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L’AUTODIFESA DELL’IGEGNER MASLOV

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Academic year: 2021

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L’AUTODIFESA DELL’IGEGNER MASLOV

Eccolo l’ingegnere dei primi giorni del Belomorstroj. Non ha ancora dimenticato nulla e nulla ha imparato fino ad ora. La scienza deve ancora venire. Adesso nell’Ufficio di progettazione speciale sta stendendo il progetto preliminare per il nuovo e irrealizzabile capriccio dei bolscevichi: il canale Mar Bianco-Mar Baltico.

Il quarantenne ingegner Maslov è calmo, pacato, ostentatamente pulito, un uomo di quelli che si rispettano. Maslov è un eminente specialista, un professore, allievo di un ingegnere europeo. Nelle condizioni della reclusione forzata, egli, come si suol dire, mantenne il pieno rispetto di se stesso. Ma ciò non gli bastava. Necessitava che tutti quelli che gli stavano intorno lo sapessero. Ecco perché ogni mattina lanciava i suoi segnali di riconoscimento: il colletto perfettamente bianco e le guance rasate. L’ingegner Maslov aveva deciso di essere, al Belomostroj, la personificazione della lealtà forzata, sotto forma di un gentiluomo ben rasato in un abito logoro con il colletto pulito. Cosa gli si poteva obiettare? Venne subito capito e i rapporti lavorativi si consolidarono rapidamente e senza problemi: sia con i čekisti che con i compagni.

L’ingegneria di alto stile non ammette copie. È una professione ricca di inventiva. I giganteschi sforzi creativi che l’ingegnere deve fare per realizzare opere

straordinarie, come una centrale elettrica, un ponte, una diga, un hangar per dirigibili, un laminatoio per blumi, una fabbrica suscitano in lui una fiducia eccessiva nelle proprie capacità intellettuali. Nei contesti capitalistici ciò porta spesso al fatto che, non appena l’ingegnere cerca di comprendere il mondo che sta al di fuori dei confini della propria scrivania, cade subito nelle grinfie del più comune buonsenso borghese.

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In ambito tecnico a farsi portatori del buonsenso sono gli stupidi, che godono del meritato disprezzo da parte dell’ingegner Maslov. Professando questo stesso buonsenso in ambito politico, Maslov esige pieno rispetto. Non è poi così importante in cosa consista esattamente il buonsenso politico dell’ingegner Maslov. Per questo pupillo europeo poteva consistere, per esempio, nella convinzione che il parlamentarismo incarni la forma perfetta di organizzazione statale. Questo pensiero poteva apparirgli matematicamente convincente: il popolo, in modo volontario, con il passaggio collettivo delle elezioni, sceglie i rappresentanti che lo governeranno e faranno le leggi per lui. In ogni caso, l’ingegner Maslov, neanche per un secondo, poteva ammettere l’idea che l’uomo, creatore di tutto quel paesaggio tecnico-industriale in cui vive l’umanità moderna, potesse rivelarsi un perfetto ignorante nei riguardi delle questioni politiche. Un presuntuoso, compiaciuto e pericoloso ignorante.

Per l’ingegner Maslov era naturale andare a finire in una organizzazione di sabotatori. Oltre alle ragioni comuni a una determinata parte dell’ingegneria, a portarlo là fu la morbosa consapevolezza dell’inferiorità della propria persona e della propria professione, come se dovessero rimanere costantemente schiacciate da questo stato sovietico ottuso, privo di ordine e disonesto. Difendendo in realtà solo il proprio privilegio di realizzare costruzioni tecniche per il capitalista, stava nell’organizzazione con l’aria di un gentiluomo che non ha il diritto di rifiutarsi di morire per i propri ideali politici.

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E quindi il campo di lavoro, il Belomorstroj. Il dovere è stato compiuto. L’equilibrio ripristinato. Ormai non solo non c’è più la consapevolezza della propria inferiorità, al contrario, mai prima di allora l’ingegner Maslov si era rivolto a se stesso con tanto rispetto come in quell’esatto momento della sua vita.

Che fantastica immagine di uomo: un giovane, brillante professore che soffre per i suoi ideali nel selvaggio nord, circondato da ragazzacci criminali e prostitute! In generale, questa immagine non si distingueva per particolare originalità, ma corrispondeva esattamente a una speciale e meschina fantasia dell’ingegner Maslov. A sua disposizione c’erano alcune varianti tradizionali sul medesimo eroico tema, ed egli le utilizzava a piacere, a seconda dell’umore, del tempo, dei giochi casuali della mente.

L’ingegner Maslov lavora nella sezione delle paratoie. Beninteso, non crede affatto nella possibilità di realizzare un gigantesco canale da qualche parte alla fine del mondo, nella quasi totale assenza di macchine, di metallo, di forza lavoro qualificata. Ma non è un uomo libero di decidere. Ha acconsentito a fornire a questi uomini il suo sapere, il suo cervello, ma niente di più. Non una sola emozione. Non un solo sorriso. Non una sola parola in più.

- Dite di non avere metallo. E con che cosa ordinerete di costruire le porte e le paratie per le chiuse? Non con il legno, vero?

- Sì, proprio con il legno.

- Ma siete consapevoli del fatto che in nessuna parte del mondo sono mai state realizzate porte e paratie di legno per chiuse navigabili e che non esiste nessun calcolo nella scienza per costruzioni del genere?

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- Ora, dopo la vostra autorevole testimonianza, ne siamo consapevoli. Cercate di fare quei calcoli. Non abbiate paura di rischiare. In una tale impresa, quale la costruzione di uno dei più imponenti canali del mondo in venti mesi, non si può fare a meno del rischio e dell’innovazione. Potete verificare ciascuna delle vostre opzioni sul materiale. Ricordatevi dei ritmi.

Che fare … l’ingegner Maslov si mette al lavoro. Dio, era di nuovo tornato alla sua meravigliosa professione! Tiene di nuovo il pennino da disegno in mano. Davanti a lui c’è di nuovo il foglio di carta azzurrino in cui può fare ciò che vuole. Il suo volto perde subito l’espressione propria di una delle sue varianti eroiche e diventa espressivo e intelligente. In sostanza di fronte a lui si pone un problema profondamente interessante: la costruzione di porte e paratie per poderose chiuse con il legno, con i pini della Carelia. E la cosa più importante è che si tratta di un problema del tutto concreto. Qualunque numero di opzioni purché il problema venga risolto. E poi una rapida verifica e una rapida realizzazione materiale. Accanto a tutto questo una premessa generale: i ritmi, i ritmi, i ritmi! In ogni caso non avrebbe permesso che gli stessero con il fiato sul collo. Non è un taglialegna. Con la fretta non si ottiene nulla nel suo lavoro. Ma non sono certo i singoli uomini, i čekisti, o i compagni, è il piano che gli mette pressione con una forza straordinaria. Il piano, una parte inscindibile del quale è rappresentata dal suo lavoro. Il piano, l’inesorabile piano

di lavoro che diventa mano a mano la legge più importante, a cui sono sottomessi nella stessa misura čekisti, ingegneri, ladri, malavitosi, kulaki, prostitute. In modo del tutto inaspettato per l’ingegner Maslov e malgrado la sua volontà, questa percezione intensa, morale di un piano di costruzione collettivo provoca in lui parecchie emozioni. Scaldato dall’emozione, il cervello, appena tolto il freno, comincia a

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mostrare una migliore qualità nel lavoro. Adesso lo stesso ingegner Maslov aggiunge un po’ di combustibile in questo fuoco che divampa. Poi perde il conto delle emozioni. Non è in grado di contarle. Cinque, dieci, quindici varianti! Non aveva mai conosciuto in tutta la sua vita una festa della creatività tanto incessante e tumultuosa. E i ritmi! Sta già scoprendo la risposta giusta. Ancora due, tre opzioni e il problema poteva considerarsi risolto. In ogni caso gli è del tutto chiaro già adesso che le porte e le paratie di legno da lui progettate non sono affatto da meno di quelle di ferro.

Che risultato strabiliante! E questa scoperta, con cui si è fatto un nome nell’idrotecnica mondiale, gli è capitato di farla qui, da detenuto.

