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3 Analogia mente radio e psiche liquida

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Academic year: 2021

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3 Analogia mente radio e psiche liquida

Immediatamente dopo aver analizzato i «fantasmi di Edison», Sconce riporta le parole di un ricercatore inglese nel campo delle tecnologie elettroniche, Mark Dyne. Negli anni sessanta, sulla base delle teorie formulate a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo seco-lo, Dyne costruì un apparecchio per comunicare coi morti attraverso segnali in alfabeto morse. Il suo funzionamento si basava su poche premesse, formulabili in modo semplice, diretto e strettamente pragmatico: «Just as ordinary radio and tv signals are unseen vibra-tion through the air, so I believe there are disturbances in the ether caused by the spirit world. [. . . ] All we have to do is find the wave length and frequency and we shall be able to pick them up» (citato in Sconce, 2000: 83, corsivo mio).

A bordo della Nightflyer, in un mondo secondario creato circa venti anni dopo le affermazioni di Dyne — con le quali, molto probabilmente, non intrattiene alcun legame — il telepate Thale Lasamer racconta al capo della spedizione, Karoly d’Branin, di aver percepito la presenza, inaspettata e spaventosa, della madre-astronave:

“I feel it,” he said, clutching d’Branin by the arm, his long fingernails digging in painfully. “Something is wrong, Karoly, something is very wrong. I’m beginning to get frightened.” [. . . ] “My friend, what is it? Frightened? Of what, of whom? I do not understand. What could there be to fear?” Lasamer raised pale hands to his face. “I don’t know, I don’t know,” he wailed. “Yet it’s there, I feel it. Karoly, I’m picking up something. [. . . ] I sense it. Feel it. Dream of it. I felt it even as we were boarding, and it’s gotten worse. Some-thing dangerous. SomeSome-thing volatile. And alien, Karoly, alien!” (Nightflyers, p. 270)

Tanto nel caso di Dyne che in quello di Lasamer, il verbo «pick up» descrive l’atto di intercettare un segnale che viaggia o aleggia, invisibile, nello spazio.

Dyne costruisce un’analogia aproblematica («Just as. . . so I believe») tra aria ed etere, da un lato, e tra segnali radio/televisivi e segnali provenienti dallo «spirit world», dall’al-tro. Ciò permette di descrivere i secondi sulla base dei primi, attribuendo loro i tratti descrittivi “frequenza” e “lunghezza d’onda” («find the wave length and frequency»): il segnale “spirituale” diventa un tipo di segnale elettrico. Sulla base di questa prima ana-logia se ne stabilisce un’altra, in modo altrettanto aproblematico, tra i metodi di gestire i due tipi di segnale dal punto di vista tecnologico: se la differenza esistente tra di essi è di natura non sostanziale ma semplicemente tipologica, tutto ciò che resta da fare è in-tercettare («to pick up», appunto) i segnali degli spiriti come si fa con i segnali radio e “rispondere” componendo messaggi attraverso lo stesso codice (il morse) impiegato nelle telecomunicazioni terrestri. Dyne impiega dunque il verbo «pick up» nel senso tecnico di “intercettare una trasmissione elettrica sintonizzandosi con essa”. Proprio nel suo di-scendere da un’operazione retorica che, nella sua estrema semplicità, nasconde qualunque

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fattore di complessità o problematicità, il funzionamento dell’apparecchio di Dyne rende immediatamente palese l’analogia tecnologica che ha permesso alla cultura (su un pia-no pia-non finzionale!) di aprire un canale di comunicazione tra vivi e morti passante per il reame elettrico.

Leggendo l’estratto da Nightflyers alla luce delle affermazioni di Dyne, ci si accorge di come Lasamer faccia del verbo «to pick up» un uso altrettanto tecnico, che porta anzi alla luce un processo ancora più radicale di ristrutturazione semiotica basato sull’immaginario elettrico. Le parole di Lasamer presuppongono infatti la costruzione della mente come apparecchio telecomunicativo capace di “emanare” all’esterno di un individuo sotto forma di segnali intercettabili e decodificabili13. Ai segnali spirituali si sostituiscono segnali mentali, e Lasamer capta la presenza psichica della madre-astronave come un’antenna capta una trasmissione radio.

Le due strutture semiotiche analogiche che soggiacciono alle affermazioni di Dyne e Lasamer (segnali dei morti = segnali radio, da un lato; segnali psichici = segnali ra-dio, dall’altro) si trovano efficacemente riunite in Ubik. La semivita si ottiene infatti, sul piano tecnico, congelando un individuo subito dopo la morte corporea e captando tecno-logicamente i segnali residui provenienti dal cervello, i quali vengono successivamente incanalati in un apparecchio comunicativo, terminante in una cornetta telefonica, in occa-sione della “visita” di un vivo. I semivivi comunicano dunque coi vivi attraverso segnali radio emessi da una mente agonizzante in una temporalità artificialmente dilatata.

Nei primissimi capitoli del romanzo, coerentemente con la struttura analogica identi-ficata a partire dalle affermazioni di Dyle e Lasamer, i semivivi vengono costruiti lingui-sticamente con sistematicità come delle vere e proprie radio psichiche14.

Si legga questo passo dal primo capitolo, in cui Herbert Vogelsang, direttore del mo-ratorium, ispeziona una «bara» prima che venga portata nella «consultation lounge», la sala per le “visite” ai semivivi:

When he located the correct party he scrutinized the lading report attached. It gave only fifteen days of half-life remaining. Not very much, he reflected; automatically he pressed a portable protophason amplifier into the transpa-13Lasamer intercetta un segnale misterioso ed incomprensibile, ma potrebbe decodificarlo in maniera

chiara se i suoi poteri telepatici fossero più potenti, ed egli verrà ucciso dalla madre-astronave dopo aver assunto un medicinale, con lo scopo appunto di ampliare le sue percezioni, che lo avrebbe reso in grado si percepire chiaramente la presenza dell’invisibile abitante della Nightflyer.

14Più in generale, la tematizzazione della mente come “radio psichica” riveste una funzione fondamentale

nella costruzione della coerenza narrativa dei mondi di Ubik. Prima di mettere in scena la guerra invisibile dei semivivi contro Jory, la vicenda del romanzo ha infatti per sfondo un’altra guerra, altrettanto invisibile, ma dalle proporzioni ben più vaste e dalle ripercussioni sociali ben più significative. Si tratta della guerra che si combatte nell’etere tra «psi» e «anti-psi» (persone dotate di poteri psichici e persone capaci di annullare quei poteri), reclutati e coordinati da potentissimi gruppi aziendali, sottoposti ad un regime di concorrenza brutale. Il viaggio sulla Luna ed il successivo attentato del quale sono vittime i protagonisti del romanzo sono architettati dall’azienda concorrente della Runciter Associates proprio nell’ambito di questa seconda guerra.

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rent plastic hull of the casket, tuned it, listened at the proper frequency for indication of cephalic activity. Faintly from the speaker a voice said, "...and then Tillie sprained her ankle and we never thought it’d heal; she was so foo-lish about it, wanting to start walking immediately..." [. . . ] "You checked her out, did you?" the customer asked as he paid the poscreds due. "Personally," Herbert answered. "Functioning perfectly." He kicked a series of switches, then stepped back. "Happy Resurrection Day, sir." (Ubik, p. 5)

La procedura attuata da Vogelsang è denotata da sostantivi («amplifier», «frequency», «speaker») e verbi («tuned») afferenti al linguaggio tecnico delle telecomunicazioni. Ciò mostra come il direttore del moratorium realizzi quotidianamente proprio ciò che Dyne, dall’altra parte della terra di confine tra mondo primario e mondo secondario, progettava di fare col proprio apparecchio: sintonizzarsi con una voce che non proviene più da un corpo.

