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Capitolo 1

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Introduzione al Progetto

1.1-Introduzione. L’argomento della presente tesi è relativo alla progettazione e all’analisi di

funzionamento di un impianto d’irrigazione in pressione, destinato a servire la pianura che si apre sulla riva sinistra del fiume Ombrone, in provincia di Grosseto. Tale zona può essere individuata nella piana fra l’abitato di Rispescia fino all’azienda agricola dell’Alberese, avendo come limiti naturali l’Ombrone a Nord, fino alla foce, i Monti dell’Uccellina a Ovest, l’abitato di Alberese a Sud e la Variante Aurelia ad Est (Figura 1.1). L’idea di una tale progettazione trae spunto dalla presenza di un impianto d’irrigazione sulla riva destra dell’Ombrone; tale sistema va ad irrigare la zona compresa fra Marina di Grosseto e Principina a Terra, fino alle porte di Grosseto. Tale impianto, nel corso dell’ultimo decennio, ha subito successivi miglioramenti, trasformandosi da un sistema a pelo libero in un organismo completamente a pressione. Questo ha fatto si che, di fronte al risparmio d’acqua per tali miglioramenti (stimati nell’ordine del 35% di risparmio in termini di consumi idrici rispetto alle richieste originali), si andasse a guardare alla possibilità di ampliare lo sfruttamento di tali risorse. La chiave di volta dell’intero organismo è rappresentata dalla presenza, sul fiume Ombrone, di una traversa di sbarramento, detta Steccaia, che fu sfruttata dall’Ente Maremma per la realizzazione della Bonifica Grossetana. Tale opera è rimasta a bonifica ultimata e oggi viene utilizzata allo scopo irriguo ed idroelettrico. Infatti, sulla riva destra, è presente un impianto idroelettrico denominato San Martino, che sfrutta un piccolo salto di quota per ottenere energia elettrica da utilizzare all’occorrenza, in presenza di deficit energetici nella città di Grosseto. Prima di andare ad illustrare l’ambiente dove si svolgerà la progettazione, è necessario elencare i vari passaggi su cui si basa l’evoluzione del seguente studio. Il primo passo fondamentale è quello di andare ad analizzare le fonti ossia, nel caso in questione, il fiume Ombrone; esso, con il suo regime quasi torrentizio, va ad influenzare la progettazione ed è l’unica fonte per il nostro sistema. Data la sua importanza per la regione, il fiume ha sul proprio corso una stazione di misurazione della portata in località Sasso d’Ombrone, i cui dati risalgono sino all’inizio del secolo scorso; successivamente il Servizio Idrologico Regionale ha provveduto ad integrarlo attraverso il posizionamento di una stazione di misurazione in località Istia d’Ombrone, entrata in funzione solamente nell’ultimo decennio, dopo una fase di taratura iniziale. Entrambe le stazioni si trovano a monte rispetto al punto di presa della Steccaia; per questo, per ottenere i dati con riferimento alla sezione di nostro interesse, è stato necessario elaborarli da un punto di vista idrologico, andando a ragguagliare i dati della stazione di Sasso d’Ombrone, la quale è stata ritenuta più affidabile di quella d’Istia d’Ombrone, se non altro per la ampia serie storica di dati.

Una volta effettuata questa operazione, e quindi ottenute le portate medie giornaliere nella sezione di Poggio Cavallo (zona in prossimità della Steccaia), si è proceduto ad elaborare tali dati idrologici. Il primo passo è stato quello di andare a mediare, sul singolo mese, le portate medie giornaliere, nel trentennio 1982-2011. Dopodiché è stato necessario analizzare quali sono gli utilizzi attuali di tale risorsa, quindi quantificare i consumi dell’impianto d’irrigazione esistente. Oltre a questo si è fatta la stima del deflusso minimo vitale per l’Ombrone, necessario per la sopravvivenza

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2 dell’ambiente faunistico e floristico fluviale; tale portata deve sempre essere garantita a valle dello sbarramento.

Figura 1. 1: posizione geografica dell'area d'intervento rispetto alla città di Pisa.

Successivamente è stato necessario andare a visionare il territorio, per evidenziare le zone effettivamente servibili e quelle che sono da escludere a priori. Di tale aree sono stati analizzati i perimetri, le aree, la suddivisione di esse in funzione delle colture agricole presenti e, successivamente, sono stati individuati i fabbisogni idrici.

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3 Dopodiché si è passati alla progettazione idraulica della rete di adduzione, di distribuzione principale e secondaria. La progettazione si è basata sulla scelta del materiale delle condotte, sulla loro disposizione planimetrica e sull’individuazione dello schema più funzionale all’opera. A contorno della rete si è proceduto alla progettazione anche dei manufatti di servizio dell’acquedotto, necessari per renderlo funzionale ed operativo. In particolar modo è stato necessario progettare l’opera di presa, con il canale di raccordo, il manufatto con la sede dell’impianto di rilancio, gli elementi di funzionamento (valvole), le opera d’attraversamento e di distribuzione.

