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CAPITOLO PRIMO LE DIVERSE

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CAPITOLO PRIMO

LE DIVERSE “ PATOLOGIE ” DEI PROVVEDIMENTI IMPOSITIVI 1. QUADRO GENERALE

Da sempre nel diritto tributario v’ è stata poca chiarezza, o meglio non v’ è mai stata una solida e ponderata interpretazione da tutti considerata univoca, circa quelle che sono le varie previsioni legislative che disciplinano l’attività amministrativa tributaria, per le quali dall’ inosservanza delle stesse, ne derivi una chiara conseguenza circa la validità o meno dell’ atto impositivo a produrre stabilmente gli effetti per il quale è stato preposto. A questo vada ad aggiungersi la particolarità della materia tributaria nella stessa normazione del legislatore che ha voluto usare un lessico del tutto speciale e da sempre considerato estraneo alle altre branche del diritto1.

Il legislatore ha previsto espressamente in molti casi che certi precetti dovessero essere osservati a pena di nullità2, in modo da garantire il rispetto dei diritto fondamentali posti a tutela del contribuente e ha previsto la possibilità, o meglio la facoltà del contribuente di proporre ricorso avverso gli atti autoritativi di accertamento lesivi di dette norme, in quanto capaci di produrre, se non tempestivamente impugnati, una modificazione definitiva nella propria sfera giuridica. Ma subito si aprono i possibili spunti: parlare di nullità nel diritto tributario allora non vuol dire parlare di nullità nel diritto civile quando si prevede la nullità del contratto? Ed è proprio qui che si comincia a delineare il problema in tutta la sua complessità e particolarità: difatti parlare di nullità dell’ atto impositivo ha significato, fino ai tempi odierni (più precisamente fino al

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Per tutti, E. MARELLO, Per una teoria unitaria dell’ invalidità nel diritto tributario, in Riv. Dir. Trib., 2001, 380 ss; S. ZAGA’, Le invalidità degli atti impositivi, cedam, Padova, 2012, pag 4.; F. BRIGHENTI, i vizi

degli atti tributari, in Il fisco, 2006, n. 9, fasc. 1, pag. 1310; G. FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, III edizione riveduta, Cedam, Padova, 2009, pag. 188.

2

Cfr. F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, parte generale, Torino, 2012, pag. 213; F. PISTOLESI, La

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2005), e per molti ancora oggi, niente di più che la sua annullabilità, tramite il canale della tutela giurisdizionale o al massimo in sede di riesame3.

Ciò ad un primo (e superficiale) approccio di tipo letterale e delimitato al lessico normativo, sembrerebbe di fatto far confluire dette violazioni nelle cosiddette nullità espresse, considerando così che la dimostrazione di una lesione di detti parametri normativi renda incontestabile il giudizio circa la loro illegittimità, e di conseguenza, la sicurezza di chiedere ed ottenere l’annullamento dell’atto4. Su questa falsariga non fosse altro che per comodità si potrebbe affermare che per tutte le norme per le quali non è prevista una “sanzione espressa” a seguito di una loro violazione, la qualificazione di queste violazioni in termini di mera irregolarità; e, quindi, la loro inidoneità ad inficiare la validità dell’ atto5.

Sarebbe tutto molto più semplice, tant’ è che parte della dottrina argomentando poco di più è arrivata a queste conclusioni; ma così facendo di fatto si dimentica che una previsione legislativa è espressione della sovranità dello stato che come espressione di un contesto sociale organizzato tende a darsi delle regole di comportamento, per assicurare il benessere degli individui che ne fanno parte e la certezza dei rapporti giuridici circa la sanzionabilità di un comportamento difforme, improntato su un’ idea di giustizia che sta a fondamento di un paese civilizzato6. Tuttavia senza andare a ricercare nelle fondamenta più arcaiche, sociali e filosofiche che stanno alla base del diritto positivo, basterebbe dire per confutare questa ipotesi che, volendo approcciarsi pedissequamente ad essa, si finirebbe per considerare che una qualunque disposizione quando non preveda una conseguenza espressa in termini di sanzione è potenzialmente violabile; in questo modo, non c’ è dubbio, si svaluterebbero gran parte delle norme che compongono il diritto tributario, che sono enunciate per regolare una disciplina e

3

F. PISTOLESI, “Idem ”.

4

E. MARELLO, Op. cit., pag. 396-398; S. ZAGA’, op. cit., pag.46.

5

Ibidem, pag. 405 ss.; F. PISTOLESI, Op. cit., pag. 1132-1133; G. FALSITTA, Corso istituzionale di diritto

tributario, Cedam, 2009, pag 190.

6

C. GARBARINO, Imposizione ed effettività nel diritto tributario, Padova, 2003, pag. 15-21; F. LUCIANI, il

vizio formale nella teoria dell’ invalidità amministrativa, Torino, 2003, pag.33-36; G. FALSITTA, Ibidem,

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3

indirizzare lo svolgimento di una funzione che è vincolata per natura, e deve agire entro canoni precisi in modo da lasciare il minimo spazio a interpretazioni discrezionali7. Occorrerebbe allora andare a definire più chiaramente quali sono le tipologie di norme che hanno la connotazione di imperatività, quelle che se non ancora imperative possono significare violazione dei principi di correttezza e dare titolo ad un risarcimento per responsabilità disciplinare, per risarcimento dei danni o ancora possano dare titolo a un più originale e particolare rimedio che nel diritto tributario è molto importante quanto scarsamente considerato come la rimessione in termini8.

Pur quanto sia necessario andare avanti in questi termini nella trattazione, essa presume ancora una più chiara focalizzazione su quella che è la effettiva polivocità delle patologie dell’atto impositivo e il polimorfismo delle figure patologiche sviluppato anche grazie ai recenti spunti legislativi. Per quanto sia infatti il legislatore la prima causa della poca chiarezza delle difficoltà ermeneutiche sulle invalidità degli atti impositivi9, la fitta nomina di termini, voci e concetti giuridici, deriva anche da un colorito lessico dovuto alle multiple elucubrazioni della giurisprudenza che ha connotato in più occasioni diverse patologie degli atti impositivi10, affiancando alla nullità ( intesa come annullabilità) ora la “nullità assoluta”, la “nullità radicale”, la “nullità insanabile” contrapposta alla sicuramente diversa “nullità sanabile”11.

Non bastasse, anche la dottrina12 insieme con la giurisprudenza ha fatto ampio ricorso a questi termini, contribuendo di fatto a creare una vera e propria

7

Si veda: G. FALSITTA, Ibidem pag. 181-182

8

F. PISTOLESI, Op. cit, Pag. 1131-1132, a riguardo anche G. FALSITTA; op. cit., pag. 78 e pag. 187- 188; P. RUSSO, Le conseguenze del mancato rispetto del termine di cui all’ art. 12, ultimo comma della legge n.

212/2000, riv. Dir. Trib., 2011, I, 1085.

9

E. MARELLO, Per una teoria unitaria dell’ invalidità dei provvedimenti impositivi, cit., pag. 390 ss.

10

E. MARELLO,Ibidem, pag. 384; S.ZAGA’, le invalidità degli atti impositivi, cit. pag. 5; L. DEL FEDERICO,

la rilevanza della legge generale amministrativa e l’ invalidità dei provvedimenti impositivi, in riv. Dir.

trib. , 2010, I, pag.730.

11

Vedi nota prec.; su tutti Cass. 18 aprile 1997 n. 3343; comm. Trib. 1°grado di Reggio Emilia, 5 marzo 1996, n.12, in Il Fisco, 1996, 4346; Cass. 16 giugno 1994 n. 5826 in Giur. Imp., 1994, 768 ss.

12

Vedi ad esempio l’ ampia introduzione al quadro fenomenologico di P. M. VIPIANA PERPETUA, Gli atti

amministrativi, vizi di legittimità e di merito, cause di nullità ed irregolarità, Bologna, 2003, cedam, pag.

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“confusione terminologica” che caratterizza la disciplina dei vizi degli atti; un termine spesso usato è quello di illegittimità13, sia essa formale o sostanziale, che a sua volta evoca i vizi formali e sostanziali, mettendolo su un piano diverso rispetto a quello di invalidità, ossia quello della mera violazione di legge. Altre volte si è parlato invece, e qui grazie agli interpreti, di infondatezza14, per evidenziare quel vizio che attiene ai presupposti di fatto che stanno alla base dell’atto, tuttavia anch’essa riconducibile alla sua annullabilità in sede giurisdizionale.