Al fine di valutare la portata dell’alto tasso di tecnicità linguistica del brano appena citato, potrebbe essere utile fare una nuova incursione nel mondo primario, ancora sotto la guida di Sconce. Nel 1869 Emma Hardinge, medium e storica dello spiritualismo ame-ricano, racconta così l’instaurazione del contatto col mondo degli spiriti da parte della medium Kate Fox: «They [gli spiriti] referred to the house at Hydesville as one peculiarly suited to their purpose from the fact of its being charged with the aura requisite to make it a battery for the working of the telegraph» (citato in Sconce, 2000: 36). Anche in questo caso il tasso di tecnicità linguistica è inaspettatamente alto: il medium è concepito (da parte degli spiriti stessi!) come un apparecchio telegrafico, il quale, per poter funzionare in modo opportuno, ha bisogno di essere caricato di energia derivante dall’aura, la quale si trasforma così da proprietà spirituale a carburante. Nell’episteme a cui appartengono Kate Fox ed Emma Hardinge, è dunque la tecnologia stessa del telegrafo a fondare il con-tatto medianico coi morti, a renderlo pensabile. Di conseguenza, è l’universo discorsivo articolantesi attorno a questa tecnologia a permeare di sé l’universo discorsivo relativo alla comunicazione coi morti, e non viceversa. Allo stesso modo, in Ubik, la radio ha “precedenza” concettuale sulla semivita, poiché è la radio non solo a discorsivizzare, ma a rendere discorsivizzabile la comunicazione coi semivivi.

L’analogia tra semivivo e radio agisce tanto in profondità da definire i tratti stessi che definiscono il semivivo in quanto ’vivente’: l’espressione «functioning perfectly» ricodifi-ca infatti la polarità vivo/morto nella polarità funzionante/non-funzionante. Come per una stazione radio, l’operatività del semivivo dipende dalla potenza del segnale che egli/esso emette, segnale che deve essere abbastanza forte da poter essere sfruttato per la comuni-cazione coi vivi. La coincidenza analogica tra semivivo e trasmettitore/ricevitore radio arriva ad attribuire al primo alcune delle caratteristiche tecniche che definiscono il secon-do non solo in quanto tecnologia, ma anche in quanto oggetto: la potenza del segnale e la durata della batteria. Il semivivo coincide dunque dal punto di vista linguistico, non solo

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con il concetto di radio ma anche con l’oggetto (o l’insieme di oggetti) radio. Nel mo-ratorium l’instaurazione di uno s.i. si paga dunque con l’estrema riduzione dell’abitante dello s.i. ad oggetto: in questo luogo, vivere significa funzionare.

L’intrusione di Jory nella conversazione tra Glen ed Ella Runciter è anch’essa conce-pita nei termini dell’“analogia radiofonica”. È lo stesso Vogelsang a spiegarlo in modo volutamente didattico:

“What’d he say?” Runciter demanded. “Will he get out of there and let me talk to Ella?” Von Vogelsang said, “There’s nothing Jory can do. Think of two AM radio transmitters, one close by but limited to only five-hundred watts of operating power. Then another, far off, but on the same or nearly the same frequency, and utilizing five-thousand watts.» (Ubik, p. 11)

La “potenza” della mente di Jory si traduce nella sua capacità di “emanare” elettricamente con maggiore potenza, disturbando e sopraffacendo così le trasmissioni più deboli di altri semivivi. La potenza della mente è allora, se non misurabile, perlomeno quantificabile per confronto, come potenza di segnale, ossia come capacità di emettere un segnale potente. Da questo punto di vista, la mente di Jory rappresenta una vera e propria perturbazione elettrica agente tra le mura del moratorium.

Per concludere, alla domanda se Ella potrà mai tornare a comunicare dopo la sopraf-fazione compiuta da Jory, Vogelsang risponde impiegando ancora una volta un termine tecnico: «She may return. Once Jory phases out» (Ubik, p. 17). L’“attacco” di Jory viene rappresentato come una sintonizzazione inaspettata e forzata con la frequenza alla quale comunica la coscienza di Ella : solo se Jory spezzerà questa sincronia elettronica, forse Ella potrà ancora salvarsi — verbo da intendersi dal punto di vista del marito, ossia: potrà continuare a funzionare e a trasmettere la propria coscienza dalla semivita.

Secondo Sconce, l’analogia tra onde psichiche ed onde radio è resa possibile dal loro venire entrambe concettualizzate, dal punto di vista culturale, in forma di flusso, ossia agenti in forma liquida. Non è quindi casuale che tanto in Ubik quanto in Nightflyers si sviluppi, parallelamente ad un’isotopia legata alla comunicazione radiofonica, una forte isotopia di tipo liquido. In particolare, in modi diversi per i due testi ma con uguale efficacia narrativa, essa riveste un ruolo determinante nella costruzione degli spazi, i quali partecipano così attivamente a dare (letteralmente) forma alla narrazione.

Più precisamente, entrambi i testi costruiscono una contrapposizione tra lo spazio dei vivi, connotato come solido ed orientato, e gli spazi degli abitanti degli s.i., connotati come liquidi e non-orientati. Attraverso il concetto di liquidità è così possibile gettare un ponte ermeneutico tra l’immaginario elettrico e la rappresentazioni degli spazi degli s.i. — o degli spazi che ad essi si collegano — ossia tra il sostrato culturale che rappresenta la

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base concettuale per la fondazione di numerosi s.i. del corpus ed una delle più importanti categorie analitiche della narratologia.

L’analisi degli spazi consentirà a sua volta, come si vedrà, di dedurre tratti e categorie descrittive da proiettare sulla coscienza degli abitanti degli s.i.: in Nightflyer, la liquidità invade lo spazio dei vivi come letteralizzazione dello spazio impalpabile abitato dalla coscienza dell’astronave-madre nel suo s.i.; in Ubik, la liquidità caratterizza invece alcune mutazioni dello spazio-simulacro creato da Jory Miller e, più in profondità, la coscienza di Ella negli ultimi momenti della semivita. L’isotopia liquida ci parla così dello spazio, che ci parla, a sua volta, di coloro che lo abitano.

Al fine di analizzare questa contrapposizione, occorrerà distogliere momentaneamente l’attenzione dai partecipanti alla trasmissione psichica, analizzate nel paragrafo preceden-te, per rivolgerla agli elementi ed alla natura della trasmissione stessa. Poiché verranno analizzate le coordinate spaziali della narrazione, occorrerà inoltre spostare l’attenzione dagli abitanti degli s.i. alle caratteristiche degli s.i. in quanto esperienze ed in quanto mon-di, l’esistenza dei quali dipende da una più o meno precisa, ma sempre identificabile, fisica finzionale. A questo scopo, si farà largo uso del concetto di “electronic elsewhere” di cui si è parlato sopra, precisando in che modo esso viene declinato in Ubik e Nightflyers.

A livello intuitivo, la semantica del termine «onda radio» stabilisce già un collega-mento evidentissimo tra segnale radio e liquidità. A livello iconologico, l’elaborazione matematica di un’onda radio su un piano cartesiano, con la sua chiara struttura oscil-latoria, rende l’onda visivamente liquida. E’ tuttavia sul piano concettuale che questa parentela semiotica del segnale radiofonico si rivela maggiormente ricca di implicazioni: essa può essere infatti ricollegata al fatto che il mezzo attraverso il quale segnale viaggia è, a sua volta, concettualizzato come liquido.

