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L’INDICE PENALE

Rivista fondata da

PIETRO NUVOLONE

Diretta da

ALESSIO LANZI

Novissima Serie - Anno II - N. 1 Gennaio - Aprile 2016

◊ Illuminismo e diritto penale dell’economia

◊ In tema di colpa

◊ La particolare tenuità del fatto

◊ L’abnormità

◊ L’organizzazione nelle fattispecie associative

◊ Temi della giustizia penale minorile

Tra l’altro in questo numero:

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Comitato di Direzione

Alberto Cadoppi, Luigi Stortoni, Piermaria Corso Comitato Scientifico

Franco Coppi, Angelo Giarda, Alfredo Molari, Elio Morselli, Antonio Pagliaro, Mario Pisani, Fabrizio Ramacci, Roland Riz, Giorgio Spangher, Sergio Vinciguerra, Renato Bricchetti, Stefano Canestrari, Ubaldo Giuliani Balestrino, Nicola Mazzacuva, Bartolomeo Romano, Giulio Ubertis, Paolo Veneziani, Salvatore Aleo, Giuseppe Bellantoni, Gabriele Fornasari, Vincenzo Maiello Josè de Faria Costa-Coimbra, Fermin Morales Prats-Barcelona, Jean Pradel-Poitiers, Alexander McCall Smith-Edinburgh, Gonzalo Quintero Olivares-Tarragona

Comitato di Redazione

Paolo Aldrovandi, Daniele Carra, Paolo Damini, Gian Paolo del Sasso, Stefano Delsignore, Luca Monticelli, Cosimo M. Pricolo, Stefano Putinati, Lorenza Tosato

Luca Beltrami, Jessica Bertolina, Malaika Bianchi, Mario L’Insalata, Maria Chiara Parmiggiani, Angelo Giuliani, Matteo Leonida Mattheudakis, Flavio Argirò

Hanno diretto la Rivista:

Pietro Nuvolone dal 1967 al 1984 Mario Pisani dal 1985 al 1996

Realizzazione editoriale

Studio Editoriale Cafagna, Barletta

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 81, in data 27 marzo 2015 N° 1/2016

Finito di stampare nel mese di febbraio 2016

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L’INDICE PENALE

Rivista fondata da PIETRO NUVOLONE

Diretta da ALESSIO LANZI

Tra l’altro in questo numero:

– lluminismo e diritto penale dell’economia – In tema di colpa

– La particolare tenuità del fatto – L’abnormità

– L’organizzazione nelle fattispecie associative

– Temi della giustizia penale minorile

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Per essere pubblicati nelle rubriche “Saggi e studi”, “Rassegne critiche di giurisprudenza”

e “Diritto penale europeo, internazionale e comparato”, i lavori -ad eccezione di quelli a firma di professori ordinari nelle discipline penalistiche o processualpenalistiche- vengono sottoposti a revisione e valutazione.

Tali procedure vengono svolte -in forma anonima- da parte di almeno un professore ordi- nario della materia interessata, estraneo rispetto alla compagine della Rivista.

Sono esentati dalla “valutazione esterna” i lavori presentati, e già valutati, da un compo- nente della Direzione o del Comitato Scientifico della Rivista.

La procedura di valutazione viene attivata dal Direttore responsabile, trasmettendo, in forma anonima, il lavoro al valutatore esterno.

Questi, esaminato il contributo, compila e sottoscrive una scheda con la quale esprime il proprio giudizio, favorevole o sfavorevole alla pubblicazione; se del caso, può anche espri- mere un giudizio “positivo condizionato”, segnalando la necessità di modifiche; in tal caso il lavoro potrà essere pubblicato solo se l’Autore lo adeguerà a quanto indicatogli.

Le schede di valutazione a firma del valutatore esterno sono conservate – in modo riservato – dal Direttore responsabile.

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(n. 1 – gennaio-aprile 2016)

Saggi e studi

Alessio lAnzi – Il flebile incrocio tra illuminismo, legalità e diritto

penale dell’economia ... 1 luigi stortoni – La categoria della colpa tra oggettivismo e sog-

gettivismo (che ne è della colpa penale?!) ... 9 Alfredo gAito – elvirA nAdiA lA roccA – Processo penale, abuso

ed economia... 22 ignAzio giAconA – La nuova causa di non punibilità per particolare

tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), tra esigenze deflattive e di bi-

lanciamento dei princìpi costituzionali ... 38 giuseppe MAriA pAlMieri – La prevalenza di interessi patrimoniali

nella disciplina del riciclaggio e la punibilità dell’autoriciclaggio

come simbolica incriminazione del bis in eadem ... 57 siMonA tigAno – La violenza familiare tra differenze di genere e

politiche repressive ... 78

Rassegne critiche di giurisprudenza; note e commenti

elenA MAriA cAtAlAno – L’abnormità tra crisi della legalità e crisi

della Cassazione ... 113 giovAnnA AMAto – Uno studio sul concetto di “organizzazione”

nelle fattispecie associative: storia di un espediente retorico ... 139 rAffAele BiAnchetti – Giustizia penale minorile, disturbi di per-

sonalità e trattamento criminologico in età evolutiva: disamina

di un emblematico caso giudiziario ... 179

Temi e questioni della giustizia penale

dArio scArpA – Procedimentalizzazione della condotta degli am- ministratori di s.p.a. in funzione dello studio del diritto penale

delle società ... 209

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Diritto penale europeo, internazionale e comparato

nunzio rAiMondi – Dialogo tra le Corti e protezione dei diritti fon-

damentali (Stato dell’arte dell’armonizzazione in materia penale) ... 245 enrico lAnzA – Il matrimonio forzato fra problemi definitori e ob-

bligo di penalizzazione ... 294

Vecchie pagine e prospettive storiche

AndreA Apollonio – Il processo a Pasolini difeso da Alfredo De Marsico. L’incriminazione a Benevento de “I racconti di Canter-

bury”: rilevanza storica e giuridica di una vicenda “inesplorata” ... 355

Recensioni e schede

MAtteo l. MAttheudAkis, recensione a Stefano Canestrari,

Principi di biodiritto penale ... 375 Hanno collaborato ... 379

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IL FLEBILE INCROCIO TRA ILLUMINISMO,

LEGALITÀ E DIRITTO PENALE DELL’ECONOMIA (*)

soMMArio: 1. Premesse: il quadro concettuale di riferimento. – 2. Tematiche di ordine applicativo.

– 3. I temi delle recenti riforme. – 4. L’autoriciclaggio. – 5. Le false comunicazioni sociali. – 6.

La norma transitoria sull’abuso del diritto. – 7. Conclusioni.

1. Premesse: il quadro concettuale di riferimento

Quando il tema della tradizione illuministico-liberale, e il conseguente princi- pio di legalità, si incrocia con il diritto penale dell’economia, la visione d’insieme che ne deriva si presta a molteplici considerazioni.

Dato che recentemente, come vedremo in seguito, è stato messo in discussione (e anzi modificato) anche lo stesso significato letterale -convenzionalmente acqui- sito- dei termini, sarà bene premettere brevemente a cosa qui ci riferiamo.