Successivamente sono state individuate le potenzialità dell’impianto, con eventuali miglioramenti atti ad aumentare la capacità di servizio dello stesso, tenendo conto anche del cambiamento delle tradizioni agrarie presenti nella zona, orientate verso attività colturali più redditizie. Sulla scorta di questo si è proceduto alla valutazione finale sulla convenienza economica dell’opera, passo necessario per giungere all’approvazione finale. In questa introduzione andremo ad analizzare i soggetti che entrano in gioco. L’intera analisi può essere vista attraverso una serie di passaggi cruciali:

 Individuazione dei Soggetti Ambientali  L’Offerta d’Acqua – Il Fiume Ombrone  La Domanda d’Acqua – Colture Agricole

 Progettazione della Rete di Adduzione – Distribuzione  Potenzialità della Struttura

 Analisi di Strutture e Manufatti

 Stima di Convenienza Economica dell’Opera

1.2-Storia del Territorio: dagli Etruschi al Consorzio di Bonifica Grossetana.

La pianura grossetana, territorio di realizzazione dell’opera, rappresenta per la storia dell’idraulica italiana una pagina molto importante, che ha evidenziato le potenziali capacità di miglioramento del territorio e della qualità della vita da parte dell’uomo. Per questo non si può giungere all’attuale configurazione della Maremma Grossetana senza passare attraverso la sua storia, che ne ha determinato tale stato di fatto.

Nel periodo etrusco (VIII secolo a.C.), l’azione combinata del trasporto di materiale solido da parte dei fiumi e l’azione erosiva del mare, portarono alla creazione di una serie di dune che venivano a delimitare la zona costiera, creando così una laguna interna dove l’aria era salubre. Sulle colline sovrastanti la laguna, denominata poi Lago Prile (Figura 1.2 e 1.3), e nei territori vicino ad essa, il terreno era molto fertile, quindi si crearono i primi insediamenti umani costituiti, in un primo momento, dagli Etruschi e successivamente dai Romani. Le popolazioni sopravvivevano grazie alla pesca, all’agricoltura ed al commercio dato che il lago offriva un’ottima via di comunicazione verso il mare e quindi verso città con le quali commerciare.

Se durante l’Impero Romano la zona aveva prosperato, con la caduta di esso e la conseguente calata dei barbari, tutto venne lasciato a se stesso. Dove passavano le orde barbariche, i campi venivano incendiati, i villaggi distrutti e di conseguenza i fiumi ed i torrenti che prima erano arginati, puliti e curati in modo da permettere una buona navigazione, adesso erano lasciati invadere dalle piante e

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4 dalle erbe che, formando delle vere e proprie dighe naturali, impedivano il regolare deflusso delle acque, creando così delle pozze di acqua stagnante e quindi paludi.

Nell’anno 1000 si ebbero i primi tentativi di bonifica da parte dei monaci che però non dettero buoni esiti in quanto, le grandi lotte tra Guelfi e Ghibellini, la successiva invasione delle armate di Costantino I, ed i conseguenti saccheggi, portarono non solo all’abbandono delle campagne ma anche all’incuria dei fiumi e dei torrenti che, lasciati liberi, inondarono e distrussero tutte le opere precedentemente create. Non essendoci più l’intervento dell’uomo, le acque stagnanti ben presto cominciarono a marcire creando l’habitat ottimale per le zanzare, che contribuirono al diffondersi della malaria in tutta la zona. Durante le piogge, i fiumi che non avevano più il corso libero, uscivano dagli argini naturali ed inondavano il terreno circostante ampliando sempre di più la palude.

Figura 1. 2: immagine dell'antico lago di Prile nella pianura maremmana, durante il periodo romano.

Lo spopolamento delle campagne, l’economia in crisi e il crescente dilagare della malaria, indussero la dinastia dei Medici a compiere i primi lavori di bonifica: furono scavati dei fossi e dei canali in modo da permettere alle acque di scorrere e quindi di prosciugare gli stagni che si erano formati. Ma questo non era sufficiente perché la quantità di acqua da prosciugare era enorme e quindi impossibile da eliminare con un’opera di quel genere: occorreva non solo drenare l’acqua ma riempire anche il “vuoto” lasciato da essa in modo che eventuali inondazioni non ricreassero di nuovo la palude.

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5 Fu però con l’avvento dei Lorena che si ebbe la vera e propria epoca delle grandi bonifiche. Già con Pietro Leopoldo I (granduca di Toscana, 1765-1790) abbiamo delle scelte politiche innovative che videro l’abolizione dei privilegi feudali e quindi l’incentivazione dell’iniziativa agricola: permettendo a tutti di possedere della terra, gli agricoltori erano incentivati a coltivarla e mantenerla salubre. La prima opera importante fu quella di restaurare l’argine destro del fiume Ombrone impedendo così la continua inondazione delle terre circostanti.

Un personaggio chiave di questo periodo fu Leonardo Ximenes (1716-1786) a cui dobbiamo la costruzione della Casa Rossa o casa Ximenes (Figura 1.5) in Castiglione della Pescaia che, con una serie di chiuse, permetteva di regolare il flusso delle acque. Ma il periodo dei grandi lavori di bonifica non terminò qui: con Leopoldo II (granduca dal 1824 al 1859) l’operosità crebbe ancora di più, e i lavori furono affidati all’ing. Giorgini (1795-1874) che espose per primo la teoria secondo cui la malaria derivava dalla mescolanza delle acque dolci con quelle salate. Egli propose di suddividere la costa in cinque zone che dovevano corrispondere alle cinque valli maggiori e in tali aree provvedere alla suddivisione delle acque dolci da quelle salate tramite un sistema di chiuse. In questo periodo si hanno dei primi tentativi di bonifica con un sistema detto “a colmata”, che aveva come obbiettivo quello di sollevare il livello dei terreni e drenare via l’acqua.

Figura 1. 3: rappresentazione del Lago Prile ai tempi dell'intervento di Leonardo Ximenes.