Va notato che, esteriormente, l’ingegner Maslov era parimenti pacato, corretto e ordinato e continuava a mostrarsi come l’incarnazione della lealtà forzata. Ma qualcosa in lui era cambiato. Di lui raccontano che in quella fase del suo lavoro al Belomorstroj scherzasse molto e in modo forzato. Era quello il modo per trattenersi nelle ultime posizioni. Da uomo non libero intellettualmente, con un eccessivo amor proprio, la cui origine risiedeva nei pregiudizi di casta, cercava di nascondere con l’ironia quei seri e profondi processi di trasformazione della coscienza, che si svolgevano in lui in modo

incessante, di pari passo con il suo coinvolgimento nel lavoro.In un primo momento, cercò di convincersi del fatto che fosse in corso un processo di volgarizzazione della sua complessa psiche, costretta ad adattarsi ai ritmi mostruosi del Belomorstroj, ma ciò era contraddetto in modo drastico dalla tensione davvero tumultuosa delle sue capacità creative. Allora cominciò a fare ironia in modo discreto, sottile, con il contagocce, in totale conformità con il suo stile di vita. Aveva voglia di scherzare su tutta quella realtà così significativa che l’OGPU aveva creato qui,

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aveva voglia di scherzare sulla competizione socialista, sul lavoro d’assalto, sulla rieducazione degli uomini, sulla sua partecipazione finalmente personale a questa opera senza precedenti. Era questa l’autodifesa, l’ultimo rifugio. Temeva che qualcuno potesse pensare – Dio non voglia! - che l’ingegner Maslov si fosse lasciato persuadere da quei furbi dei sovietici, che riconoscesse sul serio il potere sovietico, che costruisse quel canale senza alcun secondo fine, che si fosse convinto della superiorità delle forme socialiste di lavoro, e del fatto che la vera libertà per la tecnica e la scienza fosse possibile solo sotto il socialismo.

Nel 1932 l’ingegner Maslov venne rilasciato prima dell’estinzione della condanna, ma rimase a lavorare. Eppure, con il suo stile moderato e posato, cercò di ironizzare sul suo rilascio anticipato e sulla sua decisione di rimanere a lavorare fino al completamento del canale. Quando il canale venne infine terminato, l’ingegner Maslov, per delibera del VCIK, venne insignito dell’ordine della Bandiera Rossa per i suoi eccezionali meriti nella progettazione di porte romboidali e paratie per le chiuse in legno. Era molto confuso e decise di non scherzare sul fatto di aver ricevuto la decorazione. Sarebbe stato ormai troppo ipocrita e privo di qualsiasi gusto. Era il momento di mettere fine a questo complicato gioco psicologico con se stesso. In fin dei conti era piuttosto stancante e portava via molta forza d’animo. E la forza è necessaria per lavorare. Dopotutto l’ingegner Maslov ebbe tempo a sufficienza per

convincersi che con il socialismo lavorare è possibile. E non solo lavorare, è possibile aprire un nuovo capitolo in una nuova scienza: l’idrotecnica socialista.

Questo fu il percorso dell’ingegner Maslov, dall’OKB al completamento del canale.

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FRENKEL’

Difficilmente si può affermare che la nomina del compagno Frenkel’ al posto di capo dei lavori avesse suscitato una qualche forte impressione. Gli operai semplici non lo conoscevano, gli ingegneri, seppure avevano sentito parlare di lui in passato, appresero per caso questa notizia, come uno dei noiosi dettagli amministrativi – ancora un altro responsabile, che probabilmente non si intendeva per niente di tecnica, avrebbe impartito ordini e fatto rimproveri.

Soprattutto all’inizio, alcuni ingegneri non erano di buon umore. I lavori, sparsi su centinaia di chilometri nella neve e nelle foreste selvagge, la scarsa chiarezza dei progetti, le sorprese che preparava la natura, le scadenze, che sembravano impossibili da rispettare, e infine la condizione comune di insicurezza, di isolamento, di indifferenza verso l’opera. I bollettini e le informazioni sui metri cubi di roccia e calcestruzzo, sulla forza lavoro e sul clima venivano spediti in anticipo alla Direzione amministrativa più per sgravio di coscienza che nella speranza di ricevere una risposta rapida e chiara.

Ma, con stupore di tutti, il primo bollettino provocò una reazione quasi istantanea. Squillò il telefono, e una voce, che in seguito divenne familiare in ogni sua sfumatura, per la prima volta disse nel cantiere:

- Pronto, parla Frenkel’.

Ben presto lo videro. Di media altezza, magro, con un bastone in mano, appariva sul tracciato ora qua ora là, in silenzio si avvicinava ai lavori e si fermava, appoggiato al bastone, con una gamba dietro l’altra, e rimaneva così per delle ore. Guardava in basso, gli scavi, i cumuli di pietre, di assi legate da una rete su cui correvano gli uomini che trasportavano le carriole, piegandosi sulle curve,

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le falde di terra che bruciavano l’aria, il vapore che usciva dalle macchine e dagli uomini. Di tanto in tanto faceva delle domande, rivolgendosi ai capisquadra, e allora sotto la visiera del berretto vedevano il suo viso scarno, autoritario, con un taglio della bocca capriccioso e un mento che esprimeva tenacia. Gli occhi di un investigatore e di un accusatore, le labbra di uno scettico e di un satirico.

Somigliava a un uccello. Circondato da uomini indaffarati, sembrava chiuso in una strana solitudine, tanto più fredda dal momento che la sua causa era incomprensibile.

Ben presto conobbero Frenkel’ più da vicino. Inizialmente non si trattò di una conoscenza piacevole. No, non è che urlasse o imprecasse. Era gentile. Ma tuttavia, già dal primo sguardo, a ciascun sottoposto fu chiaro che bisognava capire i suoi metodi di lavoro, oppure entrare in lotta con lui.

Frenkel’ non stette ad aspettare questa scelta e lui stesso passò subito all’offensiva.

Si scagliò sugli ingegneri e i capisquadra con una forza che si rivelò invincibile.

Riteneva che lavorassero male, che non mettessero nell’impresa né le loro conoscenze né la voglia, vedeva la loro mancanza di unità, il loro scarso interesse per l’impresa.

Gli ingegneri lo consideravano un dilettante, il cui impeto si sarebbe placato una volta che si fosse imbattuto in questioni tecniche che senza dubbio non conosceva. Cosa avrebbe potuto contrapporre alla loro autorità tecnica, ai loro conti matematici, alla loro conoscenza scientifica ottenuta in decenni di studi costanti e di pratica?

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Frenkel’ non poteva accettare questa parte. Le sue idee riguardo al comando erano diverse. L’opinione che si era fatto di esso era la seguente: da uomo di grande ambizione e orgoglio, egli ritiene che la cosa più importante per un capo sia il potere assoluto, incrollabile e incontrastato. Se per il potere è necessario essere temuti, allora che ti temano. Se è necessario non essere amati, allora che non ti amino. Ma la volontà dei sottoposti deve interamente corrispondere a quella del capo. Questa era l’idea.

Questa strada nelle condizioni del Belomorkanal sembrava facile. Bisognava solo sfruttare il carattere militarizzato, disciplinato del cantiere. In esso lavorano uomini che hanno recato danno al paese, la giustizia proletaria li ha isolati dalla società poiché ostacolavano la costruzione del socialismo; sono nemici, e la severità, la durezza sono perfino del tutto naturali nei confronti di questi uomini.

Ecco la strada semplice e sicura verso il potere.

Gli occhi dell’accusatore e dell’investigatore si fermarono su un caposquadra:

- Quanta terra viene estratta in questo scavo nell’arco di cinque giorni? Il caposquadra si dà un colpetto sulle tasche, tira fuori un libriccino, passa il dito sulla paginetta.

- Non lo ricordate a memoria? – dice Frenkel’, - e già si percepisce il disprezzo nella sua voce.

Il caposquadra aveva trovato la cifra. - È poco! Perché?

- Mancano gli operai. - Quanti operai avete?

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Di nuovo il dito scorre sulla paginetta.

- Non sapete quanti operai avete? Allora ve lo dico io quanti ne avete. Ne avete 935.

- Già, - disse il caposquadra, - già, infatti.

- Questo significa che, stimando due metri cubi e mezzo al giorno per operaio, e tenendo in considerazione il terreno, la lontananza dei punti di scarico e il clima potevate fare una volta e mezzo in più.

Il calcolo di Frenkel’ era esatto. Lo aveva fatto senza carta, senza guida, senza indugio. Niente da eccepire. Ma questo non bastava.

- Non conoscete le cause del vostro ritardo. Quindi non siete in grado di organizzare il lavoro. Quindi o siete un cattivo ingegnere e non capite nulla dell’opera, o … non volete capire.

Il caposquadra si guardava intorno in cerca di sostegno. Il rumore dei lavori, la polvere del terreno, costruzioni pronte che emergono dal caos del cantiere, la cima della diga tutta impalcature che si eleva nella cassaforma: al suo interno il calcestruzzo si sta solidificando.

Il caposquadra tocca nervosamente la fascia che ha in testa, sente che il capo ha ragione. Merita quantomeno l’indulgenza? No, non la merita.

- Quando pensate di togliervi la cassaforma dalla testa? – dice Frenkel’ e rivolge lo sguardo non al calcestruzzo, ma alla fascia che circonda la testa del caposquadra.

- Mi sembra che il calcestruzzo si sia solidificato a sufficienza, - dice. Un sorriso appena percettibile allarga la bocca sottile con i baffi a forma di piccole ali sul labbro superiore.