Orbene, fra i vari tratti e le componenti dell’illuminismo, e specie del cosid- detto “iiluminismo giuridico”, sottolineamo la concezione di attribuire un ruolo centrale alla Persona Umana e alla sua libertà di autodeterminarsi in un mondo in cui nel diritto positivo deve essere racchiusa la razionalità di tutto il diritto, anche di quello naturale; in un tale scenario, alla Legge, e solo ad essa, viene affidato il compito di tradurre in diritto vigente qualsivoglia regola di comportamento.

Una tale Legge deve essere conoscibile a priori e intellegibile nei suoi contenuti, in modo tale da non lasciar adito a dubbi di sorta. Lo stesso Giudice, che è l’unico che la può applicare, ne è strettamente vincolato, senza alcuno spazio per interpre- tazioni e applicazioni creative.

Tali principi sono poi ampiamente refluiti nello stesso concetto di legalità accol- to e espresso nella Costituzione (specie articoli 25 e 101) ove si richiede la “riserva assoluta di legge” non solo per delimitare il campo del penalmente rilevante e per consentire un esercizio “condiviso” dell’opzione penale, ma anche per garantire la

(*) Il presente scritto riproduce in parte il testo della relazione tenuta dall’autore al Convegno di Cagliari (“La tradizione illuministico-liberale dell’Europa e i nuovi pericoli per le libertà individua- li”) del 23.10.2015.

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intellegibilità delle disposizioni e dei loro perimetri applicativi (determinatezza), nonché per avere certezza di ciò che è illecito e di ciò che non lo è (tassatività);

ove si richiede, altresì, la “irretroattività della norma penale”, per consentire che l’individuo conosca il precetto, e le sue conseguenze, e sia così libero di autode- terminarsi con cognizione di causa; tutto ciò mentre l’unica “sottoposizione” alla quale è soggetto il Giudice è costituita dalla Legge: in modo tale che viene così garantito nella sua libertà di iuris dicere, ma al tempo stesso “limitato” da quanto è espressamente, chiaramente e tassativamente scritto nella stessa Legge e a quanto da questa indicato.

In un tale quadro di referenti ideologico - culturali, il diritto penale dell’econo- mia, vale a dire quel settore del diritto che individua e delimita i confini dell’illiceità penale nel settore dei comportamenti che si svolgono nella macroarea economica, ha pieno titolo e cittadinanza nel Sistema Penale1; anzi, ne è parte rilevante e alta- mente qualificata, perché attiene a fenomeni e condotte che hanno la massima inci- denza nella struttura, nell’assetto e nella conduzione di una collettività organizzata.

Tanto doverosamente premesso, nelle pagine che seguono cercheremo di svol- gere una qualche disamina sulla “situazione” del diritto penale dell’economia, nel- la prospettiva della sua applicazione e della sua normazione.

2. Tematiche di ordine applicativo

Innanzitutto soffermiamoci dunque su tematiche di ordine applicativo. La que- stione riguarda pertanto l’applicazione che si fa delle fattispecie relative alla crimi- nalità economica.

Diciamo subito che si tratta di un’applicazione peculiare rispetto a quella rela- tiva agli altri settori del diritto penale; peculiare e particolare a tal punto da dero- gare, e non poco, a quella che dovrebbe essere una ricaduta lineare e puntuale dei principi illuministici nell’ambito della giustizia penale.

Se infatti questi ultimi - come visto - militano a favore di una normativa penale cogente e inderogabile in sede applicativa (addirittura scevra della componente interpretativa2), che ha generato, tra l’altro, lo ribadiamo, i principi della stretta legalità, pensando a talune rilevanti applicazioni del diritto penale dell’economia si nota agevolmente come queste ultime rispondano a principi diversi (difesa sociale, deterrenza della sanzione, prevenzione affidata all’intervento giurisprudenziale e via dicendo).

Si consideri, ad esempio, il tema della responsabilità omissiva impropria, fonda- ta sull’equivalenza causale dell’inottemperanza dell’obbligo impeditivo. Orbene,

1 Secondo la visione di Pietro Nuvolone, rappresentata – appunto – nella Introduzione a Il Siste- ma del Diritto Penale, fin dalla sua prima edizione, Padova, Ed. Cedam, 1975.

2 Sul tema si veda A. cAdoppi, Perché il cittadino possa “...esattamente calcolare gli inconvenienti di un misfatto” - Attualità e limiti del pensiero di Beccaria in tema di legalità, ne L’Indice Penale, 2015, p. 572 ss.

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lo schema legale dell’art. 40 capoverso del codice penale è applicato in modo del tutto difforme da quanto accade per altri settori degli illeciti, quali quelli relativi alla vita e all’incolumità delle persone.

In luogo di una contingente contiguità con (e relativa percezione de) l’illecito da impedire, ci si basa esclusivamente su “segnali d’allarme” che “si sarebbero dovuti avvertire”; un concreto “accertamento contraffattuale” è, di fatto, quasi sempre completamente escluso; il trend non muta poi rispetto all’individuazio- ne del dolo punibile, che scaturisce in modo quasi esclusivo dalla violazione dell’obbligo di informarsi e di agire informati, fino ad annullare - nell’abusato schema del dolo eventuale - ogni effettiva componente volitiva del delitto da altri commesso.

Nell’ambito del diritto penale tributario, poi, l’applicazione giurisprudenzia- le ha portato a vere e proprie attività creative, che hanno (almeno fino ad oggi) appiattito la stessa rilevanza semantica della “fittizietà” a mera “indeducibilità di quanto realmente esistente”3; che hanno ravvisato tipologie di falso ideologico do- cumentale in casi di semplice inopponibilità in sede fiscale: così nel caso di “fat- ture false per sovrafatturazione qualitativa” (ravvisata pur nel caso di un quantum realmente pagato in relazione a beni o servizi effettivamente ricevuti)4; che hanno, almeno talvolta, ravvisato la rilevanza penale di fatti di particolare tecnicità in re- lazione a fattispecie tipiche all’evidenza non riproduttive di quegli stessi fatti (così nel caso, nel vigore della vecchia formulazione dell’art. 3 del d.lgs. 74/2000, della dichiarazione di consolidato fiscale ricondotta all’ipotesi di frode fiscale)5.

E una tale creatività non si è limitata ad applicare ipotesi tipiche a fattispecie concrete da esse difformi, ma si è anche spinta all’abrogazione - di fatto - di ben precisi principi e regole disposte in sede legislativa; così con riferimento alle (non considerate) deroghe all’istituto del concorso di persone sancite all’art. 9 del d.lgs.

74/2000; al principio di specialità di cui all’art. 19 di tale decreto6; e l’elencazione potrebbe agevolmente continuare.

In pratica, come si è talvolta teorizzato, i Giudici, nel labirinto7 delle varie di- sposizioni legislative, si sono “orientati” rispondendo a varie esigenze di razionalità ed efficacia della legislazione penale facendo ricorso al cosiddetto “diritto vivente”;

vale a dire ad una interpretazione e applicazione “creativa” delle regole del diritto.