Con Vittorio Fossombroni (1754-1844), altro ingegnere incaricato della bonifica, e con Alessandro Manetti (1787-1865), incaricato della progettazione, il sistema delle colmate fu adottato come rimedio radicale in tutto il territorio portando così a dei primi risultati concreti. Leopoldo II

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6 dimostrò il suo impegno emanando delle leggi che dettavano le norme per la bonifica del territorio. Nel 1829, dopo soli 160 giorni di lavoro, che per i mezzi dell’epoca furono veramente un record, fu aperto il Primo Canale Diversivo che aveva la funzione di portare le acque torbide dell’Ombrone nel padule (Figura 1.7).

A sostegno di questo primo canale, detto “derivatore”, nel 1832 ne fu aperto un secondo. I lavori di colmata proseguivano incessantemente trasportando materiale verso valle così da creare dei riempimenti e quindi prosciugare il padule e, dall’altro lato, contenendo e regimando le acque così dette “alte” in modo che inondazioni improvvise non distruggessero il lavoro già fatto. Lentamente nei canali si verificò un fenomeno detto “interrimento”: i canali si andavano riempiendo a causa dei depositi limacciosi trasportati dalle acque; questo portò a piene ed inondazioni negl’anni successivi.

Figura 1. 4: principali tecnici nella storia della bonifica grossetana: in senso di lettura Leonardo Ximenes (1716-1786), Vittorio Fossombroni (1754-1844), Alessandro Manetti (1787-1865), Alfredo Baccarini (1826-1890).

Nel 1878 il governo volle occuparsi della questione Maremmana, ed affidò i lavori all’ing. Alfredo Baccarini (1826-1890) del Genio Civile, che affrontò la questione rendendo stabile la traversa della Steccaia, che aveva funzione di sbarramento dell’Ombrone, ma che ogni anno veniva distrutta dalle piene; inoltre fece munire di paratoie l’ingresso del canale in modo da proteggerlo dall’immissione di acque, sistemando il letto e gli argini del primo diversivo. Questo non portò certo alla risoluzione completa dei problemi, infatti per risolvere la questione dell’interrimento del Diversivo occorrerà attendere il 1896, che ne vide la ricostruzione del letto rimuovendo i detriti depositati sul fondo e

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7 trasportandoli nuovamente a valle, ottenendo così la duplice funzione di migliorare di nuovo lo scorrimento delle acque e di avere altro materiale a disposizione per proseguire le colmate. Ma il clima politico dell’epoca non aiutò certamente il lavoro di bonifica in quanto, con i vari moti rivoluzionari e le guerre interne, molto spesso i lavori venivano abbandonati.

Figura 1. 5: la “Casa Rossa”, ideata da Leonardo Ximenes, in località Diaccia Botrona, Castiglion della Pescaia.

Ai primi del Novecento i lavori subiscono alti e bassi a causa della guerra. Le opere di bonifica procedono a rilento: l’immissione delle acque torbide dell’Ombrone nei diversivi veniva fatta solamente in occasione di grandi piene e le acque attraversavano i recinti di colmata in modo da raccogliere i depositi e da lì venivano convogliate nel canale di S. Leopoldo che le portava direttamente al mare. In una stima dell’epoca si ipotizzò un lasso temporale di circa 60 anni per arrivare ad uniformare il terreno tramite colmata. Si ritenne pertanto di abbandonare il sistema di bonifica per colmata e provvedere allo scolo delle acque tramite intervento meccanico. Un anno importante per la storia della bonifica grossetana è rappresentato dal 1927: si ha l’emanazione di leggi in materia di bonifica, le quali assicurarono la possibilità di poter svolgere tutte quelle operazioni utili per il miglioramento agricolo e che, con l’ausilio dello stato, dovevano essere eseguite direttamente dai proprietari terrieri.

La legislazione diceva anche che la bonifica idraulica, e cioè la bonifica che riguardava le acque ed il corso dei fiumi, doveva essere fatta in armonia con la bonifica agraria, che si occupava appunto di prosciugare ed innalzare il terreno rendendolo utilizzabile.

Finché l’esecuzione di questi lavori era stata affidata a personalità diverse (abbiamo visto in precedenza, durante il regno d’Italia e con i Lorena), non sempre la bonifica idraulica andava in armonia con la bonifica agraria, e questo provocava degli scompensi in quanto si rendeva necessario modificare o deviare il corso di fiumi e torrenti per evitare inondazioni nelle zone già bonificate. È’ a questo punto che un gruppo proprietari della pianura decise di costituire un

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8 Consorzio di Bonifica che, in modo veloce e adeguato, potesse mettersi a capo dell’opera di bonifica (Figura 1.8).

La prima questione su cui si pose l’attenzione, fu lo studio approfondito del territorio, in quanto, essendo la zona circondata da colline ed avendo un andamento idrico irregolare, era soggetta a frequenti inondazioni, da parte delle acque alte: occorreva quindi creare una rete di canali che permettesse di convogliale nei grandi corsi d’acqua a facile scorrimento, così da evitare inondazioni e piene.

Figura 1. 6: immagini del Ponte Tura, località la Steccaia: struttura nel suo stato attuale, nel periodo di funzionamento negli anni 30 e particolare delle arcate del ponte.