La descrizione di questo mezzo permette di introdurre nell’argomentazione un altro dei concetti alla base dell’immaginario elettrico: l’etere, la “sostanza” immateriale che avvolge gli oggetti e riempie lo spazio, definibile come «the impalpable magnetic context of electrical action» (Milutis, 2005: xx). Attraverso l’etere Mesmer riteneva di poter trasmettere la forza magnetica, incanalandola in un flusso elettrico che collegasse terapista e paziente; analogamente, attraverso l’etere si riteneva viaggiassero le trasmissioni inviate dagli apparecchi «wireless» agli albori dell’epoca della radio.

Trattando le trasformazioni avvenute nell’immaginario americano durante nel passag-gio dal predominio del telegrafo a quello della radio, Sconce nota il ricorso sistematico ad una metafora di carattere liquido nella strutturazione del concetto di “etere”:

In refiguring the concept of transmission from the wired connection to the more mysterious wandering signal, accounts of wireless and radio returned consistently to the structuring metaphor of the "etheric ocean.’" Bound at first, perhaps, to the medium’s origins in maritime applications, this most fluid of communication metaphors became a powerful conceptual tool for engaging

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not only the new electronic environment of the early century, but the emerging social world as well. Oceanic metaphors proved versatile in capturing the seeming omnipresence, unfathomable depths, and invisible mysteries of both radio’s ether and its audience—mammoth, fluid bodies that, like the sea, were ultimately boundless and unknowable. (Sconce, 2000: 63)

Come si vedrà, particolarmente in rapporto a Nightflyers, concettualizzare lo spazio at-traverso il quale si muovono le onde psichiche emesse dall’astronave-madre come “riem-pito” dall’etere permette di rendere conto della trasformazione che lo spazio stesso su-bisce in un momento particolarmente significativo della vicenda. La trasformazione si risolve infatti nella letteralizzazione spaziale della fluidità dell’etere, stabilendo così un collegamento semiotico forte tra isotopia liquida e immaginario elettrico.

Sulla scia di Sconce, l’etere non sarà considerato a partire da una delle innumerevoli formulazioni scientifiche e tecniche che esso ha ricevuto a partire dal XVIII secolo (senza tener conto tutte le loro antenate, che farebbero rimontare la trattazione fino ai filosofi pre-socratici), bensì in quanto concetto culturale in senso ampio. Come nel caso dell’analogia radiofonica, ciò che conta sono le relazioni ed i processi che il concetto di etere permette di costruire metaforicamente, al di là delle proprietà concrete di cui un determinato etere viene dotato in una determinata teoria.

I seri danni subiti dalla Nightflyer dopo l’uccisione, perpetrata dall’astronave-madre, di due membri dell’equipaggio, i quali avevano tentato di infiltrarsi nel sistema informa-tico dell’astronave per scoprire l’identità di Royd Eris — inconsapevoli del fatto che il sistema fosse “abitato” — rendono necessarie delle riparazioni. Royd, nato e cresciuto in assenza di gravità e stremato dal peso (letterale) della gravità artificiale15, la disattiva

per prepararsi fisicamente ad uscire dalla propria cabina per dare inizio alle riparazioni. Inoltre, egli intima a tutti i membri dell’equipaggio di uscire con lui dall’astronave.

A questo punto dell’intreccio, la Nightflyer si presenta come un’astronave alla deriva nei più profondi recessi dello spazio interstellare — ossia lo spazio intermedio tra due mondi abitati — privo sia di qualunque forma di vita umana o aliena, sia di qualunque punto di orientamento utile a capire visivamente in quale punto dello spazio ci si trovi16. La Nightflyer è inoltre sospesa sul limitare del Tempter’s Veil, una porzione di spazio che 15Si legga questo passo, in cui è Royd a parlare (lo «she» cui fa riferimento è sua madre): «She was

accustomed to weightlessness from years of service on ancient freetraders that could not afford gravity grids, and she preferred it. These were the conditions under which I was born and raised. [. . . ] My muscles are feeble, in a sense atrophied. The gravity the Nightflyer is now generating is for your comfort, not mine. To me it is agony» (Nightflyers, p. 280). Royd sopporta la gravità artificiale solo per il benessere dei suoi passeggeri, i quali, come la stragrande maggioranza degli esseri umani, in assenza di gravità sono goffi ed impacciati.

16«Melantha Jhirl waited on her sled close by the Nightflyer and looked at stars. [. . . ] Only the absence

of a landmark primary reminded her of where she was: in the places between, where men and women and their ships do not stop, where the volcryn sail crafts impossibly ancient.» (ibid., p. 292)

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appare alla vista completamente vuota e buia. Ancora più importante per questa analisi è la situazione all’interno dell’astronave, dove non ci sono più né luce, né gravità.

E’ in questo contesto che Rojan Christopheris, lo xenobiologo dell’equipaggio, decide di reintrodursi di nascosto nella nave, approfittando della disattenzione del resto del grup-po, impegnato nelle riparazioni, con l’intento di aprire un varco nella cabina sigillata di Royd Eris e prendere il controllo della nave. Una volta entrato, Christopheris verrà ucciso da un’entità misteriosa: l’evento dimostrerà finalmente, senza più ombra di dubbio, la presenza nell’astronave di un “alieno”, ostile ed invisibile all’equipaggio. Ciò costringerà Royd Eris, in seguito all’uccisione di due ulteriori membri della spedizione, Dannell e Lindran, entrati nell’astronave per soccorrere Christopheris, a rivelare la presenza della “madre”.

Quest’ultima fa dunque la sua apparizione più spaventosa in uno spazio dalle carat-teristiche radicalmente diverse rispetto a quelle che possedeva all’inizio della narrazione. Già la breve narrazione dell’ingresso di Christopheris nella Nightflyer vuota trasfigura lo spazio dell’astronave sul piano simbolico: per accedervi bisogna attraversare un corridoio buio, passando accanto ai meccanismi di propulsione dell’astronave, per raggiungere la porta d’accesso alla camera di equilibrio, al cui ingresso è stato appeso il cadavere senza testa del telepate Thale Lasamer, la prima vittima del’equipaggio:

It was a long tunnel, everything open to vacuum, safe from the corrosion of an atmosphere. [. . . ] The lights of his sled flickered past the encircling ring of nukes and sent long bright streaks along the sides of the closed cylinders of the stardrives, the huge engines that bent the stuff of spacetime, encased in webs of metal and crystal. At the end of the tunnel was a great circular door, reinforced metal, closed: the main airlock. [. . . ] The headless body of Thale Lasamer was tethered loosely to a massive support strut by the lock, like a grisly guardian of the way. The xenobiologist had to stare at it while he waited for the lock to cycle. (Ibid., p. 294)

L’accesso alla Nightflyer viene trasfigurato in un vero e proprio percorso rituale: il cor-ridoio diventa uno spazio liminare, reso maestoso e temibile dalla presenza degli enormi «stardrives», capaci di piegare lo spazio ed il tempo; mentre il guardiano della porta san-cisce l’ingresso in una “nuova” Nightflyer, lasciando presagire come essa si caratterizzi, in prima istanza, in quanto luogo di morte.