Che tutto ciò sia in pieno contrasto con le matrici e i dettami dell’“illuminismo”

è fuor di dubbio; che sia anche in contrasto coi principi e le aspettative costituzio- nali è possibile.

3 In tal senso praticamente tutta la giurisprudenza degli ultimi anni precedente alla riforma del settembre 2015: Cass., Sez. III pen, 26.11.2008, n. 3203; Id., 22.11.2011, n. 7739.

4 Sul tema si veda Cass., Sez. III pen., 21.5.2013, n. 28352; Id., 15.7.2011, n. 30250.

5 Così, seppur in termini apodittici, Cass., Sez. I pen., 10.10.2013, n. 43899 e Trib. Milano 8.7.2014, n. 8181.

6 Cass. SS. UU., 28.3.2013 n. 37425 e n. 37424.

7 Secondo la felice formulazione coniata da V. MAnes nel volume, Il giudice nel labirinto - Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali, Ed. Dike, Roma, 2012.

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Certo quanto sopra non sembra in linea col chiaro disposto dell’art. 101 della Costituzione, come visto norma di garanzia per i consociati ma anche di limite per i Giudici.

Come spesso, del resto – in modo provocatorio – si sottolinea, in tale norma è

“palindromo” il numero (101), ma non lo è il contenuto della disposizione8. Certo si è che le “creatività” giurisprudenziali, nel settore penale economico, non si limitano – come per altri settori – a effetti di rilievo nella caratterizzazione e nell’organizzazione sociale della comunità, ma – trattandosi appunto di “eco- nomia” – incidono sullo stesso assetto della struttura e dell’organizzazione dello Stato9.

3. I temi delle recenti riforme

Venendo ora al tema della normazione e dunque alle recenti riforme, sembra che una valutazione piuttosto esaustiva si possa basare su almeno tre emblematici casi di interventi legislativi che hanno voluto dichiaratamente incidere, prepoten- temente, sull’assetto del diritto penale dell’economia.

Mi riferisco ai nuovi reati di autoriciclaggio, a quelli di false comunicazioni so- ciali e alle previsioni relative alla ricaduta penalistica dell’elusione fiscale.

4. L’autoriciclaggio

Orbene, con l’introduzione nell’ordinamento penale del delitto di autoriciclag- gio (art. 648 ter. 1 del codice penale) il legislatore ha ritenuto, probabilmente, di contrastare in modo efficace la criminalità, specie economica, e di approntare rafforzata e adeguata tutela alle regole della libera concorrenza di mercato fra ope- ratori10.

Ne è sortita, come bisogna ammettere senza ipocrasie e/o prospettive di capta- tio benevolentiae, una disposizione di incerta coerenza sistematica che se non sarà accompagnata da una “illuminata” rivisitazione giurisprudenziale di alcune linee interpretative11, rischia di divenire “destabilizzante” per il Sistema penale e la sua applicazione.

Si pensi, a tal proposito, all’individuazione del reato presupposto del riciclag- gio, allo stato confinato in una generica “prova logica” dagli sfuggenti connotati

8 Su tali temi R. rAMpioni, Dalla parte degli “ingenui”, Ed. Cedam, Padova, 2007.

9 Si pensi anche solo alle ripercussioni di Cass., Sez. feriale, 1.8.2013., n. 35729, espressasi in linea col filone del rilievo penale fraudolento della “sovrafatturazione qualitativa”.

10 Così ha ritenuto F. MucciArelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Diritto penale contemporaneo, 24 dicembre 2014.

11 Sul punto mi permetto rinviare al mio scritto L’autoriciclaggio e la necessità di un intervento di

“razionalizzazione” da parte della giurisprudenza, ne L’Indice Penale, 2015, p. 1 ss.

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strutturali; si pensi a talune applicazioni “estensive” dell’articolo 170, c. 1, c.p., che consentirebbero di non porre alcun limite temporale al nuovo reato; si pensi, ancora, all’ultimo comma dell’articolo 648 c.p.: richiamato anche per il nuovo re- ato col rischio - se interpretato alla lettera - di generare conseguenze paradossali (l’autore di un fatto presupposto non punibile o non imputabile che risponde poi di autoriciclaggio!).

In pratica, con tale previsione normativa si è completamente alterato il rilievo che la dimensione e il decorso temporale attribuiscono alla esistenza e alla punibi- lità di un illecito; si è praticamente appiattita e uniformata la dimensione sanziona- toria pur in presenza di situazioni e di condotte relative a disvalori fra loro diversi anche qualitativamente; si è consentita la creazione di oggettività giuridiche (tipo:

il perenne controllo delle attività economiche di un soggetto) al di fuori del cata- logo dei beni di rilievo costituzionale; si è probabilmente esteso (si pensi al caso in cui il delitto presupposto sia un reato tributario fondato sull’evasione d’imposte) il concetto di “equivalenza” dal settore della sanzione pecuniaria alla dimensione sostanziale dell’illecito.

Dunque, una novella tanto osannata quale “bandiera” per la lotta della politica alla criminalità economica, è in realtà “disallineata” rispetto al “Sistema” penale nel quale si inserisce, e per non essere addirittura “destabilizzante” nei confronti dei consociati richiederà un oculato, moderato e sereno impiego da parte della magistratura.

Il tutto nella triste consapevolezza che essendo potenzialmente tali e tante le possibili consumazioni di questo reato, si è sostanzialmente istituzionalizzata la facoltà di procedere penalmente all’esito di scelte del tutto discrezionali (se non arbitrarie), in chiara antitesi col principio di obbligatorietà dell’azione penale.

Che tutto ciò sia avvertito da taluno come necessario in un momento di partico- lare diffusione della criminalità economica, è possibile.

Certo bisogna essere chiari nel sottolineare come in tal modo si sia deciso di orientarsi verso una forma di stato diversa dal vero e proprio “stato di diritto” di stampo liberale; dandosi così vita ad un ordinamento giuridico nel quale ciò che particolarmente interessa, e che così assurge a vera e propria oggettività giuridica, come si è già detto, è la possibilità di perenne monitoraggio, controllo ed interven- to, sulle attività economiche dei consociati.

Al di là di tutto, siamo anni luce lontani dai principi illuministici fondanti la civiltà occidentale!

5. Le false comunicazioni sociali

Altra riforma di particolare interesse è quella che ha riguardato il reato di false comunicazioni sociali.

Come è noto, dopo circa tredici anni di perenne e pervicace disinformazione volta a far credere che i reati di false comunicazioni sociali fossero stati depenalizzati con la riforma del 2002 (d.lgs. 61/2002), il legislatore del 2015 ha modificato quegli

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illeciti (l. 69/2015), riscrivendo gli articoli 2621 e 2622 del codice civile e inserendo le nuove norme di cui agli articoli 2621 bis e 2621 ter; ciò, principalmente, col di- chiarato scopo di reintrodurre (!) il rilievo penale delle false comunicazioni sociali12.

