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Conclusione. Al termine di un cammino nella memoria.

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Academic year: 2021

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Conclusione.

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Con l’immagine della Gerusalemme Celeste si conclude il nostro itinerario mnemonico, finalizzato ad ammirare le architetture mentali del tardo Cinquecento e che ha avuto inizio nel grembo dell’ameno giardino edenico e ha attraversato poi il magnifico anfiteatro del mondo. Questa “relazione di viaggio” documenta una serie di costruzioni poco conosciute ma di rilevante interesse, progettate da intellettuali o da

sapientes architecti che, trovandosi improvvisamente sommersi da una congerie di

informazioni, provarono a offrire i mezzi per gestirle. La trasformazione radicale dell’ordine architettonico tradizionale del sapere, che si veniva sviluppando proprio nel periodo preso in considerazione, è necessariamente accompagnata dalla revisione e l’aggiornamento anche della struttura mentale. In altre parole, per fabbricare una nuova architettura del pensiero che fosse adeguata al rinnovato clima intellettuale, era anche necessario costruire nuovi edifici mentali.

Si tratta di una tipologia architettonica particolare che può essere al tempo stesso mentale e fisica e che, sfruttando i precetti mnemonici, offre gli schemi di una complessa costruzione concettuale capace di raccogliere, ordinare e far memorizzare il sapere che di giorno in giorno andava ampliandosi in modo esponenziale. Abbiamo definito questo tipo di costruzione mnemonicamente costruita “architettura cinetica”, sulla base delle caratteristiche di mobilità dei suoi spazi e dei dinamici effetti cognitivi da essa prodotti.

Per comprendere pienamente la fecondità della res aedificatoria della prima modernità, ritengo sia dunque necessario prenderne in considerazione anche gli aspetti gnoseologici e “cinetici”. Ciò vale a dire che chiunque provi a dipingere un quadro comprensivo ed esauriente della cultura architettonica dell’epoca, non riuscirà a raggiungere lo scopo senza rivolgere gli occhi verso l’“altra metà” celata nella mente, la splendida città virtuale, considerata nel suo insieme, come in una scena panoramica, o nei suoi singoli componenti quali sontuosi palazzi classici, ampie piazze porticate e piacevoli giardini geometrici che prendevano forma nel mondo interiore degli intellettuali di formazione e gusti umanistici. La specificità di questi edifici nella storia dell’architettura risiede nel fatto che non derivavano da fantasie arbitrarie ma si basavano saldamente sia su modelli realizzati concretamente nel mondo fisico sia sulla teoria architettonica coeva. Il rapporto tra mondo materiale e quello mentale non si è certamente sviluppato in un’unica direzione ma, come abbiamo cercato di dimostrare attraverso gli esempi illustrati nei precedenti capitoli, si basa su una relazione reciproca che può addirittura essere rovesciata.

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ideale per riflettere sul modo di rappresentare il sapere enciclopedico in spazi mnemonicamente costruiti. Il giardino dei fiori, caratterizzato dall’organizzazione spaziale rigorosamente controllata in virtù della combinazione tra numeri e geometria, non è altro che un’applicazione dell’arte della memoria locale dello stesso Del Riccio agli spazi del giardino. È una zona in cui riecheggia chiaramente il modo scientifico di gestire il sapere da parte dell’autore. Il grande “bosco regio” che comprende le trentadue grotte, invece, sembra a prima vista una “sylva” labirintica formata da un caotico accumulo di nozioni. Tuttavia l’attenta lettura della struttura delle singole grotte ci permette di interpretarle come una “materializzazione” di topoi mentali e, di conseguenza, possiamo considerare questo bosco come uno spazio emblematico in cui si intravede, come in filigrana, il processo conoscitivo, basato sulla topica e la mnemotecnica, messo effettivamente in atto nella mente del domenicano fiorentino.

