma tendono alla differenziazione, perché, da un lato, le piattaforme media cercano di offrire contenuti originali e per quanto possibile unici, differenziandosi dai propri concorrenti; dall’altro, le condizioni di vendita, gli effetti delle campagne pubblicitarie e la localizzazione dei distributori fanno percepire differenziati i prodotti con marchi diversi.

1.2.1 I modelli di differenziazione del prodotto

In economia industriale si hanno due modelli per studiare la differenziazione del prodotto. Il modello del “consumatore rappresentativo” e quello di “localizzazione”.

Nel primo modello, le preferenze dei consumatori sono date dalla funzione di utilità, e il consumatore trae utilità dalla somma delle quantità di beni acquistati e consumati (Mangani, 2013); di norma questa situazione si presenta in casi di concorrenza monopolistica, dove vi sono molte imprese concorrenti sul mercato che offrono beni differenziati e non sostituibili; i consumatori riescono ad avere una varietà maggiore di prodotti ma a prezzi più alti. Nel modello di “localizzazione”, l’utilità del consumatore non dipende dalla quantità dei beni acquistati ma dalle loro caratteristiche, e si può parlare sia di differenziazione orizzontale che verticale.

La differenziazione orizzontale è una situazione in cui i consumatori a parità di

prezzo hanno una loro preferenza specifica di un determinato prodotto (ad esempio

un consumatore può preferire un divano con penisola ed altri senza). Nel modello di

differenziazione verticale i consumatori concordano nel ritenere un prodotto migliore

di un altro (ad esempio, tutti i consumatori preferiscono una moto che percorre 15

km con un litro di benzina piuttosto che una che ne percorre 8). Il consumo della

moto in questo caso rappresenta una caratteristica “verticale”; si utilizza il concetto

di “qualità” per descriverla. I consumatori sono però eterogenei, e la loro

disponibilità a pagare per la qualità dipende dal reddito disponibile (Mangani, 2013).

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1.2.2 La differenziazione nei media

La differenziazione all’interno del settore dei media è molto ampia, e si possono trovare una miriade di contenuti eterogenei all’interno di un medesimo mezzo; per esempio quando si guarda un network tv o si ascolta la radio è possibile incontrare molti tipi di diversi di contenuto: notizie giornalistiche, film di vario genere, diversi tipi di show, previsioni meteo etc; i mass media cercano di aggregare le preferenze del maggior numero possibile di utenti e attrarre così maggiori investimenti pubblicitari. Ogni mezzo cerca di differenziarsi dagli altri proponendo contenuti diversi e se possibile originali. Si cerca di mantenere l’originalità anche quando si hanno programmi con contenuti molto simili; in questo caso si ricerca l‘originalità nella presentazione per differenziarsi dai concorrenti.

Il mercato televisivo è solitamente abbastanza concentrato e vi sono poche imprese che detengono la maggior parte delle quote di mercato; in relazione alla differenziazione dei contenuti, normalmente dovrebbe accadere che all’aumentare degli operatori di una determinata piattaforma aumenti la differenziazione dei contenuti, la varietà dei programmi e la possibilità di vedere soddisfatte le proprie esigenze anche per un pubblico minoritario che ha preferenze di nicchia; ma, ad esempio, nella televisione commerciale questo non accade e si tende ad una duplicazione competitiva dei contenuti. La tv commerciale fonda gran parte dei propri guadagni sui ricavi derivanti dalla pubblicità, perciò la volontà è quella di conquistare il maggior numero di utenti, producendo programmi che attraggano il grande pubblico di massa a cui sono interessati maggiormente gli investitori pubblicitari. Purtroppo in questo modo le esigenze e preferenze di un pubblico di nicchia hanno minori possibilità di essere soddisfatte. A tal proposito si parla di

“preference externalities” per indicare l’influenza esercitata da gruppi numerosi e

omogenei di utenti sulla probabilità che gruppi più ristretti vedano soddisfatte le

proprie preferenze (Mangani, 2013). In generale, quando aumenta la varietà di beni e

servizi ci si aspetta che i consumatori siano maggiormente soddisfatti e che le loro

preferenze siano coperte, ma tra emittenti televisive commerciali che derivano

principalmente i loro ricavi dalle entrate pubblicitarie, vi è un’ampia competizione

che si mostra attraverso una duplicazione di contenuti e un minimo grado di

differenziazione. L’obbiettivo principale è quello di massimizzare l’audience

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andando ad incrementare i ricavi che provengono dalla vendita di spazi pubblicitari.

