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4.2. Tecnica chirurgica !! ! !! ! !

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Academic year: 2021

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4.2. Tecnica chirurgica

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La tecnica descritta si articola nei seguenti punti:

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1) Preparazione dell’arto e posizione del paziente 2) Ispezione articolare (artrotomia o artroscopia) 3) Preparazione della tuberosità tibiale

5) Punti di repere e riferimenti in vivo dei mark del planning 6) Osteotomia circolare

7) Rotazione e fissazione della tuberosità tibiale in nuova posizione 8) Applicazione dell’impianto

8) Chiusura della ferita chirurgica

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Preparazione dell’arto e posizione del paziente

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Il paziente viene posto in decubito dorsale con il tronco adagiato in una sella di contenimento con la parete toracica lievemente inclinata verso il lato dell’arto interessato. Questa posizione permette di lavorare agevolmente in ambiente articolare durante la fase di artrotomia e successivamente, di appoggiare il ginocchio al tavolo operatorio durante l’esecuzione dell’osteotomia circolare e l’applicazione dell’impianto di fissazione. L’arto posteriore sano viene legato

al tavolo, come pure gli anteriori mentre quello da trattare è slegato per permettergli i movimenti di cui sopra (Fig.1).

La tricotomia è estesa dalla groppa ai metatarsi escludendo le falangi. La cute viene preparata routinariamente secondo le regole dell’asepsi.

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Approccio chirurgico

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Viene eseguito approccio chirurgico mediale al ginocchio

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Ispezione articolare (Artrotomia/Artroscopia)

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L’ispezione articolare è il primo passaggio dell’intervento, ed è necessaria per valutare le condizioni dei menischi, e dei legamenti crociati craniale e caudale. L’ispezione articolare può essere eseguita per via artroscopica o attraverso miniartrotomia mediale (Fig.3 e Fig.4). In quest’ultimo caso la chirurgia inizia con una dieresi cutanea e sottocutanea realizzata dalla depressione parapatellare mediale ed estesa ventralmente fino al margine distale della cresta tibiale. Una volta entrati in articolazione si valuta se la rottura del CrCL è parziale o totale. Partendo dalla considerazione che il legamento rotto non guarisce spontaneamente (Hefti, 1991) e che come dimostrato sperimentalmente e clinicamente spesso le estremità libere del legamento strappato possono rigonfiarsi, disturbando il normale movimento del ginocchio, è indicato procedere al debridement totale delle estremità rotte del legamento (Muir,2010) ovvero alla completa rimozione del legamento dalle sue inserzioni ossee. Inoltre se presenti lesioni meniscali, vengono rimosse in modo da lasciare solo porzioni meniscali integre e in continuità tra loro (Fig.2). Il menisco mediale è più predisposto a lesione, specialmente a livello del suo polo caudale perché più saldamente attaccato alla tibia rispetto al laterale, attraverso il legamento collaterale mediale, la sinovia e i legamenti meniscali.

Questa minor capacità di movimento fa si che durante lo scivolamento craniale della tibia in fase di appoggio, il polo caudale del menisco mediale sia naturalmente più predisposto a schiacciamento sotto il condilo femorale mediale.

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Nel caso in cui la rottura del LCA fosse parziale si procede al debridement delle sole porzioni lesionate lasciando in sede le rimanenti integre (Wolf, 2008). Anche in questo caso va ispezionato il menisco mediale sebbene l’incidenza di lesioni sia più bassa rispetto ai casi con rottura totale (Ralphs & Whitney 2002).

In generale ogni qual volta ci si approcci ad una chirurgia per il trattamento di un ginocchio instabile per incompetenza del suo CrCL, bisogna tener conto dell’elevata possibilità di avere la concomitante presenza di lesione del menisco mediale, soprattutto a livello di polo caudale con percentuali variabili secondo letteratura dal 20 % al 77% dei casi (Pozzi, 2008a).

