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Capitolo Terzo LA DISCIPLINA DEGLI SCARICHI INDUSTRIALI 3.1 Obiettivi di qualità e valori-limite di emissione

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Capitolo Terzo

LA DISCIPLINA DEGLI SCARICHI INDUSTRIALI

3.1 Obiettivi di qualità e valori-limite di emissione

La struttura della disciplina generale degli scarichi emerge dalla combinazione tra obiettivi di qualità e valori-limite di emissione.

Infatti, l’art. 101, 1° comma, del Codice dell’ambiente prevede che tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori-limite previsti nell’Allegato 5 alla Parte terza.

Per il perseguimento degli obiettivi di tutela delle acque elencati all’art. 73, 1° comma, del d.lgs. n. 152/2006, come già anticipato, sono previsti specifici strumenti, tra i quali, appunto, l’individuazione di obiettivi di qualità dei corpi idrici e il rispetto di valori-limite di emissione agli scarichi (art. 73, 2° comma).

Gli obiettivi di qualità, ai quali il Codice dell’ambiente dedica il Titolo II della Parte terza, si distinguono in due tipi: uno, generale, relativo a tutti i corpi idrici; un secondo, relativo alla specifica destinazione d’uso per determinati corpi idrici (ad esempio, balneazione, consumo umano, vita dei molluschi).

L’art. 76 precisa che gli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici significativi e gli obiettivi di qualità per specifica destinazione sono finalizzati alla tutela e al risanamento delle acque superficiali e sotterranee (1° comma); l’obiettivo di qualità ambientale è definito in funzione della capacità dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate (2° comma); l’obiettivo di qualità per specifica destinazione individua lo stato dei corpi idrici idoneo ad

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una particolare utilizzazione da parte dell’uomo, alla vita dei pesci e dei molluschi (3° comma).

La specifica destinazione funzionale delle acque è individuata direttamente dal legislatore all’art. 79. Si tratta, nello specifico, delle:

a) acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

b) acque destinate alla balneazione;

c) acque dolci che richiedono protezione e miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci;

d) acque destinate alla vita dei molluschi.

Il Codice dell’ambiente, conformemente alle direttive, aveva previsto al quarto comma dell’art. 76 che, mediante il Piano di tutela delle acque, fossero adottate misure affinché, entro il 22 dicembre 2015:

a) fosse mantenuto o raggiunto per i corpi idrici significativi superficiali e sotterranei l’obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di «buono» (con un termine intermedio al 31 dicembre 2008 per il raggiungimento dello stato di «sufficiente», previsto all’art. 77, 3° comma);

b) fosse mantenuto, ove già esistente, lo stato di qualità ambientale «elevato»;

c) fossero mantenuti o raggiunti, altresì, per i corpi idrici a specifica destinazione gli obiettivi di qualità per specifica destinazione di cui all’Allegato 2, salvi i termini di adempimento previsti dalla normativa previgente.

Secondo la disciplina codicistica, le Regioni avrebbero dovuto provvedere (e poi così anche in futuro) alla classificazione dei corpi idrici significativi in base ad una delle classi di qualità (sufficiente, buono ed elevato) indicate nell’Allegato 1 alla Parte terza (art. 77, 1° comma), poi avrebbero dovuto individuare le misure necessarie al raggiungimento o al mantenimento dell’obiettivo di qualità ambientale

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buono o elevato (2° comma) per provvedere, a seguito di ciò, al loro raggiungimento1.

Riguardo alla situazione nazionale circa lo stato di qualità delle acque, secondo la documentazione fornita nel 2012 dall’Italia alla Commissione europea per l’attuazione della Direttiva 2000/60/CE, lo stato ecologico superiore al buono era stato raggiunto solo dal 25% dei corpi idrici superficiali, mentre lo stato chimico buono solo dal 18%; la percentuale dei corpi idrici superficiali che riusciva a soddisfare tutti i requisiti per ottenere contemporaneamente un buono stato ecologico e chimico era pari solo al 10%2.

In particolare, da una pubblicazione dell’ISPRA riferita al primo ciclo triennale di monitoraggio delle acque 2010-2012, emerge che lo stato ecologico dei fiumi monitorati risulta da «elevato» a «buono» per il 40% e inferiore al «buono» per il 60%; lo stato di qualità dei laghi presenta una classe di qualità tra «elevato» e «buono» per il 35%, inferiore al «buono» per il restante 65%; lo stato chimico delle acque sotterranee risulta per il 69,2% in classe «buono», mentre il restante 30,8% in classe «scarso»3.

Pertanto, è evidente che il nostro Paese risultava in grande ritardo, posto che l’anno previsto per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici era il 2015.

Riguardo al secondo ciclo triennale di monitoraggio 2013-2015, può essere utile riportare i risultati provvisori del 2014, relativi alla Regione Toscana, pubblicati dall’ARPAT: indicativamente si

1 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II: Discipline ambientali di settore, Cedam,

Padova, 2013, p. 65.

2

Cfr. Legambiente 2015, Dossier Cattive acque. Storie di falde, fiumi e laghi

inquinati, ma anche di acque salvate, a cura di S. DI VITO-G. ZAMPETTI, in

www.legambiente.it.

3 ISPRA, Ricapitolando l’ambiente – Annuario dei Dati Ambientali 2014-2015, in

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registra una situazione non prossima al raggiungimento degli obiettivi della «Direttiva Acque» fissati al 2015, con uno stato ecologico per i corsi d’acqua che circa nel 27% dei punti di monitoraggio ha raggiunto l’obiettivo uguale o superiore a «buono»; per lo stato chimico la situazione è meno critica, con il 69% dei punti in qualità «buona». In generale, più critica rispetto ai corsi d’acqua risulta la situazione per laghi e invasi, il cui stato ecologico è in larga maggioranza «sufficiente», e per le acque di transizione, rispetto alle quali la totalità delle stazioni ha uno stato chimico «non buono»4.

Tornando alla disciplina codicistica, per quanto riguarda il valore-limite di emissione, esso è definito dall’art. 74, 1° comma, lett. oo) come il «limite di accettabilità di una sostanza inquinante contenuta in uno scarico, misurata in concentrazione, oppure in massa per unità di prodotto o di materia prima lavorata, o in massa per unità di tempo».

Il primo comma dell’art. 101 prevede che l’autorizzazione può stabilire specifiche deroghe ai limiti di emissione e idonee prescrizioni per i periodi di avviamento e di arresto e per l’eventualità di guasti, nonché per gli ulteriori periodi transitori necessari per il ritorno alle condizioni di regime. Ma in realtà sono le Regioni a poter decidere i limiti di inquinamento di ciascuno scarico; esse, infatti, «nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, sia in concentrazione massima ammissibile, sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini» (art. 101, 2° comma).

4 Cfr. Report ARPAT, Monitoraggio delle acque. Rete di monitoraggio acque

superficiali interne, fiumi, laghi e acque di transizione - Risultati 2014, Firenze,

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Per «Migliori Tecniche Disponibili» (Best Available Techniques) si intende «la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche a costituire, in linea di massima, la base dei valori limite di emissione intesi ad evitare oppure, ove ciò si riveli impossibile, a ridurre in modo generale le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso (art. 5, 1° comma, lett. l-ter) del Codice dell’ambiente). Con il termine «disponibili» il legislatore sembrerebbe non intendere le tecniche utilizzabili in quanto esistenti, cioè disponibili in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico (cosa che peraltro potrebbe comportare ingenti oneri per le imprese nelle fasi di adeguamento degli stabilimenti, che potrebbero succedersi anche velocemente nel tempo); al contrario, la stessa norma precisa che le tecniche disponibili sono quelle «sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purché il gestore dell’impianto possa avervi accesso a condizioni ragionevoli»5.