Queste affermazioni valgono se non si considera la possibile avversione degli utenti alla pubblicità che è comunque una questione da non sottovalutare; inoltre anche gli inserzionisti potrebbero essere interessati a certi tipi di utenti con determinate caratteristiche socio-demografiche; ci sono quindi molti elementi da tenere in considerazione. La presenza accanto alle televisioni commerciali di un servizio pubblico televisivo viene anche dall’esigenza di voler soddisfare le preferenze di un pubblico di nicchia che altrimenti non vedrebbe soddisfatte le proprie aspirazioni. Le trasformazioni tecnologiche avvenute negli ultimi anni hanno cambiato in parte la situazione precedente. Lo sviluppo della televisione via cavo e della televisione satellitare e, infine, il recente passaggio dalla tv analogica alla tv digitale, hanno permesso un aumento dei canali disponibili e hanno cambiato il panorama televisivo aumentando notevolmente la quantità e la varietà dei contenuti potendo cosi soddisfare le esigenze anche di pubblici più ristretti che hanno preferenze meno popolari; gli sviluppi tecnologici recenti hanno inoltre aumentato il grado di pluralismo presente sulle reti. Affinché questa tendenza continui nel tempo ad aumenti ancora di più il grado di differenziazione dei contenuti, evitando in questo modo inutili duplicazioni, le emittenti televisive devono essere maggiormente indipendenti dai ricavi degli inserzionisti pubblicitari e puntare sui ricavi derivanti dal versante degli utenti evitando così che si ricreino situazioni nelle quali vengono soddisfatte solo le preferenze dei gruppi maggioritari con preferenze omogenee. Nei casi in cui è minore la differenziazione e quindi sono presenti contenuti omogenei destinati ad un pubblico di massa la concorrenza di prezzo sul versante degli utenti è maggiore; al contrario con contenuti diversi è possibile che si crei una minore concorrenza di prezzo.

Un elemento importante utilizzato per verificare il livello di differenziazione è l’analisi del pluralismo

3

, termine legato indissolubilmente al concetto di democrazia.

L’aumento dei canali disponibili non ha fermato i fenomeni di proliferazione del prodotto dovuti all’azione delle imprese già presenti sul mercato (gli incumbent) che

3 Si parla di pluralismo esterno quando ci si riferisce alla varietà di offerta di un mercato, cioè quanti soggetti forniscono informazione e intrattenimento e se i singoli operatori agiscono in autonomia oppure se si coordinano riducendo la diversità dell’offerta. Per pluralismo interno invece si intende la varietà di contenuti presente all’interno del singolo mezzo.

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hanno approfittato della maggiore disponibilità di canali per coprire lo spazio delle preferenze degli ascoltatori e disincentivare l’entrata ad altre imprese che magari avrebbero voluto affacciarsi sul mercato (Mangani, 2013); la proliferazione del prodotto per cercare di accaparrarsi il maggior numero possibile di utenti è una tipica barriera all’entrata di tipo strategico praticata dalle imprese che da tempo sono presenti sul mercato.

