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Chiesa di San Pietro Martire Murano

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Academic year: 2022

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Chiesa di San Pietro Martire Murano

Alessandro Bullo

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Isola di Murano - Veduta di Venezia di Jacopo de’ Barberi (1500)

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Copyright – 2021 Alessandro Bullo, Venezia Prima edizione digitale

Progetto grafico e impaginazione: Alessandro Bullo

Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.

Le immagini dei quadri, che corredano il testo, sono disegni realizzati con il programma gratuito FotoSketcher

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SOMMARIO

CENNI STORICI SULLA CHIESA ... 9

ESTERNO ... 10

INTERNO... 11

Controfacciata ... 11

Parete navata destra ... 12

Cappella della famiglia Ballarin (destra della maggiore) ... 14

Presbiterio ... 15

Cappella del SS. Sacramento (sinistra della maggiore) ... 16

Parete navata sinistra ... 19

SACRESTIA – MUSEO PARROCCHIALE SAN PIETRO MARTIRE ... 20

OPERE TRASFERITE IN ALTRE SEDI ... 26

BIBLIOGRAFIA ... 29

RINGRAZIAMENTI ... 35

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La parrocchiale è dedicata a San Pietro Martire da Verona (Verona, 1205 c. – Seveso, 1252), predicatore domenicano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica.

Il patrizio Marco Michiel, nel suo testamento (maggio 1348), ordinò la costruzione di una chiesa dedicata a San Giovanni Evangelista, e di un monastero per dodici domenicani, che avrebbero pregato per la salvezza della sua anima. Sul fianco destro della facciata, si trova la lapide in marmo dedicata al benefattore. L’edificio, iniziato solo nel 1363, fu consacrato e aperto al culto nel 1417. La chiesa fu però dedicata ai Santi Pietro da Verona e Giovanni Evangelista, come spiega Flaminio Corner (1693-1778):

“Quantunque però avesse il benefico Fondatore nel suo testamento stabilito che la Chiesa avesse ad esser decorata col nome dell’Aposlolo S. Giovanni , contuttociò perchè la divozione di alcuni , mentre si andavano dilazionando i principj della fabbrica, aveva ivi eretta una Cappella ad onore di San Pietro Martire, passò poscia comunemente anche alla nuova Chiesa dappoi fabbricata il nome del Santo Martire. Con ambedue questi nomi chiamolla Eugenio IV, in una sua Bolla segnata nell’ anno 1434. con la quale concede indulgenza a quelli , che in certi stabiliti giorni visitassero la Chiesa de’ Santi Giovanni Evangelista, e Pietro Martire posta nell'Isola di Murano.”

(F. Corner, 1758, p. 629)

Incendiatasi nel 1474, la chiesa fu ricostruita completamente in stile rinascimentale e riconsacrata a S. Pietro Martire nel 1511. Nel 1808 fu chiusa e spogliata di tutto il suo patrimonio d’arte. I frati domenicani si trasferirono a Venezia a San Giovanni e Paolo.

L’edificio fu riaperto nel 1813 come chiesa parrocchiale di S. Stefano, dedicata a San Pietro e Paolo, per iniziativa di padre Stefano Tosi.

Nel 1840 fu nuovamente consacrata a San Pietro Martire. Le opere d’arte che vi sono attualmente custodite provengono da chiese muranesi soppresse o distrutte. Nel 1928 e nel 1960 fu oggetto di importanti restauri.

CENNI STORICI SULLA CHIESA

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L'edificio è completamente in mattoni a vista, con i fianchi ornati da comici ad archetti romanici. La facciata è divisa in tre parti, con portale rinascimentale; sopra di esso vi è un grande rosone, la cui finestra fu realizzata con vetri piombati, detti “occhi di bue” o “rui”, tipici di Murano. Ai lati, due alte finestre a volta, anch’esse realizzate con gli occhi di bue, illuminano le navate laterali interne.

“Le finestre in Venezia sino dal secolo XVIII erano composte di vetri rotondi fatti come fondi di bicchiere, di non larghe dimensioni chiamati rui, o rulli (forse da rua ruota), uniti insieme con piombo filato , robusti ma non molto 'amici della luce. Vennero poi in uso le lastre di vetro tagliale in forme ottagono, e in mezzo fra una lastra e l' altra una minore romboidale, legale fra loro con piombo filato.”

(A. Sagredo, 1856, pp. 108-109)

Sul lato della chiesa, che si affaccia sul Rio dei Vetrai, si apre un'altra porta rinascimentale. La parete è decorata da leggere lesene, e comici e archetti in stile romanico. L’altro lato della chiesa si affaccia su campiello Michiel, al cui centro si trova una vera da pozzo, datata 1348, e decorata con lo stemma dello stesso Marco Michiel. Il portico ad arcate quattrocentesche, addossato al fianco sinistro della chiesa, proviene dal chiostro della chiesa di S. Chiara.

Fu qui trasportato e ricostruito nel 1924.

Il grande campanile fu costruito tra il 1498 e il 1502.

ESTERNO

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L’interno di sviluppa su pianta basilicale a tre navate di stile gotico, divise da sei colonne in marmo di Parenzo, sostenenti ampie arcate, che terminano in un grande presbiterio a mezza cupola e due cappelle absidali. I pennacchi tra gli archi sono affrescati con santi domenicani: San Tommaso, San Vincenzo da Valentia, San Girolamo di Sassonia, San Domenico, Santa Caterina da Siena, San Alberto Magno. Gli affreschi vennero alla luce durante i restauri del 1922- 1928.