L’opportunità o meno di praticare un rilascio meniscale (meniscal release), qualora ci si trovi dinnanzi ad un menisco mediale integro, attraverso un taglio radiale caudale al legamento collaterale mediale, è tuttora una questione dibattuta che necessita di alcune considerazioni.

L’esecuzione del rilascio meniscale è finalizzato ad aumentare la libertà del polo caudale e ridurre così l’incidenza di lesioni meniscali successive alla chirurgia per la stabilizzazione del ginocchio con incompetenza di CrCL (Slocum & Slocum 1998). Tuttavia va considerata la funzione stabilizzatrice del menisco nell’articolazione (Pozzi, 2006) e la sua importanza dal punto di vista biomeccanico. Infatti esso, migliora la congruenza articolare, concorrendo a distribuire uniformante i carichi sulle superfici articolari con le quali entra in contatto. Il rilascio meniscale quindi fa perdere al menisco queste sue funzioni intrinseche e come confermano studi cadaverici i carichi nell’articolazione si distribuiscono su superfici più piccole concentrando su di esse la maggior parte del peso (Pozzi, 2008 - Pozzi, 2010) aumentando i rischi di avere fenomeni degenerativi secondari. Inoltre sono stati riportati casi in cui l’esecuzione profilattica di meniscal release non abbia evitato al cane lesioni meniscali post operatorie (Beale,2005). Di contro le lesioni meniscali successive alla chirurgie classiche di stabilizzazione del ginocchio vengono riportate come possibili complicazioni ed associate a dolore improvviso e zoppia acuta nel periodo post operatorio (Case, 2008 - Lafaver, 2007 - Hirshenson 2012). Queste lesioni, siano esse 


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realmente successive alla chirurgia o concomitanti ad essa e non diagnosticate in prima istanza, portano conseguenze cliniche evidenti rendendo necessaria una seconda ispezione articolare con conseguenze pratiche ed economiche da non sottovalutare.

Alla luce di quanto detto , si preferisce evitare il meniscal release se il menisco mediale è integro (Luther, 2009) sebbene sia importante comunicare ai proprietari la possibilità di lesioni successive alla chirurgia, riservando il rilascio meniscale preventivo ai casi in cui l’ispezione inta-articolare del polo caudale risulti poco soddisfacente o limiti economici precludano successive revisioni. Attualmente, nella TTA e deduttivamente nelle sue relative modifiche, si evita il meniscal release se l’integrità del menisco mediale viene confermata, in accordo con le indicazioni degli ideatori della tecnica originale (Hirshenson 2012 - Stein 2008)

Attualmente, se possibile l’artroscopia è da preferirsi all’artrotomia, sia per i vantaggi in termini di minor invasività della procedura, sia per la migliore visualizzazione delle strutture intra-articolari che essa offre (Case, 2008 - Pozzi 2008a).

La dieresi artrotomica viene chiusa con tecnica convenzionale attraverso una sutura a punti staccati in filo monofilamento riassorbibile dopo abbondante lavaggio lavaggio con soluzione salina.

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Preparazione della tuberosità tibiale

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Partendo dalla dieresi cutanea si procede alla scheletrizzazione della tuberosità tibiale attraverso l’utilizzo di elettrobisturi e/o scollaperiostio. Il pes anserinus*, a differenza di quanto previsto nella TTA tradizionale, non viene scollato a meno che non si renda necessario per favorire l’applicazione dell’impianto di fissazione della tuberosità tibiale che come si descriverà più avanti non è un impianto “dedicato” e come nei casi clinici inseriti in questa ricerca è variato più volte o nel caso in cui il taglio circolare arrivi sino ad esso nel suo punto caudale.