Il risultato che ne è sortito è surreale e, al tempo stesso, tragicomico!

La prima applicazione giurisprudenziale della nuova fattispecie, infatti, ha san- cito, in termini inequivoci, l’intervenuta depenalizzazione del reato relativo al falso valutativo, e ha così mandato assolti quanti, nel vigore della vecchia legge, erano stati condannati per bancarotta fraudolenta a seguito di false comunicazioni sociali relative a valutazioni inesatte13.

Un bel risultato, non c’è che dire!

Non sono allora mancati quanti hanno subito cercato di correre ai ripari14 (forse anche per salvare la dignità dell’“improvvido” legislatore e dei suoi mentori).

In tal modo si è scatenata una “gustosa” querelle a distanza tra i fautori della de- penalizzazione e quelli della continuità normativa del rilievo penale delle valutazioni.

In realtà, per quanto si voglia dire, non vi è chi non veda: che il riferimento alle false valutazioni è stato inequivocabilmente eliminato, mentre prima vi era;

che continua ad esistere in altre ipotesi (es.: ex art. 2638 c.c., dichiarazione fiscale infedele); che un falso qualitativo e valutativo è diverso da un falso quantitativo.

La tesi della continuità di rilevanza penale, poi, si indebolisce grandemente nel- la misura in cui ricorre a una esegesi che si fonda (e non potrebbe essere altrimenti) esclusivamente su concetti di non comune percezione, relativi a raffinate tematiche della linguistica.

Addirittura, una recente giurisprudenza15, per ritenere ancora punibile il falso va- lutativo, pur alla luce della nuova fattispecie che non lo prevede, ha dovuto ricorrere - in sintesi - alla seguente argomentazione: la locuzione linguistica usata dalla norma

“fatti materiali rilevanti”, va letta come “dati informativi essenziali fuorvianti” (!).

A questo punto si potrebbe sostenere tutto e il suo esatto contrario.

A ben vedere siamo anche oltre la violazione del principio di legalità; siamo alla negazione della convenzionalità del linguaggio e della relazione fra “significante” e

“significato” che è alla base di ogni lingua umana.

Tanto per capirci e senza essere banali: la “riserva di legge” presuppone una legge scritta in una data lingua (per noi, l’italiano); la lingua si esprime attraverso termini (i significanti) che convenzionalmente rappresentano dei concetti (i significati).

La collettività che utilizza quella lingua necessariamente fa capo a quella “con- venzione” (che, se si vuole, è riprodotta nei vocabolari).

12 In relazione a ciò, inequivocabilmente, si veda la relazione alla nuova normativa.

13 Si veda Cass., Sez. V penale, 16.6.2015 n. 33774. Successivamente, anche Cass., Sez. V penale, 8.1.2016, n. 6916 ha confermato tale linea interpretativa.

14 Così F. MucciArelli, Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in Diritto pe- nale contemporaneo, 18 giugno 2015; M. gAMBArdellA, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen., 2015, p. 1738 ss.

15 Cass., Sez. V penale, 12.1.2016 n. 890.

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Per tornare a temi di rilevanza giuridica: l’individuo si determina e si comporta, deve potersi determinare e comportare, nella richiesta e necessaria conoscibilità e riconoscibilità di quanto la legge scritta prevede; se si modifica il significato dei termini senza che ciò sia di pubblico dominio, evidentemente dal Sistema si entra nel Caos.

E questo è quanto, forse, sta accadendo.

E del resto non va sottaciuto che la decisione in esame fa espresso riferimento a una “...formulazione “(normativa)” in termini volutamente generici ed indeter- minati...” che, pertanto, dovrebbe demandare “...al giudice il compito di specifica determinazione...”.

Chiaro dunque come in tal modo si sia, appunto e in ogni caso, oltre il principio di legalità espresso dalla Costituzione.

In realtà, ciò che veramente sta alla base di tutto, è la considerazione che la nuo- va norma, col suo nuovo dettato, è chiaramente “illogica” e “irrazionale” (ma, lo abbiamo già detto, si deve presumere che nella legge vi sia la razionalità del diritto;

altrimenti si deve far ricorso agli strumenti previsti per modificarla).

In un tale contesto vanno allora fatte due considerazioni:

– la prima è quella del “perché” e del “cui prodest”; i giuristi, che in fin dei con- ti coltivano una “scienza sociale”, dovrebbero infatti - anziché arrovellarsi nella prospettiva di salvare il non salvabile (= una fattispecie che punisca il falso valuta- tivo) - più proficuamente soffermarsi ad analizzare i “motivi” per cui si è arrivati a tanto: chi, e perché, ha voluto togliere dalla disposizione l’esplicito riferimento alle valutazioni (in considerazione del fatto che la modifica normativa interviene in uno scenario economico di grave allarme, specie in relazione a soggetti economici per i quali le valutazioni sono del tutto fisiologiche);

– la seconda riguarda la constatazione di quanto sia contrastante coi principi dell’illuminismo e della legalità il tentativo volto a cercare di razionalizzare un qua- dro normativo in modo difforme da quanto è chiaramente scritto e previsto nella legge.

Un tema sul quale quanti saranno chiamati a decidere definitivamente si do- vranno necessariamente confrontare, manifestando così in quale filone culturale e ideologico si vorranno inserire.

6. La norma transitoria sull’abuso del diritto

Da ultimo, ma non per ultimo - data l’incredibile manifestazione di mancata considerazione del principio, direttamente e indirettamente costituzionale, della retroazione della norma penale favorevole - va segnalato il regime transitorio che si sarebbe voluto attribuire alle ricadute penalistiche della recente disciplina dell’elu- sione fiscale (d.lgs. 128/2015).

Infatti la disposizione transitoria contenuta nel quinto comma dell’art. 1 del d.lgs. 128/2015, testualmente prevede che le nuove disposizioni relative all’elusio-

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ne fiscale e all’abuso del diritto (tra le quali quelle sulla loro irrilevanza penale) non si applicano in relazione a fatti per i quali sia già stato notificato un atto impositivo.

Chiara dunque la volontà della legge ordinaria di porre un preciso limite ad una incondizionata retroazione della norma favorevole, addirittura abolitiva della (eventuale) rilevanza penale di un fatto.

Ciò -almeno apparentemente, in linea con l’articolo 25, secondo comma, della Costituzione, ma in aperto contrasto con l’articolo 2, secondo comma, del codice penale- presenta però all’evidenza ampi spazi di illegittimità, tanto in relazione all’articolo 3 della Costituzione (così come indicato, già da tempo, in tema di re- troazione della norma favorevole, dalla Corte Costituzionale16), quanto rispetto all’articolo 117, comma 1 della stessa Costituzione, in relazione all’interpretazione fornita dalla cosiddetta “sentenza Scoppola” della Corte EDU di Strasburgo sulla retroazione della norma favorevole17; e in relazione ai criteri di applicazione di una tale fonte di diritto, da ultimo espressi dalla Corte Costituzionale favorevole ad una loro diretta applicazione da parte del giudice nazionale18.