Nell’affrontare la differenziazione, con particolare attenzione al mezzo televisivo, bisogna anche considerare quello che è il timing delle trasmissioni televisive e degli spot televisivi. Un programma trasmesso durante la notte non ha lo stesso pubblico di un programma trasmesso alle cinque del pomeriggio, quindi le piattaforme sceglieranno cosa programmare e quando in base anche a quello che è il potenziale pubblico di ascoltatori. Nello stesso modo prendono queste decisioni anche gli inserzionisti pubblicitari; ad esempio uno spot che viene inserito prima o durante uno show in prima serata ha maggiori possibilità di essere visto piuttosto che uno spot mandato in onda dopo la mezzanotte. Gli inserzionisti pubblicitari, oltre a cercare di attrarre più utenti possibili, si preoccupano molto della tempistica dei messaggi pubblicitari. In radio o in televisione è facile per un utente nel momento in cui c’è della pubblicità cambiare stazione radio o canale tv; alcune emittenti televisive e radiofoniche, per risolvere questo problema, hanno addirittura pensato alla possibilità di sincronizzare i messaggi pubblicitari. Alcune piattaforme però, soprattutto quelle che si affacciano per la prima volta sul mercato, non vogliono praticare questo tipo di strategia ma anzi si vogliono rendere riconoscibili e differenziarsi dalle altre emittenti; inoltre la sincronizzazione potrebbe provocare un’azione esterna da parte dell’utente che infastidito dalla presenza della pubblicità può propendere per spengere la tv o la radio e fare una qualche altra attività; il risultato potrebbe essere un abbassamento dell’audience e del prezzo degli spazi.

Con il termine differenziazione verticale si indica il caso in cui tutti i consumatori

sono d’accordo nel ritenere un prodotto migliore di un altro. Nel mercato dei media

proprio per la sua particolarità ci possono essere delle differenze. I consumatori sono

eterogenei: ad esempio, per un utente può essere migliore qualitativamente un

programma televisivo caratterizzato da poche interruzioni pubblicitarie, mentre per

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un altro utente un programma viene considerato di qualità in base al grado di diversificazione dei contenuti o al livello di pluralismo presente.

1.2.3 Il “Media Bias”

Un’altra forma di differenziazione dei contenuti utilizzata dai media è il “media bias”;

il termine indica una distorsione deliberata delle informazioni al fine di generare una determinata reazione negli utenti (Mangani, 2013); il “media bias” può consistere in una mancata diffusione di informazioni da parte di un media oppure la scelta di dare spazio a determinate informazioni nascondendone altre. Le motivazioni per cui una piattaforma media decide di arrivare a distorcere le informazioni possono essere diverse: volontà di conquistare il maggior numero possibile di utenti, attraverso la trasmissione di contenuti popolari che attirano gruppi di utenti più numerosi; può anche esserci la volontà di mantenere costante il proprio pubblico, confermando le sue aspettative. Se ad esempio un certo quotidiano è acquistato principalmente da persone con un orientamento di sinistra, il quotidiano tende a confermare questo orientamento al momento della sua redazione. Ci può essere anche un “bias” nei confronti degli inserzionisti più importanti: vengono enfatizzate le notizie positive che li riguardano e omesse quelle negative. In questo modo si hanno maggiori investimenti pubblicitari da parte degli inserzionisti. Il “media bias”, oltre ad avere obbiettivi economici, può avere anche motivazioni politiche dovute al legame tra esponenti politici e media. Quando in un mercato vi sono molti operatori è necessariamente presente un alto livello di pluralismo esterno. La distorsione delle notizie diventa quindi difficile perché è maggiore la probabilità di essere scoperti. In definitiva le forme di differenziazione dei contenuti ci aiutano a capire le strategie attuate dalle imprese per cercare di diversificare la loro offerta rispetto ai concorrenti, attraverso un’offerta di contenuti originali per attirare il maggior numero possibile di utenti, sperando in questo modo di poter incrementare i ricavi derivanti dagli inserzionisti; le piattaforme media devono però tenere in considerazione le preferenze dei consumatori, la loro percezione di “qualità”e la loro disponibilità a pagare, che possono orientarli verso un prodotto piuttosto che un altro.

Nel mercato televisivo, dove ci sono poche imprese che si spartiscono il mercato, la

differenziazione dei contenuti è molto contenuta; si assiste infatti ad una

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24

duplicazione dei contenuti per cercare di attrarre i gruppi di utenti con preferenze

popolari; il rischio è che vengano lasciate insoddisfatte le preferenze dei gruppi

minoritari. La concentrazione dei mercati è una conseguenza della presenza di

barriere all’entrata, che limitano le possibilità a nuove imprese di potersi affacciare

sul mercato per la prima volta, perché scoraggiate dalle condizioni vantaggiose in cui

si trovano gli incumbent (le imprese già presenti sul mercato). Le barriere all’entrata

possono avere varia natura, ed è proprio di questo che tratterà il prossimo paragrafo.