Affresco San Tommaso

Inusuale è l’illuminazione interna, costituita da dieci lampadari ad otto luci in vetro bianco, realizzati da maestri vetrai e donati alla chiesa all’inizio del XX secolo.

Controfacciata

A destra della porta di entrata, la pala raffigurante S. Antonio da Padova che abbraccia la Croce, Sant'Agostino e S. Gaetano da Tiene di Antonio Zanchi (1631- 1722), artista appartenente alla corrente dei “tenebrosi”, le cui opere sono caratterizzate da forti contrasti chiaroscurali e una messa in scena intensamente drammatica e angosciosa. Questo quadro proviene dalla soppressa chiesa della Croce alla Giudecca.

Sotto il dipinto, ciò che rimane del Monumento funebre di Agostino De Angeli e suo figlio Girolamo da Pesaro, illustri medici e chirurghi. I due tondi vuoti contenevano un tempo i loro busti ritratto fusi in bronzo. Il ritratto di

INTERNO

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Agostino è oggi custodito presso la Ca’ d’Oro. Giuseppe Colucci descrive il monumento nel 1790: “posto a man destra presso la porta della Chiesa, che è un’Urna sostenuta da quattro colonne … Nel destro lato si vede espressa al vivo la effigie dello stesso Agostino formata di bronzo” (G. Colucci, VIII, 1790, pp. LXXI- LXXII).

A sinistra della porta di entrata, S. Vicenzo Ferreri chiamato alla predicazione, S.

Antonio Abate, S. Luigi Gonzaga (1861), di Pompeo Luigi Cibin, artista minore, attivo nella seconda metà dell’800.

Parete navata destra Sul primo altare, dedicato a San Nicolò da Bari, patrono dei vetrai, troviamo la pala raffigurante la Vergine col Bambino in gloria e i santi Nicola da Bari, Carlo Borromeo e Lucia, opera minore e senza vita, del prolifico ma non sempre eccelso Jacopo Palma il Giovane (1549-1628). Il quadro è databile dopo il 1620 (cfr. S. Mason Rinaldi, 1984, p. 148). Nel 1813, quando fu qui trasferita, dalla soppressa chiesa di S. Biagio e Cataldo alla Giudecca (demolita alla fine dell’800), S. Biagio e la martire Agnese, aggiungendovi alcuni simboli, divennero i SS. Nicolò e Lucia, patroni dell'arte vetraria.

Accanto all’altare, il quadro con San Girolamo nel deserto di Paolo Veronese del 1566-1567. La tela fu commissionata da Francesco degli Arbori, cappellano delle monache di Santa Maria degli Angeli. La pala decorava l’altare della cappella San

Girolamo (demolita nel 1830), nel cimitero vicino alla chiesa. Un secolo dopo (1667), la tela fu trasferita all’interno della chiesa per proteggerla dalle intemperie. Il recente restauro ha confermato l’autografia dell’opera.

Veronese, invece di ambientare la scena del santo penitente nel deserto della Calcide, preferisce inserirlo nella rigogliosa campagna veneta (per notizie sul quadro cfr. C. Caramanna, 2017, pp. 27-36).

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Superata la finestra, la Pala Barbarigo, capolavoro di Giovanni Bellini, firmato e datato 1488. La pala raffigura la Madonna col Bambino con S. Agostino e S. Marco che presentano il doge Agostino Barbarigo. Il quadro fu commissionato dallo stesso Agostino Barbarigo. Per molto tempo, si è pensato che il quadro fosse in origine collocato nel palazzo privato della famiglia Barbarigo, ma Roeck ha dimostrato che si trovava nella sala dello Scudo di Palazzo Ducale (cfr. B. Roeck, 1991, p. 44). Nel suo testamento del 17 luglio 1501, il doge lo lasciava in eredità al monastero di Santa Maria degli Angeli di Murano.

Soppressa la chiesa degli Angeli, il quadro fu trasferito qui intorno al 1815 (cfr. E. Merkel, 1986, pp. 222-223). In un suo saggio, Augusto Gentili, ha messo in evidenza come la pala non avesse solo un significato politico e votivo.

L’introduzione di San Marco che presenta il Doge a Maria, al posto di Agostino, isolato sulla destra, non sarebbe casuale ma legato a vicende politiche e familiari che sconvolsero tutta la città di Venezia (cfr. A. Gentili, 1992, pp. 599-611).

Giovanni Bellini, Pala Barbarigo (tratto da F. ZANOTTO, 1867)

“La storia sciagurata di un fatto pubblico, dice l’Aglietti, che cosperse d'infamia l'avvenimento al trono del doge Agostino Barbarigo, illustre dappoi per tanti titoli, dichiara il motivo della commissione di questo quadro, e discopre l'accorgimento filosofico onde Giovanni, inventandone e disponendone l'azione, seppe adombrare di tal dignità e di tal religiosa riverenza il segreto di quel motivo, che perdere se ne dovesse al tutto la sinistra impressione, giustificandola colle prove più luminose del pentimento sincero e del celeste perdono. — Notissima e oggetto di grave scandalo, era stata mai sempre l'animosità che questo doge aveva in tutte le occasioni dimostrato verso il fratello

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Marco suo predecessore nel trono, e nel quale, tra moltissime altre doti, quelle della pietà la più pura e della più illibata giustizia da tutti si commendavano. Ma punto aveva di gravissimo rammarico tutti i buoni il furore delle invettive, colle quali Agostino scagliatosi ingiustamente nel Consiglio contro il doge fratello, e di anima debole, e di spirito limitato accusandolo, a tal di amarezza e di dolore lo aveva condotto, che ne mori in brevissimi giorni in mezzo al compianto generale, non ancora compiuto il nono mese del suo principato. — La succession di Agostino nel posto dello sventurato fratello, aumentar dovette nelle menti del popolo l'enormità del fatto che ve lo aveva condotto … Era perciò duopo di raddrizzare, con qualche pubblico monumento, li mali effetti di cotesto giudizio generale; ed è a credere, che in questo bellissimo dipinto abbia voluto il doge presentare alla general devozione, nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli in Murano, l’offerta espiatrice del suo fratricidio.”