Francamente sembra veramente incredibile che il legislatore governativo (d.lgs.

128/2015), a fronte di tutto ciò, abbia emesso una norma transitoria quale quella qui in discussione.

I casi sono due: o la mancata conoscenza delle tematiche e degli sviluppi della retroazione delle norme penali; o il volontario superamento di tali discipline, forse in considerazione e a tutela di una sorta di “ragion di stato fiscale”19.

7. Conclusioni

Comunque sia, è chiaro che il moderno legislatore ha ormai da tempo abban- donato le linee guida di un diritto penale di stampo liberale, generato dai principi illuministici.

C’è però da augurarsi che le prossime mosse, in sede applicativa, non mirino addirittura ad abbandonare anche il modello di un ordinamento fondato sul prin- cipio di legalità e sugli altri principi costituzionali.

Se così fosse, c’è da sperare che la comunità penalistica (intendendosi con ciò tutti gli operatori della giustizia penale; primi fra tutti le magistrature, l’accademia, le classi professionali) sappia trovare gli antidoti del caso per il ripristino e la riaf- fermazione di un vero e proprio Sistema penale, codificato e applicato.

Alessio lAnzi

16 Corte Cost., 23.11.2006, n. 394.

17 Corte EDU, Grande Camera, 17.9.2009, causa Scoppola/Italia.

18 Corte Cost., 26.3.2015, n. 49.

19 Va ricordato, del resto, che una versione governativa (poi decaduta) della norma transitoria relativa alla riforma penale tributaria, prevedeva addirittura un “vigore a tempo” della abolizione di talune responsabilità penali, in uno schema riconducibile alle c.d. norme temporanee (!).

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TRA OGGETTIVISMO E SOGGETTIVISMO (CHE NE È DELLA COLPA PENALE?!) (*)

soMMArio: 1. Tediosa premessa. – 2. Ricognizione dell’esistente: il legislatore. – 3. La dottrina. – 4.

La giurisprudenza: in generale. – 5. Lo scopo della norma. – 6. La interpretazione delle singole regole cautelari. – 7. Causalità o casualità. – 8. Indistinguibilità dei dati oggettivo e soggettivo della colpa. – 9. Opposti segni: non univoci, in diversa materia e con lo zampino del legislatore.

– 10. Conclusioni.

1. Tediosa premessa

Riflettendo sull’impegnativo tema propostomi e considerando l’impossibilità – vuoi per la sua vastità, vuoi e ancor più per i limiti delle mie capacità – di una trattazione minimamente esaustiva, mi chiedevo come si atteggia oggi il problema della colpa, quale ne è o quali ne sono i nodi essenziali.

Da una considerazione complessiva dei dati percepibili ad una, se pur pano- ramica e quindi sommaria, ricognizione la risposta al quesito si risolveva in una ulteriore domanda il cui tenore si risolve in termini che potrei adottare – provoca- toriamente – a titolo della mia relazione “che ne è della colpa penale?”.

Provocazione intellettuale che emerge da una realtà a dir poco deludente che – se pure in modo non univoco – contraddistingue lo stato del problema e di cui tenterò di dare conto.

Premessa al discorso, utile in quanto lumeggia la rilevanza delle considerazioni che andrò a svolgere, è costituita dal ruolo progressivamente crescente che il reato colposo – e quindi la colpa – occupa nell’area della penalità.

Non c’è bisogno di ricordare come l’ampliamento della sfera della responsabili- tà colposa concerna beni di primario rilievo: salute, vita, sicurezza sul lavoro, inco- lumità pubblica, ambiente. A ciò si aggiunge il progressivo innalzamento dei livelli sanzionatori; dalla legge del 21-02-2006 (da 6 mesi a 2 anni per l’omicidio colposo)

(*) Testo della Relazione tenuta al Convegno svoltosi presso la Università di Pisa nei giorni 8/9 maggio 2015 dal titolo “Evoluzioni e Involuzioni delle categorie penalistiche”.

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a quella del 28-07-2008 che non ha solo drasticamente innalzato il massimo edittale ma che ha inciso in senso peggiorativo sul giudizio di comparazione tra circostan- ze. E ciò a tacere delle attuali incalzanti proposte in tema di “omicidio stradale”.

In realtà al delitto colposo si vuole affidare un compito di “rassicurazione socia- le” rispetto ai rischi tanto naturali quanto tecnologici che inevitabilmente incidono sulla vita umana: v’è oggi l’illusione che ogni pericolo può e dev’essere annullato ed ogni angoscia sedata da quello che – in uno scritto di tanti anni fa – chiamai l’“esorcismo penale”1.

Ma la pretesa è così grande e insoddisfacibile che mette a dura prova la catego- ria – già di per sé fragile – della “colpa” e può provocarne la degenerazione.

Lo sforzo della dottrina di concretizzare la responsabilità per colpa in termini:

a) di obbiettivizzazione della regola cautelare e quindi di certezza giuridica; b) di effettivo coefficiente psicologico, e quindi di reale colpevolezza, rischia di naufra- gare nelle secche della prassi. Eppure sono in gioco principi fondamentali del siste- ma, fin’anco di rilievo costituzionale: a) art. 25, 2° comma della Costituzione sotto il profilo della tassatività; b) art. 27, 1° e 3° comma della Carta nelle acquisizioni ottenute da dottrina e giurisprudenza a frutto – per così dire – di lunghe battaglie.

In verità coesistono e si contrappongono due forze vettorialmente opposte:

quella volta al potenziamento dei contenuti obbiettivi e subiettivi della colpa che la separi con nettezza dalla responsabilità obiettiva e quella opposta che – prin- cipalmente sotto l’urgenza dell’allarme sociale – tende inesorabilmente a farvela ricadere.

2. Ricognizione dell’esistente: il legislatore

Un possibile approccio al tema può essere costituito dall’esame delle posizioni e degli interventi dei vari soggetti che agiscono in materia; in specie il legislatore, la dottrina, la giurisprudenza.

L’intervento del primo si caratterizza – per così dire – per sostanziale impotenza sul piano generale e di fondo, per frammentarietà e contraddittorietà degli inter- venti specifici.

Quanto a questi ultimi, le sporadiche comparse si segnalano, da un verso, per i già cennati aumenti sanzionatori, dall’altro per una isolata presa di posizione – in qualche modo di opposto segno – in uno specifico settore, quello della responsa- bilità medica. Alludo evidentemente alla c.d. legge Balduzzi frutto – tornerò in chiusura, brevemente, sul tema – di un legislatore animato da buone intenzioni ma di certo non altrettanto perito.

Di tenore ben diverso e positivo contenuto, ma purtroppo di nessun effetto, i tentativi di operazioni più radicali: alludo alle formule che in tema di colpa fu-

1 Cfr. l. stortoni, Angoscia tecnologica ed esorcismo penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, p.

71 e ss.