Le aiuole geometriche progettate dal gesuita Giovan Battista Ferrari suggeriscono poi, con i loro compartimenti a pianta stellare e coi precetti di “astro-giardinaggio” praticati dall’autore, la relazione privilegiata che intercorre fra giardino e cielo. Si tratta di un bell’esempio, dunque, dopo quello di Del Riccio, che dimostra come spesso il giardino formale funga da contenitore geometrico in cui travasare le idee dell’epoca. Le aiuole ferrariane, contrassegnate da numeri e corredate di un libretto che agevola la consultazione delle piante ivi coltivate, ci mostrano inoltre quanto fosse efficace il metodo “mnemonico” simile a quello delricciano di gestire gli spazi del giardino, tanto da essere ancora valido nel clima scientifico assai avanzato della Roma dei primi decenni del Seicento in cui spiccava l’attività della Accademia dei Lincei.

Il grande anfiteatro del mondo del medico belga Samuel von Quiccheberg, ideato in un ambiente intellettuale fortemente influenzato dalla cultura mnemonico-enciclopedica italiana, ci permette quindi di analizzare più da vicino, rispetto agli esempi precedenti, l’aspetto cognitivo e gnoseologico degli spazi architettonici cinetici. Si tratta di un museo universale concepito in stretto rapporto con il meccanismo dell’“animus” grazie all’applicazione della teoria dei “luoghi comuni” all’organizzazione degli oggetti raccolti. Le cinquantatre categorie classificatorie del teatro, ossia le inscriptiones, svolgono infatti un ruolo simile a rubriche, ovvero loci, come riferimenti indicali nei libri stampati dei luoghi comuni cinquecenteschi. Questo processo rende possibile paragonare l’intero spazio del museo con un grande libro e gli oggetti raccolti con le frasi scritte. La metafora della “scrittura” ci permette, inoltre, di mettere questo teatro in relazione sia con la “methodus” umanistica che con la mnemotecnica dell’età della stampa, le due discipline principali della “scienza dei luoghi mentali” della prima modernità che aveva una forte attinenza con

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l’organizzazione del sapere enciclopedico. Collocare qualcosa in un determinato luogo del museo equivale a registrare qualche informazione in un certo locus mentale. Il medico belga realizza così un edificio che si può definire, ancora una volta, “cinetico”, in cui il percorrere l’interno del museo, osservando gli oggetti classificati sotto le

inscriptiones, corrisponde ad un processo cognitivo che consiste nella scansione, con gli

“occhi della mente”, dei dati disposti nei luoghi mentali a seconda del loro soggetto. Infine, la serie dei loci mnemonici descritta dal frate domenicano Cosma Rosselli costituisce una grande impalcatura concettuale in cui viene rappresentata una visione teologica del mondo. L’organizzazione dei luoghi della memoria, che si estende dall’“orribile” Inferno fino alle luci del Paradiso Celeste, è ideata in modo da corrispondere alla struttura del creato, cosicché nella coerenza dei luoghi mnemonici si realizza al tempo stesso la coerenza del mondo reale. Questa serie di loci, che esemplifica una gerarchia del sapere che parte da Dio e degli spiriti celesti e passa quindi al mondo umano per arrivare infine alle pietre, si configura come una visione statica di un’enciclopedia di taglio prettamente medioevale, quale lo Speculum di Vincenzo di Beauvais. Tuttavia i “loca communia” rosselliani, organizzati in modo che quelli grandi comprendono sempre quelli minori, ricordano un analogo modo di ordinare le conoscenze di impronta ramista, che dispone il sapere sulla pagina stampata così da riprodurre il modo di procedere della mente nella suddivisione del problema considerato, dal generale al particolare. Infatti possiamo considerare ogni singolo elemento dei loca communia di Rosselli rappresentato dalle stereotipate immagini basate sui libri dei luoghi comuni quale l’Officina di Textor, come griglia interpretativa e classificatoria dell’argomento, oltre che a semplici contenitori neutri della memoria. Così il mundus mnemonicus rosselliano si presenta quasi come un modello di “banche dati” estremamente dinamico, capace di confrontare, teoricamente, un numero infinito di informazioni, tramite la continua suddivisione “metodica” del soggetto. In definitiva, esso altro non è che lo stesso sistema utilizzato dai libri coevi dei loci communes.