La soluzione che fu studiata per ovviare al problema delle inondazioni da parte delle “Acque alte”, così definite quelle acque che provenivano dalla zona collinare, fu quella di una rete di canali che le convogliasse verso i fiumi Bruna e Ombrone. Ma il letto del Fiume Bruna, un fiume a carattere torrentizio, era talmente ridotto da non riuscire a contenere più le piene e quindi occorreva ampliare

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9 l’alveo. I lavori cominciarono subito nel 1930 sia con manodopera locale sia con braccianti provenienti dalla provincia di Vicenza. La rete di canali allaccianti, progettata per il fiume Bruna, doveva avere anche la sua corrispondenza dall’altra parte, e cioè sul fiume Ombrone, dove venne progettata una rete similare. Particolare cura ed attenzione fu prestata all’aspetto agrario che le campagne avevano assunto: la popolazione cominciava lentamente a tornare in campagna, quindi la rete dei canali fu modellata seguendo strade, confini e conformazione del terreno in modo da creare una struttura utile, agevole, che però non portasse danni economici all’agricoltura.

Una volta ottenuta la separazione delle acque alte da quelle basse, ci si trovò nella necessità di calcolare quali effettivamente risultavano essere acque basse, e quindi terreni che non avevano sufficiente pendenza per poter scaricare da soli a mare, ed acque medie, cioè quelle acque che possedevano l’altezza sufficiente per poter scaricarsi naturalmente. Tramite dei calcoli che divisero il territorio in base alle pendenze dei canali ed alla loro distanza dal mare, si definì che per 19.900 ha le acque avevano un’altezza tale da permettere lo scolo naturale (erano quindi acque medie) mentre per 10.000 ha l’altezza era insufficiente e quindi necessitava di interventi più profondi. Dai calcoli precedentemente fatti, le zone geografiche a cui corrispondono le acque medie si individuano nel canale san Rocco e nel canale Molla – Unico, i quali trovandosi in una posizione geografica favorevole (i due canali erano stati scavati in precedenza proprio per agevolare il drenaggio delle acque), necessitavano di interventi relativamente importanti, in quanto le proprie acque scorrevano bene verso il mare.

Figura 1. 7: planimetria del diversivo principale, dalla Steccaia fino alla Diaccia Botrona, nella pianura grossetana.

Le zone che si trovavano sotto il livello del mare, e che erano state precedentemente prosciugate e colmate (Figura 1.9), necessitavano invece di un sistema meccanico di scolo, in quanto le acque tendevano a ristagnare: vennero così create le idrovore di Barbaruta, Cernaia, Casotto Venezia e San Leopoldo, impianti di pompaggio che permettevano di convogliare l’acqua in eccesso in modo che non si creassero allagamenti. Le idrovore sono tuttora funzionanti ed in caso di forti piogge gli operai del Consorzio di Bonifica Grossetana si alternano nel farle funzionare, così da mantenere il livello delle acque costante ed evitando così il rischio di straripamenti ed inondazioni

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10 Dei benefici delle idrovore usufruiscono anche zone più costiere come la foce del fiume Ombrone e la zona palustre di Castiglione che, trovandosi anch’esse sotto il livello del mare o comunque al suo pari, in alcuni casi non riescono a far defluire bene le acque.

Figura 1. 8: rappresentazione del Consorzio di Bonifica, fino al 1994, con il tracciato degli elementi della bonifica.

Sempre negli anni trenta, con l’avanzare della bonifica, il consorzio si trovò nella posizione di dover pianificare non solo la rete idrica ma anche quella stradale, in quanto le strade erano necessarie sia per portare materiale e mano d’opera sul posto di lavoro, ma anche per collegare le varie zone già bonificate, che cominciavano a produrre, con sbocchi commerciali dove vendere la loro merce. E’ stata una vera e propria opera di bonifica in quanto le strade già esistenti non solo

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11 erano scarse ma, poggiando su un suolo argilloso, tali strutture diventavano impraticabili per diversi mesi l’anno, isolando così i centri abitati ed i vari poderi sparsi nella zona. L’intervento fatto fu per un totale complessivo di rete stradale pari a 230 km.

Un’altra problematica che il Consorzio si trovò ad affrontare fu quella dell’approvvigionamento idrico alla popolazione che, in virtù delle bonifiche, aveva ricominciato a popolare le campagne. In un primo momento furono scavati dei pozzi, ma specie nelle zone vicino al mare l’acqua era risultata salmastra e quindi inadatta sia all’uomo sia agli animali. In un primo momento la situazione fu risolta trasportando da Grosseto grosse botti d’acqua che venivano distribuite nella zona, mentre per abbeverare gli animali l’acqua dell’Ombrone veniva convogliata nei canali di scolo, che così avevano la duplice funzione di scolo e di abbeveraggio.

Figura 1. 9: immagine di una cassa di colmata a riempimento avvenuto, nella pianura a nord di Grosseto.

Ma non era sufficiente: la popolazione aumentava, le condizioni igieniche erano precarie perché i tempi per la consegna dell’acqua erano lunghi e i mezzi per conservarla inadeguati; si sentiva quindi la forte necessità di creare un acquedotto rurale che portasse, in tempo reale, l’acqua alle campagne permettendo così alle persone di vivere in condizioni igieniche migliori. Si stipula così una convenzione con il Comune di Grosseto, proprietario di un importante acquedotto che viene dal Monte Amiata. Le acque vennero convogliate nel serbatoio di Montorsoli, vicino Istia, e il Consorzio di Bonifica acquistò il serbatoio utilizzandolo come serbatoio di compensazione: da lì partì la prima derivazione della condotta dell’acquedotto rurale del consorzio bonifica, che inizia con un anello nella cintura di Grosseto, fino ad espandersi nelle zone rurali più lontane. Le prime stime fatte all’epoca prevedevano un consumo pro capite di circa 30 litri al giorno mentre per il bestiame era di circa 70, ma questi dati nel giro di pochi anni già non andarono più bene, perché la popolazione continuava ad aumentare, e anche il bestiame era più numeroso, proprio in virtù della bonifica dei terreni che adesso erano coltivabili.