Una volta varcata la soglia, la mancanza di luce e gravità rendono lo spazio interno dell’astronave in tutto uguale allo sconfinato ed indefinito spazio attraverso il quale essa sta navigando. L’assenza di gravità, in particolare, cancella la distinzione tra soffitto e pavimento, tra alto e basso, causando la perdita del senso dell’orientamento e della di-rezione: «It was dark inside. What little light there was spilled through the door from the corridor. Her eyes [gli occhi di Melantha Jirl] took a long moment to adjust.

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Every-thing was confused; walls and ceilings and floor were all the same, she had no sense of direction» (ibid., p. 297).

Questa perdita è tuttavia solo uno degli effetti di un’altra trasformazione dello spa-zio, ben più radicale, implicita nel passaggio alla non-gravità: se nello spazio sottoposto a gravità ci si muove camminando coi piedi bien piantati sul pavimento, nello spazio a-gravitazionale non si può che galleggiare, sospesi tra soffitto e pavimento, e non ci si può muovere che nuotando. Lo spazio della Nightflyer è dunque passato dallo stato so-lido a quello liquido, e Christopheris vi nuota attraverso così come la Nightflyer naviga attraverso lo spazio.

Questa trasformazione trova un’efficacissima tematizzazione nella letteralizzazione della natura liquida dello spazio in toni decisamente macabri. Si legga il passo in cui Christopheris realizza che la sala in cui era stato ucciso Lasamer, nella quale si trova, non era stata ripulita dopo la tragedia: «He had forgotten. No one had cleaned the lounge yet. The—the remains were still there, floating now, blood and flesh and bits of bone and brain. All around him» (ibid., p. 295). Poche pagine dopo, alla presenza di Dannell e Lindran, l’attenzione del lettore torna di nuovo a focalizzarsi sulla forma che il sangue assume in assenza di gravità, coagulato in bolle che navigano attraverso lo spazio: «“Here, I’ve got a knife, that should thrill you.” She [Lindran] flourished it, and brushed against a floating bubble of liquid as big as her fist. It burst and re-formed into a hundred smaller globules. One moved past her face, close, and she tasted it. Blood.» (Ibid., p. 297). La liquidità del sangue letteralizza dunque la liquidità dello spazio senza gravità, connotandolo, allo stesso tempo, come spazio di morte.

Il testo fa inoltre convergere stilisticamente le due liquidità, l’una astratta, l’altra lette-rale, facendo assumere al sangue ed a ciò che galleggia con esso nell’astronave le forme di fenomeni atmosferici: «Inside Dannel and Lindran waited, swimming in a haze of blood. [. . . ] Royd accelerated past them, driving up the corridor through the cloud of blood» (ibid., p. 302); «In the lounge it was raining. Kitchen utensils, glasses and plates, pieces of human bodies all lashed violently across the room, and glanced harmlessly off Royd’s armored form» (ibid., p. 303).

Ma in che modo, da questa convergenza semiotica, può derivare un contributo all’ana-lisi dello s.i. abitato dalla “madre”? Essa si rivela produttiva se messa in relazione proprio col concetto di etere e, più di preciso, con la semantica della liquidità che informa il con-cetto di “etheric ocean”. Tanto la liquidità concreta del sangue e dei fenomeni atmosferici da esso creati, quanto la liquidità astratta derivante dall’assenza di gravità, possono essere allora rilette come forme letteralizzate, a diversi livelli di materialità, dell’altro elemento liquido che “opera” nell’astronave, appunto l’etere. Si è visto come esso rappresenti, dal punto di vista scientifico e più ampiamente culturale, il mezzo attraverso il quale le onde radio si propagano; si è visto inoltre, nel paragrafo precedente, come nella conversazione tra Thale Lasamer ed il capitano della spedizione la coscienza dell’astronave-madre venga

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costruita come propagantesi sotto forma di onde radio («I’m picking up something»). E’ dunque lecito, sulla base dell’analogia radiofonica, concettualizzare la psiche della madre come un flusso di onde che viaggia e si diffonde letteralmente nell’oceano dell’etere, il quale, a sua volta, non è più semplicemente attraversato da segnali radio, bensì abitato da una coscienza inorganica.

La liquefazione dello spazio della Nightflyer potrebbe così essere interpretata, nei suoi aspetti generali, come una rappresentazione letteralizzata del mezzo attraverso il quale la madre agisce e si manifesta, ossia delle condizioni sotto le quali la sua coscienza esiste nella sua relazione coi vivi. Non è un caso, a questo punto, che la “madre” sia dotata di una forma di potere mentale — la telecinesi — che nel mondo narrato è strettamente legata all’assenza di gravità e fortemente limitata dalla presenza di essa17.

Considerare l’etere solo in quanto mezzo per la propagazione di segnali significa tut-tavia non riconoscere pienamente le relazioni che lo legano agli altri elementi dell’imma-ginario e le potenzialità che esso offre nell’ambito della costruzione di mondi secondari fantastici. In quanto mezzo che rende possibili le trasmissioni, l’etere si pone infatti alla base della fisica stessa degli “electronic elsewhere” fondati sulle onde radio, rendendo-li possibirendendo-li (forse addirittura pensabirendendo-li?), contribuendo così in maniera determinante alla costruzione di un’“ontologia” degli “elsewhere” stessi. Nel caso di Nightflyers, la lettera-lizzazione dell’etere comporta la risoluzione temporanea del “qui” dei vivi nell’“altrove” della “madre”, un pericolosissimo (dal punto di vista speculativo e, pragmaticamente, da quello dell’incolumità dei protagonisti) cedimento delle barriere fisiche ed ontologiche che dovrebbero tenere il “qui” distinto dall’“altrove”.

Si potrebbe completare questa analisi ipotizzando un’ultima possibilità di letteralizza-zione offerta dalla fluidificaletteralizza-zione dello spazio, che renda conto in maniera più produttiva dei suoi aspetti più concreti, ossia del fatto che essa si realizzi con sangue e frammenti corporei: la letteralizzazione dell’atto di passare attraverso un corpo.

Nuotando nello spazio liquido della Nightflyer, come si nota nei passi citati in prece-denza, i personaggi passano attraverso i frammenti del corpo di Thale Lasamer, la prima vittima della “madre”: essi stanno letteralmente nuotando nel corpo e nel sangue di un cadavere. Un simile atto di attraversamento fisico sembra verificarsi in un brevissimo episodio in un momento precedente del racconto, prima che la situazione a bordo del-l’astronave precipiti e lo spazio si fluidifichi: Melantha Jirl passa fisicamente attraverso l’ologramma per mezzo del quale Royd Eris, il capitano della Nightflyer, si rende visi-vamente presente ai passeggeri, laddove tutti gli altri membri dell’equipaggio sono soliti passare intorno all’ologramma.

Melantha stood up and walked to the kitchen, stepping right through Royd’s 17«Melantha Jhirl swore. “Of course she hated gravity! Telekinesis under weightlessness is—” “Yes,”

Royd finished. “Keeping the Nightflyer under gravity tortures me, but it limits Mother.”» (Ibid., p.330, corsivi nel testo)

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ghostly form, which she steadfastly refused to pretend was real. “The rest of them walk around me,” Royd complained. She shrugged, and found a bulb of beer in a storage compartment. (Nightflyers, p. 297)

L’attraversamento dell’ologramma di Eris potrebbe essere messo in relazione con quello, estremamente più concreto, del corpo di Lasamer, ad affermare la natura non episodica e casuale dell’attraversamento corporeo, o comunque la sua funzione non esclusivamente macabra, lasciando ipotizzare la presenza di una funzione concettuale più profonda e si-gnificativa. Attraversando concretamente una rappresentazione per sineddoche del corpo di Lasamer, i protagonisti starebbero allora attraversando anche una manifestazione lette-ralizzata ed “organicizzata” del corpo della “madre”. Nuotare nello spazio della Nightflyer significherebbe così anche nuotare nella “madre” stessa .