Ma ovviamente non è tutto qui: non potendo limitarsi a quella interpretazione dualistica, tra l’ altro ormai abbastanza desueta, che vuole due sole realtà fenomenologiche per l’ atto impositivo, validità e invalidità, il lessico si è arricchito ancora con termini che connotano una particolare gravità della sua patologia, come il concetto di inesistenza giuridica dell’atto, finanche si è parlato di atto “non nato” o “nato morto”15. Si sono usati anche termini che evocano una patologia trascurabile, quindi di fatto una deviazione dallo schema legale non idonea ad inficiare l’ efficacia dell’atto, che ha assunto la denominazione di irregolarità. Tanta è la “confusione terminologica” in materia che anche parlare di patologia degli atti impositivi, sebbene sia una espressione già usata in dottrina, potrebbe portare a conclusioni sbagliate, non soltanto per il fatto che come origine non appartiene alla scienza della finanze ma bensì ad altre branche della scienza; ma anche perché frequentemente in dottrina è stata utilizzata per evocare una categoria concettuale opposta a quella della validità dell’atto

13

E.MARELLO, op. cit., pag. 396; S. ZAGA’, op. cit. pag 7; V. CERULLI IRELLI, note critiche in materia di vizi

formali degli atti amministrativi, in Diritto Pubblico, 2004, I, pag. 187 e ss; P. M. VIPIANA PERPETUA, Vizi di legittimità e vizi di merito, cause di nullità ed irregolarità, Bologna, 2003, pag.273; G. BERGONZINI, art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 e annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi,

Diritto amministrativo, 2007, 2, 231-234.

14

Si vedano con riferimento all’ infondatezza e la sua ambiguità, per esempio, D. STEVANATO, L’

autotutela dell’ amministrazione finanziaria, Padova, 1996, 133-136; termine talvolta utilizzato dal

legislatore stesso vedi legge N° 656/1994, art. 2-quater; ma anche d. m. n. 37/1997 art 1 comma 1.

15

Termine diffuso da tempo in dottrina tra gli altri vedi anche F. TESAURO, l’ invalidità dei provvedimenti

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impositivo, opposta quindi al suo “stampo legale tipico”, equiparata quindi al termine invalidità16.

Del resto il termine “invalidità”, largamente utilizzato dalla dottrina che si è occupata del tema dei vizi dell’atto, se riferito agli atti amministrativi di imposizione, indica con un maggior rigore tecnico e giuridico un fenomeno che, a prima vista, è analogo a quello di “patologia” : cioè “ogni ipotesi concreta di devianza, di scostamento dell’atto (…) rispetto al suo schema legale tipico17”, che sia quindi in grado ( su varia intensità) di incidere sulla capacità di quell’atto di produrre effetti. Ed è proprio in questo che invece incontra un ostacolo quantomeno considerevole: parlare di vizio invalidante, vuol dire, a ben vedere, parlare di un difetto, di una devianza tale che se adottate le idonee misure previste dall’ ordinamento e nei modi previsti, porterà alla rimozione dalla sfera giuridica degli effetti che l’ atto è finalizzato a produrre, rimuovendo di fatto l’atto stesso18. Tutt’ al più posso pensare ad una invalidità ab-origine, cosicchè quell’atto ancorchè divenuto definitivo è invalido e non è in grado di produrre gli effetti al quale è stato destinato. Il termine invalidità è quindi limitativo e non omnicomprensivo di quelle che sono le differenze di un atto rispetto a quello che è lo schema legale, tant’ è che si potrebbe definire zoppo; “invalidità” e “patologia” nella nostra materia non sono di fatto equiparabili: invalidità evoca anche quindi una insanabilità dell’atto, una deviazione dal suo schema legale che non è superabile19 (se l’ atto viene regolarmente impugnato nei tempi e nei modi previsti dalla legge) lasciando fuori, quella che ad oggi (come diremmo più avanti nella trattazione) è una realtà da tempo affermata in diritto tributario, la anzidetta irregolarità, prevista per certe deviazioni “minori” che non pregiudicano (anche nel caso di tempestiva e specifica impugnazione) l’ efficacia dell’atto20

. Se riconducessimo l’ irregolarità nelle invalidità si andrebbe ad

16

Ad esempio in questo senso è la proposta di S. ZAGA’, le invalidità degli atti impositivi, 2012, Padova, pag. 10 ss; G. FALSITTA, corso istituzionale di diritto tributario, parte generale, III ed., 2009, Padova, pag. 188.

17 Definizione usata da G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova, 2012, pag. 357 ss. 18

E. MARELLO, Per una teoria unitaria dell’ invalidità, cit. pag 390-393.

19

E. MARELLO;”Idem”; G. FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2009, pag. 188-189.

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arricchire un già certamente confuso e caotico quadro con un nuovo termine, quello della “ sanabile invalidità”, e allora tutto si farebbe tranne che fare chiarezza, senza considerare che andrebbe contro alla radice semantica della parola stessa. Tutt’ al più potremmo considerare per l’equiparazione dei due termini allo scopo di riallacciarci alla dottrina prevalente e usare il termine “ vizio” che meglio indica la molteplicità del fenomeno.

Tuttavia anche la parola patologia21 ( dal greco pathos – sofferenza e logos – discorso22 ) evoca uno status particolare di “patimento”, di “ discostamento ” dell’ atto giuridico rispetto al preciso modello legale, non necessariamente invalidante, quindi di imperfezione, che seppur originale e atipico, ben si attaglia con la realtà fenomenologiche e la finalità omnicomprensiva di concetto “esteso” di “deviazione dell’atto rispetto al suo stampo legale tipico23”. Il termine patologie degli atti nel prosieguo sarà usato alternativamente per indicare la totalità delle realtà fenomenologiche degli atti impositivi viziati, consapevoli che solo questi termini invocano un concetto similare. Merita ricordare che diversi autori24 utilizzano come equivalente al concetto di “patologia”, oltre al termine di “invalidità” che come anzidetto appare ristretto e meno opportuno, anche il termine di “illegittimità”, che in effetti nella accezione più larga del termine potrebbe sembrare analogo. Ma l’ illegittimità è un termine usato in altre branche del diritto per indicare concetti diversi, invero anche nel diritto tributario ma per concetti più specifici, e non perfettamente coincidente a nessuno degli altri due termini. Pertanto, non appare conveniente una sua equiparazione.

Ora che comincia a delinearsi più chiaramente il quadro che porterà poi a parlare di quelle che sono le varie patologie (o vizi) degli atti impositivi, si intuisce come esse siano direttamente riferibili al concetto di elisione degli effetti giuridici25 dell’atto viziato, al fine di individuare e classificare le diverse tipologie di

21

Temine largamente usato in dottrina fra i primi per esempio: B. CAVALLO, Provvedimenti e atti

amministrativi, Padova, 1993, pag. 297 ss.

22

A. SIVIERI P. VIVIAN, grammatica greca, Firenze, 1977.

23 G. FALSITTA, op. cit., pag. 188; S. ZAGA’, op. cit. pag. 7; E. MARELLO, op. cit., pag. 390 ss. 24

G. FALSITTA, op. cit., pag. 188; S. ZAGA’, op. cit. pag. 10; I. MANZONI, potere di accertamento e tutela

del contribuente, 1993, Milano, pag. 33 ss.

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trattamento ( sul piano dell’efficacia dell’atto ) previste per l’ imperfezione, così come accade per esempio in ambito civilistico26, in cui all’ interno della categoria generale dei vizi si distingue tra la nullità che produce l’ immediata inefficacia dell’atto ed è rilevabile senza limiti di tempo, anche d’ ufficio, e l ‘annullabilità, che non impedisce all’atto di essere efficace, e può essere fatta valere da determinati soggetti ed entro definiti limiti.

Questa esigenza ricostruttiva appare oggi quantomeno opportuna alla luce degli interventi normativi nella adiacente disciplina normativa, con la novella introdotta dall’ art.14 della L. n. 15/2005 all’ interno della legge sul procedimento amministrativo L. n. 241/1990 con il nuovo capo IV-bis che ha introdotto una puntuale disciplina delle varie “ patologie ” dei provvedimenti amministrativi, andando a classificare e codificare rispettivamente:

- La “Nullità” dei provvedimenti e i rispettivi vizi (art. 21-septies); - La “Annullabilità”dei provvedimenti e i rispettivi vizi (art.21-octies); - La “Non annullabilità” dei provvedimenti con il “depotenziamento” dei

vizi formali e procedimentali non in grado di incidere sul contenuto dell’ atto (art. 21-octies 2° comma, primo periodo).

