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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

1.

LA SINESTESIA.

BREVE STORIA DI UNA QUESTIONE COMPLESSA.

“Colore squillante”, “voce calda”, “idea brillante”, “persona acida”: quante volte ci è capitato di pronunciare questi sintagmi nominali nella vita di tutti i giorni? Queste espressioni linguistiche ormai sono entrate a far parte del linguaggio parlato e le utilizziamo senza renderci conto che in realtà stiamo pronunciando inconsapevolmente delle sinestesie. Il termine “sinestesia” viene abitualmente relegato alla retorica, ma negli ultimi decenni, grazie all’affermarsi della Linguistica Cognitiva, si è verificato un aumento di interesse nei confronti di questo strumento linguistico. Studi e ricerche hanno dimostrato una presenza piuttosto ricorrente nel linguaggio quotidiano, quindi sarebbe riduttivo continuare a considerare la sinestesia come una pura figura retorica limitandone l’uso solo nella poesia.

1.1 La Linguistica Cognitiva

La Linguistica Cognitiva inizia ad affermarsi intorno alla metà degli anni Settanta. Il criterio di base sul quale essa si basa è che mente, corpo e linguaggio sono strettamente collegati l’uno con l’altro. Il linguaggio, quindi, non può più essere considerato come un sistema formale, astratto e arbitrario e tanto meno la mente come una struttura precostituita indipendente dall’esperienza umana; al contrario la mente si forma proprio dall’avere un corpo che interagisce con l’ambiente (embodied

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cognition), ovvero i nostri processi cognitivi dipendono dall’interazione tra la mente e il nostro corpo (cfr. Violi 2003). All’interno di questa disciplina, la metafora acquista un ruolo di rilievo, poiché secondo il linguista George Lakoff e il filosofo Mark Johnson (cfr. Lakoff / Johnson 1980), la maggior parte del sistema concettuale umano è di natura metaforica. La metafora è uno strumento cognitivo che ci permette di categorizzare le nostre esperienze, quindi non concerne solo il linguaggio, ma anche il pensiero e il nostro agire. Sia la formazione dei concetti che la strutturazione dei mapping metaforici avvengono grazie all’esperienza fisica e sensoriale, cioè attraverso l’interazione con l’ambiente circostante. Il termine metafora deriva dal greco µεταφορά e significa “io trasporto”, quindi l’essenza della metafora implica un

trasferimento di significato. Si realizza, cioè, una corrispondenza tra un dominio semantico difficilmente rappresentabile, a causa della sua astrattezza, e un dominio concreto che rimanda a una dimensione percettiva. Il dominio di partenza, cioè quello più concreto, è detto source, mentre quello di arrivo, più astratto, è detto target. Le metafore non sono quindi analogie casuali, ma proiezioni motivate che riflettono la corrispondenza tra percezione corporea e cognizione.

1.2 Definizione, classificazione e peculiarità

L’etimologia della parola “sinestesia” deriva dal greco syn che significa “insieme” e aisthesis “sensazione”, quindi possiamo tradurre con “sensazione simultanea”. Infatti la sinestesia è un’aggregazione di termini appartenenti a sfere sensoriali diverse, ovvero un concetto che appartiene a un determinato dominio sensoriale, viene definito attraverso termini specifici di un altro dominio sensoriale. Per esempio nel sintagma nominale “dolce suono” il mapping procede dal dominio del gusto verso il dominio dell’udito, cioè si attribuisce al sostantivo “suono”, che appartiene al dominio percettivo dell’udito, l’aggettivo “dolce”, che è una proprietà specifica del dominio percettivo del gusto.

