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La ricerca ai tempi delle economie di rete e di Industry 4.0

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Academic year: 2021

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La ricerca ai tempi delle economie di rete e di Industry 4.0

Nuovo volume di E. M. Impoco e M. Tiraboschi, Giuffrè, 274pp, 27 euro

La nuova rivoluzione industriale vive e si alimenta di ricerca e di continua innovazione tanto nei processi come nei prodotti. Sempre meno rilevano quelle mansioni standardizzate e quei compiti

lavorativi esecutivi tipici dei metodi di produzione e organizzazione del lavoro di stampo fordista e taylorista, oggi largamente sostituiti da macchine e robot.

Di questa trasformazione dei modi di fare impresa il lavoro di ricerca rappresenta un tassello essenziale e comunque determinante perché finalizzato a presidiare, in forme strutturate ed

organizzate, quelli che i “mercati intermedi del lavoro”, cioè gli snodi della innovazione e della interconnessione di quei processi produttivi imperniati sul raccordo circolare e aperto tra sistemi intelligenti. Basti pensare al fatto che le attività di ricerca e sviluppo generano tra il 20 e il 25%

della crescita economica oltre ad essere uno dei maggiori driver per la creazione di occupazione non solo diretta, ma anche indiretta in termini di indotto e di servizi ad essa collegati.

Quanto basta per negare un preteso – e malinteso – monopolio pubblico della ricerca e per riconoscere, conseguentemente, pari dignità alla ricerca in azienda rispetto alla ricerca pubblica rilevando semmai i metodi, le competenze professionali e soprattutto gli esiti e non certo i luoghi materiali della ricerca stessa né, tanto meno, i titoli formali di chi la conduce.

In un Paese come il nostro dove la parola “ricerca” rimane ancora oggi saldamente associata alla vecchia idea di missione pubblica e di lavoro accademico, mai potranno svilupparsi tanto figure di ricercatori aziendali, quanto stabili e adeguate forme di collaborazione tra pubblico e privato senza prima la costruzione di un vero e proprio sistema normativo e istituzionale della ricerca privata di

pari dignità rispetto a quello pubblico già esistente.

Sono queste constatazioni di fondo che hanno convinto E. M. Impoco e M. Tiraboschi a scrivere il volume La ricerca ai tempi delle economie di rete e di Industry 4.0, edito da Giuffrè con la collaborazione di Adapt University Press e disponibile da oggi. Il volume si rende ancor più interessante in concomitanza con la recente presentazione del cd. Piano Calenda.

Di seguito alcuni dei nodi centrali del volume, seguiti dai punti principali del progetto di legge sul lavoro di ricerca nel settore privato presentato da ADAPT.

GLI INCENTIVI ECONOMICI AL LAVORO DI RICERCA

Al netto delle distorsioni del “mercato politico”, l’evidenza empirica sembra documentare una certa importanza degli incentivi alla ricerca e allo sviluppo ma limitatamente alle piccole e medie imprese e alle startup innovative e non invece per quelle di grandi dimensioni per le quali non si registra alcuna addizionalità. Risulta difficile valutare l’efficacia degli ingenti incentivi pubblici alla innovazione

di cui sono beneficiarie le imprese italiane se mancano non solo criteri di condizionalità per la concessione di detti benefici ma, prima ancora, elementi strutturali, anche nell’ambito del sistema

di relazioni industriali per il riconoscimento e l’emersione di un mercato aperto e trasparente del lavoro di ricerca come opportunamente auspicato dalle istituzioni comunitarie. In Italia gli investimenti

pubblici in attività di ricerca e sviluppo sono non soltanto limitati e poco trasparenti ma anche poco efficaci perché male coordinati e frammentati in diversi livelli di competenza istituzionale tra centro e periferia, come riconosciuto anche dallo stesso Ministero dello sviluppo economico. PERCHE’ L’ITALIA FA POCA RICERCA

Nel caso italiano, la bassa intensità degli investimenti in attività di ricerca e sviluppo è un dato endemico che si spiega anche in ragione della specializzazione produttiva delle imprese italiane e dove, almeno per una parte del Paese, si è recentemente complicato il percorso di uscita dal ritardo di sviluppo, anche a causa di un drastico ridimensionamento del peso del sistema universitario nel Mezzogiorno. La distanza del nostro Paese rispetto alle principali aree economicamente

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governance, ma anche alla carenza di adeguate competenze professionali che stentano ad emergere e il numero dei ricercatori è tra in più bassi del panorama dei paesi sviluppati.

Le imprese fanno poca ricerca e ne finanziano ancor meno, e ciò a causa non solo della peculiare

struttura produttiva italiana, caratterizzata dalla prevalenza di piccole e medie imprese, ma anche della sostanziale inadeguatezza e complessità del sistema di regolazione che pone marcati vincoli allo

sviluppo di percorsi virtuosi di innovazione. In area OCSE solo Cile, Polonia e Turchia segnalano dati inferiori ai nostri e ciò non solo per la contrazione della spesa pubblica in ricerca ma anche e

soprattutto a causa del basso numero di ricercatori impiegati in azienda e nel settore privato in generale. Parliamo di poco più di 4 ricercatori per ogni mille occupati contro una media in area OECD di quasi 10 ogni mille.