In ogni caso, nell’episodio centrale del racconto lo spazio “riempito” di gravità e di aria si trasforma temporaneamente in spazio “riempito” di non-gravità ed etere, lo spa-zio dei vivi si trasforma in spaspa-zio dei non-morti, ed alla fisica dell’organico si sostituisce quella, ben più misteriosa ed inquietante, dell’elettrico.

Se in Nightflyers il rapporto tra psiche, analogia mente-radio e liquidità informa di sé in maniera pervasiva un unico, lungo, episodio della narrazione, per poi venire rapida-mente “riassorbito” dal turbinio frenetico degli eventi che conducono allo scioglimento, in Ubik esso viene invece tematizzato in più momenti del romanzo, tutti piuttosto brevi ma collocati in snodi di importanza cruciale, che lasciano emergere le implicazioni con-cettuali di maggiore interesse per la costruzione semiotica della semivita, tanto nelle sue coordinate astratte e generalissime, quanto nell’esperienza concreta e sensibile di essa.

Inoltre, laddove in Nightflyers il concetto di etere si impone con forza come chiave interpretativa dell’intero episodio e della costruzione semiotica dello s.i., in Ubik esso assume un’importanza più sfumata, probabilmente anche a causa della costruzione di un legame più diretto tra liquidità e segnali radio, i quali sembrano addirittura dotati di caratteristiche “organiche”.

L’analisi del ruolo che la semiotica della liquidità gioca nella costruzione della semi-vita di Ubik deve fare i conti, con urgenza ancora maggiore che nel resto delle analisi, col fatto che, durante la lettura del romanzo, il lettore si trova confrontato a due mise en ré-cit della semivita radicalmente differenti: quella di Ella, descritta brevemente e in termini decisamente vaghi da Vogelsang e dalla stessa Ella, della quale il lettore non fa esperienza “insieme” al semivivo; e quella di Joe, esperita invece dall’interno, in grande dettaglio, per i due terzi del romanzo. Delle due, solo la semivita di Joe è definibile come esperienza da parte di una coscienza di un mondo, di cui viene messa in scena la progressiva erosione fino al suo disvelamento in quanto simulacro creato dalla mente di Jory Miller. La semivi-ta di Ella, come si vedrà, si sviluppa invece in una successione discontinua di esperienze che, per di più, non vengono rese coerenti da una singola coscienza — nonostante nella

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conclusione del romanzo il personaggio faccia visita a Joe, nel “mondo” di quest’ultimo, subito prima di morire definitivamente.

Le ovvie complicazioni che possono derivare, sul piano argomentativo, da questa radi-cale disomogeneità, sembrano tuttavia non porsi nel caso di questa analisi, che muove dal rilevamento di una sorta di bipartizione di “compiti” narrativi tra le due semivite: in quel-la di Joe, quel-la liquidità caratterizza sul piano percettivo l’esperienza sensoriale di porzioni precise dello spazio-simulacro; in quella di Ella, la liquidità connota invece sul piano con-cettuale e metaforico lo s.i. nel suo rapporto con le coordinate semiotiche generali che costruiscono la coscienza del semivivo.

A causa della loro instabilità cronologica e, più in generale, ontologica, gli spazi della semivita di Joe sono soggetti, in almeno due occasioni di importanza determinante per lo sviluppo dell’intreccio, ad una mutazione reversibile tra due stati, l’uno cronologicamente più antico dell’altro. La prima di queste mutazioni è esperita dal più stretto collaboratore di Joe, Al Hammond, preannunciandone la morte, e colpisce l’ascensore dell’edificio del-la sede newyorkese deldel-la Runciter Associates, neldel-la quale tutti i sopravvissuti all’attentato su Luna, inconsapevoli semivivi, si trovano riuniti.

Al posto dell’incredibilmente tecnologico ascensore del suo tempo, Al vede e sente arrivare, con un clangore metallico, un ascensore chiuso da una griglia metallica, dietro la quale, in un piccolo spazio con rifiniture in bronzo, un ascensorista siede indifferente su uno sgabello. Pronto dapprima ad entrare automaticamente nell’ascensore, poi im-provvisamente consapevole della presenza di un’anomalia, Al ammonisce Joe a non en-trare — ma Joe vede un normalissimo ascensore del suo tempo, segno che le alterazioni temporali dipendono dalla coscienza dell’osservatore e non dallo spazio in sé. Al inizia quindi a pensare ad alta voce, cercando di ricordare l’aspetto del “suo” ascensore, ma si interrompe:

He ceased talking. Because the elderly clanking contraption had dimmed, and, in its place, the familiar elevator resumed its existence. And yet he sensed the presence of the other, older elevator; it lurked at the periphery of his vision, as if ready to ebb forward as soon as he and Joe turned their attention away. (Ubik, pp. 123 sg.)

Per descrivere il movimento “in avanti” del vecchio ascensore dalla periferia al centro del campo visivo (e della coscienza) di Al il testo si serve del verbo “to ebb”, indicante l’andare e venire della marea. L’oscillazione tra le due forme cronologiche dello spazio è dunque un’oscillazione liquida.

La dimostrazione di come il ricorso alla metafora liquida attivata dal verbo “to ebb” sia tutt’altro che occasionale, nonché di come il verbo stesso sia impiegato in senso proprio e non traslato, dunque in stretto riferimento alla marea, proviene da un secondo passo, piuttosto distante dal primo, nel quale non solo compare una più chiara tematizzazione

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della liquidità come marea, ma viene anche stabilito un chiarissimo legame tra liquidità ed immaginario elettrico.

Attraverso il biglietto di una multa, consegnato a Joe da un poliziotto, Runciter esorta Joe a recarsi all’Archer’s Drugstore, un negozio nel quale potrebbe trovare dell’Ubik, del quale ha ormai disperatamente bisogno. Stavolta non è più una singola componente di un edificio a mutare, bensì l’intera costruzione che ospita il drugstore:

He could see the tall, peeling yellow building at the periphery of his range of vision. But something about it struck him as strange. A shimmer, an unstea-diness, as if the building faded forward into stability and then retreated into insubstantial uncertainty. An oscillation, each phase lasting a few seconds and then blurring off into its opposite, a fairly regular variability as if an or-ganic pulsation underlay the structure. As if, he thought, it’s alive. [. . . ] At the amplitude of greater stability it became a retail home-art outlet of his own time period, homeostatic in operation, a self-service enterprise selling ten-thousand commodities for the modern conapt [. . . ]. And, at the amplitude of insubstantiality, it resolved itself into a tiny, anachronistic drugstore with rococo ornamentation. Presently he stood before it, experiencing physically the tidal tug of the amplitudes; he felt himself drawn back, then ahead, then back again. (Ubik, pagg. 172 sg.)

Innanzitutto, il riferimento alla presenza dell’edificio «alla periferia del campo visivo» stabilisce un’immediata parentela tra la situazione presente e quella descritta nella cita-zione precedente: Joe sta osservando l’edificio nello stesso modo in cui Al ha osservato l’ascensore. La descrizione dell’oscillazione temporale è dunque condotta dapprima at-traverso l’attivazione di una ricca semantica visiva: «shimmer», «faded forward», «blur-ring off»: l’edificio non è visivamente omogeneo rispetto al resto dello spazio, cosa che provoca un cedimento nell’uniformità della trama di quest’ultimo.