Secondo la definizione più comune, la sinestesia non sarebbe altro che un particolare tipo di metafora, la cui specificità si ridurrebbe alla porzione delimitata del lessico relativo ai dati sensoriali, infatti viene definita anche “metafora sensoriale” (cfr. Paissa 1995). Ci sono altri autori però, che non sono d’accordo e che sostengono invece che la sinestesia abbia degli aspetti cognitivi specifici: secondo

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Paissa (1995) la sinestesia si troverebbe a metà strada tra la metafora (analogia metaforica) e la metonimia (contiguità metonimica). Sinestesie linguistiche come (1) “suono cristallino” e (2) “gusto vellutato” sarebbero fondate su un rapporto di similarità, mentre le sinestesie linguistiche (3) “blu elettrico” e (4) “voce bagnata” sarebbero fondate su un rapporto di contiguità: nell’esempio (1) l’aggettivo “cristallino” indica la nitidezza della percezione che si riscontra metaforicamente anche nell’udito, e così accade anche nell’esempio (2), l’aggettivo “vellutato” indica la gradevolezza nel tatto, ma anche nel gusto. Invece negli esempi (3) e (4) non è possibile individuare un’ analogia tra le due modalità sensoriali, ma quello che viene messo in evidenza è la prossimità dei due eventi: nell’esempio (3) il colore blu richiama il colore della scintilla elettrica, mentre nell’esempio (4), la voce di una persona commossa rimanda all’idea del pianto e quindi alle lacrime e all’idea di bagnato. Secondo Mazzeo (2005), addirittura, sarebbe la sinestesia a fondare la metafora, la quale rafforzerebbe e amplierebbe i processi sinestetici. La metafora sarebbe un fenomeno più astratto rispetto alla sinestesia e quindi postumo. Secondo l’autore, dalla sinestesia la metafora avrebbe ereditato i tratti fondamentali della sua logica, ovvero la mancanza di dominio specifico, la capacità di slittamento e la possibilità di “percepire come”, tutte caratteristiche che fondano il fenomeno della sinestesia. Secondo Marotta (2012), ci sarebbe anche una differenza rilevante sul piano sintattico: la metafora si realizza attraverso varie strutture sintattiche, al contrario, la struttura sintattica della sinestesia si limita al Sintagma Nominale di tipo attributivo. Inoltre anche le relazioni semantiche che si instaurano tra gli elementi che costituiscono questi due fenomeni linguistici sono diverse: nella metafora le sfere concettuali coinvolte appartengono a campi semantici distinti, mentre nella sinestesia gli elementi che la compongono appartengono entrambi al campo semantico della percezione.

La sinestesia ha origini molto antiche. Troviamo degli esempi già in alcuni scritti di Platone, Aristotele e Omero. Anche Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi, D’Annunzio e Montale ne hanno fatto uso, ma gli esempi che troviamo nei loro testi poetici, sono tutte sinestesie letterarie, alle quali esperti di epica e poesia hanno dedicato la loro attenzione. La mia indagine è dedicata esclusivamente alla sinestesia linguistica, cioè a quei fenomeni sinestetici che si riscontrano nell’uso linguistico. Sinestesia letteraria e sinestesia linguistica sono due fenomeni diversi, la prima è soggettiva, e quindi si riduce al livello parole, mentre la seconda ha un carattere di

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oggettività, ed è proprio questa valenza oggettiva che giustifica la stabilizzazione di sinestesie lessicalizzate a livello langue e ne spiega la diffusione interlinguistica (cfr. Paissa 1995). La sinestesia linguistica può realizzarsi in due modalità differenti:

1. SINESTESIA PURA, sulla base di un nesso di similarità tra domini sensoriali diversi → “somiglianza sinestetica”

2. PSEUDOSINESTESIA1, sulla base di un nesso di contiguità, ovvero trasferimento di una qualità o di un’azione di origine propriamente sensoriale alla sfera psicologico - morale → “somiglianza emotiva”