Ricordiamo che il d.lgs. n. 46/2014, nel riscrivere la disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale, ha introdotto, in attuazione della Direttiva 2010/75/UE, le cosiddette «Conclusioni sulle BAT» (BAT Conclusions). Il nuovo art. 29 bis del Codice dell’ambiente, infatti, stabilisce che l’AIA è rilasciata tenendo conto di quanto indicato all’Allegato XI alla Parte seconda e le relative condizioni sono definite avendo a riferimento le Conclusioni sulle BAT. Si tratta di un documento adottato dalla Commissione europea, in base a quanto specificato all’art. 13 della Direttiva, contenente le parti di una BREF

5 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

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(BAT Reference Report) riguardanti le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili, la loro descrizione, le informazioni per valutarne l’applicabilità, i livelli di emissione associati alle BAT, il monitoraggio associato, i livelli di consumo associati e, eventualmente, le pertinenti misure di bonifica del sito. Relativamente ai limiti di emissione che l’Autorità competente dovrà fissare nel quadro prescrittivo dell’AIA, il comma 4 bis dell’art. 29 sexies stabilisce che questi, in condizioni normali, non devono superare i limiti fissati dalle BAT-AEL, cioè i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, definiti alla lettera l-ter.4) dell’art. 5 come gli «intervalli di livelli di emissione ottenuti in condizioni di esercizio normali utilizzando una migliore tecnica disponibile o una combinazione di migliori tecniche disponibili, come indicato nelle conclusioni sulle BAT, espressi come media in un determinato arco di tempo e nell’ambito di condizioni di riferimento specifiche»6.

Per concludere, le Regioni possono stabilire limiti meno restrittivi di quelli fissati nell’Allegato 5 alla Parte terza, tranne nei casi elencati nel secondo comma dell’art. 101, riguardanti i valori-limite indicati:

a) nella Tabella 1, relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali;

b) nella Tabella 2, relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali ricadenti in aree sensibili;

c) nella Tabella 3/A, per i cicli produttivi ivi indicati;

d) nelle Tabelle 3 e 4, per quelle sostanze indicate nella Tabella 5 del medesimo Allegato.

Il sesto comma dell’art. 101 dispone che «qualora le acque prelevate da un corpo idrico superficiale presentino parametri con valori superiori ai valori-limite di emissione, la disciplina dello scarico

6 Sulle Conclusioni sulle BAT cfr. R. BERTUZZI-N. CARBONE, Le modifiche

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è fissata in base alla natura delle alterazioni e agli obiettivi di qualità del corpo idrico ricettore. In ogni caso le acque devono essere restituite con caratteristiche qualitative non peggiori di quelle prelevate e senza maggiorazioni di portata allo stesso corpo idrico dal quale sono state prelevate».

3.1.1 Il divieto di diluizione

Altro tassello fondamentale della disciplina degli scarichi è il divieto di diluizione, contemplato dall’art. 101, 5° comma, primo capoverso, del d.lgs. n. 152/2006, ai sensi del quale «i valori limite di emissione non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente allo scopo».

E’ evidente che la possibilità di diluire le acque inquinate con acque «pulite» prima di eventuali punti di controllo renderebbe vana l’attività delle Autorità. La disposizione è, dunque, volta a contrastare la pratica fraudolenta del prelievo di acque con lo scopo esclusivo di abbattere fittiziamente le concentrazioni di sostanze inquinanti presenti negli scarichi7.

Si discute se il divieto di diluizione debba considerarsi assoluto, nel senso che non è utilizzabile alcuna sostanza liquida per diluire i reflui quando sgorgano dal sistema produttivo, ovvero relativo, e cioè riferibile esclusivamente alle acque prelevate solo a tale fine specifico8. In quest’ultimo caso, potrebbero, ad esempio, ritenersi legittimi fenomeni di diluizione ottenuta dal confluire di più scarichi parziali (salvo che per le sostanze pericolose, come già precisato),

7

G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, cit., p. 105.

8 Sull’interpretazione del divieto di diluizione cfr. F. BRUNO, Tutela e gestione delle

acque. Pluralità di ordinamenti e governance multilivello del mare e delle risorse idriche, cit., pp. 130-131.

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giustificati da motivazioni tecniche o produttive, oppure semplicemente per scelta gestionale dell’azienda, ovviamente solo nel caso in cui essi non arrechino danno al corpo ricettore. Sempre interpretando in tale senso, al contrario, non sarebbe ammissibile raggiungere la conformità del refluo scaricato ai valori tabellari disposti dalla legge attraverso operazioni di prelievo non necessario ai fini delle attività alle quali sono destinate le acque prelevate, come nel caso di acque di raffreddamento prelevate in misura sproporzionata rispetto alla necessità di raffreddare gli impianti a cui sono destinate.

La giurisprudenza prevalente si è pronunciata per il divieto assoluto di diluizione, ritenuto necessario, come da tempo sottolineato dalla Corte di Cassazione9, «onde evitare che fittiziamente gli standard risultino più bassi, e, quindi, nella norma, sicché» – continua la Suprema Corte – «bisogna tenere distinti, ai fini del controllo, gli scarichi specifici dell’insediamento produttivo da altri scarichi che abbiano utilizzato comunque acque di diluizione perché i limiti tabellari non possono essere raggiunti con immissione di acque di raffreddamento e lavaggio».

Sempre secondo la Cassazione10, «il divieto di diluizione deve essere interpretato quale principio generale ed assoluto in materia di regolamentazione degli scarichi. Tanto si evince non soltanto dall’espressione “in ogni caso”, ma anche sulla base di ragioni logiche, poiché il divieto mira ad assicurare due risultati: un risultato certo attraverso la rappresentatività e rispondenza dei limiti accertati a quelli legali in relazione alla natura del contenuto dello scarico; una più efficace protezione della capacità dei corpi recettori, che costituisce obiettivo ancor più evidente nelle nuove disposizioni del D.L.vo n. 152/1999 titolo II.2».

9 Cass. pen., sez. III, n. 19126/2001.

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Tuttavia, parte della dottrina si dichiara di diverso avviso, sostenendo che tale orientamento della Cassazione non sembra tener conto di diverse disposizioni normative da cui si può trarre il principio opposto, ossia che la miscelazione di acque di diversa provenienza è generalmente ammessa11. Le ipotesi ricordate sono le seguenti:

a) le acque reflue urbane sono ontologicamente un miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento (art. 74, 1° comma, lett. i);

b) la fognatura separata è costituita da due canalizzazioni, una delle quali è adibita alla raccolta ed al convogliamento delle acque reflue urbane (che sono già miscuglio di acque) unitamente alle acque di prima pioggia (art. 74, 1° comma, lett. ee);

c) i limiti per lo scarico delle acque reflue industriali in rete fognaria (Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte terza) sono obbligatori in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico finale (cfr. nota Tabella 3 citata). Da ciò si desume che normalmente gli scarichi industriali convogliati verso un impianto di trattamento unitario possono essere miscelati nella rete fognaria;

d) la disciplina dello scarico unitario consortile di cui all’art. 124 presuppone la miscelazione delle acque;

e) è previsto il potere del tutto eccezionale di prescrivere di tenere separati gli scarichi parziali contenenti sostanze pericolose dallo scarico generale, nonché, qualora l’impianto di depurazione riceva acque reflue industriali provenienti da altri stabilimenti o acque reflue urbane, il potere dell’Autorità di ridurre i limiti indicati nella Tabella 3 «tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione delle diverse acque reflue» (art. 108, 5° comma).

