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Il mito. Una rilettura antropologica, Giuseppe Licari (2007). Padova: CLEUP

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Narrare i gruppi. Prospettive cliniche e sociali. Anno II, Vol. II, Settembre 2007

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Il mito. Una rilettura antropologica, Giuseppe Licari (2007). Pa- dova: CLEUP, pp. 105, € 14,00

Giuseppe Licari è uno studioso che si sta facendo notare nel mondo degli antropologi presentando nel volgere di poco più di un anno due opere di particolare interesse: la prima sull’Antropologia urbana1 e la seconda sul mito. Quest’ultima, che si presenta come un agile volumetto, contiene in nuce una sintesi interpretativa del mito elaborata a partire dagli strumenti dell’Antropologia Culturale come ci hanno insegnato Claude Lévi-Strauss, Ernesto De Martino, Karoly Kerenyi ed altri maestri dell’Antropologia.

Con la scoperta essenziale, elaborata da pare della linguistica e della grammatica com- parativa, di un linguaggio che, per dirla con Foucault2, diventa oggetto, il mito entra in un ordine d’interpretazione nuovo. Non può più essere una semplice rappresentazione confusa con il pensiero religioso o mascherata dalle interpretazioni moralistiche e alle- goriche che gli sovrapponeva la cultura classica. Il discorso sul mito si articola in mo- do significativo solo quando si apre una connessione ad uno spazio specificatamente linguistico. Spazio che in qualche modo permette di superare le contrapposizioni teo- riche sulle quali, nel secolo scorso, si erano arroccate, da un lato, la scuola mitologica comparata e dall’altro la scuola più propriamente antropologica che Licari, nel suo la- voro, analizza. L’Autore mette in luce le grandi potenzialità interpretative ed esplicati- ve nascoste nel mito che, una volta utilizzati strumenti adeguati, emergono con vigore dando luce a problematiche che ancora al giorno d’oggi sono di grande rilievo.

Da dove originano le differenze di genere? Da dove nasce il conflitto tra maschile e femminile? E l’organizzazione della polis attraverso l’articolazione sociale dei ruoli?

A questi ed altri interrogativi il volume risponde da una prospettiva antropologica, proponendo una rilettura del mito e, in particolare, suggerendo un’ipotesi accattivante nonché originale: il “mito dell’Isteria” può essere ripensato secondo una logica stru- mentale, una verità narrativa che l’uomo della Grecia classica ha costruito per tenere a freno gli istinti delle donne che non accettarono di buon grado la migrazione del pote- re dalle regno delle Madri a quello dell’Eroe prima e dei Padri successivamente.

Per millenni, infatti, una composizione articolata di miti ha proposto un paradigma culturale e organizzativo che contrappone il mondo della Grande Madre, Cibale, al mondo dell’Eroe.

Seguendo il metodo dell’antropologia culturale e mutuando le proprie riflessioni dagli studi sul mito condotti da Claude Lévi-Strauss e dagli approfondimenti operati da

1 Licari G., (2006). Antropologia Urbana. Il caso dei contratti di quartiere. Padova: CLEUP.

2 Foucault M., (1966). Les mots et les choses. Paris.

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Gregory Bateson sui concetti di cornice e di contesto, Licari mette in evidenza come non sia tanto importante sapere se una narrazione mitica sia storicamente fondata, quanto conoscere quali siano stati gli effetti della sua presenza nella storiografia del mito. Come diceva William I. Thomas (1928): “se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”. L’attenzione è posta, dunque, sul valore della verità narrativa che contribuisce a costruire configurazioni di realtà attraverso le quali, sin dai tempi più antichi, uno degli scopi che l’uomo classico ha cercato di perseguire è il governo del femminile. Per dimostrare tale ipotesi, l’Autore affronta in maniera det- tagliata, con competenza e originalità, un gruppo di miti, una composizione mitica ar- ticolata che viene indicata come “mito dell’Isteria”. In questo tipo di lettura si inserisce l’ipotesi di una costruzione narrativa strumentale, ovvero creata dall’uomo della Grecia classica per controllare le donne che si opposero alla limitazione del loro potere. Il conflitto tra maschile e femminile origina nella separazione che avviene tra la Grande Madre Cibele e Attis, figlio prediletto nonché primo ministro, il quale si sottrae all’amore incestuoso con la madre evirandosi per dimostrare a quest’ultima, tra l’altro, che non è in grado di generare da sola la vita. È nelle premesse poste da questo scena- rio che Apollo si rivolge sprezzante alla donna minacciandola di follia se non sottostà al volere dell’uomo, depositario del principio solare e della razionalità con i quali am- ministrare la polis.

L’obiettivo del lavoro proposto da Licari è quello di far emergere il ruolo svolto dal mito nella genesi di una cultura e nella distinzione e distribuzione dei ruoli fra i generi, le generazioni, i pari, l’uomo e il suo contesto di vita. Non ultimo, il contributo dell’Autore permette di cogliere il ruolo svolto dal sistema di valori e dagli obiettivi che fin dai tempi più antichi gli uomini si sono imposti per poter controllare le defini- zioni delle situazioni. In tale prospettiva emerge come l’etichettamento esercitato nei confronti del femminile tacciato di follia, laddove non convenga alla sottomissione nei confronti del potere maschile, non sia tanto una qualche forma di patologia intrapsi- chica quanto l’espressione - da parte delle donne del tempo - di un dissenso marcata- mente ostile al nuovo ordine amministrativo proposto e imposto dall’eroe. Una frattu- ra tuttora non completamente risanata, ferita ancora aperta che alimenta il conflitto di genere in cui l’uomo e la donna si contendono spazi di potere, incapaci di definire un contesto dialogico in cui esprimere la propria diversità senza prevaricazioni dell’uno sull’altra.

In conclusione, seguendo questo percorso l’analisi del mito diventa un’argo- mentazione autonoma, un modo di pensare che ha la sua originalità nel contenuto, talvolta apertamente insolito e sconcertante, talora segretamente ragionevole. Seguen- do Lévi-Strauss diventa possibile analizzare i miti considerandoli come l’oggetto speci- fico di un’analisi che arriva ad individuare nello stesso mito un meta linguaggio di se- condo grado. In tal modo il mito si configura come una storia dotata di un significato linguistico corrente e come una concatenazione di valori semantici nuovi, privi di rap- porto immediato con l’ordine del racconto, ma conglobati su livelli di significato di- versi.

PAOLO PALMERI

Università di Roma “La Sapienza”

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