(F. Zanotto, 1867)

Dopo la finestra, il Battesimo di Gesù, quadro attribuito alla bottega di Jacopo Tintoretto. Proviene dalla chiesa di San Giovanni dei Battuti di Murano (demolita agli inizi dell’Ottocento), dove decorava l’altare maggiore. Assegnata in origine a Jacopo Tintoretto, l’opera è stata successivamente attribuita al figlio Domenico (cfr. P. Rossi, 1982, p. 248).

Confrontato con il Battesimo del padre Jacopo della chiesa di San Silvestro, da cui riprende la parte centrale, mostra tutta la sua debolezza: alla luce che trasfigura l’acqua, le nuvole, la natura e i personaggi, si contrappone una miriade di personaggi che si muovono vorticosamente ma senza vita.

Cappella della famiglia Ballarin (destra della maggiore)

Fu fatta costruire, nell’anno 1506, dal celebre vetraio Giorgio Ballarin, proveniente da Spalato, per la sua famiglia e dedicata a San Giuseppe e a Maria Vergine. Zorzi (Giorgio) acquisì il cognome Ballarin in una circostanza un po' particolare: stava lavorando il vetro in fornace, quando un cannello incandescente cadde sul suo piede sinistro; da allora egli iniziò a camminare saltando e questo gli valse il soprannome di balarin (ballerino).

La parete sinistra è occupata dal Monumento di G. B. Ballarin (1666), Cancelliere grande della Repubblica di Venezia, morto durante la guerra di

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Candia. Ai lati del busto marmoreo, sostenuto da putti, due grandi rilievi secenteschi, raffiguranti noti episodi della vita del defunto: la Detenzione nel carcere turco; la Liberazione prodigiosa.

L’altare barocco, realizzato nel 1681, è decorato dalla statua del Padre Eterno che sorregge il mondo, ai suoi piedi degli angioletti e un’icona di Maria con Gesù bambino, ai lati due grandi angeli.

La parete destra è occupata dal Monumento funebre di Giovanni Battista Padavino, nipote di G.B. Ballarin, morto nel 1667, durante l’assedio di Candia.

Ridolfi ricorda che, sulle due vetrate della cappella Ballarin, erano raffigurate due figure di Sant'Agostino e San Vincenzo “cauate da' cartoni” di Bartolomeo Vivarini (1648, I, p. 22)

Presbiterio

Il presbiterio è molto ampio e coperto da una volta a botte. Le pareti laterali sono completamente occupate da due grandi tele di Bartolomeo Letterini o Bortolo Litterini (1669-1745): a destra Le Nozze di Canaan (1723); a sinistra la Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci (1721). In questi grandi quadri, Litterini abbandona definitivamente il naturalismo dei tenebrosi dei suoi inizi, per abbracciare l’arte del Ricci. Le nozze di Cana mostra una rielaborazione in chiave barocca delle Cene veronesiane.

La Moltiplicazione dei pani e dei pesci sembra invece derivare l’impianto compositivo e l’animazione dei personaggi in scena dalla Morte di Uzzà

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fulminato da Dio per aver toccato l'Arca Santa di Antonio Molinari, opera dipinta una ventina d’anni prima per la chiesa del Corpus Domini ed oggi conservata presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli di Murano (cfr. R.

Pallucchini, I, 1995, pp. 170-171).

Fra le finestre, altri episodi evangelici, che rappresentano quattro miracoli di Gesù: il Cristo e il centurione, Guarigione del muto, Guarigione del cieco, La Resurrezione di Lazzaro; opere anche queste di Bartolomeo Letterini.

L’altare maggiore, intarsiato di marmi, è ancora l’originale che si trovava nella chiesa ma modificato. Ai lati le due statue di San Paolo (dx) e San Pietro (sx), provenienti dalla vicina chiesa di Santo Stefano (ora distrutta).

Dietro l’altare si trova l’organo di Stefano Perosa, proveniente dalla soppressa chiesa di Santa Margherita di Venezia (cfr. A. Zorzi, 1984, p. 340).

Cappella del SS. Sacramento (sinistra della maggiore)

Questa cappella fu fatta erigere a spese di Gabriele Albani prima del 1494.

Inizialmente dedicata agli Angeli, poi a S. Domenico, e infine al SS.

Sacramento. Entrando, le pareti sono decorate da piccole tavolette di legno raffiguranti la Via Crucis.

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L’altare è decorato da un rilievo raffigurante Cristo morto sorretto dagli Angeli (Ecce Homo) del 1495, proveniente dalla chiesa di S. Stefano di Murano, che ricorda l’arte dei Lombardo.