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12 Con la costruzione dell’acquedotto del Fiora, il consorzio stipulò una nuova convenzione che permise di portare acqua in tutte le zone. Nel 1969 fu realizzato anche il serbatoio di Poggio Olivetone, potendo così servire meglio la zona di Macchiascandona fino a Castiglione. In un primo momento, l’urgenza della bonifica e dell’approvvigionamento idrico alla popolazione ed al bestiame, non permise l’inclusione di progetti che riguardassero l’irrigazione del territorio ma, nel 1936 la Società Elettrica Valdarno presentò domanda al Ministero dei Lavori Pubblici per poter convogliare l’acqua dell’Ombrone, mista ad acque di scarico, in un serbatoio in modo da poter irrigare parte della pianura grossetana. Nel 1949 i diritti passarono alla Società Alta Merse che presentò un progetto di costruzione dell’impianto irriguo. Nel 1950, la Società passò i diritti al Consorzio Bonifica Grossetana, che costruì una prima rete nella zona sud ovest di Grosseto. L’impianto parte da Ponte Tura, dove esiste una presa in prossimità della centrale idroelettrica di san Martino, con un grande canale detto “canale primario”, ed arriva fino ad un “Ripartitore” cioè un manufatto che permette di separare le acque destinate all’irrigazione rispetto alle acque destinate alla centrale. Da questo canale parte poi un altro canale sempre a cielo aperto che va da San Martino a San Carlo, dando così la possibilità a 27 comizi irrigui (27 ripartizioni del territorio) di poter usufruire dell’acqua. All’interno di ogni area c’è un’altra rete di canali che attraversa le varie proprietà e permette così, a chi ne fa richiesta, di usufruire dell’acqua per irrigare.

Per arrivare ai nostri giorni, la Regione Toscana ha emanato la L.R. 34/94, detta “Norma in Materia di Bonifica”, dove, all’art.1, viene riportato il seguente estratto: “La Regione riconosce nell’attività di bonifica un mezzo permanente finalizzato allo sviluppo, alla tutela e alla valorizzazione delle produzioni agricole, alla difesa del suolo, alla regimazione delle acque e alla tutela dell’ambiente e delle sue risorse naturali.” In essa s’intende, come azione di bonifica, il complesso degli interventi finalizzati ad assicurare lo scolo delle acque, la sanità idraulica del territorio e la regimazione dei corsi d’acqua naturali, a conservare ed incrementare le risorse idriche per usi agricoli in connessione con i piani di utilizzazione idropotabile ed industriale, nonché ad adeguare, completare e mantenere le opere di bonifica già realizzate. Con tale legge il territorio regionale è stato suddiviso in 41 Comprensori (Figura 1.10). I Comprensori di Bonifica costituiscono unità omogenee sotto il profilo idrografico e funzionale la cui delimitazione è deliberata dal Consiglio Regionale (L.R. 34/94 art.5).

Dei 41 Comprensori, 15 ricadono interamente nel territorio di una sola provincia, per tutti gli altri le funzioni amministrative in delega saranno esercitate dalla Provincia nel cui ambito territoriale ricade la maggior parte del Comprensorio stesso (art.11 L.R. 34/94). Nei bacini idrografici che ricadono anche nel territorio di regioni limitrofe, vengono costituiti i Comprensori di Bonifica Interregionali (9 in tutto) (D.P.R. 616/77 art.73). La L.R. 34/94 disciplina l'istituzione ed il funzionamento, all'interno dei Comprensori, dei Consorzi di Bonifica, ai quali riconosce un prevalente ruolo ai fini della progettazione, realizzazione e gestione delle opere di bonifica [...] (art.1). Nei Comprensori di Bonifica nei quali non sia stato costituito un Consorzio su iniziativa degli interessati (art. 53), le Comunità Montane esercitano le funzioni consortili, diventando i soggetti competenti per la gestione della bonifica ai sensi della L.R. 34/94.

Il comprensorio originario, costituito dalla sola zona pianeggiante, è stato ampliato anche alla zona collinare in seguito a tale legge, estendendosi su 190.000 ettari. I nuovi compiti del Consorzio di Bonifica Grossetana sono quelli di mantenere un equilibrio dei bacini idrici nel rispetto dell’ambiente, per la salvaguardia sia del territorio, delle attività produttive e degli insediamenti urbani. In origine il comprensorio del Consorzio Bonifica abbracciava quasi tutto il comune di

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13 Grosseto, parte del comune di Castiglione e una modesta parte del comune di Gavorrano, al giorno di oggi, con la L.R. della Toscana n°38/2003, il comprensorio del Consorzio Bonifica è stato ampliato a ben 13 comuni.

Figura 1. 10: suddivisione della Regione Toscana secondo i Consorzi di Bonifica Regionali (L.R.34/94).