11 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

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Il legislatore del 2006 non ha risolto la questione, anche se sembra indirizzarsi verso l’orientamento della Cassazione quando stabilisce, all’art. 74, 1° comma, lett. oo), nell’ambito della definizione di valore-limite di emissione, che «i valori limite di emissione delle sostanze si applicano di norma nel punto di fuoriuscita delle emissioni dall’impianto, senza tener conto della eventuale diluizione».

L’ultima parte del quinto comma dell’art. 101, nella versione originaria del Codice dell’ambiente, prima della riforma del 2008, prevedeva che l’Amministrazione competente, in sede di autorizzazione, potesse prescrivere che le acque dello scarico di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione di energia fossero separate dallo scarico terminale di ciascuno stabilimento.

Con il d.lgs. n. 4/2008, il dettato normativo è mutato, essendo oggi previsto che «l’Autorità competente, in sede di autorizzazione prescrive che lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione di energia, sia separato dagli scarichi terminali contenenti le sostanze di cui al comma 4».

Anzitutto, si nota, l’Amministrazione competente «prescrive», e non più «può prescrivere», che tali acque siano separate dagli scarichi terminali. Con la previsione di un obbligo, anziché di una facoltà dell’Amministrazione12, si vieta la possibilità di commistione tra acque di processo in senso stretto e altre tipologie di reflui, per cercare di evitare, alla radice, eventuali intenti fraudolenti finalizzati a mascherare, attraverso miscelazioni di comodo, inquinamenti illegali13. Inoltre, viene precisato che tale separazione si applica solo ai reflui contenenti le sostanze pericolose indicate nel 4° comma e non a tutti gli scarichi.

12 In tal senso, TAR Veneto, sez. III, 20 ottobre 2009, n. 2624.

13 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

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E’ stata poi eliminata la precisazione che gli scarichi terminali si riferiscono allo stabilimento. L’art. 74, 1° comma, lett. nn) definisce lo «stabilimento industriale» o «stabilimento» come «tutta l’area sottoposta al controllo di un unico gestore, nella quale si svolgono attività commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione e/o l’utilizzazione delle sostanze di cui all’Allegato 8 alla parte III del presente decreto14, ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico».

Si ritiene che le Autorità competenti possano decidere se imporre di separare le acque reflue degli scarichi dalle acque di diluizione per l’intero stabilimento o, in alternativa, per singoli impianti produttivi per garantire il rispetto della ratio della norma, ossia esclusivamente per tutelare le risorse idriche, evitando di imporre al privato un onere inutile, peraltro ingente sotto il profilo patrimoniale15.

3.2 Il regime autorizzatorio

Una delle regole fondamentali in materia di tutela delle acque è che tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati (art. 124, 1° comma, d.lgs. n. 152/2006). Si tratta di una regola espressa fin dalla legge Merli e riguardante ogni tipologia di scarico, quale che sia la sua origine e composizione16, applicata allo scopo di prevenire i

14 Si tratta delle sostanze inquinanti disciplinate ai fini della fissazione di specifici

limiti di accettabilità nello scarico.

15

F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

multilivello del mare e delle risorse idriche, cit., p. 135.

16 In deroga alla regola generale, è previsto che «gli scarichi di acque reflue

domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi, nell’osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato» (art. 124, 4° comma).

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rischi ambientali e di favorire la conoscenza attiva sullo stato dell’ambiente da parte dell’Amministrazione competente17

.

L’autorizzazione assolve una duplice funzione: a) da parte dell’istante, consente di superare un limite all’esercizio di un diritto di cui dispone; b) dal punto di vista dell’Amministrazione, è rilasciata in funzione di controllo (preventivo e di prevenzione)18.

Il provvedimento autorizzatorio deve essere specifico, ossia deve indicare con esattezza e precisione lo scarico o gli scarichi cui lo stesso intende riferirsi, ed espresso, sicché non vale il principio del silenzio-assenso19. Infatti, il controllo amministrativo non solo deve essere preventivo, ma deve essere esercitato in modo informato, sulla base di una completa conoscenza della realtà di fatto e delle caratteristiche dell’attività da autorizzare20

.

Ai sensi dell’art. 124, 2° comma, «l’autorizzazione è rilasciata al titolare dell’attività da cui ha origine lo scarico». Tale disposizione è oggetto di interpretazione controversa, in quanto una parte prevalente della giurisprudenza ritiene che si tratti di un’autorizzazione specificamente rilasciata intuitu personae.

Nello specifico, la Corte di Cassazione21, dopo aver confermato l’orientamento consolidato secondo cui «le finalità del regime

17

P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006,

integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, Cedam, Padova, 2014, p. 53.

18 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, cit., p. 107.

19 A tal proposito, si ricordano le già citate sentenze di condanna da parte della Corte

di giustizia europea (13 dicembre 1990, C-70/89 e 28 febbraio 1991, C-360/87) nei confronti del sistema autorizzatorio previsto dalla legge Merli, che ammetteva il rilascio di un’autorizzazione tacita, mediante il meccanismo del silenzio-assenso.

20 P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006,

integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, cit., p. 16.

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autorizzatorio degli scarichi sono quelle di consentire alle autorità competenti una preventiva verifica della compatibilità dello scarico con le esigenze di tutela delle acque dall’inquinamento», ha affermato che «l’autorizzazione viene rilasciata al titolare dell’attività, come osservato da questa Corte in altra occasione “…previo controllo delle qualità soggettive di affidabilità a garanzia, già nella fase preliminare, dell’effettiva osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge e di quelle aggiuntive imposte dall’autorità che provvede al rilascio dell’autorizzazione” (Sez. III, n. 2877, 25 gennaio 2007)».

Tuttavia, secondo autorevole dottrina22, la natura intuitu personae dell’autorizzazione non trova riscontro in alcuna disposizione di legge, dal momento che l’unico riferimento legislativo («l’autorizzazione è rilasciata al titolare dell’attività da cui ha origine lo scarico») intende indicare soltanto il nesso causale attività-scarico, senza alcuna menzione di requisiti soggettivi o d’impresa. Pertanto non è condivisibile la decisione della Cassazione23, adottata subito dopo l’entrata in vigore del Codice dell’ambiente, secondo cui «in materia di tutela delle acque, la natura temporanea dell’autorizzazione allo scarico è stabilita anche in funzione di un controllo circa l’affidabilità del relativo destinatario in ordine alla piena osservanza di tali prescrizioni. Sicché, non è indifferente per il legislatore l’identità del soggetto, persona fisica o giuridica, destinatario dell’autorizzazione allo scarico, che appunto l’art. 45 del d.lgs. n. 152 (ora art. 124 del d.lgs. n. 152/2006) prevede che possa essere rilasciata unicamente “al titolare dell’attività da cui origina lo scarico”. Un tale collegamento presuppone il controllo preventivo sulle caratteristiche e sulle qualità

22

Cfr. P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs.

152/2006, integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, cit., p. 54; G. LE PERA, Inquinamento idrico, in

P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, cit., p. 109.