“Un bassorilievo sopra un altare sullo stile dei Lombardi . che porta le iniziali Z. P. e Tanno 1495: rappresenta il Redentore sostenuto da tre angeli e varii cherubini; lavoro non privo di pregio, specialmente per la mesta santità che traspare dal volto dell'Uomo Dio.”

(P. Selvatico, 1847, p. 232)

L’opera è stata recentemente attribuita (con qualche dubbio) ad Antonio Lombardo, ed è stata messa in relazione con la Pietà del tabernacolo- reliquiario del Preziosissimo Sangue della Basilica dei Frari (cfr. M. Ceriana, 2007, p. 59, nota 59). Il confronto tra le due opere è alquanto avventato, ma è molto probabile che il rilievo di Murano sia stato realizzato nella bottega dei Lombardo.

La parete sinistra è occupata da tre lunghe tavole raffiguranti San Giuseppe con un giglio e gli evangelisti Marco e Luca, dipinte da Giovanni Contarini (1549- 1604). I due evangelisti si trovavano originariamente nel refettorio della chiesa di San Francesco, passarono poi a Santa Maria degli Angeli e quindi, nel 1813 circa, in questa chiesa. Le due opere sono firmate sui libri che i santi tengono in mano. Contarini è un pittore minore, influenzato dall’arte di Tiziano, Tintoretto e Palma il Giovane, che mostra anche in queste tavole tutti i suoi limiti. Nei due evangelisti è evidente l’influsso della scultura dell’amico Alessandro Vittoria, soprattutto dei Profeti e delle Sibille della Cappella del Rosario dei SS. Giovanni e Paolo (1586-1587).

Giovanni Contarini primo artista intellettuale

Giovanni Contarini, insieme all’amico pittore Pietro Malombra, fu processato per avere praticato l’arte del dipingere, senza essere iscritto alla Fraglia dei pittori.

Annalisa Bristot, basandosi su uno studio di David Rosand, sostiene che Contarini fu uno dei primi artisti a mettere in discussione la condizione sociale e intellettuale dell’artista, diverso dall’artigiano e quindi non tenuto all’iscrizione ad un’associazione o scuola (cfr. A. Bristot, 1980, pp. 34-36).

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Segue sulla parete dell’abside, San Marco guarisce S. Aniano di Domenico Tintoretto, proveniente dalla scuola grande di S. Marco. Il quadro raffigura il celebre episodio in cui, il calzolaio Aniano, dopo essersi ferito aggiustando un sandalo di San Marco, viene da questi miracolosamente guarito. In seguito, Aniano si convertì al cristianesimo e divenne il patrono dei calzolai.

Domenico Tintoretto affolla i personaggi sul proscenio della scena, limitando al minimo l’architettura sullo sfondo. Opera manierista minore, che risente, in modo evidente, della mancanza del genio del padre.

La parete destra presenta La Madonna in trono fra i Santi Lorenzo ed Orsola, in ginocchio Lorenzo Pasqualigo vestito da procuratore di S. Marco e ai piedi un angelo musicante, già sull’altare della cappella Pasqualigo in Santa Maria degli Angeli; opera attribuita a Bernardino Licinio (1490-1565), pittore influenzato dall’arte del Pordenone. Il quadro è stato alternativamente attribuito alla scuola di Paris Bordon, alla scuola del Pordenone e anche a Giulio Licinio, nipote di Bernardino; recentemente è stato proposto anche il nome di Giampietro Silvio (1495 c. – 1551), artista vicino allo stile di Bernardo (cfr. A. Ballarin, 1991, pp. 128-129).

Dal mio punto di vista, l’attribuzione a Bernardino Licinio continua ad essere la più convincente: l’inevitabile confronto con il capolavoro dell’artista, la pala della basilica dei Frari (1535), palesa in modo evidente la somiglianza tra le Madonne, i Gesù bambino e anche i volti di alcuni santi.

Segue il Cristo deposto dalla croce con S. Pietro, S. Paolo, la Maddalena e Maria SS.ma. (proveniente dalla demolita dalla chiesa di S. Giovanni dei Battuti di Murano), opera attribuita al veronese Marco Angolo del Moro (1536 c.-1586 c.). Marco si formò nella bottega del padre Battista Angolo del Moro, con cui dipinse i perduti affreschi di palazzo Trevisan a Murano (1556-1557 c.).

Marco si dimostra influenzato dalla raffinata arte di Raffaello (in gioventù si guadagnò una certa fama a

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Verona, facendo copie di Raffaello), senza però riuscire a cogliere l’intima poesia del pittore di Urbino.

Sulla parete dell’abside Sant’Agostino calpesta l’eresia (1694) di Gregorio Lazzarini (1655-1730), che proviene dalla chiesa di S.Maria degli Angeli di Murano. Gregorio Lazzarini, accademico diligente ma non certo geniale, è più famoso per essere stato il primo maestro del Tiepolo che per i suoi quadri. Dopo le giovanili esperienze nell’ambito dei ‘tenebrosi’, Lazzarini preferì l’utilizzo di una tavolozza più chiara ed elegante, che lo avvicinò allo stile dei "neoveronesiani", di cui il quadro di Sant’Agostino è un esempio.