Riassumendo la conformazione idraulica del Consorzio è composto da due grandi corsi d’acqua: il Bruna e l’Ombrone, con i rispettivi affluenti che creano una rete di fossi e canali piuttosto vasta ed irregolare, in quanto non tutti convergono verso il mare nella stessa direzione. Si vengono così a

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14 creare delle zone di acque dette “alte”, che hanno facile sbocco al mare grazie alla pendenza che permette un facile scorrimento a valle, ed acque dette “basse”, intese come quelle che, attraversando zone di scarsa pendenza (o addirittura assente), trovano difficile raggiungere il mare. Queste acque vengono raccolte e allontanate mediante impianti idrovori presenti su buon parte del territorio, che le rilanciano immettendole nei canali a scolo naturale. Da una zona malsana e acquitrinosa, l’uomo con il suo intervento è riuscito ad ottenere terreni adatti alle coltivazioni ed un ambiente ideale per vivere. Soltanto cento anni fa la pianura grossetana era priva di linee di comunicazione, scarsamente abitata e improduttiva.

1.3-Soggetti Attivi nella Progettazione. Con soggetti attivi nella progettazione si

intendono gli elementi che entrano in gioco nella redazione del progetto, che ne influenzano lo stesso e che ne vanno a caratterizzare la domanda e l’offerta globale. In questo paragrafo elenchiamo i soggetti, ne analizzeremo parzialmente la storia, la loro funzione attuale e il loro contributo, in positivo o in negativo, alla progettazione.

 Il Fiume Ombrone

Esso rappresenta la fonte primaria che determina l’offerta globale, sia diretta che indiretta, dell’acqua nei confronti degli schemi idraulici in gioco. Data la sua importanza dedichiamo ad esso una buona parte della tesi, in particolar modo l’intero Capitolo 2, in cui verrà fatta un analisi più accurata sulle sue caratteristiche fisiche e idrologiche.

 La Traversa della Steccaia

Rappresenta la traversa fluviale realizzata sul corso del Fiume Ombrone (Figura 1.11) nell’anno 1829 dal granduca di Toscana Leopoldo II, dopo soli 160 giorni di lavoro. Essa è stata realizzata su un sito in cui si avevano tracce, già in epoca etrusca, di traverse realizzate mediante tronchi di albero; è da tale motivazione che prende il nome di Steccaia (da stecco). La destinazione iniziale della traversa era motivata dalla realizzazione della bonifica per colmata della pianura maremmana, dalla quale si faceva partire il canale derivatore, che proseguiva verso il Canale Diversivo di Bonifica (ancora esistente in alcuni tratti della pianura) sul lato destro del corso d’acqua. Oggi, a bonifica ultimata, la presenza della traversa viene sfruttata per uso irriguo e idroelettrico: le acque vengono convogliate, sfruttando il canale derivatore, verso un partitore che si occupa di suddividere le acque da destinarsi alla centrale idroelettrica di San Martino e alla rete irrigua nella zona compresa fra Grosseto e Marina di Grosseto. A metà del 1900 parte di queste acque avevano finalità igienico-sanitarie nell’ambito della pulizia delle strade e di edifici pubblici.

La traversa ha lo scopo solo di creare un battente idrico adeguato alla derivazione, dato che la sua capacità d’invaso a monte è molto limitata, e ciò è dovuto a diverse cause. In primo luogo il sito di realizzazione dell’invaso: esso si trova perlopiù in pianura, con una quota massima in sommità della traversa di 12,40 m, con un terreno circostante ad una quota media di 15,0 metri sopra il livello medio marino. Quindi la limitata altezza e il terreno pianeggiante circostante non creano le condizioni ideali per un serbatoio naturale d’acqua, che richiede la presenza di uno sbarramento naturale a monte, con una zona d’accumulo ad una quota più elevata della zona da servire. Qui il reale volume d’invaso è circoscritto all’alveo del fiume, delimitato dagli argini di protezione.

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15 Inoltre il fiume Ombrone ha un forte trasporto solido che provoca problemi d’interrimento alle spalle della traversa, vanificando la possibilità di procedere ad un approfondimento dell’alveo e al dragaggio di esso.

Figura 1. 11: foto aerea della traversa della Steccaia sul fiume Ombrone; si nota l’imboccatura del canale del diversivo, sulla sinistra.

 Impianto Idroelettrico di San Martino

In località San Martino (Figura 1.12), all’epoca dell’apertura del canale Diversivo, aveva presa un mulino, superato il quale le acque potevano essere restituite al fiume Ombrone o destinate ad altri usi. Nel 1892 la ditta Sellari trasformò il mulino in centrale idroelettrica utilizzando n°2 turbine verticali Cosimini da 100HP più n°1 da 200HP; tali turbine vennero demolite nel 1924. Dal 1918 subentrò, nella gestione, la Società Elettrica Maremmana ed in seguito, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica, l’impianto è passato a proprietà dell’ENEL, che ha reso la centrale automatica. Fermo a seguito dell’alluvione del 1966, l’impianto è stato venduto negli anni ’70 alla ditta SIMEC SRL di Arezzo; la centrale è stata poi acquistata, nel 2004, dal Consorzio di Bonifica Grossetana al fine di migliorane l’uso e di integrarla con le altre attività del consorzio.

L’impianto è in grado di sfruttare una portata che varia da 4,00 m3/s agli 8,00 m3/s, per la produzione di energia idroelettrica, la quale però ha limitati lassi temporali di utilizzo in quanto sfrutta un salto di pochi metri. Inoltre vi sono due problemi: in periodo di magra il battente è limitato ed inoltre l’acqua disponibile viene sfruttata totalmente per uso irriguo; l’altro problema è che la centrale scarica direttamente sull’alveo dell’Ombrone, che in piena si ritrova con un efflusso

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16 a battente. Questo provoca due effetti: quando il salto è massimo, ossia d’estate, l’acqua disponibile è bassa se non nulla; quando la portata è massima, ossia nelle piene invernali, il salto è minimo. Quindi si può trarre la conclusione che la centrale non influenza minimamente la progettazione e il bilancio idrico del progetto, considerandola non funzionante nei mesi irrigui.