1.3 Pseudosinestesie

La caratteristica principale che distingue le pseudosinestesie dalle sinestesie pure è l’elemento psicologico-morale o l’astrattezza. Nelle sinestesie pure sia il source che il target sono nomi e aggettivi che appartengono entrambi a sfere sensoriali diverse, mentre nelle pseudosinestesie solo uno dei due elementi è di natura percettiva, l’altro è occupato dall’elemento psicologico-morale o astratto, che, di norma, svolge la funzione di target (per esempio: ricchezza aromatica), solo raramente quella di source (per esempio: sapore vivace)2. Dobbiamo ammettere che nelle pseudosinestesie non avviene un vero e proprio mapping sinestetico in senso letterale. Ciò nonostante la presenza di questo fenomeno nella lingua comune è talmente consistente e pervasivo che non possiamo ignorarlo. Inoltre, secondo Marotta (2012), la percezione dovrebbe includere anche la componente psico-emotiva e non limitarsi ai cinque sensi, poiché questo elemento sarebbe cruciale e condizionerebbe in maniera rilevante la cognizione del soggetto coinvolto. Infatti, è stato attestato, per esempio, che una persona nervosa riceve sensazioni tattili più acute rispetto ad un soggetto più calmo. La dimensione psico-emotiva, quindi, altera la percezione.

1 Termine coniato ad hoc da Stephen Ullmann (cfr. Ullmann 1957)

2 Nel mio studio gli esempi di pseudosinestesie aventi il source occupati dall’elemento

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1.3 Gerarchia sensoriale

È un assunto comune considerare i cinque sensi come organizzati in una scala gerarchica che va dai sensi più differenziati e più astratti a quelli meno differenziati e più concreti. La letteratura ci offre numerosi studi riguardanti la gerarchia dei sensi. In ambito filosofico si espresse anche Aristotele nel De Anima, dove viene spiegato il ruolo centrale delle facoltà percettive e dei sensi nella ricezione e nell’interpretazione del mondo. Aristotele stabilisce una precisa gerarchia dei sensi in funzione del loro valore conoscitivo. Al primo posto si trova la vista, la percezione che permette di conoscere meglio il mondo, e sulla quale facciamo maggior affidamento, seguono poi l’udito, l’olfatto, il gusto e infine il tatto. Partendo dall’ultimo senso della scala e procedendo verso l’alto, ricostruiamo l’ordine dello sviluppo dei cinque sensi nell’evoluzione umana e a livello ontogenetico. Tatto, gusto, olfatto e udito sono sensi completamente perfetti al momento della nascita, mentre la vista si affinerà con il tempo. Studi antropologici non sono d’accordo nell’affermare che questa scala gerarchica sia universale, poiché influenzabile dalla cultura di appartenenza. Non solo i rapporti tra i sensi non è la stessa in tutte le società, ma ci sono alcune lingue che addirittura non suddividono i sensi nelle nostre cinque abilità; per esempio nella lingua malese3 esistono solo quattro sensi, o meglio, viene utilizzato lo stesso verbo sia per indicare le percezioni tattili che quelle gustative; nello svedese ci sono solo tre verbi di percezione: uno per indicare gli stimoli visivi, un altro per quelli uditivi e un altro per indicare tatto, olfatto e gusto. In questo modo sarebbe possibile ipotizzare una classificazione delle lingue in base al numero dei sensi che lessicalizzano, seguendo una gerarchia di tipo implicazionale:

vista > udito > tatto > olfatto/gusto

Se una lingua lessicalizza il senso dell’olfatto, ciò implica che possiede senz’altro anche verbi di percezione relativi alla vista, all’udito e al tatto. Quindi alla domanda “Ha senso una gerarchia dei sensi?”, che fa da titolo all’articolo di Ricci (cfr. Ricci 2010), l’autrice risponde positivamente, ma solo all’interno della propria comunità;

3 La lingua malese è una lingua austronesiana parlata dal popolo malese che risiede nella penisola

malese, nel sud della Thailandia, nelle Filippine, a Singapore, nella Sumatra orientale e centrale, nelle isole Riau e in parti della costa del Borneo. È la lingua ufficiale della Malesia, del Brunei e di Singapore.