*Il Pes Anserinus, tradotto con il termine “zampa d’oca” ed i utilizzato nella terminologia anatomica umana rappresenta nell’uomo una struttura fibrosa costituita dall’unione del tendine terminale del muscolo

semitendinoso con i tendini del sartorio e del gracile sulla faccia mediale della tuberosità della tibia. Nei

carnivori domestici, l’aponeurosi del sartorio della gamba ricopre quella del gracile portandosi sul versante mediale della cresta tibiale, dunque in posizione più mediale e ventrale rispetto all’uomo. Inoltre, in queste specie, il tendine terminale del muscolo semitendinoso, largo e robusto, passa al di sotto dell’aponeurosi terminale del gracile per attaccarsi anch’esso sulla faccia mediale della tibia. Ne consegue che a differenza dell’uomo, nei carnivori domestici il pes anserinus non appare come una struttura fibrosa unica e solidale bensì sdoppiata su più piani (Barone, 1995).

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In definitiva i limiti della scheletrizzazione saranno rappresentati caudalmente dal pes anserinus (o dal legamento collaterale mediale se esposto e che va sempre salvaguardato durante la procedura chirurgica), e cranialmente dall’inserzione del tendine tibiorotuleo sulla tuberosità tibiale. Il limite distale varia in base

all’estensione dell’impianto di fissazione sebbene nei casi proposti non si sia mai reso necessario andare oltre la vena safena e m e d i a m e n t e è t e r m i n a t a d i p o c o distalmente alla fine della cresta tibiale. L’inserzione del tendine tibio-rotuleo dovrà rimanere intatta lungo tutto il margine craniale della tibia mentre la zona prossimale della sua inserzione deve essere scheletrizzata e ripulita del grasso retropatellare perché proprio a ridosso di essa dovrà arrivare la lama e qui verranno


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inseriti gli strumenti di protezione del tendine durante il taglio (Fig.5).

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Osteotomia circolare:

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I punti di riferimento dell’osteotomia pianificata nel planning pre operatorio vengono riportati sulla superficie ossea a partire dalla prominenza craniale prossimale della tuberosità tibiale. Questa prominenza detta anche “cicatrice fiseale anteriore”, si apprezza come un piccolo rilievo palpabile sulla superficie craniale della tuberosità tibiale ed essendo facilmente identificabile anche sulla radiografia medio laterale utilizzata per il planning pre operatorio (Punto E), rappresenta il punto di partenza per replicare su “osso” le distanze calcolate nello studio (distanza E-A e distanza E-B) e si verifica che il 60% del corpo tibiale sia risparmiato dal taglio (Punto E).

I punti di riferimento misurati nel planning preoperatorio, ovvero il punto A, B vengono segnati sul periostio con l’elettrocauterio o un bone scribe.


Fig.7 - punti di riferimento in vivo evidenziati con aghi

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La lama prescelta, viene appoggiata sull’osso in corrispondenza dei segni ed utilizzata come modello per disegnarne la silhouette sul periostio, sempre con gli stessi strumenti (Fig.6 e Fig 7).

Il posizionamento della tibia prima dell’esecuzione del taglio circolare deve essere accurato poiché l’osteotomia deve essere perpendicolare al piano sagittale e non alla superficie mediale dell’osso che è inclinata in senso caudo-craniale. In questo ultimo caso si otterrebbe un taglio con direzione cranio-caudale e non medio-laterale, col prevedibile risultato di spostamento laterale dell’inserzione del tendine tibiorotuleo durante lo scivolamento prossimale del frammento tibiale osteotomizzato. La tibia deve essere completamente abdotta ed appoggiata sul tavolo operatorio in modo da renderla parallela al piano. In questa fase bisogna tener conto della sua forma triangolare prossimalmente e dello spessore dell’osso che è maggiore prossimalmente e minore distalmente. Si possono porre delle garze come spessore tra il malleolo laterale della tibia e il tavolo, per ottimizzarne la posizione evitando contestualmente di ruotare l’osso intorno al proprio asse. Un assistente si occuperà di mantenere la tibia nella posizione descritta.