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rono coniate nelle proposte di riforma del codice penale succedutesi negli ultimi 20/25 anni e – purtroppo – tutte naufragate: “formulare la definizione di colpa in modo che in tutte le forme di essa l’imputazione si fondi su un criterio strettamente personale” (Progetto Pagliaro 1988); “evento che si verifica come effetto prevedibi- le” (Progetto Ritz, 1995); “fatto di reato che è conseguenza prevedibile ed evitabile dell’inosservanza della regola cautelare” (Progetto Grosso, 1998); “evento dannoso o pericoloso…non voluto dall’agente, ma che si verifica come conseguenza prevedi- bile” (Progetto Nordio, 2001); “fatto, che, anche se rappresentato, non sia voluto dall’agente e questi lo realizzi come conseguenza concretamente prevedibile ed evita- bile” (Progetto Pisapia, 2006).

Come si vede formule che – in varia guisa ed in armonia con il migliore inse- gnamento – pongono l’accento sulla “prevedibilità” concreta e sull’“evitabilità”

dell’evento che, se si fossero tradotte in norme dell’ordinamento, avrebbero potu- to impedire abusi e distorsioni.

Nulla di ciò è accaduto ed è oggi impensabile una resipiscenza, quanto meno in tempi brevi, che induca il legislatore a tornare sul tema.

3. La dottrina

La scienza penale – almeno nella stragrande sua parte – si è adoperata e s’ado- pera a ribadire i contenuti garantistici della nozione di colpa riaffermando i canoni della necessità di certezza della regola cautelare, della c.d. copertura scientifica della sua causalità, della riferibilità del fatto all’autore. Tante potrebbero essere le citazioni; mi limiterò a rammentare i lavori di Giunta2 e di Castronuovo3 nonché i contributi al convegno annuale del 2012 che proprio al reato colposo dedicò l’As- sociazione Franco Bricola4 nel 2012.

Alla profondità di questi studi, alla chiarezza delle conclusioni raggiunte, però, non corrisponde certo l’incidenza nella realtà: non nulla ma non molto significa- tiva. Credo che colga bene il segno di questa realtà Giunta, quando precisa che la situazione della colpa è aspetto saliente di quella complessiva regressione della

“sensibilità garantistica” che Nobili denuncia come cifra dell’attuale “diritto pena- le, flou o moscio”5.

Gli fa eco, sul piano del c.d. elemento soggettivo della colpa, l’altro autore che ho citato – Castronuovo – quando avverte dei pericoli di una eccessiva e soprat- tutto esclusivizzante concezione “normativa” della stessa perché, se è pur vero che

2 Cfr. giuntA, Reato colposo e modelli di responsabilità - le forme attuali di un paradigma classico, a cura di Donini e Orlandi, BUP, Bologna, 2013, p. 69 e ss.

3 Cfr. cAstronuovo, La colpa “penale”. Misura soggettiva e colpa grave, in AA.VV., Reato colposo e modelli, cit., p. 183 ss.

4 Cfr. AA.vv. Reato colposo e modelli di responsabilità - le forme attuali di un paradigma classico, a cura di Donini e Orlandi, BUP, Bologna, 2013.

5 Cfr. giuntA, loc. ult. cit, p. 95.

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la colpa è innanzitutto violazione di regole cautelari, essa deve avere, al tempo stesso, un irrinunciabile coefficiente psicologico, e ciò perché egli scrive “la colpe- volezza non è un elemento negoziabile di un modello costituzionale di reato, seppure colposo”6.

La negativa diagnosi che egli formula sulla attuale situazione del diritto on the facts è che: “la colpa è sempre meno colpevolezza: oltre a non essere elemento psico- logico del reato, spesso non è nemmeno elemento soggettivo, riconducendosi sempre più a mera violazione di regole precauzionali in presenza dell’ingresso di un evento dannoso o pericoloso”7.

Diagnosi dicevo non confortante ma forse neanch’essa abbastanza realistica se è vero che – come a noi pare e come cercheremo di dimostrare – è la stessa regola precauzionale a farsi sempre più sfuggente, fino a svanire nella – incerta – giuri- sprudenza.

Ed è allora tempo di far riferimento proprio alla giurisprudenza ed alle concet- tualizzazioni che in questa materia vengono – più o meno chiaramente – formulate;

è dato oramai acquisito quello secondo cui la giurisprudenza tende oramai sempre più ad assumere (anche) questo ruolo di vera e propria elaborazione teorica.

4. La giurisprudenza: in generale

È qui il cuore del problema: il ruolo che il c.d. formante giurisprudenziale svol- ge rispetto ad un istituto, per così dire duttile e aperto quale è la colpa, diviene vieppiù significativo.

Ed è, quindi, comprensibile che proprio qui si registrano ristrutturazioni con- cettuali; sommovimenti tellurici che non è azzardato asserire di vera e propria ri- scrittura delle norme.

Viene da dire che quello che – come sopra osservavamo – al legislatore non è riuscito di fare, l’ha fatto il giudice, ma in direzione opposta, … a 180 gradi.

Certo – ed è doveroso precisarlo ed evidenziarlo – il quadro non è univoco:

quanto ho appena detto, e meglio confido illustrare, non vale per tutta la giurispru- denza, né per tutte le materie.

La situazione è, per così dire, a macchia di leopardo ma non è senza significato che il fenomeno di più si manifesti in materie particolarmente rilevanti: sicurezza sul lavoro, amianto, disastri ambientali, ecc…: in questi ambiti l’erosione dei pila- stri portanti della colpa mi pare sia tanto inequivoca quanto cospicua; non è forse eccessivo parlare di una loro vanificazione.

E ciò sia sul piano oggettivo sia su quello soggettivo.

A) Quanto al primo: la regola cautelare non è più tratta dalla previa valutazione dai pericoli derivanti da una data condotta secondo leggi verificabili: la logica della “pre-

6 Cfr. CAstronuovo, loc. ult. cit, p. 217.

7 Cfr. CAstronuovo, La colpa penale, Giuffrè, Milano, 2009, p. 572.

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venzione”, calata nello involucro della colpa, soppianta e spazza via la “prevedibilità”

e con essa la stessa certezza del diritto. Nella ben nota sentenza sul disastro di Sar- no8 – sulla quale torneremo – si asserisce che il Sindaco avrebbe dovuto prevedere la peggiore delle evenienze se pure “scientificamente non prospettabile”: altro che

“prevedibilità” secondo leggi scientifiche o equiparabili, o comunque certe!

Addio homo eiusdem condicionis ac professionis: l’agente qui non basta sia

“sciente”, né che sia “onnisciente”, deve essere vero veggente e prefigurarsi anche le ipotesi imprevedibili.

Alla rottura dell’argine garantistico costituito dalla esistenza/riconoscibilità del- la norma violata corrisponde quella del limite costituito dallo “scopo della norma violata”: costituisce oramai jus receptum quello per cui, in tema di contaminazione da amianto, lo scopo della norma – l’art. 21 DPR 303/1956 vigente all’epoca dei fatti – estende la sua copertura dalla malattia polmonare al tumore, nel più genera- le onnicomprensivo danno alla salute ed alla vita.