Figura 1. 12: coreografia e sezione dell'impianto idroelettrico di San Martino.

 Rete Irrigua Lato Destro Ombrone

Il Consorzio di Bonifica Grossetana ha costruito e gestisce, dal 1963 in maniera ininterrotta, un impianto pubblico di irrigazione che serve una area di circa 3.300 ha, nella zona a sud-ovest di Grosseto (Figura 1.13). Tale impianto è alimentato dall’acqua del fiume Ombrone prelevata in corrispondenza della Steccaia di Poggio Cavallo, in forza di una concessione del Ministero dei Lavori Pubblici di concerto con il Ministero delle Finanze n°2746 del 15 giugno 1961 che prevede la possibilità di derivare 2,5 m3/s di cui 2,0 m3/s per usi irrigui e 0,5 m3/s per usi rivieraschi ed igienici nel periodo dal 1 giugno al 30 settembre di ogni anno, per una durata di 70 anni consecutivi a partire dal 22 giugno 1957.

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17

Figura 1. 13: rappresentazione cartografica della rete irrigua lato destro Ombrone; in giallo le zone con tubazioni non interrate (2010).

Il sistema d’irrigazione, originariamente realizzato con un funzionamento a pelo libero, era caratterizzato da notevoli perdite durante il tragitto, causate dalla forte azione di evaporazione, che caratterizza la zona con azione combinata di forti temperature nei mesi estivi e di forti venti, ma anche dall’azione di filtrazione dell’acqua dai canali verso il terreno. Proprio per limitare questo problema, nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso, il Consorzio si è attivato per iniziare una fase di trasformazione della rete, sostituendo il sistema a pelo libero con un sistema in pressione. Tale fase di trasformazione si è andata concretizzando nel tempo, e procede a ultimazione nel corso di questi mesi.

L’impianto consortile è articolato in 27 comizi di varia superficie per un totale di 3.387 ha; la struttura è composta da una condotte di vario diametro, realizzate in PRFV. Il fabbisogno di tale zona è sintetizzato da una richiesta idrica pari a 1,60 m3/s, che andrà riducendosi in seguito all’ultimazione delle opere, con un risparmio globale pari al 35% dei consumi attuali. Un aspetto molto importante, che poi sarà ripreso successivamente, è rappresentato dal fatto che molti proprietari, volenti o nolenti, hanno mutato la destinazione d’uso dei propri terreni, optando verso colture agricole irrigue più redditizie. Questo permette di dire che la presenza di un sistema d’irrigazione funzionante garantisce una riqualificazione completa dell’area, portando sicuramente vantaggio al territorio.

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18 L’impianto d’irrigazione, grazie ad un accordo con l’Acquedotto del Fiora SpA, gestore unico dell’ATO n°6, garantisce l’utilizzo di acque provenienti dall’impianto di depurazione della città di Grosseto, che permette di integrare le riserve d’acqua attraverso una portata variabile fra 0,30-0,50 m3/s. Queste acque vengono convogliate al fosso dei Mulini, che in parte è stato migliorato attraverso la realizzazione di una condotta di distribuzione collegata alla rete consortile. Questo permette di ottenere un risparmio d’acqua e garantire una quota integrativa per il nuovo impianto irriguo.

Quindi, riassumendo, il funzionamento attuale dell’intero sistema è il seguente: l’acqua del fiume Ombrone, parzialmente tenuta in carico dalla traversa della Steccaia di Poggio Cavallo, avente quota di sfioro a 12,42 m.s.l.m., affluisce all’opera di presa attraverso un canale detto “Mandracchio”, primo tratto del Diversivo del Fiume Ombrone; superata l’opera di presa l’acqua continua il suo percorso, parte in galleria e parte in canale a cielo aperto, fino al casello ripartitore dove può essere inviata nella camera di carico della centrale o nel canale di irrigazione; raggiunta la camera di carico l’acqua può essere restituita direttamente al fiume Ombrone, attraverso le luci di fondo oppure, dopo essere turbinata, attraverso l’opera di carico della centrale.

L’impianto irriguo consorziale che, come già riportato sopra, è articolato in 27 comizi di varia superficie per un totale di 3.387 ha, si compone di:

o Un’opera di presa posizionata a Ponte Tura gestita dal Consorzio Bonifica Grossetana, titolare della concessione governativa per il prelievo delle acque pubbliche a scopo idroelettrico ed irriguo e gestore della centrale idroelettrica di San Martino; la presa è dotata di due paratoie di regolazione del flusso.

o Un canale primario in cemento a sezione semicircolare, parzialmente a cielo aperto, di lunghezza di 1.900 m circa dal Ponte Tura a San Martino;

o Un ripartitore, completo di misuratore di portata a risalto, dotato di due paratoie automatiche, posizionato a San Martino, che separa l’acqua per l’impianto di irrigazione da quella verso la centrale;

o Una condotta funzionante a gravità realizzata in PRFV del Ø1.800mm da San Martino verso valle, per complessivi 1.577 m;

o Sistema di irrigazione in pressione, con tubazioni di PRFV interrate, con canale secondario e varie canali di distribuzione, che partono da esso.