Questo è certamente un importante e meritevole tentativo del legislatore di codificare una disciplina che prima di allora esisteva solo negli scritti della dottrina amministrativista27 e in alcune sentenze della suprema corte28, tuttavia ha provocato perplessità e dubbi soprattutto all’ interno del diritto tributario stesso, noto a tutti come una disciplina a sé stante, ma che, in presenza di lacune attinge in più di un occasione dalle altre materie contigue, soprattutto dal diritto amministrativo. Inoltre essendo la funzione impositiva esercitata da soggetti

26

In questo senso su tutti apprezzabile F. TESAURO, le invalidità dei provvedimenti impositivi, Boll. Trib., 2005, 19, 1445-1446; P. PIANTAVIGNA, Osservazioni sul procedimento tributario dopo la riforma della

legge sul procedimento amministrativo, Riv. Dir. Fin. sci. Fin., 2007, I, pag. 75 ss.

27

Si vedano per esempio: M. P. VIPIANA PERPETUA, Gli atti amministrativi, vizi di legittimità e vizi di

merito, Cedam, Padova, 2003 e anche F. LUCIANI, il vizio formale nella teoria generale amministrativa,

Giappichelli, Torino, 2003 pag. 201 ss.

28

Cassazione, 21 agosto 1993, Riv. Dir. Trib., 1994, II, pag. 104 ss; Cassazione. 27 marzo 1993 n. 3731, in Fisco, 1993, pag. 7402 ss. Tuttavia il concetto di irregolarità si è sviluppato principalmente nella giurisprudenza dopo la riforma del 2005.

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facenti parte la pubblica amministrazione molti Autori29 si sono chiesti di come la legge stessa sul procedimento amministrativo e questo intervento legislativo andassero interpretate all’interno della materia tributaria, rispettivamente in tema di procedimento e di validità/ invalidità degli atti impositivi, temi che sono ancora oggi dibattuti sotto più aspetti.

Con il presente lavoro mi propongo di mettere in luce l’ impatto che la nuova disciplina delle forme di “invalidità” dei provvedimenti amministrativi ha avuto sulla disciplina dei vizi degli atti impositivi. La strada più opportuna per una analisi del genere infatti risulta essere quella che parte da una rapida analisi di quella che era storicamente in dottrina e giurisprudenza - o meglio ante riforma 2005 – la disciplina delle invalidità degli atti impositivi, per poi andare a vedere se essa sia stata alterata o meno, e, se sì, in che misura, dalla nuova disciplina delle varie forme di invalidità dei provvedimenti amministrativi.

Una trattazione del genere presuppone un assunzione fondamentale, quale quella che prevede la applicabilità al procedimento tributario della legge generale sui procedimenti amministrativi (L. n. 241/1990) in tutte quelle parti che non sono esplicitamente escluse dal legislatore stesso30.

Tale applicabilità risulta peraltro condizionata da altre assunzioni che sono state ampiamente dibattute in dottrina, quali : i) l’identificazione dell’accertamento tributario in un procedimento amministrativo (speciale) ii) la natura provvedimentale degli atti impositivi e iii) la identificazione della funzione impositiva all’interno della (seppur differente) azione generale amministrativa.

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Tra i tanti ad esempio: M. BASILAVECCHIA, la nullità degli atti impositivi; considerazioni sul principio di

legalità e funzione impositiva, riv. Dir. Fin. sci. fin., 2006, I, pag. 356-367; L. DEL FEDERICO, la rilevanza della legge generale sull’ azione amministrativa in materia tributaria e l’ invalidità degli atti impositivi,

Riv. Dir. Trib., 2010, I, pag. 729 e ss; P. PIANTAVIGNA, osservazioni sul procedimento tributario dopo la

riforma della legge sul procedimento amministrativo, riv. Dir. Fin. sci. fin., 2007, I, pag. 44-90; U.

PERRUCCI, riflessi tributari della nuova legge sul procedimento amministrativo, Boll. Trib., 2005, 5, pag. 337- 339; F. BRIGHENTI, i vizi degli atti tributari categoria e regimi dopo la riforma del 2005, 2006, 9, fasc. n. 1, 1310 e ss.

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2. DISCIPLINA ANTE RIFORMA 2005

Per introdurre la disciplina dei vizi degli atti impositivi ante 2005, con lo scopo poi di verificare se, e in che maniera, essa sia stata modifica dalla riforma, fin dai primi tentativi31 di elaborazione di una teoria delle invalidità nel diritto tributario è stato necessario assumere le considerazioni testè enunciate32, delle quali in verità, potrebbe rimanere superflua solamente l’ applicabilità della legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo. Fino alla recente novella infatti tale legge non menzionava in alcun modo una disciplina dei vizi degli atti amministrativi33. Necessario era (ed è ancora oggi) invece l’ assunto sulla natura provvedimentale dell’ atto, così come l’ assunto sull’ esplicazione della funzione impositiva mediante procedimenti amministrativi. Questi argomenti sono stati aspramente criticati in dottrina,34 tant’ è che sono stati addirittura oggetto di pronunce della giurisprudenza costituzionale35. Per la trattazione di tali assunzioni si rinvia ai capitoli successivi, onde evitare di appesantire eccessivamente questa parte sulla disciplina dei vizi ante riforma che, se non del tutto superata, rimane quantomeno inattuale.

Un atto impositivo è un atto che di per sè, in quanto corrispondente al preciso “ stampo legale tipico ” previsto per l’ esercizio della funzione impositiva ed esercizio di una potestà in capo all’ amministrazione finanziaria, è idoneo a produrre una modificazione nella sfera giuridica del soggetto al quale è stato notificato, per tanto se non impugnato nei termini di legge, diventa definitivo, nel

31

I. MANZONI, Potere di accertamento e tutela del contribuente, milano, 1993, pag. 39; E. MARELLO, per

una teoria unitaria della invalidità nel diritto tributario, op. cit., pag. 386 ss.

32 I. MANZONI, idem. 33

P. M. VIPIANA PERPETUA, gli atti amministrativi: vizi di legittimità e vizi di merito, cause di nullità ed

irregolarità, 2003, Padova, CEDAM, pag. 4 e ss nel quale dopo aver fatto presente come in materia i

riferimenti normativi ai vizi degli atti precedenti alla novella del 2005 risalgano agli art. 2 -3 della l. 6 dicembre 1971, istitutiva dei T.a.r. ed all’ art. 26 del r. d. del 26 giugno del 1924, n. 1054, i quali richiamano a loro volta una classificazione dei vizi del 1889, fà notare come la collocazione della “sistematica” dei vizi all’ interno della 241/1990 sia stata una scelta maturata successivamente, nell’ intento di creare una legge di principio sul procedimento amministrativo, in quanto originariamente oggetto di un disegno di legge a sé stante.

34

L. PERRONE, la disciplina dei procedimenti nello statuto dei diritti del contribuente, rassegna tributaria, 2011, 3, pag. 563 ss; A. COMELLI, sulla non condivisibile tesi secondo cui l’ accertamento tributario si

identifica sempre in un procedimento amministrativo (speciale), dir. Prat. Trib., 2006, pag. 731 ss; P.

RUSSO, impugnazione e merito nel processo tributario, riv. Dir. Trib., 1993, pag. 753 ss.

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senso che quegli effetti si consolidano, senza più possibilità di metterli in discussione. E’ evidente, però, che si può parlare di definitività dell’ atto non impugnato, cioè di consolidamento degli effetti suoi propri, in quanto si tratti, appunto, di un atto produttivo in qualche modo di effetti, cioè fornito di efficacia. Per contro bisogna ammettere che esista, almeno in teoria, un atto che sia talmente difforme dallo schema legale tipico tale da essere privo di efficacia, cioè improduttivo di effetti, e che tale atto non possa mai diventare definitivo, per la semplice ragione che non vi sono effetti da consolidare. Se non si ammettesse una tale conclusione equivarrebbe ad ammettere che, un qualunque atto, emesso da un soggetto facente parte la pubblica amministrazione, sia comunque produttivo di effetti. Questa prima figura, lungi dalla benché minima nomina36 del legislatore, è già conosciuta da tempo in dottrina, e accettata da molti autori37 a prescindere dalla loro adesione alla teoria dichiarativa o costitutiva, ed è stata qualificata come una ipotesi di inesistenza dell’ atto impositivo, di cui parleremo

infra.