Parete navata sinistra

Uscendo dalla cappella, troviamo appeso alla parete il quadro raffigurante Sant’Agata in prigione visitata da S. Pietro, attribuito alla bottega di Paolo Veronese. Il quadro proviene dalla demolita chiesetta di S. Girolamo di Murano. Si narra che sant’Agata, nobile catanese di fede cristiana, fu fatta torturare dal proconsole romano Quinziano che, per costringerla ad abiurare pubblicamente la sua fede, le fece tagliare i seni con delle pinze. La notte stessa, accompagnato da un angelo, Pietro comparve nella cella e sanò miracolosamente le ferite. Veronese evita ogni riferimento alla drammatica mutilazione della santa, a parte qualche macchia di sangue sul panno bianco steso a sinistra, per concentrarsi sull’arrivo di San Pietro e dell’angelo con la fiaccola. Il quadro è citato spesso per i suoi effetti luministici:

l’ambientazione notturna nell’interno della cella illuminata dalla fiaccola dell’angelo.

Il quadro successivo è la Deposizione dalla Croce (1550- 1560 c.) di Giuseppe Porta Salviati (1520–1573).

La pala si trovava un tempo dietro l’altare maggiore, da dove fu rimossa nel 1806, quando la chiesa fu soppressa. Ritornò alla chiesa nel 1813, grazie all’intervento di Stefano Tosi. Si tratta di uno dei capolavori del pittore toscano: “opera giudicata di una invenzione affatto originale, piena di espressione, piena di una grandezza, che non è comune a questa Scuola” (G. A.

Moschini, 1825, p. 100). Anche se la composizione deriva dalla Deposizione di Daniele da Volterra alla Trinità dei Monti, la pala di Murano mostra, in

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modo inequivocabile che Giuseppe, in questi anni, sta studiando le opere di Jacopo Tintoretto. Si confronti il quadro di Salviati con la Deposizione dell’Accademia del pittore veneziano: la posizione di Maria svenuta è quasi una citazione del Cristo morto delle Gallerie.

Dopo la finestra, appeso alla parete, un dipinto incorniciato raffigurante Sant'Ignazio di Loyola adora Gesù di Gregorio Lazzarini (1655-1730). In quest’opera, il pittore veneziano è bravo nel far risaltare il rosa delicato dell’incarnato degli angioletti sulla veste nera del santo e sullo sfondo scuro.

L’ultimo altare è decorato ai lati dalle statue di S. Domenico e S. Rosa. Il centro è occupato da una statua moderna, la Madonna con il Bambino, datata 1953, opera di Giuseppe Romanelli (1916-1982). Una serie di quindici tondi con i misteri del rosario, opera del pittore muranese Sebastiano Santi (1789-1866), decora la nicchia.

Nel corridoio, che precede la sacrestia, due dipinti: Gesù in Gerusalemme, di Gaspare Diziani (1689-1767); la Vergine annunziata e l’angelo, di Gregorio Lazzarini (1655-1730), entrambe le opere provengono dalla chiesa di S. M.

degli Angeli di Murano.

L’altare della sacrestia fu fatto costruire a spese del patrizio Alvise Mocenigo, antico benefattore del monastero (il suo stemma è al centro della trabeazione). Al centro è stato collocato (posteriormente) il dipinto S.

Giovanni Battista venerato da Vincenzo Serena (Guardian grande della Scuola dei Battuti), attribuito alla scuola di Tiziano. Il quadro deriva iconograficamente dal celebre San Giovanni Battista delle Gallerie dell’Accademia di Tiziano, ma è stilisticamente molto diverso da esso. Nella piccola sagrestia si nasconde uno dei capolavori della scultura lignea del Seicento. La parte più bassa delle pareti è interamente ricoperta da meravigliosi dossali lignei: 20 pannelli, raffiguranti Episodi della vita di S. Giovanni Battista, divisi da 29 telamoni raffiguranti imperatori e filosofi romani. Sopra i due banchi, laterali all'altare della sacrestia, altri quattro telamoni personificano le Quattro stagioni. L’opera fu realizzata da Pietro Morando tra il 1664 e il 1672.

SACRESTIA – MUSEO PARROCCHIALE SAN PIETRO MARTIRE

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I DOSSALI LIGNEI DI PIETRO MORANDO

Di Pietro Morando abbiamo pochissime notizie biografiche: come intagliatore, risulta essere padrone di una bottega nel 1671 e di essere ancora attivo nel 1712 (cfr. P. Rossi, 2009, p. 84); viene, inoltre, menzionato come membro degli Intagliatori veneziani dal 1666 fino al 1708 (cfr. M. T. Bosella, 2009, pp. 22-23).

I dossali lignei furono eseguiti da Pietro Morando per la Sala dell’Albergo della chiesa di San Giovanni Battista dei Battuti di Murano (ora demolita). L'opera fu commissionata e pagata (1800 ducati) da Andrea Trevisan, Guardian Grande della scuola.

La sala fu descritta per la prima volta da Matteo Fanello nel suo manoscritto Zibaldoni (e non nel libro Saggio Storico Critico di Murano dello stesso Fanello, come erroneamente riportato da tutti, compreso Zorzi)

“L’ altra sala chiamata comunemente l’Albergo ove i fratelli tengono la loro riduzione è tutta dal mezzo in giù circondata da un intaglio raro e di sommo pregio formato nella semplice noce in cui rappresentasi al vivo in lavoro di rilievo tutta la vita di S. Giovanni Battista ; e i più rinomati personaggi dell’antichità greca e romana, ed altre simboliche figure vedonsi al naturale scolpite in mezza figura fra i colonnami d’ intorno posti per la separazione de’ fatti del Santo: opera che in ogni tempo servì d'ammirazione ai più celebri artefici d’Italia ed altre parti d’Europa …”

(citato in E.A. Cicogna, 1853, pp. 372-373)

I dossali furono trasportati nella sede attuale tra il 1812 e il 1815, grazie all’intervento di don Stefano Tosi. Essi furono però manomessi per essere adattati alla sacrestia della chiesa: non solo l'attuale disposizione è diversa dall'originale, ma i telamoni erano 42 (ne sono rimasti solo 33).