Tale cedimento rivela, a sua volta, molto prima della confessione di Jory, lo statuto di simulacro dello spazio stesso: esso si palesa non già come spazio, ma come icona di uno spazio. Sulla base della semantica visiva individuata, il procedimento di iconizzazione che soggiace alla creazione dello spazio-simulacro si precisa come propriamente fotografico, in senso anche cinematografico: «blurring off» può infatti descrivere l’atto di sfocare una fotografia o un’inquadratura; l’«unsteadiness» potrebbe far riferimento ad una ripresa fatta in modo malfermo con una camera a mano; il sostantivo «fade» indica, in senso tecnico, la dissolvenza cinematografica. L’oscillazione tra i due drugstore viene dunque resa semioticamente anche come l’effetto di un montaggio cinematografico, risultante dallo scontro tra l’atto di simulazione di Jory e le leggi “naturali” di platonica ispirazione che reggono, in misura largamente imperscrutabile, lo spazio-simulacro.

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Questa immagine cinematografica si risolve tuttavia ben presto in immagine-onda, tanto in senso radiofonico, quanto in senso marino, poiché è da quest’ultima immagine che la prima deriva, in un complesso gioco di sovrapposizioni tecnologiche e semiotiche. I sostantivi «oscillation» e «phase» fanno già chiaramente riferimento al movimento oscil-latorio di un’onda radio; con precisione ancor più tecnica, i due punti estremi dell’oscilla-zione tra «stability» ed «insubstantiality» vengono indicati con una perifrasi che chiama in causa il concetto di «amplitude», uno dei due parametri fondamentali che descrivono un’onda radio in fisica.

Nel momento in cui Joe raggiunge finalmente una posizione tale da permettergli di osservare l’edificio frontalmente, le «amplitudes» si trasformano da neutro parametro de-scrittivo a vera e propria forza fisica, connotata come «tidal tug»: essa è capace di tra-scinare il protagonista al proprio ritmo come l’acqua viene trascinata dalla marea. La semantica della liquidità si conferma dunque come semantica del mare e della marea: da un lato, essa contribuisce a rendere coerente il sistema metaforico che connota la ricor-sività della mutazione dello spazio; dall’altro, arricchisce la mutazione stessa del senso poderosamente concreto di un immane andare e venire, appartenente non già al regno dell’umano ma a quello dei fenomeni naturali, dunque fuori dal controllo di qualunque personaggio, anche del demiurgo Jory: è nella natura dello spazio di agire nel modo in cui agisce.

A rendere più complessa l’oscillazione dell’edificio tra i suoi due stati sta il fatto che questi ultimi non dipendono, in prima istanza, da coordinate spaziali, bensì da coor-dinate temporali: l’oscillazione che viene percepita come spaziale è solo il risultato di un’altra oscillazione tra due momenti del tempo, tra il presente del protagonista, nel qua-le il drugstore è sostituito da un futuristico negozio di articoli per conapt, ed il passato primo-novecentesco verso il quale lo spazio è regredito, nel quale il drugstore è effetti-vamente accessibile. La mutazione ciclica che esercita su Joe la sua forza oceanica si sviluppa quindi contemporaneamente nelle due dimensioni dello spazio e del tempo, con la seconda dimensione a determinare la forma visibile della prima.

All’inizio del paragrafo era stata avanzata un’opposizione tra spazio dei vivi, solido ed orientato, e spazio degli s.i., liquido e non-orientato: alla luce di quest’ultima analisi, il disorientamento in Ubik è addirittura temporale prima che spaziale. Oscillando avanti e indietro, la temporalità dello spazio-simulacro è lineare ma non unidirezionale, ed il disorientamento che deriva da questa alterazione costringe il lettore ad interrogarsi, in generale, sul valore della temporalità nella semivita, che in quanto stato della coscienza è slegata da ogni possibilità di misurazione del tempo intersoggettivamente valida. Joe Chip vive in un “mondo” il cui presente possiede uno statuto tra i più paradossali, poiché esso rappresenta il punto d’incontro di due precipitose fughe temporali che corrono in direzioni opposte: l’una all’indietro, che fa regredire il mondo verso forme sempre più antiche; l’altra in avanti, che uccide i personaggi facendoli invecchiare di decenni e decenni in

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pochi attimi. Ciò sancisce, oltre all’impossibilità di un tempo intersoggettivo, l’illusorietà di ogni teleologia, poiché non si può immaginare una Fine (di quelle con la “F” maiuscola) in un mondo che viaggia lungo una linea del tempo non orientata.

Si può concludere l’analisi del passo e, con esso, della liquidità spaziale della semivita di Joe Chip con qualche considerazione laterale rispetto al tema di questo paragrafo, ma che permette di comprendere fino a quale profondità può spingersi la fertilità narrativa dell’immaginario elettrico. In un breve stralcio della citazione sopra riportata, fin qui tra-lasciato, viene proposta una similitudine assai affascinante ma apparentemente incoerente con quanto affermato finora circa l’immaginario elettrico e le onde radio : « as if an or-ganic pulsation underlay the structure. As if, he thought, it’s alive. ». Il senso di moto derivante dall’osservazione del mutare dell’edificio viene momentaneamente ristrutturato da oscillazione a pulsazione e questa, a sua volta, viene connotata come organica. La descrizione compie così un salto dalla fisica alla biologia, permettendo automaticamente di concepire l’edificio in quanto non solo agito da una forza naturale di enorme portata come la marea, ma addirittura vivo.

Questo salto descrittivo è tutt’altro che anodino e, soprattutto, tutt’altro che estraneo all’immaginario elettrico: se ne trova una conferma culturologica in uno dei testi fondatori della televisione di fantascienza, prodotto nel 1963, appena sei anni prima della pubblica-zione di Ubik. Si tratta di The Galaxy Being, il celebre episodio pilota di The Outer Limits , la “sorella” meno stilisticamente variegata, ma più cupa e semioticamente complessa, di The Twilight Zone. Il testo è centrato proprio intorno alla capacità del segnale radio di “ricodificarsi” assumendo forme organiche (o almeno apparentemente tali) nonché, come dimostrato da Sconce, intorno alla statica come «electronic elsewhere» abitato da una vita aliena e misteriosa. L’episodio racconta come il proprietario di una stazione radiofonica nella tranquilla provincia americana — il cui cognome, significativamente, è Maxwell — intercetti un insolito segnale radio, di provenienza non terrestre, dal quale prende lette-ralmente forma un alieno che “abita” il segnale stesso. Quest’ultimo viene analizzato dal protagonista attraverso una sorta di oscilloscopio e proiettato su uno schermo televisivo, sul quale la camera insiste lungo tutta la prima metà dell’episodio.

Un’inquadratura in particolare mostra il protagonista intento nella regolazione del se-gnale, “schiacciando” la sua figura tra le tre tecnologie telecomunicative alla base degli “electronic elsewhere” — e delle analisi di questo capitolo — la cui narrativizzazione in forme inquietanti farà la fortuna della serie: il telefono, in primo piano; lo schermo televisivo che “legge” un segnale radiofonico, sul fondo. Più spesso, tuttavia, l’inquadra-tura viene fatta coincidere col televisore stesso, e lo spettatore viene posto direttamente di fronte alla rappresentazione visiva del misterioso segnale radio: esso oscilla incessan-temente tra una fase di ampiezza minima, riprodotta da una semplice linea verticale al centro dello schermo, ed una fase di ampiezza massima, in cui lo schermo viene occupato da una moltitudine di onde sovrapposte.