Ragionando sempre in termini di efficacia, detto atto sarà efficace sicuramente qualora vengano rispettati, nei modi e nelle forme previste, tutti quei presidi e requisiti indicati dal legislatore stesso. Per quanto sia l’ amministrazione puntuale ed anche “pedante” nell’ osservanza di tutti gli accorgimenti per l’esercizio della funzione38 cui è preposta, bisogna ammettere che, nello svolgimento della sua attività, essa può emanare atti non perfettamente conformi a tutte le previsioni legislative previste: ovviamente questo non darà sempre luogo ad inesistenza. Come già ricordato, quell’ atto se considerato esistente, è comunque efficace, salvo la possibilità poi di ottenerne la sua rimozione in sede giurisdizionale (o al massimo di riesame), sulla base di un giudizio che, ancorchè basato sui motivi

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Per usare un termine di E. MARELLO, … , vedi nota successiva.

37

Su Tutti vedi F. TESAURO, manuale di diritto tributario, parte generale, 1998, Milano, pag. 190-191; ma anche E. MARELLO, per una teoria unitaria dell’ invalidità nel diritto tributario, op. cit., pag. 401 ss che afferma come sia imprescindibile una sua individuazione in qualsiasi teoria delle invalidità e ne mette in evidenza il suo fondamento costituzionale; I. MANZONI, potere di accertamento e tutela del

contribuente, 1993, Milano, pag. 41-43; in senso favorevole anche P. RUSSO, impugnazione e merito nel processo tributario, riv. Dir. Trib., 1993, pag 754 ss.

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Termine usato nel senso di F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, 1952, riv. Trim. dir. Pubb., I, pag. 118 ss.

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del ricorso proposto e limitatamente a quelli, ha il proprio fondamento, nella legge stessa. Difatti, nell’ accezione più larga possibile di atto viziato, quindi anche atto viziato nel suo contenuto, quando ad esempio si afferma una pretesa di pagamento di un tributo sulla base di un fatto, anche nel momento in cui contestiamo che quel fatto sia realmente accaduto, in quanto basato su presunzioni (anche semplici), quella pretesa sarà sempre una comparazione tra la fattispecie legislativa astratta dettata dalla norma tributaria e quella concreta tramite un processo di qualificazione previsto dalla legge stessa. E’ la legge stessa che si è preoccupata, in base a determinati criteri, di far sì che quel fatto, potesse essere ritenuto come avvenuto39: siamo quindi di fronte ad una violazione di legge, nel senso più ampio del termine. Pertanto, in quanto la fonte della normazione primaria è la legge, qualunque dubbio circa una determinato atto o fatto, e le conseguenze circa il verificarsi della fattispecie, può essere chiarito esaminando le norme che lo riguardano40.

Orbene, come già accennato le norme tributarie non sempre individuano espressamente la conseguenza in termini di efficacia dell’atto non conforme al suo stampo legale tipico; in quei pochi casi in cui il legislatore ha sentito l’ esigenza di chiarirne la conseguenza invalidante, lo ha fatto individuandola sempre nella “nullità”. Dunque, stando al dato testuale delle norme sembrerebbe, almeno a prima vista, non sussistere alcuna soluzione diversa dalla seguente alternativa: nullità o validità. Si vedrà a breve che infatti così non era (e, a maggior ragione, così continua a non essere).

Le norme tributarie che, nel disciplinare i requisiti di validità degli atti impositivi, fanno espressamente riferimento alla conseguenza invalidante della “nullità”, in realtà non sono molte ( per lo più attengono a requisiti di tipo formale o procedimentale tuttavia alcuni di questi requisiti sono comunque destinati ad assumere rilevanza anche sostanziale, incidendo sul contenuto

39

in questo senso sono interessanti in merito anche alle comparazioni con il diritto europeo fatte da A. AMATUCCI, il fatto come fonte di disciplina del procedimento tributario, riv. Dir. Trib., 1998, 7/8, pag.703 ss; ma soprattutto le considerazioni sui metodi di accertamento di A. FEDELE, rapporti tra nuovi metodi

di accertamento e principio di legalità, riv. Dir. Trib., 1995, 3, pag. 241 ss.

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dispositivo dell’ atto, come nel caso di difetto di motivazione e del difetto di contradditorio preventivo) e sono:

- L’ art. 42, co, 3 e art. 43 ult. Com. e art. 37-bis del d.p.r. 600/1973 - L’ art. 56, commi 2,3,4,5 e l’ art. 57 ult. Com. del d.p.r. 633/1972 - L’ art. 52, co. 2-bis, d.p.r. 131/1986

- L’ art. 6, co. 5 e l’ art. 11, co. 2, della l. n. 212/2000

- L’ art. 36, co. 4-ter d.l. 248/2007 aggiunto in sede di conversione con l. n. 31/2008.

Ma ecco che subito vengono alla luce due questioni: cosa si intende(va) nel diritto tributario per nullità ovvero si parla(va) della stessa nullità del diritto civile vedi art. 1418 c.c. e successivi? L’inesistenza rientra nel concetto di nullità oppure resta nei confronti della nullità in rapporto di genus e species41?

Prima di andare a vedere quali erano (e in parte sono ancora) le risposte a questi interrogativi, è opportuno notare come, accanto a queste ipotesi di “nullità” nominate, vi sono poi numerose disposizioni tributarie che, nel prevedere determinati requisiti degli atti impositivi, omettono di chiarire in modo espresso quale incidenza abbia la mancanza di tali requisiti sulla validità dell’atto. Ecco quindi che al di fuori questi casi di “nullità” nominate, è rimesso all’ interprete il compito di individuare l’ eventuale conseguenza per le possibili ipotesi di scostamento dell’ atto impositivo dal suo “stampo legale tipico” che, nel silenzio normativo, manterrebbe l’atto ancora nell’ area della validità, dando luogo quindi a quella che sarà poi chiamata “mera irregolarità” (ecco che si profila un terzo regime dei “vizi”). Viceversa qualora quello “scostamento” comporti un vizio invalidante in tale caso sarà necessario individuare le conseguenze in tema di elisione degli effetti dell’ atto.

Difatti molto spesso le norme tributarie, anche in assenza di una espressa previsione al riguardo, lasciano intendere (in modo più o meno chiaro) che esista comunque una conseguenza nei termini di validità dell’atto alla presenza di un

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13

vizio, sia in base alla ratio della previsione normativa stessa, sia per l’ imperatività del lessico utilizzato nella formulazione di quest’ ultima42. E’ frequente, infatti, l’ utilizzo di espressioni quali “ a pena di decadenza”43, “tassativamente”44, “obbligo di”45

, ecc.., ovvero di altre espressioni che, in modo più o meno similare, evocano sempre l’ idea della necessità e della indispensabilità di determinati requisiti dell’atto impositivo, la cui assenza dovrebbe incidere ( soprattutto alla luce della sua ratio), sulla validità dell’atto o per dirla meglio, sul regime dell’elisione degli effetti giuridici che derivano dall’atto stesso46.

Pertanto, al di fuori dei casi di nullità nominate dal legislatore tributario, diviene opportuno, se non necessario, cercare di individuare i criteri che possano essere d’ ausilio all’ interprete nella distinzione tra vizi causa di invalidità e vizi causa di mera irregolarità dell’atto impositivo, che magari danno titolo ad altre azioni riparatorie nell’ ottica della responsabilità disciplinare.

Tuttavia prima di far ciò occorre innanzitutto chiarire almeno uno degli interrogativi precedentemente proposti, e cioè come vadano interpretate le nullità nominate, se possano essere riconducibili alla nullità “tipica” dell’ ordinamento giuridico italiano, quella disciplina della nullità negoziale prevista nel codice civile, e quale sia quindi il suo regime effettuale.

2.1. Nullità nominate e regime effettuale

In merito all’ individuazione dell’ esatto significato delle nullità nominate dalle norme tributarie c’ è stato chi47 ha visto nella scelta del legislatore la giustificazione delle proprie teorie dichiarativiste in contrapposizione alle teorie

42

S. ZAGA’, le invalidità degli atti impositivi, 2012, Padova, passim.

43

Ad esempio l’ art. 43 utilizza questo termine per indicare il termine entro il quale devono essere notificati gli atti impositivi.

44

Ad esempio l’ art. 7 co. 2 della l. n. 212/2000 recita “ gli atti …. Devono tassativamente indicare ……. “.

45 Come ad esempio l’ art. 38 co. 7 del d.p.r. 600/1973 prevede che “ l’ ufficio ….. ha l’ obbligo di invitare

il contribuente a comparire di persona …..”