Il complesso scultoreo è costituito da venti pannelli eseguiti a bassorilievo, raffiguranti episodi della vita del Battista, divisi da 29 imponenti ed espressivi telamoni a mezza figura, portanti sulla testa un cesto ricolmo di frutta, in cui si riconoscono celebri figure di re, imperatori e filosofi della classicità greca e romana, personaggi della mitologia.

Morando si dimostra scultore fortemente plastico nelle figure a tutto tondo: si veda il modo realistico in cui ha evidenziato la muscolatura di alcuni telamoni. I volti sono invece caratterizzati da espressioni fortemente caricaturali. Più raffinato e vivacemente narrativo si mostra l'artista nei bassorilievi, caratterizzati da un'attenzione particolare per la suggestiva inquadratura prospettica di alcune delle scene sacre: pavimenti e soffitti che creano profondità tridimensionale.

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Sopra i dossali sono collocati una serie di dipinti, tra cui:

- Bartolomeno Letterini: la Beata Vergine in trono con il Bambino, San Giovanni Battista e Federico Bigaglia, Guardian Grando della confraternita di S. Giovanni dei Battuti;

- Pietro Malombra: Il pontefice Clemente VIII concede ai confratelli di San Giovanni dei Battuti le indulgenze richieste dal cardinale Agostino Valier (1601).

Il museo custodisce molte altre opere pittoriche. Tra le più celebri, la Vergine in trono, con S. Giorgio e Agostino, Giovanni Battista e Ambrogio (1492-1498) del milanese Giovanni Agostino da Lodi. La tavola è più conosciuta come la Pala dei Barcaiuoli, perché decorava un tempo l'altare della chiesa (demolita) dei padri agostiniani dell’isola di S. Cristoforo, dove i barcaioli del traghetto avevano la loro scuola. La destinazione della pala è ricordata anche dal finto bassorilievo circolare, alla base del trono, che raffigura San Cristoforo che guada il fiume con Cristo sulle spalle. La struttura piramidale della pala di Agostino deriva dalle Sacre Conversazioni venete,

ma alcuni stilemi sono tipici degli insegnamenti leonardeschi, come la Madonna con il fiore in mano (cfr. L. Simonetto, 1988, pp. 73-84).

L'inquadratura prospettica, le citazioni dall'antico e le monumentali figure dei Santi richiamano invece l'arte di Bramantino. La parte migliore è sicuramente la Madonna in trono con il Bimbo. Meno riusciti i personaggi dei Santi. La pala di Agostino è, in ogni modo, un'opera molto importante per l'ambiente lagunare dell'epoca; l'artista infatti è considerato da molti studiosi come il vero tramite della cultura leonardesca in Veneto. La pala dei Barcaiuoli influenzò sicuramente Giorgione, che ne tenne conto mentre realizzava il suo capolavoro a Castelfranco.

“Una delle figure chiave per le relazioni veneto-lombarde alla fine del Quattrocento fu senza dubbio quella di Giovanni Agostino da Lodi … La pala dei Barcaioli non è un capolavoro, ma attesta la penetrazione delle idee lombarde a Venezia, traboccando di rimandi milanesi, da

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Boltraffio a Bramante a Bramantino. I suoi numerosi dipinti lagunari attestano una progressiva maturazione, con il tentativo di far sposare le due diverse scuole.”

(E. M. Dal Pozzolo, Milano 2009, p. 114)

LA SCUOLA DEI BARCAIOLI DI VENEZIA

La Scuola dei Barcajuoli del Traghetto di Murano aveva un altare, nella chiesa di San Cristoforo, dedicato alla “Natività di Maria Vergine”. Nel 1492, nell’isola di San Cristoforo della Pace, la Scuola dei Barcaioli del traghetto di Murano, che aveva stazio al Ponte di San Canzian, vicino alla chiesa omonima, stipulò un accordo con i padri della chiesa di San Cristoforo della Pace per la fondazione della confraternita stessa, per la quale Giovanni Agostino realizzò la pala ora in San Pietro Martire a Murano.

Nel 1719, la fraglia contava 57 licenze (Libertà), che attestavano il diritto acquisito o ereditato di occupare determinati luoghi di Venezia, dove esercitare il mestiere di traghettatore o barcarolo. Questo traghetto collegava San Cancian con Murano (cfr.

G. Zanelli, Traghetti veneziani, Venezia 1997, p. 71). Il Galliccioli ricorda che il Doge Angelo Partecipazio, in questo luogo, “teneva le barche armate là dietro a quel cantone che salta fuori verso il ponte; e la riva comune che in quel tempo riceveva le barche di Murano, Torcello, Mazorbo et Istria ora è il traghetto di Murano a S. Canciano” (G. Tassini, 1872, p. 64).

Nel museo sono conservate quattro tavole raffiguranti due Angeli musicanti di Pier Maria Pennacchi (1464-1514) e due Angeli oranti di Nicolò Rondinelli (1460-1502).