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soggettive di affidabilità dell’impresa richiedente, a garanzia, già nella fase preliminare del procedimento di autorizzazione, dell’effettiva osservanza, da parte del destinatario di questa, delle prescrizioni imposte dalla legge e dall’autorità amministrativa in materia di scarichi».

In realtà, si dice, l’autorizzazione provvisoria allo scarico, contemplata nel sesto comma dell’art. 124, non è finalizzata ad un controllo preventivo circa l’affidabilità soggettiva del richiedente, bensì ad una verifica di funzionalità degli impianti di depurazione «per il tempo necessario per il loro avvio». Ciò trova conferma nei criteri generali della disciplina degli scarichi di cui all’art. 101, secondo cui, come già detto, l’autorizzazione può stabilire specifiche deroghe ai valori-limite e idonee prescrizioni per i periodi di avviamento (per gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane «anche in caso di realizzazione per lotti funzionali», come previsto all’art. 106)24.

La giurisprudenza ha definito l’«impianto di depurazione» come «una struttura tecnologica […] con una precipua funzione sociale ed economica: realizzare un trattamento appropriato […] atto ad assicurare che il contenuto dello scarico sia conforme ai valori limite di emissione»25.

Tuttavia, la legge non prevede l’approvazione del progetto dell’impianto di depurazione, che può anche mancare del tutto, come si evince dalla definizione di scarico ex art. 74, 1° comma, lett. ff)26;

24 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, cit., p. 110.

25

Cass. pen., sez. III, 29 aprile 2005, n. 16274.

26

«Qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione».

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pertanto, la verifica di funzionalità dello scarico, preliminare al rilascio dell’autorizzazione definitiva, sopperisce a tale mancanza.

L’approvazione del progetto dell’impianto di trattamento non è prevista neppure per lo scarico di acque reflue industriali, essendo richiesta dall’art. 125, 1° comma, solo l’indicazione dei sistemi di depurazione utilizzati per conseguire il rispetto dei valori limite di emissione.

Soltanto per le acque reflue urbane, l’art. 126 dispone che siano le Regioni a disciplinare «le modalità di approvazione dei progetti degli impianti di trattamento», specificando che si deve tenere conto dei criteri previsti nell’Allegato 5 al decreto e «della corrispondenza tra la capacità di trattamento dell’impianto e le esigenze delle aree asservite, nonché delle modalità della gestione che deve assicurare il rispetto dei valori limite degli scarichi».

3.2.1 Il titolare dell’attività

Per quanto riguarda l’individuazione del soggetto titolare dell’autorizzazione, è indubbio che la locuzione «titolare dell’attività da cui origina lo scarico» si riferisca, in caso di soggetti con personalità giuridica (società di capitali, associazioni riconosciute, enti, ecc.), direttamente alla persona giuridica, e non alla persona fisica legale rappresentante pro tempore che abbia presentato e firmato la domanda di autorizzazione, anche se poi quest’ultimo è il soggetto che viene individuato quale responsabile per gli illeciti penali connessi alla figura del «titolare dello scarico»27, salvo applicazione del meccanismo della delega di funzioni28.

27 Ad esempio, art. 137, 8° comma, d.lgs. n. 152/2006.

28 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

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Mentre non sorgono problemi nel caso di un unico soggetto che effettua uno scarico e che richiede un’autonoma autorizzazione, la situazione appare più complessa in presenza di una pluralità di soggetti, cioè quando, come spesso accade nella pratica, più stabilimenti gestiscono in comune l’attività di scarico e di depurazione, al fine di ridurre i costi e i rischi collegati.

Il secondo comma dell’art. 124 prevede espressamente due situazioni in cui il titolare dello scarico è considerato «unico»: a) quando uno o più stabilimenti conferiscono, tramite condotta, ad un terzo soggetto, titolare dello scarico finale, le acque reflue provenienti dalle loro attività; b) quando tra più stabilimenti è costituito un consorzio per l’effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti dalle attività dei consorziati. In entrambi i casi l’autorizzazione è rilasciata al titolare dello scarico finale, sia esso un terzo ovvero il consorzio a cui partecipa l’impresa.

La norma, stando alla sua formulazione, sembra trovare applicazione soltanto per gli stabilimenti, così come definiti dall’art. 74, 1° comma, lett. nn); tuttavia, tale limitazione non è giustificabile, dovendo piuttosto applicarsi la disposizione in tutti i casi di scarico di acque reflue industriali29.

Il termine «consorzio» impiegato dal legislatore può indicare tanto un consorzio di natura civilistica (tra più imprese), quanto di natura pubblicistica (consorzio di sviluppo industriale, consorzio di bonifica, ecc.), senza che, però, tali soggetti possano sostituirsi alle Autorità competenti nell’adozione di provvedimenti autorizzatori, né nella modifica dei valori-limite di scarico fissati nelle tabelle pertinenti, come affermato dalla giurisprudenza amministrativa30; infatti, ai sensi del modello istituzionale scelto dal legislatore in questo

29 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, cit., p. 111.

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73

settore ambientale, le potestà di natura autoritativa sono riservate ai soli Enti territoriali31.

L’art. 124, 2° comma, precisa che, in caso di violazione delle disposizioni sulla gestione degli scarichi, restano ferme le responsabilità dei singoli titolari delle attività e del gestore del relativo impianto di depurazione.

Tale puntualizzazione può considerarsi una conferma di quanto sostenuto dalla giurisprudenza nel vigore delle normative precedenti32, ossia della responsabilità concorrente tra il titolare del singolo scarico e il gestore dell’impianto consortile: il primo risponderebbe in caso di dolo o colpa, il secondo per un obbligo di controllo e vigilanza non rispettato33.

Nel caso di cessione dell’azienda da cui origina lo scarico, si pone la questione se sia necessario richiedere una nuova autorizzazione, ovvero sia sufficiente una semplice comunicazione all’Amministrazione competente.

Sul presupposto soggettivo che il titolare è la persona fisica o giuridica che gestisce lo stabilimento, parte della giurisprudenza ha affermato, in passato, la necessità di richiedere una nuova autorizzazione, precisando che «in tema di scarichi di acque reflue da insediamento produttivo il titolare di una nuova impresa, subentrata ad altra, non può giovarsi dell’autorizzazione rilasciata al precedente titolare dell’impresa sostituita, ma deve munirsi di nuova specifica autorizzazione»34.

31 P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006,

integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, cit., p. 55.

32

Ad esempio, Cass. pen., sez. III, 12 luglio 1991, n. 7466; id., 15 aprile 1991, n. 4823.

33 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

multilivello del mare e delle risorse idriche, cit., p. 164.

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74

Al contrario, in una successiva sentenza35, la Cassazione ha mutato orientamento, sostenendo che «in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, nel caso di cessione di azienda, il nuovo titolare non deve presentare ulteriore domanda di autorizzazione allo scarico, perché l’autorizzazione è concessa all’insediamento produttivo in sé e non al titolare dello stesso: la “ratio” evidente che ispira la disciplina dell’autorizzazione agli scarichi ha riguardo alle loro caratteristiche oggettive e non all’identità soggettiva di chi effettua lo scarico». Infatti, sempre secondo la Corte, la prescrizione secondo cui “tutti gli scarichi devono essere autorizzati” è riferita «inequivocabilmente alla consistenza oggettiva dello scarico (portata, provenienza, recapito, contenuto dei reflui, ecc.), non alla qualità soggettiva di chi lo effettua. Se avesse pensato ai soggetti titolari degli scarichi, il legislatore avrebbe detto “tutti coloro che effettuano gli scarichi devono essere autorizzati”». Peraltro, prosegue la Suprema Corte, «nessuna nuova autorizzazione è invece richiesta per il caso che l’insediamento produttivo cambi titolare, giacché in tal caso – se non è accompagnato dai predetti mutamenti funzionali o strutturali – non c’è alcuna ripercussione sulla consistenza oggettiva dello scarico».