46

In questo senso puntualmente E. MARELLO, op. cit., pag. 399- 406;

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14

costitutiviste di quegli anni48, arrivando a negare persino l’ esistenza di un potere autoritativo in capo all’ amministrazione finanziaria49 argomentando circa l’ atto di irrogazione di sanzioni pecuniarie e il ruolo50, nonché la natura di provvedimento amministrativo dell’ avviso di accertamento, riqualificandolo come mero atto51. L’ autore poi, dopo queste premesse quantomeno discutibili (anticipando inoltre che non farà riferimento a quelli che sono i diritti sottesi alla tutela processuale del diritto tributario52) parte da una definizione di impugnazione merito53, poi come in una sorta di encomio, comincia ad elencare tutta una serie di casi che avvalorano l’ interpretazione in chiave dichiarativa del processo54 e dell’ azione di accertamento stessa. Tra questi, figura anche la scelta del legislatore che in tutte le norme in cui vuole sanzionare esplicitamente la presenza di vizi invalidanti degli atti promanati dalla amministrazione finanziaria, nelle norme parla di nullità e non di annullabilità, e quindi “non può pensarsi ad una svista o ad un errore terminologico ma di un vero e proprio principio generale che si vuol far valere nel diritto tributario. questa scelta – prosegue l’ autore55 - nient’ altro significherebbe che l’ azione mediante la quale il contribuente fa valere e deduce in giudizio detti vizi è un’ azione dichiarativa,quale è per l’ appunto quella rivolta a far accertare la nullità di un atto giuridico, e non già costitutiva, ossia di annullamento dell’ atto viziato e

48

I. MANZONI, potere di accertamento e tutela del contribuente, 1993, Milano, pag. 22 ss.

49

Tesi di fatto confutata dalla dottrina vedi meglio nel capitolo 2 e dal legislatore stesso con l’ avviso di accertamento esecutivo in base al d.l.g. 78/2010.

50

P. RUSSO, Impugnazione e merito nel processo tributario, 1993, riv. Dir. Trib., pag.752.

51

Sconfessata dalle sezioni unite della corte di cassazione con la storica sentenza n. 19854 del 5 ottobre 2004, e indirettamente dalla corte costituzionale stessa nella ordinanza n. 244 del 24 luglio 2009 vedi meglio capitolo 3.

52

Tesi che secondo parte della dottrina starebbe alla base delle premesse e dei dibattiti tra teorie costitutive e teorie dichiarative, interessante spunto in tal senso E. CASETTA, interesse legittimo e diritto

soggettivo, problemi della loro tutela giurisdizionale, riv. Trim. dir. Pubb., 1952, pag. 611 ss.

53

P. RUSSO, impugnazione e merito nel processo tributario, 1993, riv. Dir. Trib. Pag. 751 ss; ma anche la definizione resa seppur in chiave critica F. TESAURO, giusto processo e processo tributario, rass. trib., 2006, pag. 42 ss ma anche M. BASILAVECCHIA, funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2009, pag. 70 ss.

54

Tesi comunque sostenuta, con premesse e conclusioni differenti, oltrechè dalla corte costituzionale anche dalla giurisprudenza prevalente, da ultimo, cass. Sez. trib. 20 ottobre 2011, n. 21719 (in GT – riv. Giur. Trib., 2012, pag. 310 ss); così come cass. Sez. trib., 15 giugno 2011, n. 13061; vedi per entrambe comunque banca dati fisconline.

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quindi illegittimo; sia pure con la ricorrente peculiarità che anche tale azione soggiace, anziché ad un termine di prescrizione, ad un termine di decadenza”. Per quanto seducente possa risultare una tale interpretazione, finanche illuminante, invero l’ uso del termine nullità è da sempre stato considerato inadatto e poco affidabile,56 questa interpretazione surreale dell’ uso del nomina “nullità” è stata disattesa sia dalla suprema corte in varie sentenze57

, come anche dalla dottrina prevalente58.

Infatti, almeno fino a prima dell’ introduzione delle disposizioni di cui agli artt. 21-septies e 21-octies, l. n. 241/1990, e fatta eccezione per alcune posizioni dottrinali come quella del precedente autore59, non ci sono mai stati grossi dubbi sul fatto che il termine nullità venisse utilizzato in modo “atipico” o “improprio”, senza dubbio non nel significato in cui tale termine è comunemente inteso nell’ ordinamento giuridico.

Difatti, è sempre stata opinione largamente diffusa in dottrina60 quella secondo cui una ricostruzione sistematica dell’ incidenza delle nullità nominate sul regime di efficacia dell’ atto impositivo viziato, non possa che condurre l’ interprete a (ri)qualificarle o, comunque, ad intenderle nel significato sostanziale di annullabilità così com’ è inteso nel codice civile. Del resto anche la giurisprudenza61 ha mostrato di intendere le nullità nominate nel significato sostanziale di annullabilità o comunque ha sempre finito per riconoscere alle stesse un trattamento simile a quello che l’ ordinamento riserva a quest’ ultima

56 I. MANZONI, potere di accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993, pag. 40. 57

Cass., Sez. trib., 5 maggio 2010, n. 10082; Cass., 8 settembre 2003, n. 13087; Cass. Sez. trib., 5 giugno 2002, n. 8144 ( tutte in banca dati fisconline).

58 Per dirne alcuni: M. BASILAVECCHIA, funzione impositiva e forme di tutela, cit., pag. 69 ss; G.

FALSITTA, manuale di diritto tributario, op. cit. pag. 358; E. MARELLO, per una teoria unitaria dell’

invalidità nel diritto tributario, op. cit., passim; I. MANZONI, op. cit., pag 40-45; S. ZAGA’, op. cit., pag.

33- 38.

59

Vedi nota n. 44.

60

Tra gli altri M. BASILAVECCHIA, op. cit., pag. 69; Idem, la nullità degli atti impositivi; considerazioni sul

principio di legalità e funzione impositiva, riv. Dir. Fin. e sci. fin., 2006, 2, pag. 356 e ss; F. TESAURO, le invalidità dei provvedimenti impositivi, boll. Trib., 2005, pag. 1445; I. MANZONI, op. cit., pag. 39; F.

PISTOLESI, le invalidità degli atti impositivi in difetto di previsione normativa, riv. Dir. Trib., 2012, 12, pag. 1131; M. P. VIPIANA PERPETUA, op. cit., pag. 420 ss.

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16

forma di invalidità. Non mancano, infatti, sentenze in cui la corte di cassazione ha espressamente (ri)qualificato in annullabilità le nullità nominate dalle norme tributarie62, ad esempio in riferimento all’ ipotesi di difetto di motivazione dell’atto impositivo ( art. 42, co. 3, del d.p.r. 600/1973), la suprema corte ha affermato che “il legislatore tributario spesso usa il termine nullità in senso atecnico e, comunque, in modo improprio, sicchè la natura giuridica della sanzione – nullità o annullabilità- deve essere desunta dalla disciplina testuale delle norme regolatrici” e poiché la disciplina normativa prevede che la nullità ( per difetto di motivazione) deve essere eccepita a pena di decadenza in primo grado ( vedi art. 61 del d.p.r. n. 600/1973) “ne discende che non si tratta di nullità rilevabile d’ ufficio ed in ogni grado, bensì di annullabilità”.

Quanto poi alle ragioni di questa “imprecisione linguistica” del legislatore tributario, secondo autorevole dottrina63 sono dovute al contesto culturale tipico del periodo in cui quelle disposizioni erano state introdotte; quando era fortemente dubbia la valenza provvedimentale dell’ atto impositivo, e prevaleva l’ idea di una sua natura processuale, alla stregua di mera provocatio ad

opponendum, o comunque funzionale al processo, rispetto alla quale l’ uso del

termine nullità offriva maggiore certezza in ordine all’ effetto invalidante dell’ anomalia ( consentendo in teoria di superare la tentazione di qualificare il vizio in termini di mera irregolarità).

In ogni caso a prescindere dalle ragioni alla base di questa scelta terminologica se si esamina il trattamento delle nullità nominate dalle norme tributarie, ci si rende facilmente conto dei motivi per i quali storicamente sono state sempre riconsiderate nel significato sostanziale di annullabilità, a tali ipotesi di “imperfezione” degli atti impositivi non corrispondono affatto i caratteri giuridico- positivi delle nullità così come comunemente conosciuta dall’

62 Si riporterà parti cfr. Cass., sez. trib., 5 giugno 2002, n. 8114 ma anche analoghe conclusioni cass. 8

settembre 2003, 13078 (banca dati fisconline).