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Lo spettatore non può osservare questa oscillazione ipnotica senza associarla ad una qualche forma di «organic pulsation», quella stessa pulsazione vitale che Joe Chip associa alla costante trasformazione dell’edificio del drugstore. Più che rappresentare un segnale radio, lo schermo televisivo sembra in effetti mostrare un vero e proprio battito cardiaco proveniente dal reame elettrico — non casualmente le immagini dell’oscilloscopio sono presenti anche nella sigla d’apertura del programma, sulla quale ci sarà modo di tornare, accompagnando così lo spettatore lungo tutta la serie e proiettando su tutti gli episodi successivi la loro “aura” semiotica.

A confermare la coerenza e l’efficacia narrativa di questa associazione, il segnale radio sullo schermo lascia il posto, più avanti nell’episodio, ad un alone sbiadito, che si precisa progressivamente fino a rivelare le forme luminose di un alieno: è come se il “Galaxy Being” si sintonizzasse sulle frequenze di Esistenza della Terra con un procedimento, anche in questo caso, fotografico, costituendosi in un’immagine sempre più a fuoco (si ricordino il «faded forward into stability» ed il «blurring off» del passo di Ubik).

Il testo stabilisce dunque un nesso narrativamente suggestivo tra onde radio e Vita in modo assai più esplicito di quanto non faccia il breve passo di Ubik, costruendo le prime come fonte della seconda e portando il nesso fino ad una posizione ontologica radicale: l’esistenza diventa una frequenza sulla quale è possibile sintonizzare la materialità del proprio corpo, ed a seguito di un sovraccarico di energia nella stazione radio il “Galaxy Being” riuscirà addirittura a violare la barriera che separa il mondo elettrico dal mondo materiale, uscendo fisicamente dallo schermo, vagando per la città e seminando il panico tra la popolazione, per poi de-sintonizzarsi dall’esistenza. Quanto in Ubik viene sugge-rito, rapidamente e senza ripercussioni particolarmente significative sul piano semiotico, tramite una similitudine («As if [. . . ] it’s alive») trova così le sue implicazioni profonde e la sua coerenza rispetto all’immaginario elettrico con l’aiuto di The Galaxy Being, in cui la similitudine viene presa alla lettera e portata alle sue estreme conseguenze.

Si è visto, nell’introduzione a questo paragrafo, come la rappresentazione degli spazi degli s.i. acquisisca grande importanza per la sua capacità di proiettare talune sue caratte-ristiche, con le conseguenze e nei modi più diversi, sulla coscienza degli abitanti degli s.i. stessi. In Ubik, da questo punto di vista, l’importanza ermeneutica degli spazi è massima, giacché gli spazi della semivita sono spazi della coscienza, che non possiedono consisten-za ontologica se non nelle menti dei semivivi: è dunque impossibile parlare di liquidità degli spazi senza che essa si ripercuota sulla coscienza dei semivivi, attribuendole una qualche forma di liquidità semiotica.

In Ubik queste ripercussioni si trovano esplicitamente tematizzate: con grande effi-cacia narrativa, il testo le conduce fino alle estreme conseguenze nella rappresentazione della semivita di Ella Runciter. Si è già parlato di come essa differisca radicalmente dalla semivita di Joe: occorre ora precisare che questa divergenza è dovuta principalmente al

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fatto che le due esperienze si trovano agli estremi opposti dell’arco vitale della coscienza di un semivivo: la semivita di Joe è ad uno stadio estremamente precoce, quella di Ella è ormai assai prossima alla fine. In questa fase terminale dello s.i, la semiotica della liqui-dità trabocca dagli spazi, strategici ma relativamente angusti, nei quali era confinata nel-l’esperienza di Joe, per prendere il sopravvento sulla caratterizzazione della semivita nel suo svolgersi complessivo. La semivita di Ella è dunque definibile come pervasivamente liquida, di una liquidità, ancora una volta, figlia dell’immaginario elettrico.

Si può riprendere l’analisi da dove la si era lasciata nel paragrafo precedente: dalla scomparsa di Ella dalla trasmissione nel moratorium in seguito all’intromissione di Jory. Poco dopo aver fatto ricorso alla similitudine tra la mente e la radio, citata a pag. [inserisci rif.], Vogelsang riformula la propria giustificazione della scomparsa in termini che, con l’immaginario elettrico, sembrano avere assai poco a che fare:

“After prolonged proximity,” von Vogelsang explained, “there is occasionally a mutual osmosis, a suffusion between the mentalities of half-lifers. Jory Miller’s cefalic activity is particularly good; your wife’s is not. That makes for an unfortunately one-way passage of protophasons” (Ubik, p. 16)

Come la similitudine tra «oscillation» ed «organic pulsation», nella precedente citazione da Ubik, fa compiere un salto descrittivo dalla fisica alla biologia, in questo passo il ricorso all’espressione «mutual osmosis» sposta il linguaggio della descrizione dall’elettronica ai fluidi. Applicando nella loro forma più elementare i procedimenti analitici descritti da Lakoff e Johnson in Metaphors We Live By, la costruzione della mente del semivivo come soggetta a osmosi con altre menti comporta, dal punto di vista metaforico, la costruzione della mente stessa come un contenitore, all’interno del quale, cosa ancora più importante, sta un fluido.

La «mentality» del semivivo è dunque liquida e, affinché possa esservi osmosi, i li-miti “fisici” tra le singole menti devono essere non impermeabili ma membranosi: alcune componenti del fluido, ossia alcuni pensieri o componenti psichici, possono dunque at-traversarli sotto determinate condizioni. Come la marea, inoltre, l’osmosi è un processo naturale: non dipende da un qualche apporto di energia né da alcuna volontà. Semplice-mente ed inarrestabilSemplice-mente, accade. Il termine «suffusion» lavora, sul piano metaforico, nella stessa direzione del termine «osmosis»: la soffusione comporta infatti il cospargersi di un liquido in uno spazio o su una superficie. Tuttavia, se intesa in senso strettamente medico, la soffusione porta con sé, al contrario dell’osmosi, il senso di una violazione e, soprattutto, di una patologia: la psiche del semivivo si spargerebbe così fuori dallo spazio entro il quale dovrebbe normalmente circolare, come in un’emorragia il sangue si riversa fuori da una vena. La psiche liquida degli abitanti del moratorium si colora così, seppur brevemente, di rosso sangue, e si è vista l’efficacia estetica che una tale colorazione ha assunto in Nightflyers.

