A p p u n t i d e l c o r s o
Qualità
INDICE
CAPITOLO 1. Termini per la qualità 1.1 Aspetti generali
1.2 Variabilità
CAPITOLO 2. Richiami di probabilità 2.1 La distribuzione binomiale
2.2 La distribuzione di Poisson 2.3 La distribuzione normale 2.4 La distribuzione chi quadrato 2.5 Aspetti inferenziali
2.5.1 Distribuzioni campionarie
2.5.2 Stima puntuale e stima intervallare 2.2.3 Verifica d’ipotesi
CAPITOLO 3. Il Controllo Statistico di Processo 3.1 Variabilità nel processo produttivo
3.2 Aspetti generali delle carte di controllo 3.3 Costruzione di una carta di controllo
3.3.1 Limiti di controllo
3.3.2 Numerosità campionaria e frequenza di campionamento 3.3.3 Regole di decisione e analisi degli andamenti tipici 3.4 Stima dei parametri del processo da un prerun
CAPITOLO 4. Carte di controllo per variabili 4.1 Carte di controllo per il livello del processo 4.1.1 Carta x bilaterale (parametri noti) 4.1.2 Carta x bilaterale con parametri non noti 4.1.3 Carta x unilaterale
4.1.4 Carta per mediane
4.2 Carte di controllo per la variabilità del processo produttivo 4.2.1 Carta S
4.2.2 Carta S con regola del 3-sigma 4.2.3 Carta R
4.3 Costruzione e uso delle carte x − R e x − S CAPITOLO 5. Carte di controllo per attributi 5.1 Carta di controllo np e carta p
5.1.1 Carta np
5.1.2 Carta np con limiti 3-sigma 5.1.3 Carta np con p
0non noto 5.1.4 Carta p
5.2 Carte di controllo per le non conformità
5.2.1 Carta per il numero di non conformità per unità di prodotto (carta c)
5.2.2 Carta c con i limiti 3-sigma 5.2.3 Carta c con λ
0non noto
5.2.4 Carta per il numero di non conformità per unità fisica (carta u)
Termini per la qualità
Il termine qualità è ampiamente utilizzato nel linguaggio corrente ed il suo significato è, almeno a grandi linee, noto a molti. La definizione più generale possibile del termine qualità è la seguente:
qualità è l’insieme delle caratteristiche di un’entità (bene o servizio) che ne determinano la capacità di soddisfare le esigenze espresse ed implicite di chi la utilizza.
Di solito si parla di qualità con riferimento a prodotti fisici o a servizi. La distinzione è rilevante in quanto non sempre strumenti adeguati per valutare la qualità di un prodotto possono essere adeguati per un servizio. Nel seguito tut- tavia si presenteranno metodologie che con le dovute accortezze possono essere utili in entrambi i casi. Per questo motivo il termine prodotto verrà utilizzato anche come sinonimo di servizio salvo i casi segnalati.
E’ importante prima di procedere parlare anche del processo produttivo.
Infatti prodotti e servizi sono realizzati per mezzo di processi produttivi. Una definizione generale di processo produttivo è la seguente: un processo produttivo è un insieme di risorse e di attività tra loro interconnesse che trasformano degli elementi in ingresso (input) in elementi in uscita (output). Tra gli input conviene distinguere tra input controllabili ed input non controllabili da parte di chi governa il processo.
1.1 Aspetti generali
Gli aspetti generali della qualità sono:
1. la qualità di progetto. I beni e servizi sono prodotti con vari gradi di qualità. Tali differenze sono intenzionali
2. la conformità alle normative. Questo aspetto fa riferimento all’aderenza del prodotto alle specificazioni e tolleranze assegnategli in fase di proget- tazione.
1
Ogni prodotto possiede un certo numero di elementi misurabili, o comunque percepibili dall’utilizzatore, che contribuiscono congiuntamente alla formazione della qualità del prodotto. Questi elementi vengono indicati con il nome di CARATTERISTICHE DI QUALITA’. Le caratteristiche di qualità possono essere di diversi tipi, ad esempio: fisiche, sensoriali, comportamento nel tempo.
In genere quando le caratteristiche di qualità sono misure espresse su una scala continua (peso, resistenza, lunghezza, durata) si parla di variabili. Quan- do invece si utilizzano dati discreti, per esempio dati di conteggio (numero di lampadine non funzionanti, ecc.) si parla di attributi.
Le caratteristiche di qualità sono valutate in relazione alle specifiche ovvero le misure stabilite per alcune caratteristiche di qualità del prodotto/servizio. Il valore desiderato per una caratteristica di qualità è definito VALORE NOMI- NALE oppure VALORE TARGET. Oltre al valore nominale può essere indicato un intervallo di valori, tipicamente un intorno del valore nominale, tale che se il valore della caratteristica di qualità rientra in tale intervallo il prodotto viene ritenuto conforme.