Mette conto sottolineare che tutte le costruzioni che abbiamo analizzato, pur dipendendo in parte dall’arbitrarietà della nostra scelta della materia, mostrano una forte attinenza con i loci mentali, presentandosi a volte come la loro “materializzazione” nel mondo fisico. Ne consegue che nella tipologia architettonica da noi definita “cinetica”, finalizzata all’organizzazione del sapere, possono confluire diverse correnti di pensiero coeve che si sviluppavano intorno al concetto dei luoghi mentali. Infatti, oltre alla mnemotecnica e all’enciclopedismo che costituiscono la base di quasi tutti gli spazi analizzati, abbiamo visto la traduzione tridimensionale dell’emblema e dell’impresa

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nelle grotte di Del Riccio e l’applicazione della “methodus” umanistica e della dottrina dei loci communes ai progetti di Quiccheberg e di Rosselli. L’importanza e il valore dell’idea di architettura cinetica, che richiede, perché sia pienamente compresa, lo stesso approccio della cosiddetta stoira intellettuale, stanno proprio nella sua polivalenza semantica e nel carattere pluridisciplinare che mostrano lo stretto rapporto tra idea e spazio. Potremmo dunque trovare simili tipologie architettoniche in ogni determinato periodo storico, anche se cambieranno l’aspetto e le funzioni a seconda del concetto del sapere definito dalle concezioni dell’epoca.

Non meno importante, da questo angolo visuale, è il fatto che tutti i nostri esempi prediligano gli spazi di forma rotonda o poligonale. Infatti discipline che con i secoli andavano specializzandosi e divaricandosi, avevano all’epoca una stretta propinquità concettuale. Tale integrazione formava l’armonioso circolo delle conoscenze che era espresso simbolicamente nella classica figurazione delle Muse che danzano in cerchio. L’idea dell’enciclopedia umanistica richiede adeguate forme architettoniche che ne rendano agevole la rappresentazione spaziale.

Ciò che ci interessa di più è, però, la funzione cognitiva svolta da tali spazi. Alcuni enciclopedisti e teorici della mnemotecnica della prima modernità non si contentavano di conservare ed accumulare staticamente il sapere, ma piuttosto provarono a offrire modelli dinamici, capaci di produrre nuove conoscenze. In altre parole, la composizione armoniosa e coordinata di ciò che si sa può fungere anche da schema euristico, cioè da modello previsionale ed anticipatore di ciò che non è ancora noto. È proprio questo lato “inventivo” dell’enciclopedismo e della mnemotecnica a costituire l’aspetto più suggestivo degli esempi da noi esaminati, che possono essere presentati anche come proiezioni della struttura psichica.

Gli effetti inventivi che avrebbero potuto essere realizzati dall’applicazione dei precetti mnemonici alla composizione del giardino sono descritti, pur indirettamente, da Agostino Del Riccio che immagina le animate discussioni tra genitori e pargoli sui temi rappresentati nelle grotte del bosco regio. Un esempio ancora più incisivo sotto questa angolazione è offerto da Samuel von Quiccheberg che progetta il suo museo ideale destinato all’archiviazione e reperimento delle informazioni. Come dichiara eloquentemente il titolo stesso dell’opera, chi frequenta questo teatro universale potrebbe ottenere, in modo rapido, facile e sicuro, un’ammirevole saggezza. L’autore sottolinea poi gli effetti cognitivi del museo che permette ai visitatori di concepire nell’“animus” qualcosa di nuovo da investigare, attraverso l’osservazione degli oggetti corredati dei nomi classificatori e la consultazione degli articolati alberi diagrammatici. Dallo stesso punto di vista, pur non essendo edifici fisici, possiamo valutare anche la

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serie di loca communia di Cosma Rosselli. In questo caso la disposizione “metodica” dello scibile visualizzato e la sua perfetta comprensione condurranno in fine al congiungimento con Dio, condizione cognitiva inconcepibile se si rimane nella caotica “sylva” terrestre di non ordinate nozioni.