Per la dottrina tale ultimo indirizzo sarebbe da preferire, a condizione che l’attività esercitata dal nuovo imprenditore sia la stessa della precedente, altrimenti si verrebbero a creare quelle condizioni di cambiamento oggettivo dei reflui che obbligherebbero il nuovo soggetto a chiedere nuovamente l’autorizzazione. Questa interpretazione, si dice, appare maggiormente coerente con il sistema, in quanto è previsto che, in caso di trasferimento dell’attività in altro luogo, non è necessario richiedere una nuova autorizzazione, ma è sufficiente, nell’ipotesi in cui lo scarico non abbia caratteristiche qualitative o quantitative diverse, darne comunicazione all’Autorità

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75

competente (art. 124, 12° comma)36. Pertanto, sarebbe irragionevole considerare in maniera differente due fenomeni sostanzialmente analoghi (il trasferimento dello scarico in altro luogo e il cambio di titolarità)37.

3.2.2 Il procedimento di autorizzazione

La legge non disciplina in modo specifico il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione allo scarico, per cui si applica la legge n. 241/1990 (e successive modifiche e integrazioni) sul procedimento amministrativo (ad esempio in tema di partecipazione, conferenza di servizi, comunicazione dei motivi ostativi al rilascio, istruttoria, motivazione, ecc.).

L’art. 125, 1° comma, del Codice dell’ambiente prevede che nella domanda di autorizzazione siano indicate le caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico e del volume annuo di acqua da scaricare, la tipologia del corpo ricettore, l’individuazione del punto previsto per effettuare i prelievi di controllo, la descrizione del sistema complessivo dello scarico, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse, l’eventuale sistema di misurazione del flusso degli scarichi, ove richiesto, e l’indicazione delle apparecchiature impiegate nel processo produttivo e nei sistemi di scarico, nonché i sistemi di depurazione utilizzati per conseguire il rispetto dei valori-limite di emissione.

In caso di scarichi di sostanze pericolose, la domanda deve altresì indicare il fabbisogno orario di acque per ogni specifico

36

Come vedremo in seguito, l’art. 124, 12° comma, prevede anche i casi in cui, al contrario, modifiche sostanziali dello scarico comportano l’obbligo di richiedere una nuova autorizzazione.

37 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

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processo produttivo, nonché la capacità di produzione del singolo stabilimento industriale che comporta la produzione o la trasformazione o l’utilizzazione delle sostanze pericolose, ovvero la presenza di esse nello scarico; la capacità di produzione deve essere indicata con riferimento alla massima capacità oraria moltiplicata per il numero massimo di ore lavorative giornaliere e per il numero massimo di giorni lavorativi (art. 125, 2° comma).

La competenza al rilascio dell’autorizzazione dipende, più che dalla natura ed origine dello scarico, dalla matrice ambientale dove avviene lo scarico38. L’art. 124, 7° comma, precisa che «la domanda di autorizzazione è presentata alla Provincia ovvero all’Autorità d’ambito se lo scarico è in pubblica fognatura»39. E’ fatta salva una diversa disciplina regionale.

La Corte di Cassazione40, nel vigore della normativa precedente, ha affermato che la presentazione della domanda di autorizzazione allo scarico ad autorità diversa da quella competente, o la presentazione di domanda incompleta, sono attività equivalenti alla mancata presentazione della domanda (con tutte le conseguenze in merito all’applicazione dei relativi illeciti penali), poiché l’Amministrazione competente, essendo priva degli elementi di fatto che caratterizzano lo scarico, non è in condizione di esercitare correttamente l’attività amministrativa in coerenza con i principi generali del procedimento amministrativo (trasparenza e ragionevolezza).

Sulla domanda di autorizzazione l’Autorità competente si pronuncia entro novanta giorni (art. 124, 7° comma), avendo il d.lgs. n.

38

TAR Campania, Napoli, sez. V, 3 aprile 2006, n. 3314.

39 Ricordiamo che nel processo di riforma degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO),

il d.l. n. 133/2014 ha sostituito la figura dell’Autorità d’ambito con quella dell’Ente di governo d’ambito.

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4/2008 ripristinato il termine previsto dalla disciplina antecedente il Codice dell’ambiente.

Il legislatore del 2006 aveva, infatti, fissato il termine a sessanta giorni e aveva previsto, in caso di ritardo nel provvedere, la concessione dell’autorizzazione a titolo provvisorio per i successivi sessanta giorni, fatta salva la potestà di revoca. La norma risultava in contrasto con i principi più volte affermati dalla giurisprudenza sia comunitaria, come già ricordato, che costituzionale41, che giudicano illegittime le autorizzazioni rilasciate per effetto del silenzio amministrativo, in quanto violano l’essenziale funzione di prevenzione che informa il sistema delle autorizzazioni ambientali.

Peraltro, recentemente la Corte di Cassazione42 ha avuto modo di osservare che nel nuovo art. 124, 7° comma, non è più contemplato alcun meccanismo di silenzio-assenso legato all’inadempimento dell’Autorità a provvedere sulla domanda di autorizzazione. Secondo la Corte «deve dunque affermarsi che la semplice domanda di autorizzazione allo scarico non opera alcun effetto “liberatorio”, neppure temporaneo, potendo l’attività richiesta essere esercitata unicamente una volta rilasciata l’autorizzazione».

Rimane, comunque, la cattiva abitudine delle Amministrazioni competenti di ritenere il termine fissato dal legislatore come meramente sollecitatorio e, dunque, derogabile ad libitum; ciò non accade per altri procedimenti di settore (emissioni in atmosfera, gestione dei rifiuti), in cui sono previsti provvedimenti sostitutivi ministeriali43.

41

Corte Cost., 18 luglio 2014, n. 209; id., 1° luglio 1992, n. 307; id., 12 febbraio 1996, n. 26; id., 17 dicembre 1997, n. 404.

42 Cass. pen., sez. III, 10 marzo 2016, n. 9942.

43 P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006,

integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, cit., p. 59.

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78

Avverso l’inerzia dell’Amministrazione, il Codice del processo amministrativo attribuisce all’interessato la possibilità di chiedere al giudice amministrativo l’accertamento dell’obbligo di provvedere; tuttavia, l’azione può essere proposta non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, ferma restando la riproponibilità della domanda ove ricorrano i presupposti (art. 31, d.lgs. n. 104/2010).

L’art. 124, 8° comma, del Codice dell’ambiente dispone che l’autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio, salvo quanto previsto per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale44; la domanda di rinnovo deve essere presentata un anno prima della scadenza e, se è proposta tempestivamente, lo scarico può essere mantenuto in funzione, nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all’adozione del nuovo provvedimento. Una disciplina più restrittiva è prevista per gli scarichi contenenti sostanze pericolose, in quanto il rinnovo dovrà essere concesso in modo espresso entro sei mesi dalla data di scadenza, pena la cessazione dello scarico alla scadenza del termine.