Il limite superiore di questo intervallo è definito limite di specifica su- periore (USL, Upper Specification Limit), limite inferiore è definito limite di specifica inferiore (LSL, Lower Specification Limit). Talvolta per alcune caratteristiche di qualità ha senso fornire solamente specifiche unilaterali.
1.2 Variabilità
La variabilità delle caratteristiche di qualità è un aspetto molto delicato per la qualità del prodotto. Le aziende infatti investono risorse per assicurarsi che i valori delle caratteristiche di qualità dei prodotti realizzati siano il più vicino possibile ai valori nominali. Tuttavia due o più unità di prodotto (o servizio) non sono mai uguali. Pertanto esiste sempre un livello di variabilità nelle carat- teristiche di un prodotto e la qualità del prodotto dipende dall’ammontare della variabilità.
Nella Figura (1.1) sono visualizzate, come esempio, le distribuzioni di due caratteristiche di qualità. Si può notare il diverso livello di variabilità ed è intuitivo comprendere che una maggiore variabilità aumenta la probabilità di produrre un elemento che non rispetta le specifiche.
Poiché la variabilità può essere descritta solamente in termini statistici, i metodi statistici hanno un ruolo centrale nelle attività legate al miglioramento della qualità.
La variabilità può manifestarsi in diversi modi
• in una unità di prodotto
• tra unità di prodotto
• nel tempo
Inoltre la variabilità è dovuta ad almeno quattro cause (4M):
Caratteristica di qualità
valore nominale
USL LSL
Figura 1.1: Caratteristiche di qualità con diversa variabilità
1. Man 2. Machine 3. Methods 4. Materials
La variabilità non è totalmente eliminabile quindi un certo grado di variabil- ità può essere ritenuto tollerabile, o fisiologico, per un dato processo produttivo.
Questo tipo di variabilità viene indicata anche con il nome di variabilità naturale.
Il controllo della qualità ha l’obiettivo di mantenere la variabilità nel
processo e nel prodotto ad un livello naturale. Il miglioramento della qualità
mira ad una riduzione della variabilità nel processo e nel prodotto.
Richiami di probabilità
In questo capitolo vengono richiamate le più comuni variabili aleatorie discrete e continue. Dovrebbero essere nozioni ampiamente note quindi si farà riferimento al capitolo 2 del libro di testo (Montgomery, 2000).
Verranno richiamati solo alcuni aspetti.
Distribuzioni discrete: ipergeometrica, binomiale, poisson
2.1 La distribuzione Binomiale
La variabile X ha distribuzione binomiale con parametri n ≥ 0 e p (0 < p < 1) X ∼ Bin(n, p)
se
Pr {X = k} = µ n
k
¶
p
k(1 − p)
n−kk = 0, 1, 2....n si ha E(X) = np, V (X) = np(1 − p).
Simbologia
Bi(j; n, p) indica il la probabilità che una variabile casuale binomiale di parametri n, e p assuma il valore j
Bi(j; n, p) = Pr {X = j} = µ n
j
¶
p
j(1 − p)
n−jF
B( k| n, p) indica il valore della funzione di ripartizione di una varibile casuale binomiale di parametri n e p calcolato nel punto k
F
B( k| n, p) = Pr {X ≤ k} = X
k j=0Bi(j; n, p)
5
2.2 La distribuzione di Poisson
La variabile X ha distribuzione di Poisson con parametro λ > 0 X ∼ P o(λ)
se
Pr {X = k} = e
−λλ
kk! k = 0, 1, 2.
E(X) = λ e V (H) = λ.
Simbologia
P o(j; λ) indica il la probabilità che una variabile casuale di Poisson di parametro λ assuma il valore j
P o(j; λ) = Pr {X = j} = e
−λλ
jj!
F
P( k| λ) indica il valore della funzione di ripartizione di una variabile casuale di Poisson di parametro λ calcolato nel punto k
F
P( k| λ) = Pr {X ≤ k} = X
k j=0P o(j; λ)
2.3 La distribuzione normale
Se X è una variabile aleatoria normale, allora la sua funzione di densità è definita come segue:
f (x) = 1 σ √
2π e
−12(
x−µσ)
2− ∞ < x < ∞
µ è la media della distribuzione, σ
2è la varianza. La simbologia che si utilizza per indicare tale variabile è la seguente
X ∼ N ¡ µ, σ
2¢
La funzione di ripartizione della normale è definita come la probabilità che la variabile X assuma valori inferiori o uguali ad un certo valore a:
Pr {X ≤ a} = F (a) = Z
a−∞
1 σ √
2π e
−12(
x−µσ)
2dx
Per il calcolo di questa probabilità è conveniente effettuare un cambio di variabile giungendo alla normale standardizzata:
Z = X − µ
σ
risulta che la variabile Z è ancora normale, ma con media 0 e con varianza 1, Z ∼ N (0, 1)
Quindi per calcolare la probabilità Pr {X ≤ a} si può operare nel seguente modo:
Pr {X ≤ a} = Pr
½ X − µ
σ ≤ a − µ σ
¾
= Pr
½
Z ≤ a − µ σ
¾
= Φ µ a − µ
σ
¶
dove Φ (.) è la funzione di ripartizione della normale standardizzata.