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1.3 Le barriere all’entrata nel mercato dei media

L’obbiettivo di questo paragrafo è cercare di spiegare come mai il mercato dei media è caratterizzato dalla presenza di poche imprese che si spartiscono il mercato ed è per questo molto concentrato; e quali sono le ragioni che rendono difficile l’entrata a nuove imprese che vorrebbero affacciarsi nel mercato dei media per la prima volta.

La maggior parte dei mercati in questo settore hanno una struttura oligopolistica, caratterizzata dalla presenza di poche imprese che si spartiscono il mercato; i prodotti possono essere sia omogenei che differenziati; inoltre questi mercati sono caratterizzati da elevate barriere all’entrata. Una barriera all’entrata è un’asimmetria che si verifica tra le imprese che sono già presenti sul mercato e le imprese che ne sono fuori. Le barriere all’entrata in un mercato possono essere di diversa natura:

legali, strategiche e tecnologiche. In questo caso si prendono in considerazione i diversi tipi di barriere all’entrata in relazione al mercato dei media.

1.3.1 Le barriere tecnologiche

Le barriere di tipo tecnologico dipendono dalle tecnologie di produzione e di distribuzione utilizzate dalle piattaforme media; la condizione in cui si trovano le imprese che da tempo sono presenti sul mercato come, ad esempio, il possesso di un brevetto, il know-how accumulato nel corso degli anni, presenza di tecnologie molto efficienti che riducono i costi di produzione, rendono impossibile alle imprese entranti potersi dotare della tecnologia necessaria per avviare la produzione. Le imprese già presenti sul mercato beneficiano della presenza di economie di scala, o rendimenti di scala crescenti, vale a dire i costi medi totali diminuiscono all’aumentare del livello di produzione e questo implica costi marginali inferiori ai costi medi. La presenza di economie di scala si crea in concomitanza di elevati costi fissi nel produrre un determinato prodotto ed è quello che accade nelle industrie dei media dove inizialmente per creare un prodotto l’impresa deve sostenere alti costi fissi. I costi fissi ad esempio in un programma televisivo comprendono tutte le spese relative alla scelta della sceneggiatura, il budget del regista, il salario degli attori.

Nei media si sottolinea quindi l’importanza della “prima copia”. Una volta realizzati

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i contenuti, la distribuzione e la trasmissione di essi hanno un costo più basso e diminuiscono i costi medi di lungo periodo all’aumentare del numero degli utenti.

Non necessariamente costi fissi elevati creano un’asimmetria tra incumbent e impresa entrante. La barriera all’entrata è posta più che altro da quella che è l’esperienza accumulata, dal grado di specializzazione e dalla divisione del lavoro presente nelle imprese già presenti sul mercato e che quindi riescono a ridurre i costi unitari di produzione, prospettiva non eguagliabile da parte di un’impresa che si affaccia sul mercato per la prima volta. Le economie di scala nelle imprese della comunicazione sono il risultato della natura di bene pubblico dei suoi prodotti.

1.3.2 Le barriere legali

Per barriere legali si intendono tutte quelle restrizioni all’entrata che sono poste dallo Stato o da altre autorità di regolazione. Lo Stato interviene modificando la struttura di mercato, decidendo l’assegnazione delle frequenze, la fissazione di quote massime di mercato e delle partecipazioni incrociate. E’ in questo ambito che si inserisce il servizio pubblico televisivo di cui tratterò in seguito. Lo Stato interviene anche per ciò che riguarda la raccolta pubblicitaria e la transizione tecnologica.

1.3.3 Le barriere strategiche

Per barriere strategiche si intendono tutte quelle strategie utilizzate dagli incumbent per limitare l’entrata ad altre imprese, come l’utilizzo di politiche di prezzo aggressive, la differenziazione del prodotto, le strategie di fidelizzazione del clienti, le campagne pubblicitarie ossessive e la proliferazione dei prodotti (Mangani, 2013).