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Punizione completata. L’ingegnere non ricevette neanche un rimprovero. Il capo si congedò con gentilezza dopo avergli senz’altro dettato le cifre dell’obiettivo dei cinque giorni seguenti … Ma forse sarebbe stato più facile se la questione si fosse risolta con un litigio, con uno scandalo, con la cella di rigore. Egli tornò a lavoro nello stesso modo in cui un ragazzino che ha ricevuto un due torna al suo banco.

Così ebbe inizio la sottomissione degli ingegneri. Questi si erano sbagliati nelle loro supposizioni sul dilettantismo di Frenkel’. Risultò che sapeva moltissime cose, alcuni addirittura pensavano che sapesse tutto. La sua memoria davvero sbalorditiva divenne presto famosa. Ricordava a memoria i dati delle misurazioni, il numero dei lavoratori per settore e per qualificazione, in dieci minuti poteva dire con precisione quanti e quali materiali erano necessari per questa o quella costruzione. Si rivelò un brillante esperto del legno e degli affari riguardanti il legname in generale, uno specialista del terreno, uno stupefacente razionalizzatore dei lavori di sterro. Era un agronomo. Ma la sua colorita biografia lo aveva portato a imbattersi in una decina di professioni, e da ogni parte egli aveva saputo estrarre e collocare nella propria fenomenale memoria le cose più importanti, al punto che sembrava che non esistesse nessuna questione che non gli fosse nota. Una volta in treno era intervenuto nella conversazione tra due lavoratori del consorzio Teže e li aveva costretti a tacere, dato che aveva dimostrato conoscenze eccezionali in fatto di profumeria e si era rivelato perfino un conoscitore del mercato mondiale e dei particolari gusti olfattivi delle popolazioni dell’arcipelago malese. Quando entrò in lotta con gli ingegneri, utilizzò le proprie conoscenze con voluta durezza.

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Si era prefissato l’obiettivo di far scendere gli ingegneri dal loro Olimpo, dove, incoronati dai loro diplomi, si sentivano isolati non solo dalle critiche, ma soprattutto dalle cose vive e reali.

Chissà quando dormiva quest’uomo! Dopo 18 ore di intenso lavoro, piuttosto pallido e soprattutto eccitato, radunava gli ingegneri in riunioni notturne che presero il nome di «veglie ininterrotte». Qui ebbero inizio le «lavate di capo». Ecco gli estratti dallo stenogramma di un suo discorso:

«Voi sfruttate la vostra autorità di ingegneri per influenzare coloro che non ritenete abbastanza competenti e a cui è possibile rifilare un qualsiasi termine scientifico. Intanto da voi si pretende che dedichiate questa autorità all’opera.

Gonfiate la difficoltà dei problemi tecnici, ma intanto capire la qualità migliore di calcestruzzo non è un privilegio della sola idrotecnica. Cosa serve per mettere insieme una diga discreta lo capiscono sia un ingegnere chimico che un raffinatore di zucchero. Conoscete il valore della sabbia a grano fine e a grano grosso per una diga e sapete da che parte versarla, ma intanto al lavoro da voi è un caos totale. Chi mi spiega cosa sta succedendo nella diga dell’ingegner Skvorcov, sebbene lui tra le altre cose è proprio un idrotecnico? Perché la base al di sotto della diga è stata ripulita male? Tacete? Forza, dite qualcosa di chiaro. Perché? Tacete, dunque resta da supporre che lavorate con negligenza e che siete indifferenti alle questioni riguardanti la qualità.

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L’ingegner Budassi afferma di non poter fornire calcestruzzo di buona qualità perché non ha uomini competenti. Va bene. Ma un mese e mezzo fa a Povenec si era tenuta una riunione sulle questioni della qualità e l’ingegner Budassi ci aveva assicurato in modo categorico che il calcestruzzo era di buona qualità al 100%. Questo vuol dire che:

a) o allora avete indotto in errore il cantiere facendo credere di avere un calcestruzzo di buona qualità.

b) o, assicurando che allora avevate un ottimo calcestruzzo, vi private della possibilità di dire che adesso avete un calcestruzzo di cattiva qualità perché, a quanto pare, vi manca il personale tecnico. Forse allora vi aveva aiutato il re dei cieli a fare un calcestruzzo resistente? Posso dire di più: in questo lasso di tempo una grandissima parte dei vostri lavoratori ha acquisito competenze, ha migliorato la propria qualificazione, e voi potevate dire di avere bisogno di aiuto nella prima fase dei lavori. Quando abbiamo parlato della qualità delle costruzioni, lì bisognava cercare la ragione reale della cattiva qualità, e non rifilarci delle falsità sotto forma di ragioni obiettive. Queste non esistono.

La direzione del cantiere ha fatto il massimo che poteva per il personale ingegneristico e tecnico: lo ha liberato dalle preoccupazioni che riguardano la forza lavoro.

I materiali che diamo alle squadre sono tutti di buona qualità, il cemento ce lo invidiano anche negli altri cantieri. I materiali non mancano. Di che altro c’è bisogno?

Tutto il vostro lavoro si riduce a: 1) Eseguire una serie di lavori sulla roccia e su altri tipi di terreno – gli scavi; 2) I lavori di sterro sui terreni rilevati e

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piuttosto semplici. E per mettere su un ordine di cose che assicurasse la qualità, sarebbe bastato poco: semplicemente la voglia e l’interesse per il compito affidato al personale ingegneristico-tecnico».

E così, il metodo di conquista dell’autorità si rivelò diverso da quello supposto dai pessimisti. Non era un cammino del terrore, piuttosto era una marcia della logica. Della logica con un po’ di pepe, dell’ironia. Di simbolismi che sibilano sarcasmo e un’indole incandescente. È un sistema in cui ogni conclusione viene spremuta fino alla fine. Quando un telegramma mandato in ritardo si trasformò in una padella in cui era stato fritto il telegrafista, un ceppo di legno, caduto sul rilevato, si rigirò come una spina nel cuore del caposquadra.

Ma, una volta che il potere era stato conquistato, capitò uno strano fatto: sul campo nessuno era stato picchiato, non c’erano morti né feriti. C’erano delle ammaccature nell’amor proprio, dei nasi piegati all’insù che avevano riportato delle contusioni, ma nessuno era in grado di ricordare quale male gli avesse causato Frenkel’. E ciò che è del tutto incredibile, guardando indietro sul campo di battaglia, la gente notava un ordine sorprendente, un’organizzazione esemplare, scavi in cui sarebbe stato un peccato gettare un mozzicone di sigaretta, chiuse realizzate con la scrupolosità dei falegnami, volti esperti e animati e un impegno preciso, consapevole e intenso.L’insicurezza era sparita, dappertutto si percepiva ordine. In questo era visibile la mano di Frenkel’.

Cosa era successo: l’ambizioso aveva ottenuto quel potere che bramava, o l’organizzatore aveva creato un ottimo sistema di lavoro? Non risolveremo

questo dilemma per un semplice motivo: esso non sussiste.

Se

guarderemo dal punto di vista di quel sottoposto ferito nell’amor proprio

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e che non vede altro che il proprio orgoglio personale, inevitabilmente risolveremo anche la questione in modo personale: diremo che Frenkel’ è assetato di potere personale.

Ma se ci avviciniamo alla questione in modo obiettivo e ci chiediamo come sia stato portato a termine il compito posto di fronte a Frenkel’ dall’OGPU e quali risultati abbia dato la sua attività, siamo obbligati a riconoscere che il compito è stato portato a termine egregiamente e i risultati sono stati eccellenti. Ecco cosa aveva scritto «il grande nemico degli ingegneri», «l’ambizioso» Frenkel’ in uno dei suoi ormai recenti rapporti:

«Riesco a immaginare distintamente la situazione sul canale Mosca-Volga. Avrete a disposizione ingegneri con esperienza e conoscenze maggiori di quelle che avevano quando hanno iniziato a lavorare al Belomor. Non si possono nemmeno fare paragoni. Anche i capisezione sono cresciuti, alcuni hanno raggiunto una statura colossale e possono rappresentare un serio punto d’appoggio in qualsiasi cantiere. Al canale Mosca-Volga non potreste essere più soddisfatti di loro».

E così la questione dell’avidità di potere va messa da parte in quanto si tratta di un’irrilevante escrescenza psicologica che crea solo confusione.

Bisogna parlare di una gestione accentrata.

Venne raggiunta con i metodi propri della logica ferrea e della disciplina. È vero che l’una e l’altra venivano esasperate, condite da un sarcasmo spietato e dalla aridità, quando non un solo sentimento umano sembrava comprensibile per quest’uomo che conosceva solo il lavoro, solo l’obiettivo.