SIMBOLOGIA
Con z
α/2si usa indicare il punto percentile di una normale standardizzata N (0, 1) tale che
Pr ©
Z ≥ z
α/2ª = α/2
z
α/2è anche indicato come il punto percentile superiore al livello α/2 ottenuto dalla distribuzione normale standardizzata. Vedi appendice A2 Montgomery (2000)
2.4 La distribuzione chi quadrato
Se X è una variabile chi quadrato con n gradi di libertà, allora la sua funzione di densità è definita come segue:
f (x) = 1 2
n/2Γ ¡
n2
¢x
−(n/2)−1e
−y2/2x > 0
la media della distribuzione è
E(X) = n e la varianza è
V (X) = 2n
La simbologia che si utilizza per indicare tale variabile è la seguente X ∼ χ
2nSIMBOLOGIA
Con χ
2α,nsi usa indicare il punto percentile della variabile casuale chi quadra- to con n gradi di libertà tale
Pr n
χ
2n≥ χ
2α,no = α
2.5 Aspetti inferenziali
I parametri di un processo produttivo sono generalmente non noti e possono variare nel tempo (per parametri di un processo produttivo di solito si intende la media e la varianza della caratteristica di qualità, la frazione di elementi difettosi ecc.). Se si aggiunge inoltre che la maggior parte delle informazioni sono disponibili solo su base campionaria, ci si rende conto che l’inferenza sta- tistica gioca un ruolo fondamentale. La situazione più comune è dover stimare i parametri del processo produttivo oppure prendere una decisione sul processo (controllo d’ipotesi).
Se si dispone di un campione di ampiezza n alcune delle principali sintesi campionarie che si possono calcolare sono
x = 1 n
X
n i=1x
imedia del campione
s
2= P
ni=1
(x
i− x)
2n − 1 varianza del campione
s = sP
ni=1
(x
i− x)
2n − 1 deviaz. std del camp.
r = x
max− x
minrange del campione
Nell’universo dei campioni il valore di una sintesi calcolata su un campione può essere visto come una realizzazione di una variabile aleatoria campi- onaria. La variabili aleatorie campionarie relative alle sintesi sopra riportate sono:
X = 1 n
X
n i=1X
imedia campionaria
S
2= P
ni=1
¡ X
i− X ¢
2n − 1 varianza campionaria
S = s P
ni=1
¡ X
i− X ¢
2n − 1 deviaz. std campionaria
R = x
max− x
minrange campionario
f(x)
-10 0 10 20 30
f(x)
Figura 2.1: Funzione di densita di una normale con parametri µ = 10, e σ
2= 9
2.5.1 Distribuzioni campionarie
Essendo funzioni delle osservazioni campionarie le variabili casuali sopra indicate sono delle statistiche.
Per esempio, supponiamo che la caratteristica di qualità sia distribuita nor- malmente
X ∼ N(µ, σ
2)
(per esempio µ = 10 mm, e σ
2= 9 mm vedi figura 2.1). Se x
1, x
2, ...., x
nè un campione casuale di ampiezza n estratto dalla popolazione, allora la statistica media campionaria
X ∼ N(µ, σ
2/n)
nella Figura (2.2) sono riportate le distribuzioni di X, e X per n = 5.
Vedi capitolo 3 Montgomery (2000)
2.5.2 Stima puntuale e stima intervallare
Vedi capitolo 3 Montgomery (2000). Qui si richamano solo alcuni punti della stima intervallare.
Una stima intervallare di un parametro è l’intervallo tra due statistiche che
include il valore vero del parametro con un’assegnata probabilità.
-10 0 10 20 30
f(x) f(xmedio)
Figura 2.2: X normale con µ = 10, e σ
2= 9; X normale con µ = 10, e σ
2= 1.8
Ragioniamo in questo modo. Consideriamo una variabile aleatoria X con media µ nota e varianza σ
2nota.