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in altre società possono essere altrettanto validi altri tipi di gerarchie sensoriali, poiché ognuna rispecchia le necessità della propria popolazione. È molto interessante notare quanto materiale inerente alla percezione emerge solo indagando il linguaggio. Per avere una visione più ampia e più certa, la linguistica dovrebbe avvalersi della collaborazione di altre due discipline: l’antropologia e la neurologia

1.4 Direzionalità dei mapping

Lakoff e Johnson (1980) hanno dimostrato che la conoscenza che noi abbiamo dei domini concreti, che avviene attraverso l’esperienza fisica e corporea, è proiettata verso domini meno concreti e quindi meno accessibili. E’ più naturale, quindi, fare un mapping da un concetto più accessibile verso un concetto meno accessibile. Questa tendenza si riflette anche nelle espressioni linguistiche che utilizziamo nel linguaggio di tutti i giorni. Per esempio, percepiamo le emozioni usando come dominio source lo spazio, o meglio l’orientamento: nelle frasi “Mi sento giù” oppure “Ho bisogno di esser tirata su di morale”, “alto” equivale a positivo e “basso” a negativo, poiché per esseri bipedi come noi, l’alto ha una connotazione intrinsecamente positiva. Ovviamente questo mapping è unidirezionale perché l’orientamento non viene concettualizzato in termini di emozioni.

Se si applica questo principio cognitivo generale alla sinestesia, possiamo assumere che i concetti che appartengono ai sensi meno differenziati, tatto e gusto, siano più accessibili rispetto a quelli più differenziati, olfatto, udito e vista. È per questo che la grande maggioranza dei fenomeni sinestetici avviene proiettando una qualità inerente a un senso meno differenziato verso un senso più differenziato. I primi studiosi a occuparsi di questa tendenza generale sono stati Stephen Ullmann (1957) e Joseph Williams (1976). Sebbene entrambi abbiano condotto le loro indagini analizzando corpora di sinestesie letterarie, i risultati e le conclusioni hanno dimostrato tendenze generali valide anche per le sinestesie linguistiche. Ullmann (1957: 314-341) esaminò le opere di dodici poeti e scrittori del XIX secolo in tre lingue diverse (inglese, francese e ungherese), proprio per sottolineare l’universalità dei fenomeni sinestetici. Il corpus sul quale condusse la sua indagine era composto da 2000 metafore sinestetiche suddivise in sei categorie sensoriali: tatto, calore, gusto, odorato, suono e vista. Dalla sua indagine emerse che i sensi meno

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differenziati sono la fonte principale dei trasferimenti mentre quelli più differenziati la destinazione. La fonte dominante risultò essere il tatto, che appunto occupa l’ultimo posto della scala sensoriale, mentre la destinazione predominante l’udito.

Williams (1976) propose una generalizzazione riguardo al cambiamento semantico. Egli investigò principalmente un corpus inglese, in piccola parte anche in giapponese e alcune lingue indoeuropee4 ipotizzando che i risultati ottenuti si potrebbero estendere anche per altre lingue. Per quanto riguarda il corpus inglese, raccolse più di cento aggettivi relativi alle sfere sensitive: tatto, gusto, olfatto, dimensione percettiva visuale, colore e udito e, con l’ausilio dell’ Oxford English Dictionary e del Middle English Dictionary confrontò, sulla base di una prospettiva diacronica, le origini dei trasferimenti da un campo sensoriale ad un altro. Ne risultò che per l’83% dei casi lo spostamento aggettivale si muove dal basso verso l’alto della scala gerarchica. La minoranza dei casi, in contrasto con la tendenza generale, tendono a non essere mantenuti a lungo nell’inglese standard contemporaneo. Per esempio, l’aggettivo loud, appartenente alla sfera uditiva, nel Seicento veniva usato anche come attributo gustativo, ma a partire dall’ Ottocento si stabilizza il trasferimento alla vista (loud colors) e scompare quello al gusto.

Sulla base di questa indagine elaborò il seguente schema:

Figura 1.1: Possibili transfer metaforici tra i sensi secondo Williams (Williams, 1976, p.463)

È importante sottolineare che l’autore suddivide la sfera sensoriale della vista in due sottocategorie: quella cromatica e quella dimensionale.