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Ma non un solo fenomeno può essere esaminato in modo isolato, e soprattutto non si deve esaminare l’attività di un organizzatore separatamente da ciò che lui stesso organizza. Le condizioni di lavoro poste da Frenkel’ esigevano severità e durezza. Qui la mitezza era più pericolosa dell’aridità, anche se sgradevole. Qui l’inflessibilità e la giustizia dovevano sostituire la condiscendenza benevola. Dal punto di vista morale e politico, innanzitutto, bisognava spingere questi uomini sgangherati verso una direzione precisa di lavoro, disciplina e responsabilità, senza questo non c’è rieducazione, senza questo non avrebbe potuto esserci nemmeno il cantiere.

In uno dei discorsi di Frenkel’ troviamo una frase interessante, che ci svela ancora un altro motivo della sua condotta.

«Non si può ordinare a nessuno di essere preoccupato – dice. - In ciò risiede il difficile compito di destare questo sentimento di preoccupazione, di liquidare l’atteggiamento inerte, indifferente, talvolta spietato nei confronti della qualità delle opere».

E se ricordiamo quanto fossero inerti, indifferenti e talvolta spietati gli uomini che Frenkel’ incontrò sul tracciato, allora diventa chiaro perfino il suo sarcasmo che faceva infuriare chi gli stava intorno. Questa qualità personale di Frenkel’ si rivelò un metodo utile fino alla fine. Era un agente di fermentazione talmente potente, che iniettato negli uomini, risvegliava in loro l’amor proprio, destava un senso di competizione, un desiderio di recuperare se stessi, cioè tutto quello a cui gli uomini in carcere erano disposti a rinunciare sentendosi moralmente in frantumi.

È probabile che il successo di Frenkel’ fosse garantito dal fatto che le sue qualità personali si adattassero in modo straordinario alle condizioni di lavoronei campi?

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Ci chiederanno. È possibile. Ma chi è disposto ad affermare che al Belomor Frenkel’ avesse mostrato tutte le sue qualità? Che nelle condizioni poste da un altro cantiere, che avesse richiesto metodi diversi, egli, alla stregua di uno sorprendente apparato autoregolante, non mostrasse di possedere delle qualità personali del tutto diverse?

Il metodo dell’indagine psicologica qui non è utilizzabile.

- Di queste cose, - dice Frenkel’, - non bisogna discutere dal punto di vista delle emozioni psicologiche, si tratta di una strada infida e incerta. Non si possono realizzare delle opere importanti basandosi su delle gite nel campo dei capricci della psiche, sconosciuti e incomprensibili a tutti.

Non si può neanche tracciare il profilo di un uomo importante basandosi su congetture psicologiche che nessuno può verificare, diremo noi. Adesso Frenkel’ si trova in un cantiere nuovo e ancora più imponente. Le notizie dicono che ha già organizzato una rivoluzione totale. E il suo ultimo telegramma, datato 1 dicembre 1933, suona così:

«Il lavoratore d’assalto migliore deve essere il pattinatore migliore. Mandate 2000 paia di pattini.»

Frenkel’ ama la gloria. E d’altronde è molto probabile che il nostro partito non ci neghi il diritto di avere questa inclinazione, mostrando pubblicamente gli uomini migliori del paese e rendendoli famosi in tutto il mondo. Frenkel’ merita la fama. Dopotutto chiunque si arrenderebbe pensando a quali qualità bisogna possedere per essere un organizzatore brillante. Tuttavia, è possibile che le qualità siano il risultato del metodo, e non il contrario, come sembra al piccolo borghese, amante dei geni e degli eroi? Può anche essere che noi siamo in grado di imparare questo metodo. In ogni caso è interessante analizzarlo.

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Di fronte all’uomo si pone un compito: abbracciare un enorme complesso di problemi che si chiama Belomor. Deve farlo, giacché è impossibile organizzare ciò che è sconosciuto, sei obbligato a figurarti in modo chiaro tutto ciò che accade e che deve accadere nel cantiere. In questo caso l’idrotecnica, la meteorologia, l’idrologia, i lavori di sterro, il calcestruzzo, i trasporti, la contabilità e perfino … il cinema. Si può mai essere uno specialista di tutte queste sfere? Per un solo uomo è impensabile e si rivela inutile.

Ma cosa serve allora?

Ed ecco che inizia la riunione in cui viene posta la domanda più importante per il destino dell’intero cantiere: che tipo di primavera sarà?

Ora carte in mano alla scienza. Idrologi e meteorologi spalancano le loro cartine, crepitanti di carta lucida e rombanti di carta da disegno. Isobare e isoterme sbocciano variopinte sopra le nevi della Carelia, sopra i ghiacci dell’oceano, dei suoi flutti, simili all’aurora boreale, accarezzano le lenti e le pupille piegate sopra il tavolo. Minuscole cifre indicanti le pressioni e le temperature si spiegano, simili a piccoli pesci catturati in quelle reti verdi e rosa, e le freccette indicanti i venti, ed ecco le nuvole, certi cirri, certi strati, certi cumuli!

Quante conoscenze vengono subito dispiegate qui, e quanti

calcoli, esperimenti e osservazioni complicate non tiene in conto la mente

dell’uomo inesperto

!

Un intero e vasto campo della scienza,

indipendente,

con le proprie tradizioni decennali, sorge di fronte a loro, tanto più incomprensibile ora che svela i propri segreti.

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Esso dice:

- Dalle coste dell’Islanda sta avanzando un ciclone, che per adesso ha tale velocità e tale pressione. Dal Mare di Barents sta arrivando un anticiclone. Noi ci troviamo … - e allora la punta della matita si muove rapida al di sopra della cartina – al confine di queste due forze contrastanti della natura. A seconda di come si svolgerà, per dirla in modo volgare, questo appuntamento, potremo interpolare …

- Un attimo, - dice Frenkel, - quindi non sapete come si svolgerà questo incontro volgare? Ma di fronte a noi c’è un canale. Non è finito. Quando arriverà la primavera, dovremo lasciare scorrere l’acqua. Quanti giorni ci concede la natura per completare le nostre costruzioni prima dell’arrivo delle piene?

I meteorologi rimangono in silenzio.

- Vi faccio due domande, - continua Frenkel’, -. La prima: la primavera arriverà in anticipo o in ritardo? La seconda: sarà una primavera impetuosa o graduale? A voi la parola.

- Non abbiamo riflettuto su queste questioni, -rispondono i meteorologi.

Tralasciamo la risposta di Frenkel’. Era nel suo stile. Ciò che conta è che egli si fosse districato da tutta quella complessità e quella confusione scientifiche con la formulazione concreta delle sue due domande, che scaturivano in modo logico dalla rappresentazione dell’obiettivo finale: la costruzione del canale. Se i meteorologi non erano in grado di rispondere a quelle domande, allora tutte le loro isobare e i loro anticicloni erano inutili e agli occhi del capo semplicemente cessavano di esistere. Ormai non si sforzava di capirle per non ingombrare il suo apparato cerebrale con informazioni superflue. Per dirla in modo generale: dall’enorme esperienza umana e dal sapere lui prendeva solo quanto gli era utile. Estraeva la radice, più precisamente

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faceva delle differenziazioni. E, dal momento che nell’esperienza umana non

esiste solo la meteorologia, ordinò di radunare i vecchi che osservavano il clima della Carelia da decenni e che avevano imparato a prevederlo dai loro nonni, e fece un sondaggio. I vecchi, dal volo del cigno, dalla sfumatura della pelle della lepre, predissero che la primavera sarebbe stata secca e graduale. E ciò si rivelò la pura verità.

La scienza rimane la scienza, nessuno vuole privarla dei suoi meriti e della sua importanza. Ma i suoi rappresentanti questa volta si erano dimostrati uomini separati dalla vita, uomini al di fuori delle cose concrete.

La concretezza, ecco qual è il metodo. Una rappresentazione concreta dell’obbiettivo e misure concrete per la sua realizzazione. Frenkel’ non era abituato a fidarsi degli uomini, e inoltre doveva lasciare che tutto passasse attraverso il proprio cervello, per accertarsene e per sentire di avere il controllo in questa o in quella questione. E quando, fermandosi presso un qualsiasi scavo, lo osservava per delle ore, intendeva individuare i fattori principali che potevano ostacolare il corretto andamento del lavoro.

Ecco che si diffonde la disorganizzazione. Le carriole vengono caricate prima di essere svuotate. Gli addetti agli scavi rimangono fermi e aspettano gli scaricatori. Frenkel’ chiama il caposquadra:

- Spostate queste assi più avanti, fate una curva qui. Ordinate a chi porta le carriole di procedere fino alla fine e di scaricare laggiù.

Dopo dieci minuti lo scavo si fa irriconoscibile. Il fronte della terra scavata aumenta, le carriole non ritardano, gli scavatori lavorano senza intervalli.