La variabile media campionaria tende a distribuirsi (teorema del limite cen- trale) come una normale
X ∼ N(µ, σ
2/n) di conseguenza la variabile standardizzata
Z = X − µ σ/ √
n
tende a distribuirsi come una normale con media 0 e varianza 1 Z ∼ N(0, 1)
Sfruttando le proprietà della normale standardizzata si può affermare che la probabilità che la variabile aleatoria Z assuma valori compresi tra −z
α/2e z
α/2è pari a 1 − α
Pr ©
−z
α/2≤ Z ≤ z
α/2ª = 1 − α
Si può allora definire un intervallo tale che la probabilità dell’avverarsi di un campione con media x contenuta nell’intervallo stesso sia pari a 1 − α
Pr
½
µ − z
α/2√ σ
n ≤ x ≤ µ + z
α/2√ σ n
¾
= 1 − α
Questa è la soluzione del ”problema diretto”: prevedere una proprietà statistica di un campione nota quella della popolazione.
L’induzione statistica invece riguarda il ”problema inverso”: fare inferen- za su una proprietà statistica della popolazione nota quella di un campione.
Questo è proprio della stima intervallare di un parametro: partendo dalla con- stante osservata nel campione si vuole individuare un intervallo che contenga il parametro incognito con una preassegnata probabilità.
Si supponga quindi che la media in popolazione µ sia incognita. Se si estrae un campione di ampiezza n
x
1, x
2, ...x
nla cui media è
x = 1 n
X
n i=1x
il’intervallo di confidenza al livello 100(1 − α)% per µ è dato da x − z
α/2√ σ
n ≤ µ ≤ x + z
α/2√ σ n
Gli estremi dell’intervallo sono variabili aleatorie infatti dipendono dai dati cam- pionari e 1−α è detto livello di confidenza. L’intervallo h
x − z
α/2√σn
, x + z
α/2√σ ni è da intendersi come un intervallo aleatorio che ha una probabilità pari a 1 − α di contenere il parametro incognito µ.
Quello che abbiamo appena visto è un intervallo di confidenza della media con varianza nota
Intervallo di confidenza della varianza di una distribuzione normale Consideriamo la variabile casuale
X ∼ N(µ, σ
2) con media µ e varianza σ
2non note.
Consideriamo la varianza campionaria S
2=
P
n i=1¡ X
i− X ¢
2n − 1
e definiamo la variabile
(n−1)Sσ2 2. Tale variabile è distribuita come un χ
2con n − 1 gradi di libertà
Se si osserva un campione e si calcola la varianza del campione s
2=
P
ni=1
(x
i− x)
2n − 1
l’intervallo di confidenza al livello 100(1 − α)% per la varianza è dato da (n − 1) s
2χ
2α/2,n−1
≤ σ
2≤ (n − 1) s
2χ
21−α/2,n−1
2.5.3 Verifica d’ipotesi
Vedi capitolo 3 Montgomery (2000).
Qui vediamo solo alcuni richiami utilizzando un esempio.
Esempio
Una macchina produce barre di acciaio a sezione circolare il cui diametro ottimale dovrebbe essere 10 millimetri. Le barre effettivamente prodotte, che si suppongono tra loro indipendenti, hanno un diametro aleatorio con distribuzione normale di media µ
0= 10mm e scarto σ = 3mm.
Come si può verificare il corretto funzionamento della macchina basandosi su un campione di ampiezza finita?
Un possibile strumento è il controllo o verifica d’ipotesi.
Un’ipotesi statistica è una proposizione riguardante i valori di uno o più parametri di una distribuzione.
Nel controllo statistico di qualità le ipotesi formulate hanno un preciso significato.
Nel nostro caso:
H
0: µ = 10
H
1: µ 6= 10
L’ipotesi H
0: µ = 10 è detta ipotesi nulla: la macchina funziona corretta- mente
L’ipotesi H
1: µ 6= 10 è detta ipotesi alternativa: la macchina non funziona correttamente
Per procedere al controllo:
a) si estrae un campione casuale di ampiezza n dalla popolazione b) si rilevano le n misure della caratteristica di qualità di interesse c) si calcola un’opportuna statistica test.
Sulla base del valore che tale statistica assume si deciderà se rifiutare o non rifiutare l’ipotesi H
0.
Per stabilire il criterio di decisione, ovvero la regione di rifiuto di H
0, si usa ragionare sulla probabilità di commettere un errore.
Gli errori possono essere di 2 tipi:
a) ERRORE DEL PRIMO TIPO, ovvero rifiutare l’ipotesi H
0, quando H
0è vera
b) ERRORE DEL SECONDO TIPO, ovvero non rifiutare l’ipotesi H
0, quan- do H
0è falsa
Le probabilità associate ai due errori sono:
α = Pr (errore del primo tipo)
β = Pr (errore del secondo tipo)
Usualmente si usa specificare un valore della probabilità dell’errore del primo tipo α (controllo diretto). Il valore del rischio β lo si controlla indirettamente essendo funzione dell’ampiezza del campione.