63

M. BASILAVECCHIA, le nullità degli atti impositivi, considerazioni su principio di legalità e funzione

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ordinamento e che ha il suo referente normativo nella disciplina del codice civile ( artt. 1418 ss c.c.).

Infatti, nel nostro ordinamento la distinzione delle invalidità nelle due sottocategorie della nullità e della annullabilità (non anche l’inesistenza, che è più un’ elaborazione giurisprudenziale e dottrinale64 vedi prossimo paragrafo) è stata introdotta dal codice civile.

E’ difficile, infatti, immaginare che la disciplina introdotta dalla l. n. 15 del 2005, la quale, ha introdotto per la prima volta la distinzione tra annullabilità e nullità per i provvedimenti nel diritto amministrativo, non facesse riferimento proprio a questa storica classificazione. Ciò si intuisce anche dal fatto che il legislatore non si è preoccupato di dare una definizione amministrativistica di questi due concetti, lasciando quindi del tutto “sterili” quelli che possono essere i regimi effettuali tipici delle suddette invalidità negoziali ( di cui vedi infra), che non potrebbero avere significato se non come nella distinzione codicistica.

Queste nozioni, così come sono intese nell’ ordinamento giuridico italiano, rientrano nell’ area delle invalidità del negozio giuridico, o meglio del contratto65, e corrispondono all’ area degli atti giuridicamente rilevanti (dunque esistenti) ma imperfetti, perché non del tutto conformi al paradigma normativo. Questi atti “imperfetti” poi, si distinguono a loro volta in atti che possono produrre gli effetti giuridici tipici dell’atto valido, cosiddetti “ effetti primari”, oppure soltanto gli “ effetti indiretti” perché l’ atto, seppur esistente, non è, “efficace”66.

Difatti l’ atto annullabile è, un atto dotato di immediata efficacia giuridica: si tratta tuttavia di una efficacia precaria, perché risolubile ex tunc tramite una pronuncia giurisdizionale di annullamento dell’ atto, che deve essere richiesta

64

S. ZAGA’, le invalidità degli atti impositivi, Padova, 2012, pag. 57 ss; ma anche prima E. MARELLO, op. cit., pag. 405 ss.

65 Vedi R. d. 16 marzo n. 262/1942, ( ovvero il C.C.), agli art. 1418 e ss. 66

Vedi nota precedente per i riferimenti normativi e per i riferimenti dottrinali vedi anche R. TOMASSINI, nullità, enc. Dir., milano, 1978, pag. 469 ss; e F. MESSINEO, annullabilità e annullamento, enc. Dir., milano, 1978, pag. 468 ss.

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entro un termine determinato e su istanza di soggetti legittimati, o meglio che ne hanno interesse.

L’ atto nullo, invece, ancorchè nato, è ab-origine inefficacie; esiste nel mondo giuridico ma, fin dalla sua stipula, è per volontà dell’ ordinamento stesso, improduttivo degli effetti suoi tipici, gli “effetti primari”; la nullità tra l’ altro può essere fatta valere da chiunque abbia interesse, senza limiti di tempo67, al fine di ottenere una sentenza dichiarativa di nullità, che accerti l’ inefficacia ab-origine dell’ atto. Questo regime di inefficacia dell’ atto nullo, “ impedisce, soprattutto per ragioni di interesse generale, che un trasferimento di risorse materiali possa consolidarsi contro la volontà di coloro che, a qualunque titolo, sono interessati al ripristino dello status quo ante”68. Dunque assunto che l’ ordinamento non consenta all’ atto nullo di produrre effetti giuridici primari, tuttavia non può privarlo di una possibile “apparenza di efficacia”, ed in quanto tale, potrebbe essere portato ad esecuzione; sarebbe senza dubbio una esecuzione sine titulo, ma che può determinare la produzione quindi degli “effetti giuridici indiretti”, rappresentati da trasferimento di beni o diritti, quindi alterazioni giuridico-patrimoniali, che l’ ordinamento cerca tendenzialmente di rimuovere, principalmente in sede giurisdizionale, attraverso strumenti di tutela restitutoria (o risarcitoria laddove il ripristino non sia più possibile), facendo così prevalere l’ inefficacia ab origine sull’ esecuzione sine titulo ( pertanto illegale) dell’atto nullo69. Tuttavia, come già ricordato, non può escludersi come questi effetti giuridici indiretti possano trovare stabilità nell’ ordinamento laddove il legislatore scelga, ad esempio, la prescrittibilità delle forme restitutorie e la salvezza degli effetti derivanti dal maturare dell’ usucapione, o addirittura, uscendo dalla disciplina del codice civile, forme di convalida.

Così, la regola generale dell’ inefficacia giuridica dell’ atto nullo e della sua insanabilità, trova delle implicite deroghe, come quelle ricordate, ma anche vere

67 Non è soggetto a prescrizione, comunque, fa salvi gli effetti dell’ usucapione e della prescrizione delle

azioni di ripetizione, vedi art. 1422 C.C.

68

F. LUCIANI, Contributo allo studio del provvedimento amministrativo nullo, Torino, 2010, pag. 49.

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e proprie eccezioni, espressamente disciplinate dal legislatore, ad esempio nell’ ambito del diritto processuale civile70 è prevista la sanabilità dell’ atto processuale nullo, che a ben vedere, per il tenore letterario della norma stessa si atteggia come regola della nullità processuali. Tuttavia la sua sanabilità, altro non conferma che l’ esistenza giuridica dell’ atto nullo, non anche la mancanza di efficacia.

Ecco, in sintesi, che l’ efficacia immediata ma precaria e l’ inefficacia ab-origine con possibilità di efficacia indiretta, rappresentano i due differenti regimi che l’ ordinamento attribuisce all’ atto imperfetto: il primo all’ atto affetto da cause di annullabilità, il secondo all’ atto affetto da cause di nullità. Gli altri connotati quali imprescrittibilità, insanabilità, ecc.. rappresentano caratterizzazioni di dettaglio, che possono variare in ragioni di specifiche esigenze di sistema, ma che non alterano quello che è il vero elemento di differenziazione tra lo statuto della nullità e lo statuto della annullabilità: il differente regime di efficacia dell’ atto viziato71.

Passando così, alla disciplina tributaria, dire che l’ atto impositivo affetto da una delle nullità nominate sia un atto viziato da nullità in senso proprio, significa riconoscere la sua inefficacia ab-origine, ossia ammettere che fino a che non intervenga la sua “sanatoria” ( sia essa la mancata impugnazione nel termine decadenziale ovvero la mancata deduzione del vizio nei motivi del ricorso) per l’ordinamento quell’ atto non dovrebbe essere in grado di produrre effetti sin dall’ inizio. Tuttavia è prima di tutti il dato normativo che contraddice questa ipotesi, poiché esistono norme che consentono all’ amministrazione finanziaria di portare ad esecuzione l’ atto imperfetto, anche nel caso in cui l’ imperfezione sia proprio una di quelle identificate dalle nullità nominate.

Infatti come giustamente affermato da autorevole dottrina72 (con riferimento alle nullità nominate) un regime dei vizi di tipo civilistico avrebbe rischiato di

70 Vedi articoli 156 e ss del c.p.c. aggiornato. 71

S. ZAGA’, op. cit. pag. 45 ss.

72

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20

esporre la pubblica amministrazione a possibili turbative ed incertezze nel suo regolare funzionamento l’atto impositivo viziato ha la stessa efficacia giuridica dell’atto valido, sin tanto che esso non sia annullato ad opera dello stesso ufficio oppure dal giudice73. Si badi che qui si intende non una efficacia indiretta, ma una vera e propria efficacia primaria dell’ atto impositivo nullo, confermata da tutte quelle norme (come, ad esempio gli art. 15 e 15-bis d.p.r. 603/1973 ma anche l’ art. 56 del d.p.r. 131/1986 e l’ art. 68 del d.lgs. 546/1992) che, premettendo la riscossione a titolo provvisorio (parziale o totale) riconoscono implicitamente efficacia primaria, seppur provvisoria, all’ atto impositivo. Se l’ intento del legislatore fosse stato quello proprio di evitare l’ immediata efficacia primaria dell’ atto impositivo viziato da nullità nominate ( e propriamente dette), tali disposizioni non avrebbero potuto trovare spazio nell’ ordinamento, o per lo meno non avrebbero potuto essere applicabili in caso di atto viziato da una di queste nullità nominate. Invero in legislatore ha previsto che la riscossione provvisoria sia esecutiva fintantochè non sia intervenuta una pronuncia del giudice di annullamento dell’ atto.