1.4-Schema Idraulico del Sistema. Nel paragrafo precedente sono stati illustrati tutti i

soggetti che entrano attivamente nel nostro progetto e, per fare chiarezza, è necessario andare ad analizzare qual è lo schema sinottico al fine di capire come essi entrano in gioco, in termini qualitativi e quantitativi. Bisogna subito dire che la scala di grandezza dell’analisi, per quanto riguarda il fiume Ombrone, è la portata media mensile, dato che l’analisi è qualitativa alla sola valutazione preventiva e di fattibilità dell’opera. Tali analisi verrà fatta nel capitolo che segue, attraverso lo studio dei dati storici di portata misurati sul corso d’acqua. Per ora basta sottolineare il fatto che la portata in arrivo, e di conseguenza l’analisi, dovrà differenziarsi a seconda del mese in esame; inoltre, cosa da non trascurare, è la necessità di garantire il deflusso minimo vitale, obbligatorio al fine di salvaguardare la sopravvivenza della fauna e della flora del corso d’acqua. Lo schema viene riportato qui di seguito:

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19

Grafico 1. 1: schema sinottico del sistema di irrigazione derivante dalla traversa della Steccaia sul fiume Ombrone.

Il fiume Ombrone rappresenta la fonte d’approvvigionamento principale; i pozzi presenti nel territorio sono da escludersi dato che è obiettivo del consorzio limitarne l’uso, che risulta essere dannoso per diversi aspetti. Il primo riguarda la presenza del cuneo salino: esso non solo è presente ma, come sappiamo, tende ad aumentare in quanto il pompaggio di acqua dalle falde ne permette l’avanzamento nell’entroterra. Inoltre c’è anche il problema della subsidenza del suolo, dato che esso è frutto della bonifica e non è opportunamente costipato; quindi l’utilizzo dei pozzi è da condannare e da limitare, per questo ne viene trascurato l’apporto.

Altro aspetto è la presenza di vasche d’accumulo di acqua, che sono dislocate sul territorio. La loro presenza è omessa e, comunque, viene lasciata la possibilità, a ciascun proprietario, di gestire autonomamente le proprie riserve, sia esistenti che di futura realizzazione. In poche parole consideriamo che il sistema irriguo debba garantire il soddisfacimento della richiesta d’acqua globale.

Una prima analisi che possiamo effettuare è quella di definire, e di detrarre dall’offerta d’acqua globale, la richiesta per le opere e i servizi già esistenti; un primo deficit dello schema è dovuto alla fornitura di acqua all’impianto consortile sulla riva destra dell’Ombrone grossetano, che chiameremo area di Principina, e che abbiamo precedentemente illustrato. Per esso abbiamo:

Qmax.pLib=1,6 m3⁄ s             Fiume Ombrone Città di Grosseto Fiume Ombrone Verso Foce Fiume Ombrone

Sez. Poggio Cavallo

  

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20 Si fa riferimento alla portata massima richiesta, dato che l’impianto deve poter funzionare nel periodo di massima necessità, che coincide nel periodo di minima disponibilità d’acqua. Tale consumo è relativo al periodo precedente alla realizzazione dell’impianto a pressione, quindi ad un valore elevato, che considera anche le perdite dovute all’evapotraspirazione e alle infiltrazioni, che rappresentano le perdite principali per le reti a pelo libero. Il risparmio previsto è del 35% quindi:

Qmax.press = Qmax.pLib∙

1-35

100 = 1,60 ∙ 0,65= 1,04 m

3s

Oltre a tale risparmio c’è il contributo offerto, sempre alla rete consortile esistente, della riserva d’acqua proveniente dall’impianto di depurazione di Grosseto; questa è variabile fra 0,30 e 0,50 m3/s, che fornisce una portata media pari a:

Qdep=0,4 m3s

Quindi, alla fine, la richiesta per la rete consortile sulla riva destra dell’Ombrone assume un valore medio pari a:

Q . = Q . − Q = 1,04 − 0,40 = 0,64 m ⁄ = 640 l ss ⁄

L’influenza della centrale di S. Martino viene trascurata dato che, come detto, nei periodi irrigui viene data la priorità ad essi piuttosto che alle necessità idroelettriche.

Fonte Portate Gen. Feb. Mar. Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic.

Sistema Irriguo Riva Destra

Consumo Sistema a Pelo Libero - - - - - 0,44 1,60 1,60 0,55 - - -

Consumo con Sistema in Pressione

(Risparmio 35%) - - - - - 0,29 1,04 1,04 0,36 - - - Contributo Impianto Depurazione

Di Grosseto. - - - - 0,40 0,40 0,40 0,40 0,40 - - - Consumo Medio Totale - - - - - - 0,64 0,64 - - - -

Tabella 1. 1: caratteristiche delle richieste nel sistema irriguo sulla riva destra dell’Ombrone, fra Grosseto e Principina.

Figura

Figura 1. 1: posizione geografica dell'area d'intervento rispetto alla città di Pisa.
Figura 1. 2: immagine dell'antico lago di Prile nella pianura maremmana, durante il periodo romano.
Figura 1. 3: rappresentazione del Lago Prile ai tempi dell'intervento di Leonardo Ximenes.
Figura 1. 4: principali tecnici nella storia della bonifica grossetana: in senso di lettura Leonardo Ximenes (1716-1786), Vittorio Fossombroni  (1754-1844), Alessandro Manetti (1787-1865), Alfredo Baccarini (1826-1890).
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