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La radice era stata estratta. Dalla confusione di massi, carriole, assi, uomini era stato isolato un solo fenomeno come il principale e smontato all’interno di una macchina logica. La risposta era stata ricevuta. Rimaneva da agire.

Ecco un cavallino che trascina a stento il carro. Frenkel’ gli si avvicina, tasta il collo sotto il morso, non è troppo stretto? Osserva il garrese, non lo ha irritato? E sì che dal cavallo dipende il successo quando le costruzioni sono sparse su 200 chilometri, quando l’automobile non riesce a farsi strada dovunque.

Ecco che un autocarro non riesce a passare a causa della ressa di uomini e cavalli, mentre gli operai sul rilevato aspettano la terra. Viene emesso un ordine: gli autocarri non possono arrestarsi sulle vie d’accesso. Tutti devono lasciarli passare, anche a costo di gettarsi in una fossa. È paradossale, ma è giusto. Un semplice calcolo sul risparmio nello sfruttamento ininterrotto delle macchine suggerisce che conviene di più fare affondare per mezz’ora tre carri nel fango, che tenere un autocarro in attesa per dieci minuti.

Un giovane pastore porta a pascolare il gregge di mucche del campo. - Cambiatelo e mettete al suo posto un vecchio, - dice Frenkel’ di sfuggita. Il motivo è semplice: un gregge ha bisogno di procedere con lentezza per brucare l’erba e ingrassare. Il giovane pastore, invece, non riesce a stare fermo.

Questa concretezza, questa facilità nel prendere soluzioni, che sembrano ridicole quando vengono trovate ma da cui dipende il successo, si legano ad un ampio orizzonte quando l’immagine di tutto un sistema e del suo significato non abbandona un uomo neanche per un secondo. Pertanto qualunque fatto all’interno del

cantiere acquista immediatamente il valore di normale o di irrilevante, non appena entra in questo misuratore generale, in questa immagine di un sistema generale.

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La concretezza lascia gli uomini sbalorditi. Spesso è di gran lunga più comprensibile quando se ne scrive. Ma quando un uomo va a finire in un flusso di eventi reali, comincia a imbrogliarsi nei fatti, negli effetti sulle persone circostanti, a prendere le sciocchezze come cose importanti, e allora non è più padrone delle proprie azioni e l’organizzazione non è più organizzazione ma caos, e proprio in questa unione di concreto e generale consiste il segreto del metodo usato da Frenkel’ e che ciascuno di noi è in grado di usare.

Tale metodo può essere analizzato nel dettaglio, può essere insegnato come metodo di progettazione degli edifici, come metodo di conduzione delle navi. Se non esistono ancora libri dedicati alla pratica organizzativa, ciò non vuol dire che non debbano esserci. Forse, al contrario, proprio qui e proprio nella nostra epoca bisogna aspettarsi che gli occhi della scienza si concentrino su quest’area dell’attività umana, che fino ad ora è stato tenuta segreta, come un tempo erano tenuti segreti i metodi di lavorazione dell’acciaio e di smerigliatura del vetro. Anche quella dell’organizzatore è una professione, e bisogna avere una predisposizione verso di essa, come in ogni altra professione, ma ci siamo ormai disabituati a riverire i misteri del talento, e l’arte dei grandi maestri stregoni la traduciamo nella lingua delle formule e la verifichiamo sui tavoli dei laboratori.

Era nel giusto Frenkel’ quando aveva fatto scendere la gente dall’Olimpo dell’ingegneria: sulla terra, compagni, sulla terra! Dire che ogni uomo forte e sano è in grado di essere un organizzatore è essenzialmente la stessa cosa. Nessuno nasce maestro. Chiunque prenda parte alla costruzione del socialismo deve essere pronto a diventare un organizzatore e può imparare, se ci sono la volontà e la determinazione.

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Frenkel’ aveva umiliato quegli ingegneri che aveva fatto scendere sulla terra?

No.

Affermare che qualsiasi uomo forte e sano può essere un organizzatore è un’umiliazione per Frenkel’?

No.

L’una e l’altra sono rivelazioni che non possono offendere nessuno. Ora ci resta da raccontare della terza rivelazione.

Partito come semplice taglialegna alle isole Solovkí, Frenkel’ aveva percorso tutta la scala della vita nel lager, e aveva ottenuto una carica che faceva sì che sotto il suo comando si trovassero decine di migliaia di persone. Organizzatore e amministratore per natura, uomo con una febbrile sete di azione, che trovava sempre e in ogni luogo una scusa per essere in qualche modo creativo, tuttavia doveva tutto il suo successo a quella organizzazione in cui era venuto a trovarsi.

Non importa in quale angolo dell’Unione vi abbia gettato la sorte, anche se si tratta di un angolo sperduto e oscuro, il marchio dell’ordine, dell’organizzazione, della precisione e della coscienza nel lavoro lo porta con sé qualsiasi organizzazione dell’OGPU, sia che si trovi sulle coste dell’oceano glaciale artico o nelle paludi tropicali di Lankaran, in una comune bolscevica dei lavoratori o in un allevamento di polli a Sinferopoli. La fisionomia di un čekista è ovunque la stessa, l’aspetto esteriore parla già di disciplina, rigore verso se stessi e verso gli altri, perspicacia, inflessibilità. Quanti diversi ambiti di azione unisce il Direttorato politico dello Stato, mano sapiente del partito; e dappertutto troviamo questo stile unico e netto, lo stile volitivo della rivoluzione che non conosce ostacoli. Un sistema in cui tutti i muscoli sono allenati come in vista di una gara: eseguire l’ordine del partito. L’adempimento senza riserve, totale, rigoroso

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di tutti i dettami del partito e del governo, la massima disciplinatezza, la metodicità, la precisione, la capacità di accostarsi al tutto politicamente, queste sono le caratteristiche del lavoro di un čekista.

Quando Frenkel’ entrò in questa organizzazione, doveva o sottomettersi ad essa, o vedere la propria fine di organizzatore.Scelse la prima opzione. E allora ebbe inizio la sua rieducazione come membro dell’organizzazione. Essa lo guidò e, bisogna dirlo francamente, non senza duri colpi.

Le sue passate abitudini da imprenditore individualista, da uomo d’affari autonomo si scontravano senza posa con i metodi dell’OGPU, dove ciascuno deve sentirsi non il centro del mondo, ma parte di una grande unità che lavora in modo egregio. Era difficile, era molto difficile. Lo trattavano con attenzione e premura, tutti vedevano in lui la volontà di lavorare in modo onesto, ma insieme a questo lo guidavano e lo correggevano senza posa, nella maggior parte dei casi con dolcezza, talvolta con decisione.

Fu costretto a convincersi che il bonapartismo, anche per gioco, è del tutto

inconcepibile in queste circostanze,

che è la gloria a

rappresentare

l’onore

di un lavoratore e non la sua cassaforte, che lavorare da soli è possibile

solo fino a un certo, mediocre limite, oltre il quale la tua volontà appartiene alla volontà di tutta l’organizzazione.

Nel momento in cui un ordine, impartito da lui, andava oltre la cornice dell’attività di tutti i giorni e diventava politica, egli subito sentiva la tensione della sfera politica dell’organizzazione, che non gli concedeva di muovere un dito nella direzione sbagliata. Così era stato nel caso del suo atteggiamento verso gli ingegneri. Quando aveva fatto scendere gli ingegneri sulla terra era nel giusto, e non aveva percepito il campo magnetico dell’organizzazione.

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Quando talvolta commetteva un errore e dalle sue azioni traspariva un atteggiamento sprezzante nei confronti dei saperi e della pratica tecniche, allora

l’organizzazione lo dirigeva sul giusto asse e gli faceva capire dove aveva sbagliato. Inoltre, gli avevano subito fatto capire che l’empirismo puro e il semplicismo, a cui talvolta era incline, sono dannosi e in contrasto con la politica del partito. Ed egli sentiva che nessun tipo di deviazione qui era possibile. L’organizzazione, in questa macchina che funzionava splendidamente, aveva puntato il proprio giroscopio direzionale né a destra, né a sinistra. Il controllo registra ogni deviazione, anche momentanea.

Per qualche tempo egli non comprese per esempio il ruolo dell’opinione pubblica all’interno del nostro paese. Gli sembrava che una giusta guida e la disciplina fossero sufficienti affinché il lavoro andasse nel verso giusto. Ma presto si convinse che non era così. Cominciò a interessarsi al lavoro culturale di massa e fu subito evidente che il suo talento organizzativo era in grado di fare proprio anche questo ambito e di portarlo nell’alveo della causa comune.