Al di là della da più parti denunciata surrettizia retroattività che viene ad insi- nuarsi nella applicazione della norma penale, c’è da chiedersi – rispetto al tema che ci occupa – se non sia questa un’evidente applicazione del criterio dell’“in re illicita versari” e cosa, a questo punto, separi l’imputazione per colpa dalla responsabilità oggettiva; con buona pace del principio di colpevolezza, così come sancito dalla stessa Corte Costituzionale almeno a far tempo dalla ormai storica sentenza 364 del 1988.

B) Sul piano soggettivo, se restiamo nell’ambito delle materie per così dire “sen- sibili” di cui sopra – diverso discorso almeno in parte vale e ne dirò per la re- sponsabilità medica – ben poco spazio è lasciato agli elementi di colpevolezza che dovrebbero separarla dalla (e aggiungersi alla) violazione della norma cautelare.

L’equazione errore/colpa pare indissolubile; di più, si registra, in certi casi, addirit- tura una paradossale inversione secondo cui l’“elemento soggettivo” amplia la sua portata preventiva fino a surrogarsi a quello oggettivo.

Il riferimento è ancora alla sentenza del caso Sarno nella quale il rimprovero può sostanzialmente esprimersi in termini di “non aver previsto ciò che…non era prevedibile!”.

In realtà il lamentato svuotamento della colpa, lo svilimento dei suoi elementi costitutivi, dei pilastri di garanzia su cui si regge ed il suo progressivo scivolamento verso l’in re illicita versari si attua da un lato per tappe, dall’altro sotto diversi pro- fili che può essere di un qualche interesse, sinteticamente, tratteggiare.

5. Lo scopo della norma

La prima trincea a cadere è stata quella costituita – come già dicevo – dal crite- rio dello “scopo della norma” cautelare; il fondamentale principio per cui, accertata

8 Cass. IV, 11.03.2010, n. 16761 (Pres. Mocali, Est. Brusco).

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la violazione della regola cautelare, si risponderà dei soli eventi che la norma era volta ad evitare, id est quelli rientranti – appunto – nello scopo della norma. Al di là di esso si torna al versari in re illicita9.

Principio, come già dicevo, travolto dalla sempre più omogenea giurisprudenza in tema di responsabilità per morte da amianto.

In realtà il germe di questo filone è ben più risalente: già nella pronuncia della Cassazione nel processo per il disastro conseguente al crollo della diga di sterili di Stava10 si affermava che l’oggetto del giudizio di prevedibilità non doveva essere ristretto all’evento dannoso nei termini in cui “si è concretamente verificato” posto che ciò che rileva è la “potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno”.

Già qui, quindi, si fa luce il nuovo criterio: anche le norme cautelari positivizza- te vanno rapportate non già a specifici eventi ma a generiche situazioni di danno.

Non ci si deve, quindi, meravigliare più di tanto se sedici anni dopo – nella sentenza relativa al Petrolchimico di Marghera11 - si enuncia con chiarezza il criterio per cui le norme cautelari alla base della colpa specifica sono deputate a scongiurare non singoli eventi ma tutti gli eventi lesivi associati alla situazione di danno.

Vero è che la sentenza, nel determinare le “conseguenze” ascrivibili alla con- dotta colposa, aggiunge che queste sono “[conseguenze] del tipo di quelle prese in considerazione nel momento in cui le regole cautelari sono state redatte”, ma la pre- cisazione è sostanzialmente vanificata dalla ulteriore specificazione “anche se non ancora interamente descritte e conosciute”. Il punto rilevante è, infatti, costituito dal fatto che si tratti di conseguenze sconosciute. D’altro canto ogni dubbio sulla portata della sentenza nel senso che ho sopra detto è fugato dalla considerazione del caso concreto sottoposto alla Corte nel quale la diversità tra l’evento “conosciu- to” – la malattia – e quello “sconosciuto” – la morte da tumore, è di tutta evidenza.

Si è quindi fuori del cono di luce costituito dalla prevedibilità e quindi dello scopo della norma cautelare; la logica che è alla base della decisione non può che essere quella della “precauzione” il cui principio migra dalla politica penale del legislatore – sua naturale sede – nella giurisprudenza.

La sentenza tenta di parare l’obiezione dicendo che non viene qui in gioco il principio di precauzione perché per esso basta il mero sospetto, mentre così non sarebbe nel caso in esame, ma la asserzione è immotivata e ben poco convincente ove si consideri che il criterio su cui la decisione si fonda è quello per cui la preve- dibilità di un generico danno alla salute ricomprende ogni ulteriore conseguenza per la vita, pur se non ancora conosciuta.

9 L’insopprimibile separazione dell’imputazione per colpa dal versari in re illicita si trova(va) già scolpita da G. MArinucci, La colpa per inosservanza di leggi, Milano, 1965, p. 207 ss.

10 Cass. IV, 6.12.1990, Bonetti ed altri (Pres. Lo Coco, Rel. Battisti), in Cass. Pen., 1992, 1411, p.

2726 e ss.

11 Cass. 17.05.06, n. 4675, (Pres. Coco, Rel. Brusco).

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Il velo cade – qualche anno dopo – ed il riferimento al principio di precauzione è apertamente confessato nella altrettanto nota sentenza del 2012 Fincantieri – Breda di Porto Marghera in tema di amianto nella quale ad esso è fatto esplicito riferimento12.

In questo contesto si collocano le numerose sentenze – sempre della IV sezione della Corte Suprema – che si sono succedute negli ultimi anni in tema – appunto – di esposizione ad amianto13 e ad altre sostanze nocive14.

Si aggiunga – incidenter tantum – che contribuisce ad esasperare la problema- tica delle responsabilità connesse all’amianto il grande sfasamento temporale tra condotta ed evento che contraddistingue questa materia.

La causalità differita pluridecennale lascia spazio ad un sentore di retroattività della penalità acuita – per toccare un tema scottante – dal fatto che la prescrizione decorre dal verificarsi dell’evento rispetto a condotte di venti o trenta anni prece- denti.

Costituisce compendio e summa della giurisprudenza esaminata la sentenza – sempre in tema di amianto – relativa alla Fincantieri Riva15 dalla quale si possono evincere questi principi: a) la “prevedibilità” riguarda anche rischi sconosciuti; b) si devono adottare cautele per evitare eventi dannosi anche se non preventivamente individuabili, basta il dubbio della possibile verificazione dell’evento; c) tutto ciò perché le regole che disciplinano l’elemento soggettivo hanno funzioni precauzio- nali, onde d) non basta il rispetto delle norme tecniche prescritte e adottate nella specifica materia perché “al di là del rispetto delle prescrizioni dettate a prevenire il pericolo e il danno c’è sempre un dovere di diligenza e prudenza…!!

Come sia possibile individuare cautele se non si conoscono gli eventi da evitare e in cosa si sostanzi un dovere precauzionale di diligenza e prudenza “al di là delle prescrizioni dettate” e adottate non è dato sapere né è possibile ipotizzare.