Nel nostro caso siamo in una situazione di ipotesi su una media µ con varianza nota σ
2H
0: µ = µ
0H
1: µ 6= µ
0(µ
0= 10)
Definisco la variabile aleatoria (statistica test) Z
0= X − µ
0σ/ √ n dove X è la media campionaria:
X = 1 n
X
n i=1X
iSi rifiuta l’ipotesi H
0se |z
c=
xσ/−µ√0n
| > z
α/2dove z
α/2è il valore di ascissa di una N (0, 1) tale che Pr ¡
Z ≥ z
α/2¢ = α/2.
Spiegazione (intuitiva): sotto l’ipotesi H
0si ha che Z
0∼ N (0, 1) (Figura 2.3)
Se per esempio si fissa un valore di α = 0.002 la regione di non rifiuto per H
0è
−z
α2= −3.09 z
α2= 3.09 Quindi non rifiuto H
0se:
−z
α2≤ z
c≤ z
α2Torniamo all’esempio
Supponiamo di estrarre un campione di ampiezza n = 5 e che le misure dei 5 diametri siano risultate:
11, 9, 12, 11, 10 La media del campione risulta
x = 1
5 (11 + 9 + 12 + 11 + 10) = 10, 6
f(z)
-6 -4 -2 0 2 4 6
f(z)
Figura 2.3: N (0, 1)
ed il valore della statistica test
z
c= 10, 6 − 10 3/ √
5 = 0, 447 In questo caso non si rifiuta H
0in quanto z
c< z
α2.
Consideriamo ora la probabilità β la probabilità di non rifiutare H
0quando è falsa (e’ vera H
1). (significato....)
Supponiamo quindi sia vera l’ipotesi H
1: µ 6= µ
0. In particolare supponi- amo che la media della distribuzione (ovvero la media dei diametri delle barre prodotte) sia pari a
µ
1= µ
0+ δ allora si ha che
Z
0∼ N µ δ √ n
σ , 1
¶
vedi Figura (2.4).
E’ possibile calcolare la probabilità β:
β = Pr ©
−z
α2≤ Z
0≤ z
α2¯ ¯ H
1ª
= Pr
½µ
−z
α2− δ √ n σ
¶
≤ Z
0− δ √ n
σ ≤
µ
z
α2− δ √ n σ
¶¯¯ ¯ ¯ H
1¾
-6 -4 -2 0 2 4 6
f(xmedio) f(shift)
Figura 2.4:
ora la variabile
Z
0− δ √ n σ
è una normale standardizzata (siamo sotto H
1) quindi la probabilità β si può calcolare come
β = Φ µ
z
α2− δ √ n σ
¶
− Φ µ
−z
α2− δ √ n σ
¶
Nel nostro caso supponendo δ = 1
β = Φ
µ
z
α2− δ √ n σ
¶
− Φ µ
−z
α2− δ √ n σ
¶
=
= Φ
Ã
3.09 − 1 √ 5 3
!
− Φ Ã
−3.09 − 1 √ 5 3
!
=
= Φ (2.345) − Φ (−3.835) = 0.990 La probabilità β è quindi una funzione di (Figura 2.5):
n ampiezza del campione
δ ampiezza dello shift (variazione)...
α probalilità dell’errore di primo tipo
0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2
0 0,8 1,6 2,4 3,2 4
4,8 5,6 6,4 7,2 8
delta
BETA(5) BETA(10)
Figura 2.5: probabilità β in funzione di δ e per n = 5 e n = 10
Il Controllo Statistico di Processo
L’obiettivo è produrre beni e/o servizi che soddisfino le esigenze dei consumatori.
Un processo produttivo dovrebbe quindi essere stabile ed operare con una vari- abilità ridotta intorno al valore obiettivo (target) specificato per la caratteristica di qualità di interesse.
Il controllo statistico di processo, SPC (Statistical Process Control), è costituito da un insieme di strumenti utili per garantire la stabilità e ridurre la variabilità del processo.
Tra gli strumenti del SPC la carta di controllo è lo strumento tecnicamente più importante. Le carte di controllo sono state sviluppate da W. A. Shewart (Bell Telephone Laboratories) nel 1920 ed in letteratura sono spesso indicate con il nome di carte Shewart.
3.1 Variabilità nel processo produttivo
Ogni processo produttivo è caratterizzato da una certa variabilità naturale, ques- ta variabilità è presente anche se il processo è ben progettato e controllato ed è dovuta all’azione congiunta di molte piccole cause e generalmente non è ad- debitabile a singoli fattori controllabili: usualmente in queste condizioni tale variabilità è piccola.