Da vedere anche la Pala con la Madonna in trono con il Bambino tra S. Girolamo e S. Zaccaria (Geremia?) (1507) del pittore bergamasco Francesco di Simone da Santa Croce (1470/75-1508), proveniente da S. Maria degli Angeli. La derivazione compositiva dalle pale di Bellini e Antonello da Messina è evidente. Il pittore lo dichiara, aggiungendo alla firma e alla data anche la sigla “D.I.B.” (Discipulus Ioannis Bellini). Simone da Santa Croce utilizza, inoltre, una croce come segno pittografico: FRANCISCVS/ DE SANCTA +.

Nel museo è, inoltre, esposta una serie di antichi manufatti religiosi, tra cui aste processionali, tabernacoli, crocifissi e reliquie. La più famosa reliquia è sicuramente quella dei Santi Innocenti.

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L’URNA DEI SS. INNOCENTI DI MURANO

Tutto iniziò nella chiesa di Santo Stefano di Murano, distrutta nell’800. Le origini della chiesa risalgono al principio del XI secolo, mentre fu consacrata il 1 maggio 1374. In questo anno fatidico, nell’edificio furono rinvenute, da Matteo Fradello Piovano della Chiesa, un numero incredibile di reliquie: circa 200 corpi di infanti (cfr. F. Corner, 1758, p. 620). Nessuna cronaca o documento riporta da dove provenisse questo tesoro sacro, anche se la tradizione vuole che le spoglie appartengano ai bambini, che soffrirono il martirio in Betlemme sotto il re Erode.

Purtroppo degli oltre duecento corpi ben poco rimane. Nei secoli passati, infatti, le reliquie erano così celebri che molte di esse furono concesse a principi e ad altri importanti monasteri. Il popolo veneziano era molto superstizioso e credeva che la vicinanza e il contatto con la reliquia del santo potesse guarire miracolosamente le persone malate. Il senato veneziano fu così costretto a decretare (24 agosto 1423) che fosse proibito la loro concessione, sotto pena di ducati mille.

Secondo la testimonianza del crociato Lionardo di Niccolò, le reliquie si trovavano, nel 1384, nella chiesa di San Donato a Murano e non a Santo Stefano. Lionardo precisa, inoltre, che i corpi erano 198.

“Nella Chiesa di S. Donato a Murano fuori di Vinegia, vedemo in una grande arca di pietra cento novantotto corpi di fanciulli piccoli interi; i quali dicono che furono del numero degli innocenti, che Erode fece uccidere, a' quali si vede i colpi e le ferite chiaramente a ogni membro naturale.”

(Viaggio di Lionardo di Niccolò Frescobaldi Fiorentino in Egitto e in Terra Santa, Roma 1818, p. 66)

Le preziose reliquie tornarono probabilmente a Santo Stefano nel 1449, quando il pievano Pierantonio Cattafeste fece erigere nella chiesa la Cappella in onore dei Santi Innocenti, destinata ad ospitarle e a conservarle. Dal 1615, il piovano Dionisio Segata si assicurò che le sacre spoglie fossero ordinate e disposte in più urne, perché si conservassero in modo migliore. A metà ottocento (dopo che la chiesa di Santo Stefano era stata chiusa), i corpi dei Santi Innocenti furono collocati nella mensa dell’altare della Cappella Ballerini, nella vicina chiesa di San Pietro Martire, con la seguente epigrafe: INNOCENTIVM - BETHLEMITARVM - CORPORA.

Cicogna riteneva che i corpi appartenessero a dei fanciulli muranesi, morti appena nati o pochi giorni dopo, e riuniti in un unico sarcofago:

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“tanto più che si sa che separate erano fino da’ primitivi tempi le tombe de’ fanciulli da quelle degli adulti e che su quelle de’ fanciulli era alcuna volta scolpito o un bambolo dormiente, o le parole PARVVLORVM o simili , della qual cosa abbiamo pruove anche nelle lapidi Veneziane”

(E.A. Cicogna, VI, 1853, p. 459).

Il Cicogna aveva sicuramente ragione e la verità sulle spoglie dei Santi Innocenti è molto più prosaica di quanto voglia la tradizione muranese, anche se altrettanto drammatica. Pochi decenni prima che le ossa degli infanti venissero scoperte (1374), tra il 1347 e il 1348, l'intera Europa fu devastata dalla carestia e dalla peste;

la popolazione di Venezia fu decimata (cfr. L. De Monacis, 1631). L'ipotesi più probabile è che i genitori e il pievano di Santo Stefano, per impedire che i bambini, uccisi dalla peste e dalla carestia, fossero seppelliti in una fossa comune, abbiano deciso di riunire le povere spoglie e le abbiano nascoste dentro la chiesa, erigendo un muro che le nascondesse e al tempo stesso evitasse che i miasmi mortali si diffondessero.

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- Giovanni Bellini, La Beata Vergine in Gloria con otto Santi (1505-1510), già nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Murano e che si trovava dove ora è collocato il San Girolamo di Veronese. Forse a causa dell’umidità e anche per una scarsa qualità del legante con il supporto ligneo, la pala ha notevoli problemi di conservazione della pellicola pittorica, che tende a sollevarsi in più punti. Per questo, dal 2018, è in restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e non è attualmente visibile nella chiesa di Murano. La pala è stata interpretata in vari modi: secondo alcuni si tratta di Maria Assunta, secondo altri della raffigurazione dell’Immacolata Concezione.