La legge, quindi, non ammette un rinnovo tacito generalizzato45. Ove ciò si consentisse, l’Autorità competente non avrebbe la possibilità di verificare il perdurare delle condizioni richieste per ottenere l’autorizzazione, ciò che vanificherebbe, così, l’obiettivo di assicurare forme di protezione ambientali adeguate e

44

Sui diversi periodi di validità previsti per l’AIA e per la più recente AUA v. infra, par. 3.3.

45 Possono essere previste forme di rinnovo tacito solo per alcune tipologie di

scarichi domestici espressamente individuati dalla disciplina regionale (art. 124, 8° comma, ultimo periodo).

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standard uniformi di tutela sull’intero territorio nazionale (principio ispiratore di tutta la disciplina degli scarichi)46.

La domanda di rinnovo è semplificata per le piccole e medie imprese. L’art. 3 del D.P.R. n. 227/2011 prevede, infatti, che «il titolare dello scarico, almeno sei mesi prima della scadenza, qualora non si siano verificate modificazioni rispetto ai presupposti della autorizzazione già concessa, presenta all’autorità competente un’istanza corredata di dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che attesti che sono rimaste immutate:

a) le caratteristiche quali-quantitative dello scarico intese come volume annuo scaricato, massa e tipologia di sostanze scaricate, in relazione a quanto previsto nella precedente autorizzazione o, se non esplicitato in quest’ultima, nella relativa istanza;

b) le caratteristiche del ciclo produttivo compresa la capacità di produzione;

c) le sostanze impiegate nel ciclo produttivo e le relative quantità;

d) gli impianti aziendali di trattamento delle acque reflue e le relative caratteristiche tecniche;

e) la localizzazione dello scarico».

Tale modalità semplificata non potrà comunque essere applicata allo scarico di sostanze pericolose (art. 3, 2° comma, D.P.R. n. 227/2011).

Il provvedimento finale di autorizzazione solitamente contiene determinate prescrizioni tecniche. L’Autorità amministrativa, infatti, in relazione alle caratteristiche tecniche dello scarico, alla sua localizzazione e alle condizioni locali dell’ambiente interessato, può

46 R. DIPACE, L’inquinamento delle acque, in R. FERRARA-M. A. SANDULLI (a

cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II: I procedimenti amministrativi per

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disporre «ulteriori prescrizioni tecniche volte a garantire che lo scarico, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse, avvenga in conformità alle disposizioni della parte terza del presente decreto e senza che consegua alcun pregiudizio per il corpo ricettore, per la salute pubblica e l’ambiente» (art. 124, 10° comma, d.lgs. n. 152/2006).

Oltre a tale disposizione, che dà all’Amministrazione la possibilità di disporre di un ampio margine tecnico per ridurre e limitare l’inquinamento delle risorse idriche, il Codice dell’ambiente prevede anche limitazioni specifiche. La più importante riguarda gli scarichi di sostanze pericolose, la cui autorizzazione, come già detto, deve obbligatoriamente stabilire la quantità massima della sostanza espressa in unità di peso per unità di elemento caratteristico dell’attività inquinante, e cioè per materia prima o per unità di prodotto (art. 108, 4° comma). Un’altra prescrizione specifica prevede che l’autorizzazione dello scarico in un corso d’acqua che abbia una portata naturale nulla per oltre 120 giorni annui, oppure in un corpo idrico non significativo, deve tener conto del periodo di portata nulla e della capacità di diluizione del corpo idrico, e deve stabilire prescrizioni e limiti al fine di garantire le capacità autodepurative del corpo ricettore e la difesa delle acque sotterranee (art. 124, 9° comma). Per quanto riguarda l’eventualità di modifiche allo scarico, come già accennato, l’obbligo di rinnovare il procedimento autorizzatorio è previsto solo in caso di varianti che hanno natura sostanziale, e precisamente per gli insediamenti, edifici o stabilimenti la cui attività sia trasferita in altro luogo, ovvero per quelli soggetti a diversa destinazione d’uso, ad ampliamento o a ristrutturazione da cui derivi uno scarico avente caratteristiche qualitativamente e/o quantitativamente diverse da quelle dello scarico preesistente; al contrario, nell’ipotesi in cui lo scarico non abbia caratteristiche qualitative o quantitative diverse, è sufficiente darne comunicazione

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all’Autorità competente, la quale, verificata la compatibilità dello scarico con il corpo ricettore, adotta i provvedimenti che si rendano eventualmente necessari (art. 124, 12° comma).

Secondo autorevole dottrina47, non è stata colta l’occasione per precisare che la diversità del nuovo scarico, per rendere necessaria una nuova autorizzazione, deve comportare un aumento potenziale dell’inquinamento, come stabiliscono le direttive comunitarie e come è disposto dal d.lgs. n. 152/2006 per il settore dedicato all’inquinamento atmosferico. Inoltre, la formulazione della norma comporterà che ogni modifica, anche migliorativa dell’impatto ambientale, dovrà essere autorizzata, o comunque sottoposta al previo giudizio dell’Autorità, senza limiti di tempo e senza un criterio ordinatore, ponendosi, dunque, per l’imprenditore come un disincentivo all’adeguamento al progresso tecnologico.

La giurisdizione in materia di autorizzazione agli scarichi spetta, secondo la giurisprudenza maggioritaria, al giudice amministrativo e non al Tribunale superiore delle acque pubbliche48. Infatti, secondo il TAR Lazio, n. 78/2010, «la giurisdizione di legittimità in unico grado del Tribunale superiore delle acque pubbliche ai sensi dell’art. 143 del R.D. n. 1775/1933 sussiste allorquando sia impugnato un provvedimento che abbia un’incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche, nel senso che concorra in concreto a disciplinare la gestione, l’esercizio delle opere idrauliche, i rapporti con i concessionari ovvero a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all’esercizio ed alla realizzazione delle opere stesse, o a stabilire o modificare la loro localizzazione, o ad influire sulla loro

47

P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006,

integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, cit., p. 60.

48 In tal senso, TAR Lazio, sez. II, 10 gennaio 2010, n. 78; Cassazione, sez. unite

civili, 15 giugno 2009, n. 13893; TAR Campania, Napoli, sez. V, 8 novembre 2005, n. 18675.

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realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimenti […]. Pertanto, non rientrano nella sfera di giurisdizione riservata al Tribunale superiore delle acque pubbliche le controversie relative a provvedimenti che solo in via riflessa o indiretta incidano sul regime delle acque […]», come quello del caso di specie, relativo alla revoca di una precedente autorizzazione allo scarico in pubblica fognatura, in quanto non incide direttamente sul regime di utilizzazione delle acque.

Giova peraltro ricordare che, al contrario, altra giurisprudenza49 ha affermato che le controversie aventi ad oggetto provvedimenti che incidano in maniera immediata e diretta sulla regolamentazione, sotto il profilo qualitativo, delle acque pubbliche, come l’autorizzazione allo scarico, in un fiume, di acque reflue provenienti da un depuratore, rientrano nella giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche50.