Quando un processo produttivo è caratterizzato solo da una variabilità nat- urale, si può affermare che il processo opera soggetto ad un sistema di cause ac- cidentali o comuni. Nella terminologia del SPC, un processo che opera soggetto solo ad un sistema di cause accidentali è in uno STATO DI CONTROLLO STATISTICO.
Altre fonti di variabilità, dovute a fattori ben individuabili e controllabili, possono intervenire nel processo produttivo alterando ed aumentando la vari- abilità “naturale” fino a valori non accettabili per gli standard di qualità. In questo caso si può affermare che il processo opera soggetto ad un insieme di cause
17
valore nominale
USL LSL
B A
Figura 3.1: shift nella media (A); aumento della variabilità (B)
sistematiche o speciali. Un processo che opera in presenza di cause sistematiche è in uno STATO DI FUORI CONTROLLO STATISTICO.
Quando un processo produttivo è ben progettato e tarato opera in uno sta- to di controllo statistico. Cause sistematiche possono intervenire nel processo provocando: A) un allontanamento del valore medio della caratteristica di qual- ità dal valore target; B) un aumento della variabilità della caratteristica di qualità; C) sia variazioni nella media sia un aumento della variabilità (Figura 3.1). Il risultato è che aumenta la produzione di elementi che non soddisfano le specifiche richieste, con un conseguente peggioramento della qualità risul- tante del prodotto ed un danno economico per l’azienda. Questo provoca uno spostamento (SHIFT) del processo verso uno stato di fuori controllo statistico.
L’obiettivo principale del controllo statistico di processo è individuare, nel minor tempo possibile, lo shift del processo in modo che possano essere prese azioni correttive. Le carte di controllo consentono di sorvegliare il processo in corso di produzione (on-line) segnalando eventuali problemi e consentendo interventi correttivi.
3.2 Aspetti generali delle carte di controllo
Una carta di controllo è una visualizzazione grafica di una sequenza di test statistici per verificare lo stato di controllo del processo.
Indicando con X la caratteristica di qualità da controllare, dal processo pro-
duttivo si estraggono, ad intervalli regolari di tempo, dei campioni di numerosità
n, (x
1,x
2,...., x
n) = X
n, si forma la statistica campionaria g(X
n) (media cam-
pionaria, mediana campionaria, range, deviazione standard ecc.) e la si utilizza per verificare il sistema d’ipotesi:
H
0: Il processo ` e in controllo H
1: Il processo ` e f uori controllo
la carta di controllo è la visualizzazione grafica dei risultati campionari rispetto al tempo.
Nella carta è presente una linea centrale, CL (central line), che rappresenta il valore medio caratteristica di qualità in genere corrispondente al valore desider- ato nell’ipotesi di controllo del processo. Altre due linee orizzontali identificano i limiti di controllo: UCL (Upper Control Limit) il limite di controllo superiore e LCL (Lower control limit) il limite di controllo inferiore. UCL e LCL vengono determinati prima di iniziare l’ispezione campionaria, in modo tale che quando il processo è in controllo la probabilità che i valori della statistica test cadano all’interno di tali limiti sia elevata. Quando un valore della statistica test cade al di fuori dei limiti di controllo si ha un segnale di allarme o segnale di fuori controllo: l’evidenza empirica porta ad accettare H
1. In questi casi è necessario fare ulteriori controlli sul processo per verificare se sono intervenute cause spe- ciali e se necessario intraprendere azioni correttive. In realtà, come si vedrà in seguito, le regole di decisione sono più complesse. Infatti non si esamina solo la posizione del singolo punto campionario rispetto ai limiti di controllo, ma si fa anche un esame della sequenza di punti per verificare l’eventuale presenza di andamenti sistematici che possono essere dovuti a situazioni di fuori controllo.
In alcune situazioni possono essere presenti anche i limiti di guardia: UWL (Upper Warning Limit) il limite di guardia superiore; LWL (Lower Warning Limit) il limite di guardia inferiore. Sul loro significato ed utilizzo si rimanda ai paragrafi seguenti.
3.3 Costruzione di una carta di controllo
Il modello generale per una carta di controllo è il seguente. Sia Y = g(X
n) la statistica campionaria relativa ad una caratteristica di qualità che si desidera controllare con E(Y ) = µ
Ye V (Y ) = σ
2Y.
Si supponga di voler controllare il seguente sistema d’ ipotesi:
H
0: µ = µ
Yil processo è in controllo H
1: µ 6= µ
Yil processo è fuori controllo Allora
U CL = µ
Y+ k
1σ
YEsempio di carta di controllo
istanti campionari CL
statistica test UCL
LCL UWL
LWL
Figura 3.2: Esempio di carta di controllo
CL = µ
YLCL = µ
Y− k
2σ
YI fattori k
1e k
2sono fissati in modo che sotto H
0Pr {Y / ∈ (LCL, UCL)} = α
Si noti che se la distribuzione di Y è simmetrica e Pr {Y ≥ UCL} = Pr {Y ≤ LCL} =
α
2
allora k
1= k
2= k
α/2.