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Tornando all’osmosi e passando ad un livello di complessità metaforica immediata-mente superiore, l’attraversamento di una membrana da parte di un fluido comporta ne-cessariamente la creazione di un flusso direzionato che trasferisca del “materiale mentale” da una mente ad un’altra. Ebbene, una delle pochissime descrizioni della sua esperien-za della semivita che Ella fornisce al lettore è perfettamente coerente con questa analisi metaforica:

«It’s so weird. I think I’ve been dreaming all this time, since you last talked to me. Is it really two years? Do you know, Glen, what I think? I think that other people who are around me — we seem to be progressively growing together. A lot of my dreams aren’t about me at all. Sometimes I’m a man and sometimes a little boy; sometimes I’m an old fat woman with varicose veins... and I’m in places I’ve never seen, doing things that make no sense.» (Ubik, p. 12 )

Ella vive le fasi terminali della semivita in una successione di esperienze che, per la maggior parte («A lot of my dreams») non le appartengono, ma sembrano provenire dalle persone che «le stanno intorno»: gli altri semivivi custoditi nel moratorium. Come viene lasciato intendere brevemente da questo passo, le coscienze dei semivivi non vivono infatti in reciproco isolamento:

“She [Ella Runciter] may not like being isolated, Mr. Runciter. We keep the containers—the caskets, as they’re called by the lay public—close together for a reason. Wandering through one another’s mind gives those in half-life the only—” “Put her in solitary right now,” Runciter broke in. “Better she be isolated than not exist at all.” (Ubik, p. 14)

La metafora liquida individuata a partire dal termine «mutual osmosis» non rappresenta una figura retorica isolata, bensì struttura, nei termini di Lakoff e Johnson, un piccolo si-stema metaforico coerente, ed il flusso creato dall’osmosi prende corpo nella successione di sogni di cui Elle vive, i quali scorrono attraverso la sua mente come liquido. È assai interessante, del resto, che Ella stessa designi queste esperienze come «dreams»: esse vengono così spostate fuori dallo stato in cui la coscienza si trova durante la veglia, ossia fuori dallo stato di coscienza “normale” che funge da base per la definizione di tutti gli altri stati di coscienza. Ancora più radicalmente, il sogno diventa la nuova normalità della coscienza di Ella, la quale vive dunque, ossimoricamente dal punto di vista dei vivi, in uno stato di coscienza normalmente alterato.

Coerentemente con la definizione dell’esperienza della semivita come sogno, essa si costituisce come flusso che sembra non solo non ubbidire ad alcuna logica (l’uso del-l’espressione «Sometimes I’m . . . Sometimes I’m» affianca cronologicamente le varie esperienze senza offrire alcun parametro che le renda coerenti), ma anche sfuggire alle

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coordinate normali di quanto viene definito sensato («doing things that make no sense»). Ma torniamo all’osmosi e, più precisamente, al concetto di flusso. Si è visto nel par. [in-serisci rif] come Sconce motivi l’analogia elettrica, da un punto di vista culturologico, in quanto fondata proprio sul concetto di flusso, o meglio sulla convergenza di tre processi concettualizzati in forma di flusso, uno dei quali è rappresentato da «the consciousness of the viewer/listener» (Sconce, 2000: 7 sg.). Il concetto di “flusso di coscienza”, precisa Sconce, è reso possibile appunto dalla metafora liquida che rende culturalmente senso, in forma intuitiva, di quanto “accade” nella nostra mente. Ora, l’esperienza della semivita di Ella potrebbe essere descritta, a partire dalla sua liquidità, come un’interessante riela-borazione postmoderna — nonché concepibile solo in un mondo secondario fantastico — del flusso di coscienza modernista.

Contrariamente all’esperienza della semivita di Joe, quella di Ella non si condensa (o perlomeno non si condensa più) in un mondo, pur con tutti i limiti con cui il concetto di “mondo” si applica alla semivita, bensì in una serie incoerente e discontinua di mondi, esperiti in forma episodica ed avvicendantesi in un vero e proprio flusso onirico, che viene messo in circolo tra più menti come il sangue in un apparato circolatorio: ecco che l’osmosi e la soffusione contribuiscono congiuntamente a fondare metaforicamente l’esperienza terminale della semivita in tutta la sua originalità.

Cosa ancora più importante, il ruolo dell’io “originario” di Ella risulta, una volta coin-volto nel flusso onirico, fortemente ridimensionato nelle sue funzioni: Ella afferma di es-sere talora qualcuno, talora qualcun altro, ma fa sempre riferimento a qualcuno di diverso dal sé che la definiva univocamente in quanto Ella Runciter. Più che un flusso di co-scienza, Ella sembra dunque vivere letteralmente un flusso di coscienze, nel quale l’io si trasforma continuamente perdendo — o perlomeno indebolendo fortemente — il proprio ruolo di nodo accentratore della persona, capace di “tenere insieme” tutte le esperienze, per abbandonarsi ad un vagabondaggio che rappresenta l’ultimo sollievo primo dell’ulti-ma morte.

Si è visto come l’esperienza della semivita di Ella si costituisca nella sua totalità co-me esperienza della fluidità, coco-me esperienza di un io che si liquefà per imco-mergersi in un flusso onirico di fluido psichico messo in circolo dall’intera comunità dei semivivi. E’ possibile, a questo punto, fare un passo indietro e chiamare nuovamente in causa il concetto di etere, cercando di valutare il ruolo che esso riveste nella costruzione della liquidità semiotica della semivita.

Da un punto di vista assai generale ed astratto, non si può non constatare come la semiotica della liquidità si applichi molto bene alla caratterizzazione della semivita: ciò dipende dal fatto che, che si condensi in un unico mondo o meno, l’esperienza della se-mivita è sempre, in primo luogo, esperienza di un flusso mentale, privo di qualunque fondamento materiale al di fuori di una ristretta comunità di menti. Anche la creazione

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della realtà-simulacro di Jory è possibile solo all’interno del flusso che “tiene insieme” le semivite di Joe Chip, dei (presunti) sopravvissuti all’esplosione sulla Luna e dello stesso Jory in un’unica esperienza collettiva, alla quale anche Ella riuscirà a partecipare bre-vemente, subito prima di morire definitivamente. La liquidità spaziale che Joe si trova ad osservare è dunque nient’altro che una manifestazione localizzata e, tutto sommato, secondaria, della liquidità che alimenta il midollo stesso della semivita in quanto flusso.

Ma cosa rende a sua volta possibile l’instaurarsi stesso di questo flusso? Che cosa fa sì che la semivita prenda una forma quintessenzialmente liquida? La risposta è, co-me nel caso di Nightflyers, l’«etheric ocean». In entrambi i testi, la psiche è modellata sulla base dell’analogia mente-radio, ed i segnali radio si propagano nel mezzo liquido dell’etere. In un senso diverso rispetto a Nightflyers, anche lo spazio della semivita è una letteralizzazione dell’etere, non solo e non tanto in quanto semplice mezzo nel quale si propagano le onde cerebrali di Joe, Jory ed Ella, ma in quanto elemento capace, per via della sua pervasività spaziale e per il suo sostenere concettualmente l’intera struttura del reame elettrico, di rendere pensabile quest’ultimo come un “electronic elsewhere”, come un mondo liminare abitabile da forme di vita non umane o non-più umane quindi, come tale, spazio privilegiato per la costituzione di stati intermedi.

La fluidificazione dello spazio e della psiche, con la semiotica che da essa procede, è figlia dell’immaginario elettrico: in Nightflyers la liquidità si manifesta come lette-ralizzazione dell’etere, ossia del mezzo che funge da ponte ontologico tra lo s.i. della madre-astronave ed il mondo dei viventi, in un momento della narrazione nel quale le barriere che tengono separati i due stati dell’esistere sembrano cedere, tanto metaforica-mente quanto materialmetaforica-mente. In Ubik la semiotica della liquidità emerge in momenti della narrazione estremamente localizzati ma non per questo meno privi di implicazioni: essa dipende in maniera diretta dalle onde radio, rivelando una soggiacente impostazione vi-siva “fotografica”, nonché la possibilità di ricodificarsi in forme organiche. In entrambi i casi, il concetto di etere permette di creare un altrove fondato, sul piano dell’immaginario, sugli “electronic elsewhere”, che fungono da ideale punto di innesto narrativo e culturale per gli stati intermedi.

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