Un filo di Kirschner da 1,2 mm di diametro può essere inserito prima dell’esecuzione del taglio nel corpo della tibia appena caudalmente al punto medio della linea di taglio precedentemente tracciata sull’osso. Questo viene utilizzato sia come riferimento per la corretta direzione medio-laterale del taglio e sia come punto di appoggio della lama durante la sua azione facendo sempre attenzione a mantenere chiodo e lama paralleli tra loro. Qualora si decidesse di utilizzare un filo di Kirshner come riferimento per l’orientamento del taglio, è bene inserirlo sulla corticale mediale della tibia, parallela al terreno e a 90° rispetto al femore, sorretto in verticale da un assistente ed evitando rotazioni esterne o interne. Se il filo di Kirschner è correttamente inserito sarà orizzontale, con il femore 


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mantenuto verticale, parallelo al terreno e perpendicolare al tendine tibio-rotuleo.

Un retrattore di Senn viene inserito da mediale a laterale sotto il tendine tibiorotuleo a livello della sua borsa appena al di sopra della sua inserzione sulla tuberosità tibiale. lo strumento è utilizzato per spostare cranialmente il tendine, proteggendolo dall’azione della lama circolare durante il taglio. La protezione del tendine tibiorotuleo è fondamentale poiché come già detto nella descrizione del planning preoperatorio, il taglio circolare prossimalmente deve arrivare a ridosso della sua inserzione sulla tuberosità tibiale. Anche un drenaggio di Penrose, fatto passare intorno al tendine e tirato cranialmente può servire al medesimo scopo.

Una volta confermata la corretta posizione della tibia sul piano d’appoggio

e l’inserzione del tibio-totuleo è adeguatamente protetta, si abbassa quanto più possibile il tavolo e la lama circolare verrà appoggiata sulla linea di taglio precedentemente marcata. Con il tavolo basso il chirurgo che provvederà all’esecuzione del taglio potrà più agevolmente mantenere il motore perpendicolare al tavolo e/o parallelo al filo di Kirschner 


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eventualmente utilizzato da guida (Fig.8). Nella prima fase la lama non deve essere spinta troppo contro l’osso per evitare che scivoli via. Piuttosto è bene che il primo contatto tra lama ed osso sia leggero e avvenga con la lama già in movimento. La lama deve approfondirsi nell’osso avanzando perpendicolarmente al piano sagittale della tibia sia in senso caudo-craniale che prossimo-distale.

Durante il taglio deve essere garantita un’adeguata irrigazione con soluzione salina per facilitare la penetrazione della lama nell’osso ed evitare necrosi termica da surriscaldamento. I flushings di soluzione salina non devono essere indirizzati direttamente sulla lama in movimento per evitare schizzi indesiderati sul campo e contaminazioni da ricaduta di liquido da zone non considerate sterili.

La lama può essere estratta dal solco che naturalmente crea durante la penetrazione nell’osso per permettere ad un assistente di pulire i denti della lama da detriti ossei ed eseguire dei flushing direttamente nel taglio. La fine del taglio è sancita dalla completa mobilizzazione della tuberosità tibiale.

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Rotazione e fissazione della tuberosità tibiale osteotomizzata in nuova posizione

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Una volta che la tuberosità tibiale e il tendine tibio-rotuleo ad essa annesso sono liberi di ruotare sul piano sagittale della tibia, si crea un piccolo segno sul corpo tibiale a ridosso della linea di taglio e ad essa perpendicolare, corrispondente alla rotazione necessaria ad ottenere l’avanzamento craniale della tuberosità precedentemente calcolato nel planning. Per creare il segno di riferimento si utilizza un piccolo scalpello o un bone

scribe. Ovviamente la misura della rotazione essendo concettualmente una

corda viene espressa in mm. La misura viene impostata nel compasso di Castroviejo e riportata sull’osso, a partire dal limite distale del taglio tibiale. In alternativa al compasso si può utilizzare un righello chirurgico.


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A differenza di quanto avviene nella TPLO, il segno di rotazione non viene fatto prima di completare il taglio ed in modo tale da attraversarlo. Questo per evitare di indebolire la cresta tibiale che è sottile e di ridotte dimensioni. Inoltre tenendo presente che la cresta successivamente dovrà accogliere parte dell’impianto di fissazione, creare un segno sulla sua corticale è rischioso e potrebbe potenzialmente generare fissurazioni o fratture.