Ancora il legislatore stesso quando ha disciplinato l’ autotutela, ha previsto la possibilità dell’ ufficio stesso di sospendere o annullare ( anche parzialmente) gli atti illegittimi o infondati, presupponendo di fatto l’ immediata efficacia degli atti impositivi74.

Ciò posto, è evidente come il sistema tributario di tutela giurisdizionale, per come è regolato con la previsione di preclusioni, decadenze e da ultimo, ma non meno importante, l’ impossibilità circa la rilevabilità d’ ufficio del giudice del vizio invalidante75, non sia compatibile con un’ idea di nullità in senso proprio, essendo stato pensato e impostato avendo a riferimento un’ idea della nullità intesa nel senso civilistico di annullabilità.

73

I. MANZONI, potere di accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993, pag. 39 ss.

74 Sul punto si veda S. STEVANATO, l’ autotutela dell’ amministrazione finanziaria, Padova, 1996, passim;

ed anche G. FALSITTA, corso istituzionale diritto tributario, parte generale, padova, 2009, pag. 183 ss; C. GARBARINO, Imposizione ed effettività nel diritto tributario, Padova, 2003, pag. 239 ss.

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Assunta quindi la correttezza della riqualificazione delle nullità nominate nel significato sostanziale di annullabilità, così come da sempre pacificamente condivisa dalla prevalente dottrina76 e giurisprudenza77, occorre verificare in cosa e come essa sia cambiata da quando nel 2005 è stata introdotta la nuova sistematica dei vizi invalidanti del provvedimento amministrativo.

Prima di far ciò, è opportuno comunque completare il quadro delle “patologie” degli atti impositivi così come ( più o meno pacificamente) erano viste in dottrina prima della riforma, facendo particolare attenzione all’ area della inesistenza, e dall’ altro lato, quella della mera irregolarità.

2.2. L’ inesistenza dell’atto impositivo

In base alle considerazione testè svolte è emerso come, in mancanza di un chiaro dettato normativo nel diritto amministrativo, nonostante il “principio di specialità” della materia tributaria, è sempre prevalsa la “unificante logica amministrativistica dell’ annullabilità-legittimità, nella quale si tende a riassorbire le sporadiche ipotesi di nullità78”. La difficoltà oggettiva nella considerazione di un atto autoritativo privo di ogni efficacia ( almeno temporanea) ma esistente, ha sempre rappresentato un ostacolo difficilmente superabile. Per questo ordine di motivi l’ invalidità nel diritto tributario è sempre stata, almeno fino al 2005, ripartita nell’ endiade inesistenza-annullabilità.

Difatti l’ inesistenza giuridica dell’ atto, intesa come “vizio” talmente grave da non poter riconoscere in quell’ atto nemmeno l’ esercizio di una potestà autoritativa, permetteva di superare quella contraddizione di fondo che veniva posta in essere considerando la categoria della nullità come inefficacia ab-origine

76 M. BASILAVECCHIA, la nullità degli atti impositivi: considerazioni su principio di legalità e funzione

impositiva, op. cit., pag. 356 ss; I. MANZONI, op. cit. pag. 41 ss; A. FANTOZZI, violazioni del contradditorio e invalidità degli atti tributari, riv. Dir. Trib., 2011, pag. 137 ss; E. MARELLO, op. cit., pag.

399; F. PISTOLESI, op. cit., pag. 1131; F. TESAURO, l’ invalidità dei provvedimenti impositivi, 2005, Boll. trib., I, 1445; Idem, Istituzioni di diritto tributario, 2009, Torino, pag. 213; S. ZAGA’, op. cit. passim; L. DEL FEDERICO, la rilevanza della legge generale sull’ azione amministrativa in materia tributaria e l’

invalidità degli atti impositivi, riv. Dir. Trib., 2010, pag. 731.

77 In questi termini la citata “storica” sentenza Cass., sez. trib., 5 giugno 2002, n. 8114 in banca dati

fisconline.

78

L. DEL FEDERICO, la rilevanza della legge generale nell’ azione amministrativa in materia tributaria e l’

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22

dell’ atto (per cui esistente nel mondo giuridico ma non automaticamente efficace), e la manifestazione di una autorità di un soggetto pubblico in esercizio delle sue funzioni tramite un atto di imposizione. Ecco quindi che, senza il bisogno delle considerazioni ontologiche riguardo l’ inesistenza svolte in precedenza, autorevole dottrina79 ha affermato che nell’ invalidità degli atti impositivi poteva esservi una sola alternativa possibile: o l’ atto non esiste come manifestazione di autorità oppure se esiste tutt’ al più è annullabile.

Del resto, come ricordato da più autori, anche “l’ esperienza ordinamentale stessa dimostra come difficilmente il contenuto di una qualsiasi teoria della invalidità possa prescindere da una specie che individua gli atti viziati che non stabilizzano i propri effetti neppure con il decorso del tempo”80. Ecco che nel diritto tributario questo compito è assolto dall’ inesistenza81

. Nel diritto tributario la categoria della inesistenza affonda le proprie radici, come già ricordato, nelle esigenze giustiziali del sistema stesso.

In primo luogo l’ equa ripartizione dei carichi pubblici nella fase di attuazione del tributo, così come corollario dell’ art. 53 della costituzione, mal si concilia con la stabilizzazione di una pretesa fondata su un atto nemmeno degno della tutela ordinamentale: l’ interprete pertanto, risulta vincolato anche sotto questo punto di vista ad ammettere tra le fattispecie dell’ invalidità anche l’ inesistenza. In secondo luogo, la necessarietà dell’ inesistenza si può trarre anche dall’ art. 3 della costituzione stesso, sia sotto il punto di vista della razionalità e coerenza del sistema, sia come canone che impone trattamenti diversi per fattispecie diverse,

79

E. MARELLO, per una teoria unitaria dell‘ invalidità nel diritto tributario, riv. Dir. Trib., 2001, pag.403; I. MANZONI, potere di accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993, pag. 39 ss; S. ZAGA’, le

invalidità degli atti impositivi, 2012, padova, pag. 56 ss; M. P. VIPIANA PERPETUA, vizi di legittimità e vizi di merito, cause di nullità e irregolarità, 2003, padova, pag. 419; F. LUCIANI, il vizio formale nella teoria dell’ invalidità amministrativa, torino, 2003, pag. 144; in senso opposto invece: F. TESAURO, manuale di diritto tributario, parte generale, 1998, Milano, pag. 190-191.

80

E. MARELLO, op. cit., cit., pag. 401; che rinvia a P. VIRGA, diritto amministrativo, III ed., milano, 1995, pag. 114 ss; anche R. SACCO, Nullità e Annullabilità, dig. Disc. Priv., sez. civ., Torino, 1995, pag. 293 ss.

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23

(“la differenza tra le situazioni base consiste – nel caso dell’ invalidità - nella gradazione dei vizi”)82.

Come si intuisce dalla ricchezza delle argomentazioni, la categoria dell’ inesistenza non emerge dal dato normativo ma è frutto di elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali83.

Passando così dalle premesse circa la matrice eziologica della categoria dell’ inesistenza a profili più concreti (in linea col tipo di trattazione scelto), è opportuno porre meglio in evidenzia il regime effettuale della categoria prima di andare ad individuarne le fattispecie o meglio i vizi per i quali scaturisce l’ inesistenza dell’ atto. L’ inesistenza, non genera infatti alcuna preclusione, essa comporta che l’ atto non possa stabilizzare gli effetti suoi propri: nel caso in cui questi si manifestino il contribuente (come pure l’ amministrazione, in quanto autorevole dottrina84 sottolinea che l‘ inesistenza è una categoria riferibile sia agli atti emanati dall’ amministrazione quanto a quelli prodotti del contribuente) li rimuoverà senza alcun limite temporale (e il giudice li potrà rilevare d’ ufficio). Invero in base alla concezione di inesistenza che ci siamo posti detti effetti sono quelli cosiddetti “indiretti”, che derivano non dalla seppur temporanea validità dell’ atto, in quanto privo di alcuna rilevanza giuridica, ma dalla “parvenza di efficacia” che è tipica degli atti amministrativi e più volte sottolineata in tema di nullità, l’ atto resta comunque privo ab-origine di efficacia (c.d. efficacia primaria).