3.3 L’autorizzazione integrata ambientale (AIA) e

l’autorizzazione unica ambientale (AUA)

In attuazione della normativa comunitaria sulla riduzione e prevenzione integrata dell’inquinamento (c.d. IPPC – Integrated Pollution Prevention and Control), inizialmente contenuta nella Direttiva 96/61/CE, poi confluita nella Direttiva 2008/1/CE e recentemente riscritta dalla Direttiva 2010/75/UE, è stata prevista nel nostro ordinamento l’autorizzazione integrata ambientale (AIA). Tale disciplina è stata introdotta dapprima, parzialmente, con il d.lgs. n. 372/1999 e poi con il d.lgs. n. 59/2005; con il d.lgs. n. 128/2010 è stata inserita nel Codice dell’ambiente e, di recente, ha subìto diverse

49 TAR Sardegna, sez. I, 7 agosto 2012, n. 768.

50 R. DIPACE, L’inquinamento delle acque, in R. FERRARA-M. A. SANDULLI (a

cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II: I procedimenti amministrativi per

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modifiche ad opera del d.lgs. n. 46/2014, emanato in attuazione della direttiva del 2010.

La disciplina comunitaria sull’IPPC è nata dall’esigenza di superare l’approccio settoriale e di considerare l’interconnessione delle diverse forme di inquinamento riferibili ad una singola attività, in una visione complessiva del fenomeno inquinante. Infatti, un sistema basato su differenti autorizzazioni per ogni singola forma di inquinamento, oltre che appesantire il procedimento, non potrebbe realizzare una compiuta funzione di prevenzione, in quanto gli effetti di esse non corrispondono alla loro semplice somma, ma sono il frutto della loro interazione51.

L’AIA, dunque, mira alla prevenzione e riduzione integrate di tutte le forme di inquinamento, prevedendo «misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente» (art. 4, 4° comma, lett. c) d.lgs. n. 152/2006); essa sostituisce «ad ogni effetto le autorizzazioni riportate nell’elenco dell’Allegato IX» (art. 29 quater), tra cui l’autorizzazione allo scarico.

L’ambito di applicazione è definito dall’allegato VIII alla Parte seconda del d.lgs. n. 152/2006 (art. 6, 13° comma) e comprende, tra gli altri, gli stabilimenti che svolgono attività chimiche, energetiche, minerali, di gestione dei rifiuti, di produzione e trasformazione dei metalli, nonché le modifiche sostanziali agli stessi.

Le condizioni richieste per il rilascio dell’AIA sono determinate tenendo conto di alcuni principi generali: la predisposizione di misure di prevenzione dell’inquinamento, la rimozione dei fenomeni di inquinamento significativo, la riduzione dell’impatto della produzione dei rifiuti, l’utilizzazione efficiente

51 G. ROSSI, Funzioni e procedimenti, in G. ROSSI (a cura di), Diritto

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dell’energia, la predisposizione di misure per prevenire gli incidenti e per evitare i rischi di inquinamento al momento della cessazione definitiva delle attività (art. 6, 16° comma).

Per raggiungere un livello il più possibile elevato di protezione dell’ambiente, il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale deve essere effettuato, come già detto, sulla base delle migliori tecniche disponibili, avendo a riferimento le Conclusioni sulle BAT adottate a livello comunitario (art. 29 bis)52.

Ai sensi dell’art. 29 sexies, 3° comma, l’AIA deve includere i valori-limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti, in particolare quelle dell’Allegato X alla Parte seconda, che possono essere emesse in quantità significativa; tali valori-limite non possono comunque essere meno rigorosi di quelli fissati dalla normativa vigente nel territorio in cui è ubicata l’installazione.

L’Autorità competente per il rilascio è il Ministero dell’ambiente per tutti gli impianti esistenti e nuovi di competenza statale, ossia quelli maggiormente inquinanti, indicati all’Allegato XII, come ad esempio raffinerie, acciaierie e centrali termiche (art. 7, 5° comma). Per gli altri impianti di cui all’Allegato VIII, che non risultano ricompresi anche nell’Allegato XII, la competenza è dell’Autorità con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale, individuata dalle leggi regionali (art. 7, 6° comma)53.

Quanto all’iter procedimentale dell’autorizzazione integrata ambientale, la relativa disciplina è contenuta nell’art. 29 quater. Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda, l’Autorità competente provvede a comunicare al gestore la data di avvio del procedimento e, entro quindici giorni da tale comunicazione, il gestore provvede alla

52

Sulle migliori tecniche disponibili e sulle BAT Conclusions v. supra, par. 3.1.

53 Così, ad esempio, sono assoggettate ad AIA regionale la produzione di coke, la

trasformazione di metalli, la fabbricazione di prodotti farmaceutici, lo smaltimento dei rifiuti, la produzione di cemento, la fabbricazione del vetro, di prodotti ceramici, di carta, la concia delle pelli, ecc.

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pubblicazione di un annuncio contenente l’indicazione della localizzazione dell’impianto e del nominativo del gestore medesimo, al fine di consentire agli interessati di presentare entro trenta giorni le proprie osservazioni. A questo punto viene convocata una Conferenza di servizi, cui partecipano le Amministrazioni competenti in materia ambientale e, comunque, nel caso di impianti di competenza statale, i Ministeri dell’interno, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e dello sviluppo economico; la Conferenza conclude i suoi lavori entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione di osservazioni da parte degli interessati. L’istruttoria è svolta dalla Commissione istruttoria per l’autorizzazione integrata ambientale, di cui all’art. 8 bis. L’Autorità competente esprime le proprie determinazioni entro centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda.

L’autorizzazione integrata ambientale ha una durata di 10 anni. Tuttavia, l’art. 29 octies prevede un periodo di rinnovo a 16 o 12 anni, in funzione premiale, a vantaggio di impianti in possesso di certificazioni ambientali (8° e 9° comma).

L’art. 29 decies contiene alcune prescrizioni a carico del gestore dell’impianto, il quale, prima di dare attuazione alle condizioni previste nell’autorizzazione , deve darne comunicazione all’Autorità competente e, successivamente, deve trasmettere i dati relativi ai controlli delle emissioni richiesti dall’AIA, secondo modalità e frequenze stabilite nell’autorizzazione stessa. Ai poteri ispettivi e di controllo dell’ISPRA e delle ARPA posso seguire effetti sanzionatori diversi, a seconda della gravità delle infrazioni: diffida, diffida e contestuale sospensione dell’attività autorizzata per un tempo determinato, revoca dell’autorizzazione, fino alla chiusura dell’impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di violazioni reiterate che determino

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situazioni di pericolo e di danno per l’ambiente (art. 29 decies, 9° comma).

Il d.lgs. n. 46/2014 ha sottoposto a revisione l’intero corredo sanzionatorio della disciplina dell’AIA, contenuto nell’art. 29 quattuordecies, provvedendo anche all’integrazione delle singole norme sanzionatorie di settore; in ciascuna di esse, infatti, viene specificato che la sanzione prevista si applica «fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’art. 29 quattuordecies»54.

Per quanto riguarda, invece, la più recente figura dell’autorizzazione unica ambientale (AUA), la normativa di riferimento è contenuta nel D.P.R. 13 marzo 2013, n. 59.

Si tratta di un procedimento volto all’adozione di un unico provvedimento che sostituisce diverse autorizzazioni ambientali, che altrimenti l’impresa avrebbe dovuto ottenere separatamente, all’esito di ciascun procedimento specifico.

La ratio della disciplina consiste, evidentemente, nell’esigenza di semplificazione procedimentale, il cui esempio più importante è dato dalla previsione della durata molto lunga (15 anni) dell’autorizzazione unica, in luogo dei termini più brevi previsti originariamente per le diverse autorizzazioni (art. 3, 6° comma, D.P.R. n. 59/2013). Inoltre, l’art. 4 prescrive tempi brevi per l’istruttoria e per l’adozione del provvedimento finale (90 giorni o 120 giorni in caso di procedimenti più complessi).