Il frammento tibiale osteotomizzato quindi viene ruotato spingendolo con il pollice da distale a prossimale fino a quando il suo bordo distale non arrivi sul segno di riferimento. Le superfici di taglio devono rimanere in stretto contatto tra loro e durante la rotazione deve crearsi un piccolissimo gradino tra le superfici ossee mediali del corpo tibiale e della tuberosità mobilizzata. Questo scalino, che deriva della forma a triangolo rovesciato della tibia prossimale non deve essere eliminato tentando di allineare le superfici per non creare traslazioni del frammento. A questo punto con l’utilizzo di pinze da riduzione a punta si blocca e contestualmente si comprime la tuberosità tibiale nella sua nuova posizione (Fig.9 e Fig.10).


Posizione! finale

Posizione Iniziale

Fig.9 - mobilizzazione della tuberosità tibiale dopo il taglio

Fig.10 - Scorrimento della tuberosità e fissazione temporanea in nuova posizione

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Le pinze da riduzione devono essere messe in modo tale che una branca sia puntata sul bordo craniale della tuberosità e l’altra sulla faccia caudale del corpo tibiale. Le dimensioni della pinza devono essere appropriate a garantire una buona compressione garantendo allo stesso tempo lo spazio necessario all’applicazione dell’impianto di fissazione.

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Applicazione dell’impianto

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Nei presupposti teorici della TTA modificata a taglio circolare c’è la caratteristica di non avere un impianto di fissazione dedicato, come nella tecnica originale, per mantenere la tuberosità tibiale avanzata cranialmente.

Nei sei casi presentati in questo lavoro sono state utilizzate a questo scopo placche bloccate di marca e modelli diversi e cerchiaggi a banda di tensione.

Ci limiteremo ora a dare delle linee guida di ordine generale per l’applicazione dei due tipi di impianto.

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- PLACCA BLOCCATA:

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La placca bloccata a stabilità angolare presenta delle significative differenze rispetto a quella tradizionale a compressione dinamica (DCP) che meglio si adattano al tipo di stabilizzazione richiesta per la tuberosità tibiale ruotata.

In questo tipo di impianto, con modalità diverse in base a casa produttrice e modello, le viti si bloccano alla placca formando con essa un costrutto ad angolo fisso (Blake, 2011). Quando la testa della vite ingaggia la placca, non è possibile stringerla oltre. In virtù di ciò questo impianto fissa i monconi da stabilizzare nelle loro relative posizioni sopportando il carico e non è quindi necessario sagomarlo perfettamente sulla superficie dell’osso 


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come nel caso delle placche a compressione dinamica tradizionali (Boudrieau, 2010). Infatti in queste ultime, la stabilità dell’impianto è generata dalla frizione generata dallo schiacciamento della placca sulla corticale dell’osso non essendo le viti vincolate ad essa.

Se la placca tradizionale non è perfettamente sagomata alla superficie ossea sulla quale viene applicata, ci sarà una dislocazione dell’osso sottostante che viene tirato dalla vite durante il suo serraggio.

La placca a stabilità angolare viene preferita a quella tradizionale nella TTA modificata a taglio circolare per i seguenti motivi:

1) Nell’impianto a stabilità angolare possono essere messe meno viti per moncone (Gautier, 2003) e questo è un vantaggio nel momento in cui generalmente abbiamo a che fare con tuberosità e creste tibiali di dimensioni ridotte. Bisogna considerare anche che questa parte di tibia, per la conformazione triangolare che la caratterizza, è molto sottile cranialmente rispetto alla porzione caudale più larga, quindi meno viti si inseriranno nel sottile frammento tibiale osteotomizzato e minor indebolimento da fori si avrà, riducendo così i rischi di frattura iatrogena.