Ci si riferisce alla strategia di proliferazione del prodotto quando le poche imprese che già sono presenti all’interno del mercato cercano di diversificare al massimo il prodotto offerto per soddisfare le preferenze del maggior numero possibile di utenti;

tutto questo è possibile attraverso lo sfruttamento di economie di gamma o di scopo,

che permettono di ottenere, tramite una multi- produzione, un risparmio dovuto alla

natura di bene pubblico di alcuni fattori di produzione. Le economie di scopo

permettono di condividere costi generali o altri guadagni di efficienza che rendono

meno costoso produrre e vendere insieme invece che separatamente due prodotti

collegati tra loro (Doyle, 2012). In una situazione come quella appena descritta, dove

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vi sono poche imprese che riescono a soddisfare la maggior parte delle preferenze degli utenti attraverso strategie di proliferazione del prodotto, si crea un disincentivo a far sì che entrino sul mercato nuove imprese che non sarebbero in grado di competere con quelle già presenti sul mercato. Le imprese che si trovano sul mercato da più tempo e che hanno sviluppato economie di scala e di scopo si basano sul riconoscimento del marchio e sulla fedeltà dei consumatori, per cui i nuovi entranti devono sostenere un costo molto elevato in spese pubblicitarie e promozioni per farsi conoscere e catturare l’attenzione dei consumatori.

1.3.4 Strategie d’impresa

Un altro modo in cui le imprese cercano di mantenere alto il livello di concentrazione del mercato ed impedire l’entrata a nuovi concorrenti è il ricorso ad operazioni di concentrazione orizzontale, verticale e diagonale.

Il sistema di produzione di un’impresa si basa sulla vertical supply chain, per cui la produzione di un determinato prodotto o servizio è caratterizzata dalla presenza di più fasi, distinte tra loro ma anche profondamente interrelate (Doyle, 2012). Nella produzione di un prodotto esistono diverse fasi: la prima fase è la produzione del contenuto, nella seconda il contenuto viene assemblato per creare un unico prodotto, la terza è quella della distribuzione del prodotto. Quando una sola impresa controlla tutte e tre le fasi della produzione, le imprese concorrenti potrebbero avere difficoltà a competere e aumenta così il grado di concentrazione del mercato. Si parla di concentrazione orizzontale quando abbiamo un’unione tra due imprese concorrenti nello stesso settore (Carlton, Perloff, 2005) e fusioni verticali quando si uniscono imprese che operano a stadi successivi del processo produttivo.

Le operazioni di concentrazione orizzontale uniscono entità giuridicamente separate.

Attraverso operazioni di questo tipo, concluse tra imprese concorrenti, il mercato diventa più concentrato. Le motivazioni per cui si procede a questo tipo di operazione sono: la possibilità di realizzare una riduzione dei costi totali grazie allo sfruttamento di economie di gamma

4

, e aumentare l’efficienza complessiva della produzione. La nuova impresa che si viene a creare grazie all’operazione di concentrazione orizzontale ha una quota di mercato maggiore e più indipendenza

4 Le economie di gamma si creano quando si ha una riduzione dei costi totali grazie alla produzione di due o più beni insieme anziché separatamente da parte di un’impresa.

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decisionale e ha inoltre la possibilità di praticare un prezzo superiore al costo marginale.

Le operazioni di integrazione verticale possono essere di due tipi: integrazione a valle e a monte. La prima consiste in un controllo da parte dell’azienda di uno stadio successivo rispetto a quello che già ricopre, la seconda invece permette all’impresa il controllo di uno stadio precedente al proprio. Le operazioni di concentrazione verticale hanno il vantaggio di abbattere i “costi di uso del mercato”: ad esempio, la raccolta di informazioni, la negoziazione necessaria per raggiungere un accordo, il rispetto delle norme contrattuali. L’integrazione verticale grazie allo scambio di input intermedi tra entità giuridicamente separate crea guadagni di efficienza per l’impresa, e fornisce un maggiore poter di mercato alle imprese che hanno realizzato la fusione.