L’ambito di applicazione dell’AUA comprende, ai sensi dell’art. 1, 1° comma, del D.P.R., le categorie di imprese individuate dal d.m. 18 aprile 2005, nonché gli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale. Come precisato dalla Circolare del Ministero dell’ambiente del 7 novembre 2013, n. 49801, il secondo

54 Sulla disciplina dell’AIA cfr. R. BERTUZZI-N. CARBONE, Le modifiche all’AIA

introdotte dal D.Lvo 46/2014, in www.tuttoambiente.it; G. ROSSI, Funzioni e procedimenti, in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., pp. 83-86.

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presupposto applicativo (gli impianti esclusi dall’AIA) non si cumula, bensì assorbe il primo (l’appartenenza del gestore alla categoria delle piccole e medie imprese); pertanto, rientrano nell’ambito di applicazione dell’AUA tutte le imprese che, indipendentemente dalla loro dimensione (piccole, medie o grandi), non sono soggette ad autorizzazione integrata ambientale ed hanno la necessità di ottenere almeno uno dei titoli autorizzativi indicati dall’art. 3, 1° comma, del D.P.R. n. 59/2013.

L’art. 3 contiene l’elenco delle autorizzazioni e comunicazioni che vengono sostituite dall’AUA, tra le quali è compresa l’autorizzazione agli scarichi. I gestori degli impianti devono presentare la domanda anche nel caso in cui l’impianto sia assoggettato al rilascio, alla formazione, al rinnovo o all’aggiornamento di uno solo dei titoli abilitativi indicati (1° comma); alle Regioni è data la possibilità di includere nell’elenco ulteriori atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale (2° comma).

La domanda per il rilascio dell’autorizzazione unica ambientale è presentata allo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP), presente nei Comuni, che la trasmette immediatamente all’Autorità competente, con la quale ne verifica l’esattezza formale (art. 4, 1° comma). Trascorsi trenta giorni senza la richiesta di integrazioni, la domanda si intende regolarmente presentata (3° comma).

L’Autorità competente (Provincia o altro ente individuato dalla normativa regionale) gestisce la fase di autorizzazione, adottando il provvedimento finale e trasmettendolo al SUAP, che poi rilascia il titolo. Se l’AUA sostituisce titoli abilitativi per i quali il termine per la conclusione del procedimento è inferiore o pari a 90 giorni, l’Autorità adotta il provvedimento finale entro 90 giorni; se, invece, sostituisce titoli per i quali la conclusione del procedimento è superiore a 90 giorni, l’AUA deve essere adottata entro 120 giorni (art. 4, 4° e 5°

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comma). Il SUAP, inoltre, convoca la Conferenza di servizi, laddove prevista.

La durata del titolo è, come già accennato, di 15 anni, ma il quinto comma dell’art. 3 stabilisce che in caso di scarichi contenenti sostanze pericolose, quelli di cui all’art. 108 del Codice dell’ambiente, il gestore dell’impianto deve presentare, almeno ogni 4 anni, una comunicazione contenente gli esiti delle attività di autocontrollo all’Autorità competente, la quale può procedere all’aggiornamento delle condizioni autorizzative; tale aggiornamento, peraltro, non modifica la durata dell’autorizzazione.

Ai fini del rinnovo dell’AUA, almeno sei mesi prima della scadenza deve essere presentata la domanda corredata dalla documentazione aggiornata (art. 5, 1° comma). Tuttavia, ai sensi del quinto comma dell’art. 5, l’Autorità competente può comunque imporre il rinnovo dell’autorizzazione, o la revisione delle prescrizioni ivi contenute, prima della scadenza quando:

a) le prescrizioni stabilite impediscano o pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di pianificazione e programmazione di settore (e quindi, per quanto ci interessa, i piani di tutela delle acque);

b) nuove disposizioni legislative comunitarie, statali o regionali lo esigono55.

3.4 L’attività di controllo

Il Capo III del Titolo IV della Sezione II della Parte terza del Codice dell’ambiente contiene alcune norme sul controllo degli scarichi.

55 Sulla disciplina dell’AUA cfr. G. ROSSI, Funzioni e procedimenti, in G. ROSSI (a

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89

Tale disciplina riveste un’importanza fondamentale per la tutela delle acque dall’inquinamento, in quanto consente da un lato di avere una conoscenza affidabile e aggiornata dell’evoluzione dei fenomeni antropici sul territorio, dall’altro lato, di verificare la validità delle scelte operate per la salvaguardia qualitativa e quantitativa dei corpi idrici e, nel caso, modificarle56.

L’art. 128, 1° comma, dispone che «l’autorità competente effettua il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli».

L’attività di controllo compete alla stessa Autorità dotata di amministrazione attiva, ossia, ai sensi dell’art. 124, 7° comma, la Provincia ovvero l’Autorità d’ambito limitatamente agli scarichi in pubblica fognatura, salvo diversa disciplina regionale57.

Tuttavia, per effettuare materialmente i controlli, sia quelli preventivi durante la fase istruttoria del procedimento autorizzatorio, sia quelli successivi, gli Enti locali si avvalgono di strutture tecniche. Si tratta delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA)58.

Specifiche competenze sono, poi, attribuite agli organi di polizia. L’art. 135, 2° comma, precisa che «ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato. Il Corpo delle capitanerie di porto, Guardia Costiera, provvede alla sorveglianza e all’accertamento delle violazioni di cui alla Parte III

56

AA. VV., Manuale Ambiente 2014, IPSOA, Milano, 2014, p. 291.

57 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, cit., pp. 113-114.

58 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

(34)

90

del presente decreto quando dalle stesse possano derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero».

Le attività che i soggetti competenti possono porre in essere sono elencate all’art. 129 del Codice dell’ambiente, che consente all’Autorità di effettuare «le ispezioni, i controlli e i prelievi necessari all’accertamento del rispetto dei valori limite di emissione, delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori o regolamentari e delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi», precisando che il titolare dello scarico è tenuto, a sua volta, a «fornire le informazioni richieste e a consentire l’accesso ai luoghi dai quali origina lo scarico».

I gestori degli impianti di trattamento di scarichi contenenti sostanze pericolose sono soggetti ad un sistema di autocontrolli, in quanto l’art. 131 prevede che «l’Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione può prescrivere, a carico del titolare dello scarico, l’installazione di strumenti di controllo in automatico, nonché le modalità di gestione degli stessi e di conservazione dei relativi risultati, che devono rimanere a disposizione dell’Autorità competente al controllo per un periodo non inferiore a tre anni dalla data di effettuazione dei singoli controlli».

Ai sensi dell’art. 132, nel caso in cui i soggetti competenti non provvedano ad effettuare i controlli previsti dalla legge, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare diffida la Regione a provvedere entro il termine massimo di 180 giorni ovvero entro il minor termine imposto dalle esigenze di tutela ambientale; in caso di persistente inadempienza provvede, in via sostitutiva, il Ministro dell’ambiente, previa delibera del Consiglio dei Ministri, imputando gli oneri a carico dell’Ente inadempiente (1° comma) e procedendo alla nomina di un commissario ad acta, che pone in essere gli atti necessari agli adempimenti previsti dalla normativa vigente (2° comma).

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