La funzione test è basata sulla statistica Y = g(X
n) si accetta H
0se
LCL = µ
Y− k
2σ
Y< Y < µ
Y+ k
1σ
Y= U CL si accetta H
1quando
Y ≥ UCL oppure
Y ≤ LCL
La probabilità α corrisponde alla probabilità dell’errore di primo tipo nella
teoria di verifica delle ipotesi. Nel controllo statistico di processo α corrisponde
alla probabilità di segnalare un fuori controllo quando il processo è in controllo (quando H
0è vera). Comunemente α viene indicata con il termine probabilità di un falso allarme. Un falso allarme porta ad una interruzione del processo, o comunque ad un insieme di controlli inutili ed il risultato può essere un danno economico per l’azienda.
La probabilità di un mancato allarme è invece data da:
Pr {Y ∈ (LCL, UCL|H
1} = β
La probabilità β corrisponde alla probabilità di commettere l’errore di secondo tipo nella verifica d’ipotesi. Un mancato allarme porta ad un aumento della
”difettosità” nella produzione in quanto non si rileva che il processo ha subito uno shift: anche in questo caso si ha un danno economico per l’azienda in quanto si ha un aumento della produzione non conforme. Un piccolo esempio può aiutare a chiarire alcuni dei concetti espressi sopra.
ESEMPIO 3.1
Consideriamo un processo produttivo che produce barre di acciaio a sezione circolare. Una caratteristica di qualità critica per questo tipo di processo pro- duttivo è il diametro, X, delle barre che assumiamo distribuito normalmente:
X ∼ N ¡ µ, σ
2¢
. Si supponga che il processo sia sotto controllo se il diametro delle barre prodotte è pari a 10 millimetri e che la deviazione standard del di- ametro sia pari a σ = σ
0= 0.07 mm. Sostanzialmente si vuole controllare il livello medio della caratteristica di qualità ovvero
H
0: µ = µ
0il processo è sotto controllo
H
1: µ 6= µ
0il processo è fuori controllo
Per controllare il processo ogni ora un campione casuale di n = 5 unità viene analizzato. Ogni ora quindi si estraggono in modo casuale dal processo produttivo 5 barre, si rilevano i 5 diametri e si calcola la media del campione
x = 1 n
X
n i=1x
iLa statistica media campionaria X = 1
n X
n i=1X
isotto l’ipotesi H
0si distribuisce normalmente X ∼ N
µ µ
0, σ
20n
¶
quindi fissata una probabilità α si può scrivere P r
½
µ
0− z
α/2σ
0√ n < X < µ
0+ z
α/2σ
0√ n |µ
t= µ
0¾
= 1 − α Segue che i limiti di controllo risultano
U CL = µ
0+ z
α/2σ
0√ n
LCL = µ
0− z
α/2σ
0√ n La linea centrale risulta ovviamente pari a
CL = µ
0= 10
e se è fissata una probabilità di un falso allarme pari a α = 0.002 si ha k
α/2= z
α/2= 3.09, quindi i limiti risultano
U CL = µ
0+ z
α/2σ
0√ n = 10.097
LCL = µ
0− z
α/2σ
0√ n = 9.903
Supponiamo ora che sia vera l’ipotesi H
1: µ 6= µ
0, in particolare µ = 9.915.
Questo significa che sul parametro media del processo produttivo è avvenuto uno shift. Definendo con
δ = µ − µ
0σ
0lo shift standardizzato, quindi nel caso in esame si ha δ = 9.915 − 10
0.07 = −1.214
Ora è interessante calcolare la probabilità di un mancato allarme ovvero β. Tale probabilità, come visto prima è data da
β = Pr {Y ∈ (LCL, UCL|H
1} =
= Pr
½
X ≤ µ
0+ z
α/2σ
0√ n |µ
t= µ
¾
− Pr
½
X ≤ µ
0− z
α/2σ
0√ n |µ
t= µ
¾
Sotto l’ipotesi H
1si ha che
X ∼ N µ
µ, σ
20n
¶
dove µ = µ
0+ δσ
0. Standardizzando la variabile possiamo scrivere che β = Φ ¡
z
α2
− δ √ n ¢
− Φ ¡
−z
α2− δ √ n ¢ Nel nostro caso essendo δ = −1.214
β = Φ ³
3.09 − −1.214 √ 5 ´
− Φ ³
−3.09 − −1.214 √ 5 ´
=
= Φ (5.805) − Φ (−0.375) ' 1 − 0.354 = 0.646
La probabilità β è una funzione di n ampiezza del campione, di δ ampiezza dello shift (variazione del parametro) e di α probalilità dell’errore di primo tipo.