2) La placca bloccata non generando trazione dell’osso sottostante, evita la traslazione mediale della tuberosità tibiale e della cresta. Come già detto precedentemente, dopo aver ruotato la tuberosità nella posizione avanzata, si crea un seppur piccolo gradino tra le superfici mediali limitrofe al taglio e una placca tradizionale in virtù del suo effetto compressivo sull’osso, ne decreterebbe lo spostamento. Del resto sarebbe impossibile sagomare perfettamente una placca DCP intorno ad un così minimo gap.

3) Inoltre, in virtù di quanto già affermato, la placca bloccata salvaguarda maggiormente la vitalità del periostio, garantendo maggior apporto ematico al frammento osteotomizzato. Si riducono così i rischi di necrosi e riassorbimento osseo (Gautier, 2003 - Boudrieau, 2010).

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Sia nel caso venga utilizzata una placca bloccata retta o a “T”, bisogna tenere presente queste regole generali (Fig.11):

1) Nel frammento osteotomizzato vanno inserite almeno 2 viti per avere un effetto antirotazionale dello stesso. Più in generale bisogna avere almeno due viti per moncone quindi anche nel corpo della tibia non dovrebbero mai essercene meno di due (Gautier, 2003).

2) Le viti vanno inserite qualche mm caudalmente al bordo craniale della tuberosità per avere la certezza di incontrare nel foro, tessuto osseo compatto e non spugnoso a garanzia di una miglior tenuta dell’interfaccia vite-osso. Infatti cranialmente si incontrano le corticali mediale e laterale creando una zona che risulta essere altamente resistente non avendo interposto tessuto osseo spugnoso.

3) Le viti che penetrano nel corpo tibiale devono essere inserite sempre distali rispetto alla linea di taglio circolare per evitare o ridurre il rischio di fratture tibiali.

4) L’asse lungo della placca, sia essa retta o a “T” deve essere parallelo al bordo craniale della cresta tibiale contenuta nel frammento tibiale osteotomizzato.

5) la vite più prossimale posta sul frammento osteotomizzato deve essere inserita al di sotto (distalmente) della porzione di tuberosità che per effetto della rotazione risulta essere sopraelevata rispetto al restante corpo tibiale. Infatti il tendine tibio-rotuleo esercita una forte trazione proprio in questa regione della tuberosità e la presenza di un foro potrebbe predisporla a frattura soprattutto considerando che il cuneo osseo tra la porzione prossimale del taglio e la tibia prossimale funge da fulcro sulla tuberosità ruotata.

6) Se si utilizza una placca retta questa non deve andare caudalmente al margine mediale della tibia mentre se si utilizza una placca a “T” dovrà essere messa in modo tale che il braccio corto sia posto sul corpo della tibia e quello lungo sul frammento osteotomizzato.

7) La placca prescelta non deve essere troppo spessa poiché lavorando di taglio non viene sottoposta a forti sollecitazioni. 


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- CERCHIAGGIO A BANDA DI TENSIONE (Tension Band):

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Si può scegliere di fissare la cresta tibiale nella nuova posizione con un cerchiaggio a banda di tensione.

Il suo utilizzo trova giustificazione meccanica nel tipo di forze che gravitano sulla tuberosità tibiale. Infatti il muscolo quadricipite durante la sua contrazione esercita una tensione attraverso il tendine tibio-rotuleo diretta prossimalmente. La tension band è finalizzata a stabilizzare la tuberosità tibiale nella nuova posizione e contestualmente a convertire le forze di distrazione che su essa agiscono, in forze compressive (Fossum , 1999 ).

Si utilizzano due piccoli chiodi o fili di Kirschner di diametro appropriato alle dimensioni della tuberosità e un filo di cerchiaggio in acciaio 316L. Nella scelta del calibro dei Fili di Kirschner e del diametro del filo di cerchiaggio si considerano gli stessi criteri che si applicano all’intervento di trasposizione della tuberosità tibiale in caso di lussazione rotulea.