L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DEI RICERCATORI

Diversamente da quanto avviene per le università e per gli altri enti pubblici di ricerca, il legislatore italiano non si occupa di fornire una specifica regolazione né tanto meno una definizione giuridica del lavoro di ricerca in azienda che, a seconda dei casi, viene ricondotto e assorbito entro le tipologie contrattuali proprie del lavoro subordinato e del lavoro autonomo alimentando in parallelo, in ragione della inadeguatezza delle classificazioni standard, un vasto sottobosco popolato da schemi

contrattuali atipici e forme precarie di lavoro attraverso una ampia gamma di internship aziendali, borse di studio, assegni di ricerca e contratti temporanei non di rado di dubbia qualificazione giuridica e legittimità.

IL CONTRATTO DI RICERCA TRA ENTE PUBBLICO E IMPRESA

Oggi le imprese sono enti sempre più dinamici che evolvono continuamente i loro strumenti per rimanere competitive sul mercato globale e non soccombere alla concorrenza. Accade di frequente nella pratica che lo svolgimento di ricerca, funzionale ad alimentare l’innovazione tecnologica e lo sviluppo economico, venga affidato dietro compenso da imprese ad enti pubblici di ricerca tramite un apposito contratto che nella prassi dei traffici economici ha assunto in nomen di contratto di ricerca. Si tratta di un peculiare schema contrattuale che assume tuttavia un ruolo cardine in quanto strumento che pone in relazione l’impresa e l’ente pubblico di ricerca in attività collaborative che prevedono lo sviluppo di nuova conoscenza ed il trasferimento delle tecnologie da un ambito prevalentemente speculativo a quello applicativo, per ottenerne un impatto sulla società in forma di nuovi prodotti o servizi.

Pur avendo assunto una struttura e caratterizzazione propria dovute alla sua significativa diffusione, il contratto di ricerca non è stato ancora sottoposto da parte del legislatore ad una concreta tipizzazione, tanto che la dottrina dominante lo qualifica ancora oggi come contratto atipico.

La molteplicità dei contratti di ricerca rende difficile realizzare la ricostruzione del modello giuridico, sebbene è pur vero che i rapporti giuridici aventi a oggetto la prestazione di attività di ricerca scientifica o tecnica, ovvero la promozione e il finanziamento di questa attività, non possono avere una disciplina unitaria in quanto l’attività di ricerca viene in considerazione in diversi contesti che non sono sufficientemente omogenei, e quindi non sono tali da poter essere ricondotti a unità. Ciononostante, dall’analisi dei vari schemi contrattuali adoperati dagli enti e dall’osservazione della prassi negoziale che si sta diffondendo e affermando nella quotidianità emerge che pur variando in ragione di numerosi fattori, come la strategia nella protezione e nello sfruttamento della proprietà intellettuale o il calcolo del corrispettivo, i modelli presentano caratteri fondamentali comuni per ciò che attiene al loro nucleo essenziale.

Il contratto di ricerca fornisce preziose informazioni circa le policies e più in generale gli orientamenti programmatici che informano gli enti pubblici di ricerca nella gestione e nello sfruttamento della proprietà intellettuale: la complessità del fenomeno e la assenza di una disciplina che armonizzi i rapporti tra sistema della ricerca pubblico e privato costituisce uno dei motivi per i quali ancora oggi si crea nella pratica una sorta di dissociazione tra forma del contratto e realtà del rapporto di ricerca, e queste ambiguità si riflettono negativamente anche sul modo di risolvere uno dei problemi cruciali in materia: quello della partecipazione dei contraenti ai risultati delle ricerche.

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Nel nostro Paese, tanto sul fronte legislativo quanto su quello della contrattazione collettiva, si registra al contrario un forte ritardo nella definizione di elementi cruciali per garantire un quadro organico idoneo alla diffusione ed alla valorizzazione della figura del ricercatore nel settore privato, tra cui l’inserimento di tale figura nei sistemi di classificazione e inquadramento del personale.

Il progetto di legge presentato da Adapt intende colmare tali lacune:

- identificando la figura del ricercatore mediante una modifica dell’articolo 2095 del Codice Civile e l’inserimento della figura del ricercatore tra le categorie di prestatori di lavoro subordinato;

- identificando caratteristiche e attività principali e demandando alle leggi e alla contrattazione collettiva l’individuazione dei requisiti attraverso cui determinare l’appartenenza dei lavoratori alla categoria;

- definendo le tipologie di ricercatori in funzione del merito, del titolo di studio, delle esperienze e delle competenze maturate;

- demandando alle intese tra le parti contrattuali la regolazione del rapporto di lavoro di ricerca

nel settore privato e prevedendo specifiche deroghe in relazione alla disciplina applicabile alla

assunzione di ricercatori;

- estendendo la possibilità di partecipazione a distretti industriali e reti di impresa, a Università,

laboratori e centri di ricerca pubblici e privati a prescindere dalla loro natura giuridica;

- prevedendo l’applicazione in via prioritaria, sostenuta da apposite risorse, dell’assegno di

ricollocazione ai ricercatori coinvolti in processi di mobilità e licenziamenti per motivi economici;

- prevedendo la possibilità che il lavoro di ricerca sia svolto anche in forma indipendente e senza

vincolo di subordinazione, in deroga alla disciplina vigente in materia di collaborazioni a progetto e

collaborazioni etero-organizzate dal committente;

- prevedendo la semplificazione e razionalizzazione degli incentivi economici a sostegno della

attività di ricerca;

- istituendo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali una Anagrafe dei ricercatori connessa alla Borsa Lavoro con finalità di controllo, monitoraggio e di messa in trasparenza di tutti

gli elementi essenziali a identificare le esperienze lavorative e formative dei ricercatori.

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