Ad un’estremità troviamo il tatto, ovvero la modalità sensoriale che dona più frequentemente, mentre all’altra estremità ci sono l’udito e il colore, sensi che più comunemente ricevono. Quindi, un lessema relativo alla sfera tattile potrà trasferire

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metaforicamente il suo significato originario alla modalità sensoriale del gusto, del colore e del suono, ma non alla sfera sensoriale della dimensione, né a quella dell’olfatto. Per quanto riguarda gli aggettivi che si riferiscono al gusto, invece, lo slittamento di significato avverrà solo verso l’udito e l’olfatto. La sfera sensoriale dell’olfatto non trasferisce il proprio significato a nessun’ altra modalità sensoriale. Le parole relative alla dimensione possono trasferire il loro significato al colore e all’udito, mentre i lessemi relativi alla sfera sensoriale del colore solo all’udito e quelli che si riferiscono all’udito solo al colore (cfr. Williams 1976). Con questo schema, Williams stabilisce una certa regolarità nei cambiamenti semantici, paragonabile alle leggi rilevate dai neo-grammatici in fonetica. Lo scrittore, comunque, sottolinea che si tratta solo di una tendenza, poiché già nel suo corpus sono state individuate delle eccezioni, che in un corpus più ampio, non potrebbero che aumentare. Anche i corpora minori, costituiti dai 19 termini indoeuropei e dai 32 termini giapponesi, rispettano la tendenza, per il 100% nelle lingue indoeuropee, e per il 91% in giapponese.

Shen (1997) e Yu (2003) hanno condotto le loro indagini il primo su un corpus in lingua ebraica moderna e il secondo su un corpus in lingua cinese, per verificare se le valutazioni di Williams fossero valide anche per le sinestesie in ebraico e in cinese, lingue tipologicamente molto diverse dall’inglese. Shen e Eisenamn (2008) hanno analizzato 130 metafore sinestetiche prelevate da componimenti di 20 poeti ebraici dei primi anni ’80 del XXI secolo. Con le sinestesie estrapolate dai componimenti poetici, hanno effettuato degli esperimenti, proponendo a gruppi di studenti coppie di espressioni sinestetiche con direzionalità opposta e chiedendo loro quale fosse la coppia che a primo impatto risultasse più naturale e comprensibile. L’indagine di Yu (2003) analizza metafore sinestetiche estratte dai racconti di Mo Yan, scrittore contemporaneo cinese molto apprezzato per il suo linguaggio innovativo. Sia l’indagine di Shen che quella di Yu confermano la direzionalità dei mapping proposta da Williams.

D’altro canto, Carmen Maria Bretones Callejas (2001), dopo aver analizzato 33 esempi di metafore sinestetiche in cinquanta poesie del poeta irlandese Seamus Heany, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1995, propone uno schema un po’ diverso da quello di Williams:

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Figura 1.2: Possibili transfer metaforici tra i sensi secondo Bretones Callejas (Bretones Callejas, 2001, p.10)

Bretones Callejas ha inserito dei nuovi elementi e delle nuove associazioni: da sottolineare la presenza dell’elemento Feel che rimanda alla dimensione psico-emotiva, tipica delle cosiddette pseudo-sinestesie, che può trasferire metaforicamente il suo significato all’elemento Texture5, che insieme alla dimensione/forma e al colore, appartiene alla sfera sensoriale della vista; l’elemento Hearing, che nello schema di Williams compariva come Sound, trasferisce al tatto, all’olfatto, al gusto e alla dimensione/forma ; le associazioni Touch → Smell e Touch → Hearing (notare che qui non esiste l’associazione Touch → Taste); l’elemento Smell, che nello schema di Williams funzionava solo come senso ricevente, qui trasferisce il significato sia all’elemento Texture che Hearing.

Possiamo concludere, quindi, che i transfer sinestetici non devono essere considerati in maniera molto rigida, come li schematizzava Williams. Secondo l’autrice le modalità sensoriali si trovano tutte allo stesso livello, poiché sono veicoli che ci permettono di percepire l’ambiente che ci circonda; quello che incide e determina i rapporti tra un senso e un altro all’interno di un mapping sono il contesto esterno e la percezione sensoriale del soggetto coinvolto.

5 Il termine inglese “texture” indica una qualità fisica di un oggetto e viene tradotto in italiano con i

Figura

Figura 1.2: Possibili transfer metaforici tra i sensi secondo Bretones Callejas   (Bretones Callejas, 2001, p.10)

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