Ma il campo in cui lavorava Frenkel’ doveva pur ricevere la propria tensione da qualche parte. Frenkel’ doveva interessarsi al generatore di tensione. Era questa la grande idea alla base di tutto il lavoro dell’OGPU, posta da Feliks Dzeržinskij e portata avanti da tutti i suoi successori. L’idea della difesa della rivoluzione, della coscienza della rivoluzione, cioè l’idea di un grande senso morale, e Frenkel’, in nome della sua stessa posizione e del suo lavoro, non poteva discostarsi da tale idea.

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Si era accorto che tutti i suoi successi portavano al successo della causa proletaria, che non erano gli interessi personali a muovere l’intera organizzazione, ma un fine molto grande e nobile.

Questa è l’ultima rivelazione che ci resta da raccontare. Essa non lascerà stranito nessuno e meno di tutti l’eroe di questo profilo. Giacché i successi di ciascuno di noi sono possibili solo perché la rivoluzione «ha avuto successo». Frenkel’ si era venuto a trovare in uno dei suoi reparti d’avanguardia: nell’OGPU. Le sue doti avevano trovato qui un impiego e la correzione senza cui sarebbero state inutili.

L’OGPU aveva strappato Frenkel’ al suo passato. L’OGPU gli aveva dato un futuro.

Il sostegno del collettivo, l’essere parte di un collettivo sono proprio quegli aspetti senza i quali il lavoro nella nostra Unione è enormemente difficile. Frenkel’ aveva capito il valore del sostegno e dello stare uniti. Lo aveva trovato all’interno dell’OGPU, che è tutta intrisa delle idee del partito del proletariato, e che è nata dalla volontà e dal pensiero del partito, essendo l’esecutrice delle sue decisioni e sorvegliando attentamente sul fatto che tali decisioni trovino attuazione ovunque e da parte di tutti.

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IL PERICOLO INCOMBE

Nello stesso periodo in cui sul tracciato si combatteva contro il «kirsanovismo» e si richiamavano le donne e le minoranze etniche alla produzione, in natura si preparavano grandi avvenimenti che avevano un rapporto diretto con il lavoro di costruzione del canale.

Le gelate persistevano ancora, le nevicate infuriavano. Ma sulla base di alcuni indizi gli esperti pronosticavano un rapido arrivo della primavera.

L’anno stava cambiando bruscamente. Le giornate cominciavano ad allungarsi. Il sole si affacciava più spesso sul tracciato.

Il primo disgelo previsto colpì. Il paesaggio cambiava.

Il sole perforava il ghiaccio nei laghi, la banchine si scioglievano, la neve si abbassava. Nei boschi, intorno ai tronchi degli alberi, si stavano già formando delle conche.

Al di sotto della neve correva l’acqua.

Erano tutti segnali di pericolo per il cantiere. Anche se nel giro di un’ora l’acqua si fosse di nuovo trasformata in ghiaccio, se fossero cominciate di nuovo le gelate, se l’inverno si fosse fatto più duro di prima, questo primo disgelo era di cattivo augurio.

Aspettavano lo sgombero della strada verso sud. Aspettavano lo sfondamento.

Arriverà la primavera. I laghi, serrati dalle dighe e dagli argini, cominceranno a riempirsi, preparando l’acqua per il passaggio delle chiuse.

La primavera arriverà da sud, dal fiume Povenčanka, si solleverà sullo Spartiacque. Bisogna liberare la strada per l’acqua sullo Spartiacque, altrimenti l’acqua che era stata accumulata là in alto, e a cui non era stato aperto il cammino verso nord, si sarebbe diretta a sud, sulla scala di Povenec, e avrebbe distrutto tutte le costruzioni, proprio come al cinematografo una folla nel panico rompe le file di sedie.

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La notizia della primavera, dunque, venne presa come notizia dell’inizio dello sfondamento. Il pericolo principale si trovava sullo Spartiacque.

La scala di Povenec porta al lago Vadlo. Esso si trova 70 metri al di sopra dell’Oneg. Più avanti c’è una grande valle fatta di roccia, massi e paludi. Bisogna perforarla per riuscire a uscire sul lago Matko.

Supponiamo che vi diano due piattini: uno marrone e uno bianco. Il marrone lo avete messo due centimetri più in alto rispetto al bianco. Il marrone è per metà pieno d’acqua, nel bianco l’acqua è sul fondo. Vi danno un tubo, che posizionate in mezzo ai piattini, di modo che l’acqua in eccesso nel piatto marrone passi attraverso questo tubo nel bianco. Dovete ancora versare mezzo bicchiere di acqua nel marrone. «Ma che furbata!» esclamate e prendete il bicchiere. Lo guardate con stupore. Il bicchiere è pieno fino ai bordi. Vi guardate intorno, il tubo promesso non c’è. «Mi hanno rifilato un bicchiere pieno, - obiettate, - e per di più non c’è il tubo. Cosa sono un bambino che mi metto a versare inutilmente il bicchiere?» - e, offesi, lasciate il bicchiere da parte.

Avrete già capito di che altura stiamo parlando, quali laghi stiamo paragonando ai due piattini. Il marrone è il lago Vadlo, mentre il bianco è il lago Matko. Nel mezzo si trova un’altura rocciosa, la famosa roccia dello spartiacque, il meraviglioso 165mo canale.

Qui si era tenuto un assalto generale.

Le alture rocciose della Carelia sono assai infide. La roccia si nasconde sotto gli acquitrini, sotto le paludi. In estate qui non c’è modo di passare, se non sulla treggia. Asperità, muschi, boschi impraticabili. Ma da questa roccia ricoperta di torba scorrono fiumi verso sud e verso nord, bisogna passare attraverso questa roccia. Ma

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non tutti al 165mo canale sembrano capire che bisogna passare velocissimi, macché velocissimi, bisogna passare in cento giorni! Al 165mo canale il lavoro procede senza che l’importanza di questi cento giorni venga compresa. Al 165mo canale gli uomini si sono impigriti, sbadigliano, il piccone colpisce a stento, ci si appoggia di più alla pala, gli ingegneri pensano più alle costruzioni che alla roccia.

Ma le rocce si sono rivelate il 200 per cento in più del previsto, e il guaio non sta in questo, il guaio sta nel fatto che non si parli tutto il tempo di questo. Non si parla del fatto che bisogna realizzare degli scavi giganteschi. Il cielo color fumo di tabacco fuma sereno al di sopra del 165mo canale che sonnecchia sereno.

Nel frattempo gli idrometeorologi fanno i conti. Gli idrometeorologi dicono che la primavera si avvicina. «Eh, come se ne avessimo viste poche di primavere!» - sbadigliando pigramente risponde il 165mo canale. Già, tante, rispondono gli idrometeorologi, in agitazione, ma questa sarà una primavera particolare. Cresce il livello del lago Vadlo e di tutto l’impianto dei laghi. Crediamo che la piena sarà molto precoce e molto violenta. Andrà ben oltre la quota limite. E lasciate pure che vada oltre, risponde con noncuranza il 165mo canale. È in vista una primavera capricciosa, continuano a ripetere gli idrometeorologi, l’accumulo di acqua sarà grande.

La situazione si fa minacciosa. Non solo al personale direttivo, ma anche a

molti costruttori comuni diventa chiaro che il canale non sarebbe stato completato in tempo. L’acqua porterà via le costruzioni. E una volta che le avrà portate via … In breve, i primi ficcano le mani in tasca, sputano da sopra la spalla e, gettando un’occhiata al cielo estraneo, pensano che è ora di tornare alla baracca, i secondi

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appoggiano la testa sulla mano e in una disperazione sorda fissano lo sguardo sul tavolo di fronte a loro, dove giacciono «inutili» i disegni, i terzi …

I terzi riescono a individuare nel problema della primavera il problema della lotta di classe. I terzi dimostrano che la negligenza e la menzogna sono manovre del nemico, i terzi smascherano la tuftá e sollevano sui sabotatori del cantiere l’indignazione delle masse.

I terzi dicono: «Sì, siamo d’accordo, lo Spartiacque, il 165mo canale è un dettaglio, ma cominciamo da questo dettaglio, compagni!»

L’acqua avanza con la primavera. Da dove? Ma è chiaro, da sud. Benissimo. Spostiamo le nostre migliori squadre da nord. Prendiamole dagli insediamenti di Nadvoicy, Tunguda, Sosnovec. Riunite qua i migliori «incitatori » del lavoro, i migliori e più zelanti uomini del cantiere, trascinateli qua subito e poi cacciate dallo Spartiacque i fannulloni e quelli che si rifiutano di lavorare. Cacciateli senza pietà, disonorateli, ridete di loro, mostrate che si può fare benissimo a meno di loro, che si vergognino e piangano in piedi alle porte del nostro cantiere.

Ed ecco che si decise di convocare la VII riunione di lavoratori d’assalto nella sezione dello spartiacque, da Bol’šakov.