In questi termini allora appare chiara quale è la più logica sistemazione sul piano contenutistico della categoria dell’ inesistenza dell’ atto, che lungi dal suo tenore letterale, viene riqualificata in una azione di nullità propriamente detta in senso civilistico85; assumendone i relativi connotati giuridico–positivi proprio in

82

E. MARELLO, op. cit., pag. 403.

83

Sul punto sia la giurisprudenza che la dottrina sono assai ricche: si rinvia alla nota 77, lista peraltro, che non è affatto esaustiva, l’ inesistenza, tralasciandone sul regime effettuale e le fattispecie generative, è un concetto da tempo pacifico in materia.

84

E. MARELLO, op. cit., pag. 403 ss.

85

Sul punto si vedano, oltre alla nota 77, anche G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, parte

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riguardo del suo regime effettuale, trasformandosi così in una sorta di “super-nullità86”, e ad essere spesse volte identificata nei testi indifferentemente con i termini di nullità, nullità radicale, nullità assoluta, o per l’ appunto inesistenza87. In questo senso (ossia ammettendo un atto impositivo inefficace ex- tunc), c’è chi88 ha affermato che “anche se l’ esigenza di assicurare il più possibile la conservazione o salvezza degli atti posti in essere dalla pubblica amministrazione ha finito per privilegiare la regola della mera annullabilità dell’ atto viziato, sarebbe, però, errato ritenere che il diritto amministrativo ignori il concetto di nullità, cioè di totale inefficacia dell’ atto”. Vero sarebbe, piuttosto, che in diritto amministrativo la nullità, anziché estendersi anche all’ ipotesi dell’ atto “contrario a norme imperative”, come in diritto privato, sarebbe configurabile solo in mancanza degli elementi essenziali dell’ atto, cioè di uno dei requisiti necessari ex-lege a costituirlo: il soggetto, l’ oggetto, la volontà, il contenuto, la forma. In definitiva, nel diritto amministrativo – sempre secondo il citato autore89- il concetto di nullità “tende” ad identificarsi col concetto di inesistenza giuridica dell’ atto. La mancanza di solennità nell’ enunciazione è prodromica a successive dispute90 che hanno messo in evidenza come i due termini si possono equivalere sì da un punto di vista del regime effettuale dell’ atto, come poc’ anzi sottolineato, però è proprio sul concetto stesso di inesistenza e sul differente concetto di nullità in senso sostanziale che la suddetta tesi91 appare grossolana. Difatti, in estrema sintesi, è vero sì che l’ atto inesistente e l’ atto nullo sono entrambi accomunati dalla inefficacia ab-origine; tuttavia, mentre l’atto nullo, in quanto giuridicamente esistente, potrebbe produrre gli effetti giuridici indiretti provocati dalla sua esecuzione sine titulo, ai quali l’ ordinamento può (anche)

pag. 1446 ss; L. DEL FEDERICO, La rilevanza della generale sull’ azione amministrativa in materia

tributaria e l’ invalidità degli atti impositivi, riv. Dir. Trib, 2010, I, pag. 729 ss.

86

Termine dell’autore S. ZAGA’, op. cit., pag. 62.

87

Questa confusione terminologica è evidenziata anche da G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario,

parte generale, 2012, padova, pag. 357 ss.

88

I. MANZONI, op. cit., pag. 41.

89 Idem, pag. 42. 90

In tal senso F. LUCIANI, il vizio formale nella teoria della invalidità amministrativa, Torino, 2003, pag. 142 ss; M. V. PERPETUA, op. cit., pag. 421; E. MARELLO, op. cit., pag. 404.

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decidere di stabilizzare gli effetti; l’ atto inesistente è, invece, un atto che non ha superato neppure il primo giudizio di rilevanza giuridica e, pertanto, non dovrebbe essere in grado di produrre nessuna categoria di effetti, l’ inesistenza indica che il fatto materiale appartiene al mondo pregiuridico92, pertanto neanche qualificabile come atto. Non è poi sorprendente come la detta disciplina non manchi di far notare che a riguardo della categoria dell’ inesistenza sia inidoneo anche parlare di invalidità dell’ atto come macrocategoria, poiché l’ atto non è mai nato93 quindi tanto meno può essere invalido.

Questa tesi tuttavia appartiene ad una elaborazione successiva che è stata fatta successivamente all’ intervento del legislatore nel 2005, ma che tuttavia poggia le basi su un orientamento dottrinale anteriore alla riforma cui merita fare cenno in questa sede.

Infatti, non è mancata parte della dottrina più avveduta94 che ha a suo tempo fatto notare che, alla luce dell’ impianto normativo vigente (ante 2005) i concetti di nullità e di inesistenza si equivalgono ma creano, al tempo stesso, dei problemi anche dal punto di vista dell’ azione di nullità, quando si tratta di far valere l’ inesistenza dell’ atto propriamente detta. Infatti, facendo salvi gli effetti dell’ usucapione e sancendo la prescrizione del diritto alla restituzione95 ( che nell’ ambito tributario trovano senza dubbio un valido sostituto nel decorso dei termini di legge per l’ esercizio delle azioni di rimborso), l’azione di nullità porrebbe limiti esterni anche a questo concetto di invalidità (il quale per definizione non dovrebbe averne) cosicchè allo stato attuale della riflessione, l’ individuazione in concreto di tali limiti apparirebbe frutto di un’ operazione ermeneutica non del tutto controllabile.

92

Termine usato da F. LUCIANI, contributo allo studio del provvedimento amministrativo nullo, torino, 2010, pag. 35.

93 Termine usato anche da F. TESAURO, le invalidità dei provvedimenti impositivi, boll. Trib, 2005, I, pag.

1447.

94

E. MARELLO, op. cit., pag.405.

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Ma anche autorevole dottrina amministrativistica96 non manca di sottolineare come una volta distinti i concetti di nullità ed inesistenza, è importante considerare che tale distinzione non è affatto netta, così come è problematico rinvenirne i tratti distintivi, anche alla luce di un non esiguo numero di pronunce giurisprudenziali.

Invero talora si parla di “nullità o inesistenza”, ad indicare due vocaboli diversi per una medesima realtà97. Talaltra, invece, si riferisce alla “inesistenza e nullità assoluta”, formulando in tal modo una sorta di endiadi e rafforzando il concetto con l’ utilizzazione dei due termini98

. Il tentativo di sistemazione organica distingueva due sottocategorie di inesistenza, una in senso materiale, attinente al tenore letterario della parola inesistenza che quindi non pone neanche l’ atto come rilevante nell’ ordinamento (concezione odierna prevalente), e una in senso giuridico, riassorbita quindi nella categoria della nullità in senso sostanziale99. Certo è vero che, con specifico riferimento agli atti giuridici riferibili alla pubblica amministrazione “l’ area della irrilevanza tende a restringersi parecchio100”, nel senso in realtà quel potenziale minimo che consente all’ atto amministrativo di essere considerato come rilevante, “sta nell’ essere quell’ atto astratta manifestazione di autorità101” in quanto provienente da un soggetto agente nella sfera pubblica quindi “suscettibile quantomeno di porre in essere gli effetti indiretti102”.

Dovrebbe trattarsi, per parlarsi di inesistenza propriamente detta o in senso materiale ( secondo la citata dottrina103), di un atto talmente difforme tale da metterne in discussione l’ esistenza giuridica, come un atto proveniente da un

96

F. LUCIANI, il vizio formale nella teoria della invalidità amministrativa, Torino, 2003, pag. 146; M. P. VIPIANA PERPETUA, op. cit., pag. 422 ss.

97

Cons. giust. amm. Reg. sic., 5 maggio 1999, n. 184, Cons. stato, 1999, I, 1012; T.A.R. campania, napoli, sez. III, 19 giugno 2001, n. 2810, trib. Amm. Reg., 2001, I, 2390; per le altre rinvio a M.P. PERPETUA, op. cit., pag. 422 ss, pag. 473 ss.

98

Significativa la pronuncia che identifica tra l’ altro anche i nessi eziologici circa le carenze dalle quali scaturisce l’ inesistenza, vedi T.A.R. Abruzzo, 10 gennaio 1984, trib. Amm. Reg., 2001, I, Pag. 2390.

99

M.P. VIPIANA PERPETUA, op. cit., pag. 471 ss.

100 F. LUCIANI, contributo allo studio del provvedimento amministrativo nullo, Torino, 2010, pag. 126 ss. 101

Idem, pag. 126-127.

102

S. ZAGA’, op. cit., pag. 64.

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