I due chiodi vengono inseriti in senso cranio-caudale e prossimo-distale a partire dalla porzione più larga della tuberosità tibiale cercando di indirizzare la punta lievemente medialmente per evitare che escano nella fossa tibiale perdendo di efficacia nella tenuta. Questi chiodi, paralleli tra loro, hanno la funzione di fissare il frammento e di contrastare la sua rotazione.

Viene quindi praticato un foro trasverso con andamento medio laterale di poco più largo del diametro del filo prescelto, distalmente al taglio circolare e qualche mm più caudale rispetto al margine inferiore del frammento tibiale ruotato nella nuova posizione.

Il filo di cerchiaggio è fatto passare all’interno del foro ed intorno ai due chiodi di stabilizzazione con una configurazione ad “8” in modo tale che l’incrocio del filo si abbia sul bordo craniale della tuberosità tibiale.

Questo per far si che il filo di cerchiaggio serrandosi, aumenti la compressione tra le superfici di contatto della tuberosità e del corpo tibiale.Una volta impostata la configurazione ad “8”, si attorcigliano tra 


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loro le due estremità libere del filo mentre dal lato opposto si crea un secondo nodo di attorcigliamento a partire da un ansa del filo stesso. In questo, modo stringendo i nodi progressivamente da entrambi i versanti, si distribuisce uniformemente la forza compressiva generata dall’impianto su tutto il frammento e contestualmente si riduce il rischio di aver lasciato porzioni del filo non tese (Fig.12).

Una volta serrato il cerchiaggio si tagliano le estremità dei nodi cercando di lasciare almeno 4-5 spire. Se si decide di piegare il nodo su se stesso va fatto mentre lo si sta attorcigliando per non far perdere tensione all’impianto (Tobias,2012).

Successivamente si tagliano i chiodi di stabilizzazione e si piegano in modo tale da non interferire con i tessuti molli limitrofi.

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Fig 11. Tipologia di placche bloccate a stabilità angolare utilizzate nei casi trattati: A: FIXIN retta serie grande - Traumavet

B: FIXIN a T serie grande - Traumavet C: LCP 2,4 - Depuy-Synthes

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Chiusura della ferita:

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Il sito chirurgico viene irrigato abbondantemente con soluzione salina sterile. Il pes anserinus viene riposizionato e suturato sulla sua inserzione con punti staccati in materiale monofilamento riassorbibile s precedentemente disinserito.

La ferita chirurgica viene chiusa routinariamente rispettando i piani.

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Studio radiografico post operatorio e bendaggio:

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Al termine della chirurgia, con il cane mantenuto in anestesia, vengono eseguiti i radiogrammi di controllo sia in proiezione medio-laterale che caudo-craniale applicando gli stessi criteri d’esecuzione delle radiografie pre-operatorie. La sutura va protetta con garze sterili trattenute in sede 


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con un bendaggio adesivo temporaneo per evitare contaminazioni in sala raggi. Lo studio radiografico post operatorio permette di stabilire se si è raggiunto l’obiettivo dell’intervento con un corretto avanzamento della tuberosità tibiale e se l’impianto presenta difetti.

Anche se non strettamente necessario (Unis, 2010), un bendaggio di Robert Jones modificato può essere applicato alla zampa per 24-28 ore.

Si somministra terapia sistemica con FANS per 2 settimane ed antibiotico terapia per 10 giorni.

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Gestione del periodo post operatorio:

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La rimozione della sutura esterna avviene in dodicesima giornata. Durante le prime 6 settimane le uscite giornaliere del cane sono brevi e rigorosamente al guinzaglio come anche indicato per la TTA tradizionale (Wolf, 2012), Sono da evitare corse libere e giochi con altri cani per ridurre le possibilità di traumi sull’arto interessatoIl primo controllo radiografico si esegue a 4-6 settimane dall’intervento e successivamente a 3 mesi. Sulla base dei controlli radiografici e clinici si riduce progressivamente l’attività controllata fino ad eliminare progressivamente le restrizioni sopraindicate.

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