Dei sette giganteschi gradini della scala di Povenec, il sesto era alla vigilia dell’avviamento. Le dighe più grandi erano già ricoperte di calcestruzzo. Quasi tutti i fiumi erano bloccati dagli argini. Le zone allagate erano state sgomberate dalle foreste. Nei nuovi bacini idrici si erano accumulati miliardi di metro cubi di acqua pronti ad alimentare le chiuse. Sembrava che ci sarebbe voluto ancora qualche sforzo e il canale sarebbe stato completato. Delegati da ogni angolo del canale si stavano recando alla riunione dei lavoratori d’assalto. Prima della loro

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partenza i capi avvertivano: «Ricordate: è da sciocchi battere presto in ritirata sullo Spartiacque!» Prestarono poco ascolto alla parole di commiato. L’illusione della vittoria era troppo ingannevole.

RIUNIONE PLENARIA DEI LAVORATORI D’ASSALTO

Il treno, addobbato con ghirlande di foglie di pino e drappi rossi, aveva un’aria di festa. Era una buona locomotiva, prendeva le salite con slancio e spadroneggiava nelle discese. Fuori dai finestrini, sui pini e sui massi che baluginavano, la neve granulosa sfavillava per il sole. Nei vagoni c’era caldo e rumore. I lavoratori d’assalto si scambiavano ricordi, piani per il futuro, sigarette premio, si mostravano a vicenda le note di lode sulla “Perekovka”, le menzioni d’onore.

Arrivarono di sera. Affollandosi presso la tribuna preparata in fretta e furia, gli uomini del secondo distaccamento accolsero gli ospiti con le fanfare. Le torce ardevano. Sulle frange delle bandiere la brina si stava sciogliendo e si stava depositando la fuliggine nera. Nel silenzio che cominciava si sentivano scricchiolare i gradini gelati della tribuna sotto i passi del corpulento

Bol’šakov. Parlò, come sempre, senza particolare ardore.

Il discorso non faceva capire che lo Sfondamento in quella zona era più difficile di altri già conclusi. Tutti si trascinarono quanto prima verso il caldo club per fare rapporto sulle passate vittorie. Si schierarono e si avviarono. Gli uomini del secondo distaccamento, cercando di coprire la musica con la voce, facevano conoscenza con i nuovi arrivati.

- Come ti pare il nostro Bol’šakov? - Niente male, parla dopo aver pensato.

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- E vedrai. Ci hanno messo in una posizione che ci spaventiamo a dire ah o ba.

- Tranquillo. Abbiamo visto di peggio.

Nel locale i delegati furono i primi ad essere messi seriamente in guardia. Ogni metro delle pareti di legno strillava guai. Un detenuto tatuato su tutto il corpo, con i palmi delle mani a megafono, strombazzava:

- L’acqua avanza.

I diagrammi mostravano una caduta nella produzione. I giornali murali erano colmi di inquietudine. Il comportamento della presidenza dell’assemblea era irritante. Là erano chinati su un tavolo al di sopra di una grande scheda. Bol’šakov, di solito calmo, perfino un po’ apatico, adesso agitato, spiegava qualcosa a mezza voce, asciugandosi spesso la fronte madida di sudore.

Infine la campana. Per il fragore improvviso che veniva dall’esterno il pavimento sotto i piedi tremò. Erano le squadre del secondo distaccamento che salutavano il raduno, avevano fatto esplodere le rocce.

Il relatore disse:

- Ci siamo entusiasmati per i successi estivi e ci siamo rilassati. Non abbiamo mai lavorato in modo così disonorevole come alla fine di quest’anno, - prese un lungo puntatore e lo fece scorrere sul diagramma. – Guardate!

Una curva azzurra, anzi, piuttosto che una curva, era una linea perpendicolare che precipitava rapida verso il basso. Il puntatore si spostò su un altro diagramma.

- Vedete come aumentano i tratti neri? È l’acqua che avanza …

Di nuovo le esplosioni. Dopo avere aspettato il silenzio, l’oratore disse la cosa più spaventosa:

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- L’acqua ci è arrivata fino alla gola. Può trascinarci nell’Oneg, demolire le dighe del fiume Povenčanka, portare via le nostre bandiere, le menzioni d’onore, la gloria, tutto quello che abbiamo ottenuto …

Molti abbassarono il capo, nascosero le mani in tasca, rannicchiandosi, come per il freddo. A chi servono rapporti preparati in anticipo sulle vittorie passate? Chi li ascolterà quando gli sforzi di molte notti insonni andranno in fumo? Con speranza guardavano la presidenza.

Nei momenti più difficili tante volte da lì erano giunte le famose «parole magiche» del Belomor, che inducevano gli uomini a saltar su e a correre a capofitto sul tracciato.

Da dietro il tavolo si alzò Uspenskij. Era di poche parole, riservato, parsimonioso nei movimenti, come se conservasse il rombo della voce e i gesti frenetici proprio per quei discorsi decisivi.

- Lavoratori d’assalto, il CIK della Carelia e il comitato del partito ci hanno

inviato una bandiera. La riceverà chi lavorerà meglio sullo Spartiacque. Abbiamo fatto tanti miracoli. Su di noi si creeranno leggende, canteranno canzoni su di noi …

(Fece una breve pausa e mandò un grido verso gli uomini che si erano già rianimati.) Trasformiamo il gennaio invernale in un giugno vittorioso! Ricordate come ci siamo battuti a giungo. L’acqua si era scatenata sulla ferrovia di Murmansk. L’abbiamo spostata di 80 chilometri. Così l’acqua si riversò nei boschi della Carelia. Li abbiamo segati e ricomposti in una zattera.

L’acqua se ne andò nei villaggi. Li abbiamo spostati su un’altura e

abbiamo portato loro nuove scuole, ospedali, club. Siamo arretrati di

fronte all’acqua in pieno ordine, e questa ritirata è stata vittoriosa.

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È mai

possibile che adesso combatteremo terrorizzati? Raccogliamo tutte le forze per l’assalto e scagliamole sul canale dello Spartiacque!

Qualcuno in prima fila respirava rapido e in modo roco. La panca spostata rumoreggiò.

- Datemi la parola! – si mise a gridare il cementista Kovalëv.

Corse sul palco, sfilandosi il cappello dalla testa e premendolo nella tasca. A lungo non riuscì a proferire neanche una parola, cercando di inghiottire in modo convulso il bolo che gli si era bloccato in gola.

- Capi! Uspenskij! Bol’šakov! Salverò la mia diga, ma non affonderò con lei!

Lo spinse via Topčiev dell’ottavo distaccamento, desideroso di parlare. - Io sto sulla chiusa di nord, al confine tra il lavoro e il capitale. Nella rada di Sorokskij vedo le navi del capitale che ci si avvicinano al di là della foresta. I loro capi in piedi sul ponte ridono: «Scappate!» I loro marinai e fuochisti ci guardano: «Ragazzi, non dovete scappare!»

Miniaev del collettivo «Il tracciato rosso» sostituì Topčiev.

- Noi daremo i nostri migliori lavoratori d’assalto in aiuto allo Spartiacque. Che anche le altre brigate facciano lo stesso, che li segnalino e li inviino!

Lo stato maggiore centrale della competizione e del lavoro d’urto aveva formulato «le parole magiche»:

«A tutti i capi dei distaccamenti, al personale tecnico, ai soldati del canale!

Ritorna l’assalto lavorativo. Allo sfondamento verranno lanciati gli uomini migliori. Ogni distaccamento manderà allo Spartiacque una falange di combattimento di 250 uomini. Sullo spartiacque lanceremo un attacco secondo le leggi della tattica di guerra. L’assalto comincia il 7 febbraio. A guidarlo sarà lo stato maggiore».

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È lo stato maggiore di combattimento nella sezione dello spartiacque del canale.

Lo spartiacque sarà suddiviso in picchetti, ciascuno a una distanza di 100 metri. Ciascuna falange riceve per la fase di preparazione dei picchetti stabiliti. La falange, che termina il proprio picchetto più presto e meglio di tutti, riceve come ricompensa la bandiera del CIK della repubblica della Carelia.

Nella primavera del 1932 sullo Spartiacque i lavori erano già in corso. Era stato scavato e poi abbandonato. Nella zona giacevano mucchi di «terra estranea». La ferrovia era stata distrutta, le traverse disperse. Porzioni di terra erano sprofondate nel terreno melmoso.

Serata invernale. Quelli dei turni diurni hanno terminato i lavori. Camminano per le strade, per i sentieri, tra le alte nevi bianche come la seta. Gruppi di lavoratori d’assalto si riuniscono vicino a uno scuro club. Il bagliore di vetro del vapore ghiacciato si muove al di sopra dei lavoratori d’assalto. Le trombe burrascose dell’orchestra suonano una marcia. Guardate al di sotto della montagna o verso di essa. Da lì avanzano colonne di lavoratori d’assalto. Le orchestre strillano, fino a stremarsi. Le colonne procedono con le torce, le pale sulle spalle, i picconi. Davanti striscioni rossi.