L’interpretazione più accreditata è quella secondo cui Bellini avrebbe raffigurato la Disputa (cfr. V. Francia, 2005, p.

36), ossia la discussione di santi e teologi sul mistero, che si sta manifestando davanti ai loro occhi, mariano“che comprende, in un nesso teologico inscindibile, la nascita senza peccato, il concepimento virginale del Figlio e l’ammissione nell'Empireo presso la Trinità” (A. Tempestini, 1992, p. 278).

- Vittore Carpaccio, Disputatio di San Tommaso d'Aquino con la Chiesa di S.

Marco e Luigi di Tolosa (1507 - Staatsgalerie di Stoccarda). Tommaso Dragan, cittadino di Murano e titolare della vetreria "al Drago", lo donò alla chiesa domenicana di S. Pietro Martire a Murano. La tavola è firmata e datata da Carpaccio su un piccolo pezzo di carta ai piedi del trono. La rappresentazione segue lo schema della Sacra Conversazione rinascimentale.

- Andrea Solario, Madonna con bambino tra due Santi (Pinacoteca di Brera) - Andrea da Murano, Polittico Santi Vincenzo Ferrer e Rocco tra i Santi Sebastiano e Pietro; (nella lunetta) Vergine della Misericordia con Santi. Quest’opera si

OPERE TRASFERITE IN ALTRE SEDI

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trovava nella Cappella Ballarin, ora è custodita presso le Gallerie dell’Accademia.

“Di Andrea da Murano vi è un'opera tolta dalla chiesa di s. Pietro martire in quell'isola, e col nome del pittore. Offre N. D. che accoglie molti divoti sotto la sua protezione , e in altri due comparti mostra i santi Sebastiano e Pietro martire. Altri due comparti passarono a Milano . Da quest'opera si conosce, che Andrea avea aperto gli occhi ai primi lumi del buon disegno, che con bastevole proprietà sapeva esprimere i soggetti , e che se non ha potuto vincere la secchezza e il tristo colore , valse però a superare la greca barbarie .”

(G. A. Moschini, 1815, p. 487).

- Alvise Vivarini, San Matteo e San Giovanni Battista (Gallerie dell’Accademia).

- Paolo Veronese, Allegoria della Battaglia di

Lepanto (1572-1573 – Gallerie

dell’Accademia). Realizzata dopo la celebre Battaglia di Lepanto del 1571, la tela celebra la vittoria della Lega Santa sui turchi. Venezia è raffigurata, nella parte superiore, nelle vesti di una donna vestita di bianco, che viene presentata alla Vergine del Rosario da San Pietro, San Giacomo, San Marco e Santa Giustina. Nella zona inferiore, si svolge la battaglia: le navi veneziane sono illuminate da raggi di luce, mentre ombre scure si addensano su quelle nemiche.

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E cese che ghe gera ‘na volta nea pieve de Rio a Muran, a cura di A. PITTAU, Murano

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RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano di cuore tutti gli impiegati e funzionari della Biblioteca Nazionale Marciana, Biblioteca Querini Stampalia, Biblioteca Ca' Foscari Cultural Flow Zone, Biblioteca Baum, Biblioteca IUAV, Biblioteca di San Francesco della Vigna. Si ringraziano, inoltre, le biblioteche di quartiere della Giudecca, Castello e San Tomà.

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Anno 2021 – Venezia – 1° edizione digitale 2021 – Anno II – Fascicolo I

Venice Café promuove la cultura

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Il patrizio Marco Michiel, nel suo testamento (maggio 1348), ordinò la costruzione di una chiesa dedicata a San Giovanni Evangelista. L’edificio, iniziato solo nel 1363, fu consacrato e aperto al culto nel 1417. La chiesa fu però dedicata ai Santi Pietro da Verona e Giovanni Evangelista, come spiega Flaminio Corner (1693-1778):

“Quantunque però avesse il benefico Fondatore nel suo testamento stabilito che la Chiesa avesse ad esser decorata col nome dell’Aposlolo S. Giovanni , contuttociò perchè la divozione di alcuni , mentre si andavano dilazionando i principj della fabbrica, aveva ivi eretta una Cappella ad onore di San Pietro Martire, passò poscia comunemente anche alla nuova Chiesa dappoi fabbricata il nome del Santo Martire. Con ambedue questi nomi chiamolla Eugenio IV, in una sua Bolla segnata nell’ anno 1434. con la quale concede indulgenza a quelli , che in certi stabiliti giorni visitassero la Chiesa de’ Santi Giovanni Evangelista, e Pietro Martire posta nell'Isola di Murano.”

Incendiatasi nel 1474, la chiesa fu ricostruita completamente in stile rinascimentale e riconsacrata a S. Pietro Martire nel 1511. Nel 1808 fu chiusa e spogliata di tutto il suo patrimonio d’arte. Fu riaperta nel 1813 come chiesa parrocchiale di S. Stefano, dedicata a San Pietro e Paolo, per iniziativa di padre Stefano Tosi.

Nel 1840 fu nuovamente consacrata a San Pietro Martire. Le opere d’arte che vi sono attualmente custodite provengono da chiese muranesi soppresse o distrutte.

Alessandro Bullo è nato a Venezia. È laureato in Lettere con indirizzo artistico.

Sue grandi passioni: Venezia, l’arte, il cinema noir, leggere e scrivere. Collabora da alcuni anni alla realizzazione del progetto multimediale Venice Café. Nel 2021 è stato il curatore del volume di racconti Veneziani per sempre (EDS).

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