3.3.1 Limiti di controllo
Come posizionare i limiti di controllo? Occorre ragionare sulle probabilità di commettere degli errori: α probabilità di un falso allarme; β probabilità di un mancato allarme.
I limiti di controllo, fissata un’ampiezza campionaria n, dipendono da α: se α diminuisce i limiti di controllo diventano più ampi, conseguentemente però β aumenta; se si aumenta α i limiti di controllo diventano più stretti e con- seguentemente β diminuisce. Si comprende quindi che non si riescono a rendere minimi contemporaneamente sia α che β. Nella prassi si possono seguire due strade:
1. se n è fisso, si fissa α e si determina β conseguentemente
2. se n può variare, si fissano α e β e si determina conseguentemente n.
Per determinare i limiti di controllo nelle carte di tipo Shewart esistono delle
”convenzioni” o linee guida. In Europa, per i limiti di controllo si usa fissare un valore per α (probabilità di un falso allarme) oppure ragionare su alcune funzioni legate ad α come la funzione ARL di cui parleremo in seguito. Per esempio, stabilire che la probabilità di un falso allarme è pari α = 0.002 nel caso di popolazione normale corrisponde ad un k
α/2= 3.09.
Negli USA, indipendentemente dalla distribuzione della caratteristica ogget- to di controllo, si è soliti individuare i limiti di controllo come multiplo della deviazione standard della statistica test. Il multiplo solitamente scelto è
k = 3
(regola del 3-sigma). In questo modo nel caso di popolazione normale equivale a fissare α = 0.0027. La scelta dei limiti 3-sigma dà in genere buoni risultati nelle applicazioni e nei casi in cui la vera distribuzione della caratteristica di qualità non è nota.
LIMITI DI GUARDIA O DI SORVEGLIANZA
Oltre ai limiti di controllo possono essere presenti dei limiti più interni chia-
mati limiti di guardia o sorveglianza. Tali limiti chiamati UWL e LWL (Upper
Warning Limit e Lower Warning Limit). Vengono determinati specificando un valore di probabilità α
2> α ad esempio α
2= 0.05 che corrisponde ad un valore k
α2= 1.96. Negli USA si usa per i limiti di guardia la regola 2 sigma: k = 2
Un valore della statistica campionaria interno ai limiti di controllo, ma es- terno ai limiti di guardia è un evento che pur non essendo un segnale di fuori controllo ha una probabilità non elevata di verificarsi, quindi sono opportuni ulteriori accertamenti sul processo produttivo.
3.3.2 Numerosità campionaria e frequenza di campiona- mento
NUMEROSITA’ CAMPIONARIA
In generale tanto più è grande il campione tanto più è facile individuare piccoli spostamenti del processo. Questo lo si può verificare se si calcolano le misure delle prestazioni di una carta di controllo: la funzione di potenza o, il suo complemento a uno, la curva operativa caratteristica. La probabilità di rilevare uno shift, vista come funzione di n e dello shift, è data dalla Funzione di potenza (G)
G = Pr {Y / ∈ (UCL, LCL)|H
1}
La funzione Curva Operativa caratteristica(CO) di una carta di controllo esprime invece la probabilità di non rilevare uno shift
CO = Pr {Y ∈ (UCL, LCL)|H
1}
sempre come funzione dell’ampiezza del campione n e dello shift. Come si può notare dalle Figure (3.3) e (3.4) la funzione di potenza è una funzione crescente sia di n sia dell’ampiezza in valore assoluto dello shift. La curva operativa caratteristica ha ovviamente un comportamento complementare. Si può quindi determinare n in funzione dello shift del processo che si vuole individuare con una certa probabilità. Nella pratica n, anche per ragioni di costo, è contenuto (n ≤ 15).
FREQUENZA DI CAMPIONAMENTO
Un’elevata frequenza di campionamento comporta un minor tempo per in- dividuare eventuali anomalie nel processo. Anche in questo caso è importante ricordare che un’elevata frequenza di campionamento comporta un aumento nei costi d’ispezione. Nella pratica si tendono a privilegiare, salvo indicazioni contrarie, piccoli campioni con una frequenza di campionamento elevata.
La funzione ARL
Un’importante misura sulla quale basarsi per prendere decisioni sull’ampiez-
za campionaria e frequenza di campionamento è costituita dalla funzione ARL
(Average Run Lenght-lunghezza media delle sequenze).
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2
9.8509.8759.9009.925 9.9509.975 10.000
10.025 10.050
10.075 10.100
10.125 10.150 Media del processo
Funzione di potenza
n=5 n=10 n=15
Figura 3.3: Funzione di potenza per la carta x
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2
Media del processo
Curva operativa
n=5 n=10 n=15