Come suggerisce gran parte degli studi recenti dedicati alla mnemotecnica, non si può assumere l’esistenza oggettiva di una memoria “statica”. Si suppone invece che ogni volta che qualcosa viene ricordato, la memoria venga ricreata. L’arte della memoria manifesta il suo vero aspetto produttivo quando riesce a suggerire un nuovo collegamento tra i dati memorizzati. Si tratta della “memoria creativa” e proprio in questa prospettiva risiede la potenzialità infinita della ricerca dell’arte della memoria. Alcuni tipi di edifici o costruzioni, sia mentali che fisici, dunque, sono in grado di favorire ed amplificare questo aspetto creativo della memoria. Gli esempi da noi trattati suggeriscono la necessità di riesaminare quanto sia valida la collocazione delle conoscenze negli spazi architettonici ben ordinati, per la visualizzazione delle complicate correlazioni tra esse esistenti, assicurando una facile “navigabilità” delle informazioni per chi percorre tali spazi.

Il giardino di Del Riccio, il teatro di Quiccheberg e la Città Celeste di Rosselli costituiscono, dunque, la fase più matura ed elaborata nella lunga tradizione del sistema mnemonico dei luoghi e delle immagini, finendo per proporre spazi peculiari, ricchi di elementi di sostegno per il concetto di architettura cinetica. Sfruttando al massimo gli effetti cognitivi prodotti dalla sinergia di spazi, immagini e parole, tali costruzioni agevolano il processo psichico di memorizzazione e di reperimento dei dati e di conseguenza fungono persino da tramite per la percezione e la comprensione della realtà. Pur non essendo mai stata presa in grande considerazione dagli studiosi, l’architettura cinetica ci fa vedere nel modo più diretto quanto la res aedificatoria fosse suscettibile dello spirito dei tempi e quanto essa abbia contribuito, dal canto suo, alla fabbricazione della nuova architettura mentale della prima modernità, epoca in cui la percezione del mondo si andava drasticamente trasformando.

Va detto che il nostro itinerario mnemonico costituisce solo uno dei tanti possibili viaggi attraverso le splendide opere architettoniche, che si erigevano sull’area di confine tra la mente e il mondo esterno, molte delle quali sono andate purtroppo completamente perdute. Siamo consci che per approfondire e arricchire la relazione da noi ipotizzata, saranno necessari ulteriori studi e ricerche. Anzitutto andranno esaminati numerosi altri esempi di architettura ideale progettati dai sapientes architecti: le costruzioni “virtuali” elaborate nell’arte della memoria, i progetti ideali di museo, laboratorio, orto botanico,

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accademia e le metafore architettoniche usate per organizzare il sapere in opere letterarie e filosofiche. D’altra parte sarà anche necessario rivolgere gli occhi verso costruzioni architettoniche dell’epoca concretamente realizzate, anch’esse altrettanto effimere e “semoventi” anche se tangibili, prodotte dal mondo del teatro e nelle celebrazioni festive, che costituivano uno dei modelli di riferimento principali del codice figurativo cinque-seicentesco1. Apparati posticci, cortei, trionfi, parate di carri allegorici, commedie, tornei, spettacoli pirotecnici, ecc., costituivano infatti opere ideate ed elaborate, sfruttando proprio la loro provvisorietà, ma in modo da lasciare una forte impressione nella memoria degli spettatori. Ci troviamo perciò di fronte all’inizio di un altro avventuroso viaggio mnemonico.

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Ci limitiamo ad alcuni indicazioni bibliografiche essenziali: L. Zorzi, Il teatro e la città, Einaudi, Torino, 1977; catalogo della mostra, Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del

Cinquecento. Il potere e lo spazio. La scena del principe, Electa, Centro Di, Edizioni Alinari,

Scala, Milano, Firenze, 1980; J. R. Mulryne et al. (a cura di), Europa Triumphans. Court and

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