La nuova impresa ha un elevato potere decisionale e può decidere di comportarsi in maniera più indipendente.

Un’espansione diagonale ha luogo quando un’impresa decide di diversificare la propria attività in nuove aree di affari (Doyle, 2012). Un esempio può essere un’impresa di telecomunicazioni che decide di entrare nel mercato televisivo.

Qualsiasi tipo di operazione di concentrazione venga messo in atto da parte di un’impresa, avremo un aumento del grado di concentrazione del mercato e un incremento della forza detenuta dagli incumbent, e questo rende molto difficile l’entrata a nuove imprese sul mercato.

Per quanto riguarda il mercato televisivo, le nuove tecnologie che si sono sviluppate negli ultimi anni, la tv via cavo, via satellite, e per ultima la tv digitale hanno eliminato il problema della scarsità delle frequenze e aperto il mercato a nuovi fornitori di servizi. Questo però, almeno per il caso italiano, non ha portato ad un aumento del grado di concorrenza, ma ha incentivato le imprese presenti da più tempo ad adottare strategie di proliferazione del prodotto ed altre strategie per cercare di impedire l’entrata sul mercato a nuovi concorrenti e mantenere il mercato quanto più possibile concentrato.

Il prossimo capitolo si occuperà della nascita della televisione, come si è sviluppata

ed evoluta, dalla prima volta che è apparsa fino ad oggi e quali sono i cambiamenti

tecnologici che si prospettano in futuro. Prima di parlare di come è nato il mezzo

televisivo, il paragrafo 2.1 cerca di descrivere la natura di bene pubblico del

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29

broadcasting, premessa necessaria prima di spiegare nel dettaglio come funziona il

sistema, perché è proprio la natura di bene pubblico del prodotto televisivo che ne ha

connotato la storia, l’evoluzione, la regolamentazione e quella che è la situazione

attuale soprattutto per quanto riguarda i Paesi Europei.

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Capitolo 2 La televisione 2.1 Il broadcasting come bene pubblico

L’obbiettivo di questo paragrafo è quello di spiegare la natura di bene pubblico del broadcasting; come è nato e il perché viene considerato tale, quali sono le caratteristiche che contraddistinguono un bene pubblico rispetto ad un bene privato, quali sono le motivazioni che portano ad un fallimento del mercato in presenza di beni pubblici. Il paragrafo cercherà di dare delle risposte a queste domande.

Radio e televisione, dal punto di vista tecnico e dell’evoluzione del mezzo, presentano caratteristiche comuni, tanto che si può parlare di un unico modello diffusivo: il broadcasting (Preta, 2010); il termine broadcasting significa

“trasmissione circolare” o “diffusione larga” e fa riferimento ad un tipo di comunicazione unidirezionale, che avviene da uno a molti. Questo la distingue dalla comunicazione bi-direzionale, punto a punto delle classiche telecomunicazioni. Nei modelli di broadcasting si ha la presenza di un trasmettitore che manda segnali a dei ricevitori, i quali ricevono il segnale e lo trasmettono. Quella del broadcasting è una caratteristica tipica dei mezzi di comunicazione di massa analogici ed elettrici che nel corso del XX secolo, prima con l’invenzione della radio e poi della televisione, si sviluppano in tutte le economie più avanzate, grazie alla trasmissione vie etere (attraverso le onde radio) di un segnale, che riesce a raggiungere le abitazioni di ogni persona ovunque sia la presenza di un apparecchio o un’antenna installati. La televisione, che è l’oggetto della nostra analisi, si differenzia dalla radio, che ne ha anticipato la nascita, perché caratterizzata, oltre che dalla trasmissioni di suoni, anche dalla presenza di immagini in movimento.

I contenuti radiotelevisivi hanno la caratteristica di bene pubblico, ma prima di

parlare nello specifico del prodotto televisivo e delle sue particolarità, sarà spiegato

brevemente che cosa si intende in economia per bene pubblico e perché è considerato

come una delle cause di fallimento del mercato. I beni pubblici (come vedremo)

creano un malfunzionamento del libero mercato nella loro erogazione, perciò sono

distribuiti grazie all’intervento dello Stato.

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