«Bisogna dare via libera all’acqua sul canale verso le acque del lago Vyg!» Ovunque striscioni. Sui tronchi che portano alle costruzioni, sulle pietre che spuntano dal tracciato, sulla tubatura dell’acqua sopraelevata che sostiene i pali ghiacciati, sulle rocce, tra i pali del telegrafo, sulle pareti delle baracche, ovunque, come anche qui al raduno di lavoratori d’assalto che salutano le colonne che si avvicinano, gli striscioni gridavano:

- Assalto!

Preparatevi all’assalto, richiamate gli altri, liberiamoci dalla vergogna, disegniamo la vita in modo diverso, affinché ci lodino in quanto degni del

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nostro paese, affinché si colpisca non alla bell’e meglio, non come capita, ma in modo che il pianeta gema.

- Assalto!...

FANNO ESPLODERE LA ROCCIA

Il primo giorno dell’assalto uomini e rocce sullo Spartiacque non conobbero pause. Non appena tacevano le esplosioni e cessava il sibilo della roccia, di nuovo le carriole cariche volavano sulle passerelle, risuonavano le trivelle, cominciava lo strepito frettoloso delle perforatrici.

La squadra addetta agli esplosivi camminava sul sentiero che circondava il lago, verso il deposito, per prendere nuove dosi di ammonal, di cartucce e di micce.

Nello scavo gli uomini spaccavano la roccia. Blocchi di ghiaccio argentati rotolavano verso l’alto, aumentando l’altezza della terra scavata. Le gru abbassavano i loro becchi e li sollevavano carichi di bottini di rocce. La maggior parte di quelli che portavano le carriole lavorava senza cappotti, in giacche imbottite sbottonate. Massi giganteschi simili a zucche verdi venivano trasportati in alto su quelle casse aperte a una ruota. Sulle passerelle parallele rotolavano verso il basso le carriole vuote.

Dopo ogni colpo di martello, i trivellatori facevano girare il trapano, tirandolo fuori di tanto in tanto per ripulire il foro con una curetta d’acciaio. I fori pronti venivano chiusi con tappi di legno di pino. Diventavano sempre di più e le pareti dello scavo si riempivano gradualmente di segatura di legno.

I perforatori trivellavano come se avessero la febbre. Aleggiava una bianca polvere farinosa.

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Si udì un fischio, e apparvero di nuovo gli addetti agli esplosivi.

Camminavano maestosi. Tra le braccia portavano secchi pieni di candelotti di carta imbevuti di ammonal. Collane di micce avvolgevano il collo dei brillatori. Alle estremità delle micce scintillavano capsule di rame con fulminato di mercurio.

Gli addetti agli esplosivi estraevano i tappi di legno, riempiendo i buchi con l’ammonal. Dopo toglievano la miccia dal collo, agganciavano la capsula alla cartuccia e tappavano la bocca del foro con un turafalle di farina e resina. Affinché il foro fosse ancora più visibile avvolgevano il capo della miccia intorno al tappo con una codina di maiale.

Tutti i fronti dello scavo in quei minuti appartenevano completamente e interamente agli addetti agli esplosivi. In alto c’erano i segnalatori con le bandierine rosse. Tutto intorno c’era un’attesa intensa ed estenuante. Qualunque movimento nel raggio di duecento metri si era bloccato. Carri, autocarri, vagonetti, uomini si ammassavano presso i posti di sbarramento, obbedendo alla legge delle zone di fuoco.

Finalmente tutti i fori vennero riempiti. Si udì un fischio acuto, ciascun addetto all’esplosione accese la propria miccia di innesco e incendiò il primo foro. Da ciascuna miccia di innesco partivano flussi di fuoco. Cominciarono a fumare il secondo foro … il terzo … il quarto …

Senza raddrizzare la schiena, con il capo chino fin quasi a terra, i brillatori correvano di foro in foro, irrorando le rocce con spruzzi di fuoco. I fori cominciarono a fumare: il quinto … il sesto … il settimo …

In alto, con in mano il cavo di controllo che ardeva, e fischiettando

sereno, il capo dei lavori di brillamento contava i secondi

,

e d’un tratto,

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confondendo

tutti i calcoli, la roccia in basso mandò un gemito, dopo aver diffuso un fumo giallo blu. Sibilo delle rocce. Urla. Uomini che corrono. Una breve pausa e poi di nuovo un’esplosione … dopo una seconda, una terza. Il cielo è puntellato da colonne di fumo in movimento. Le pietre sono come uccelli. E piccoli detriti mortali cantano in aria con pure voci infantili.

- Surkov e Kiskin sono vivi? - Chi manca?

- Kol’ka Sedoj. - Sono qua, Kol’ka! - Grišina?

- È qua!

- Quindi siete tutti interi? - Dov’è Tučkov? Saška dov’è?

Un secondo di silenzio. La folla si precipitò verso la chiusa. Con le braccia spalancate, il viso maciullato dalle pietre, giaceva Tučkov.

La folla cominciò a fischiare in modo sordo e inquieto. Qualcuno si tolse la giacca e coprì il morto.

- Il foro è esploso prima del tempo. - Chi è il colpevole?

- Un incidente, - rispose piano, ma in modo chiaro il capo dei lavori di brillamento, capo minatore anziano, prima che tutti scendessero allo scavo.

- E tu che stavi guardando?

- Ti hanno proposto come capo di questo lavoro, sta a te risponderne! L’atmosfera si fece tesa …

(39)

Entrò e si fermò sulla passerella il caposezione.

- Tučkov è stato ucciso … due sono stati feriti … che razza di lavoro … - si misero a strepitare tutt’intorno.

- Non è un lavoro facile, – disse chiaramente il capo – è difficile per dei veri uomini … Tučkov lo era … mentre voi …

Il capo girò lo sguardo intorno a sé.

- Mentre voi siete dei veri uomini … proprio da veri uomini … vi siete scagliati su un vecchio. Per quale motivo? Per sfogare la rabbia?

Il capo guardò Tukčov coperto dalla giacca. Sollevò la testa bruscamente: - Ragazzi, ci è stato affidato un compito difficile e onorevole. E ciascuno di noi deve mostrarsi degno della fiducia del partito e del governo sovietico. La classe lavoratrice verifica. Se sei con la classe lavoratrice, puoi curvare i fiumi, prosciugare le paludi, aprire le rocce, stare accanto alla dinamite!

Poi, dopo una pausa:

- Portate su Tukčov e mettetelo al margine dello scavo. Lo seppelliremo dopo il lavoro.

A mezzanotte seppellirono Tukčov. La tomba venne scavata sulla montagna sotto i pini. C’era la musica. Davanti camminavano gli addetti agli esplosivi. Tenevano dei pali con le micce accese. Quando calarono la bara, nello scavo fumavano ottanta fori. La terra oscillò e sembrò muoversi dal suo posto. Fitte schiere di pietre si alzarono verso il cielo e piombarono a terra.

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DOPO L’ASSALTO

Ormai è primavera. Il cielo è splendido: azzurro-blu, e tutto intorno la primavera verde chiaro. Magari ora si può riposare, dormire a sazietà. Ridendo, gli uomini vanno nella baracca.

Gli uomini si mettono a dormire, ma il loro sonno è breve. Per primi si svegliano i capisquadra : «Eh, non riusciamo ad abbassare il livello dei laghi! – dicono. – Non c’è dubbio, se abbiamo placato il lago Vadlo non vuol dire che gli altri bacini tra i canali dormano».

Le falangi avanzano. Vanno a nord e a sud, seguendo le acque. Pensano già poco a ciò che hanno compiuto sullo Spartiacque. Andate ad aiutare gli altri. E le falangi pensano: chi bisogna aiutare?

Il 30 aprile era pronta la chiusa sul fiume Telekinka.

Una chiusa bellissima e capiente. Ma chi è che sbircia ancora da dietro i pini? Lì, nel primo punto di combattimento, hanno preparato quattro nuove dighe sulla scala di Povenec. Il punto di combattimento è ricoperto da cima a fondo di manifesti. Sul tetto c’è un ritratto di Il’ič con il braccio puntato verso nord. I costruttori ballano tutte quelle danze note solo a loro, e a loro sono note moltissime danze di moltissimi paesi.

«Ci eravamo messi ad ammirare gli orgogli eretti da noi, le chiuse del fiume Povenčanka, - ci dice l’organizzatore del collettivo di lavoro dei soldati del canale Levitanus. – Io e il mio collettivo abbiamo preso qua il primo terreno, e ora stiamo terminando il canale. Tutti noi, messi insieme, non avevamo un’idea piena e nemmeno parziale del fatto che sarebbe apparso così, come una bellezza di carattere internazionale. Per tutta la vita non dimenticherò

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