La verità è che, alla luce di queste proposizioni, la responsabilità colposa è af- fidata al puro caso!

6. La interpretazione delle singole regole cautelari

Lo stesso approdo – a mio avviso pernicioso per la certezza e concretezza della pena – è raggiunto operando, anziché sullo “scopo-evento” della norma cautelare, sulla “interpretazione” della stessa; anzi l’effetto è ancor più devastante.

La via è quella di distinguere, nell’ambito delle regole cautelari, tra quelle a contenuto “rigido” e quelle c.d. “ad ampio spettro”; meglio di ascrivere a questa seconda ipotizzata categoria alcune regole cautelari, segnatamente quelle che si in-

12 Cass. IV, 24.05.2012, n. 33311 (Pres. Brusco, Est. Grasso).

13 Tra le tante, Cass. IV 11.04.2008, n. 22165 (Pres. Est. Campanato).

14 Cass. IV, 03.07.2008, n. 37089 (pres. Marini, Est. Licari); Cass. IV, 22.11.2014, n. 11128 (Pres.

Foti, Est. Massafra); Cass. IV, 24.06.2011,n. 28796 (Pres. Marzano, Est. Brusco).

15 Cass. IV, 22.11.2007, n. 5117 (Pres. Morgigni, Est. Piccialli).

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tende invocare per ascrivere eventi non prevedibili a colpa. Queste ultime, infatti, sarebbero volte a scongiurare l’“astratta possibilità del verificarsi di eventi pur se allo stato ignoti” (sic!).

Norme quindi che divengono per così dire bonnes à tout faire.

Esempio tipico ne sarebbe – viene da dire “ovviamente” – l’art. 21 del DPR 303/56 sulla “difesa contro le polveri” che viene in rilievo, appunto, nella giurispru- denza che ho citato in tema di amianto.

Già in quelle sentenze v’è traccia di questo modo di argomentare ma è in una sentenza del 201116 che la tesi trova, per così dire, compiuto sviluppo. In essa, dopo operata la sopradetta distinzione, affrontando il problema del “tipo di even- to” come “concretizzazione del rischio” si giunge a dire che le “regole di condotta ad ampio spettro si limitano a dettare la regola di condotta in relazione all’astratta possi- bilità del verificarsi di eventi dannosi alcuni dei quali possono essere ancora ignoti”.

In realtà questa impostazione si basa su una confusione di categorie che si risol- ve in un travisamento concettuale. Se ne ha prova leggendo un’altra sentenza che pure sfrutta il dualismo sopradetto17 ma che, nel contrapporre le regole “rigide” a quelle “aperte” oggetto dei rilievi critici appena formulati, le confonde (colposa- mente?) con quelle “elastiche” che – di contro – possono avere legittimo ingresso nell’ambito della colpa.

Queste ultime, infatti, sono norme rispetto alle quali la determinazione della regola cautelare rilevante va ricavata dal riferimento al caso concreto: ne costitui- sce un esempio tipico l’art. 141 del codice della strada, alla cui stregua la velocità prudenziale va commisurata alla situazione specifica18.

Nulla a che fare con le norme “aperte”, o giudicate tali, di cui parla la sentenza criticata; in quest’ultima si legge che mentre le regole rigide, presuppongono un

“giudizio di idoneità ex ante (relativo alla attitudine della situazione considerata a cagionare l’evento)...formulato dallo stesso legislatore”, le altre sono contrassegnate da una ratio alla stregua della quale “il principio della concretizzazione del rischio che la regola stessa mira a prevenire va inteso con ragionevolezza, interpretando la re- gola cautelare non in senso formale e statico, ma… secondo criteri che tengono conto dell’evoluzione delle conoscenze e della possibilità di ricondurre comunque l’evento alle conseguenze della violazione delle regole di condotta, “ purché non esorbitanti

“dallo scopo perseguito nella redazione della regola cautelare”. Ne discende che le regole “elastiche” o “aperte” – delle quali l’organo giudicante ha reputato corretta l’applicazione nel caso sottoposto al suo esame – devono essere intese come quelle che si limitano a dettare cautele “in relazione alla astratta possibilità del verificarsi di eventi dannosi”, anche di quelli ignoti al legislatore dell’epoca.

La “truffa delle etichette” non impedisce di avvedersi del fatto che, in questo modo, il dato oggettivo – meglio: asseritamente oggettivo – della colpa finisce per

16 Cass. IV, 12.10.2011, n. 46819 (Pres. Morgigni, Est. Romis).

17 Cass. IV, 16.02.2012, n. 17169 (Pres. Marzano, Est. Piccialli).

18 Così chiaramente e correttamente: Cass. IV, 06.07.2007, n. 37606 (Pres. Battisti, Est. Blaiotta).

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svanire e che tutto ciò risulta incompatibile con l’art. 27, 2° comma, prima ancora che con l’art. 27, 1° e 3° comma della Costituzione.

7. Causalità o casualità

La quaestio che – per così dire – coagula tutti i dati critici sin qui esaminati cre- do sia quella costituita dalla c.d. “causalità della colpa”: qui si incrociano i profili obbiettivi e subbiettivi neutralizzandosi a vicenda.

Ed anche questo ultimo baluardo cade – nella giurisprudenza della Corte rego- latrice – sotto i colpi del principio di precauzione quando esso – io già lo rilevavo – da indirizzo di politica penale per il legislatore si fa criterio ermeneutico dei canoni della colpa penale.

Ciò che si registra – e già ve n’è segno in molte sentenze che ho già citato – è il totale abbandono, nell’accertamento della colpa – e segnatamente della “prevedi- bilità” – di qualsivoglia riferimento a leggi scientifiche o similia.

È ricorrente l’affermazione – mi limito a richiamare la già citata sentenza Fin- cantieri Riva – Trigoso19 – che la funzione precauzionale della colpa fa si che non si possa e non si debba tener conto della preventiva determinazione dell’evento secondo regole scientifiche, ma si debbano considerare anche eventi individuabili

“secondo la concretezza … del rischio”.

L’incolmabile incertezza che il disancoramento da regole certe ed accreditate e l’adozione a parametro esclusivo del rischio provocano non è certo compensato dall’accento posto sulla “concretezza” con cui si etichetta il rischio stesso; se mai ciò costituisce ipocrita ossimoro se non inconfessata consapevolezza della vanificazio- ne di qualsivoglia “concretezza” della nozione di colpa.

Ove se ne abbia dubbio basterà leggere i brani della sentenza in questione, che seguono quello appena citato, ove è precisato che “in tema di ambiente e di tutela della vita e della salute dei consociati, il rischio diviene concreto anche solo laddove la mancata adozione delle cautele preventive possa indurre il dubbio “concreto” [ne- retto e virgolettatura nostri] della verificazione dell’evento dannoso”.

E più sotto che “l’obbligo di prevenzione [idem], infatti, è di tale spessore che non può escludersi una responsabilità”... anche se l’autore ha agito “rispettando le norme tecniche in materia”.

8. Indistinguibilità dei dati oggettivo e soggettivo della colpa

Se, tornando al titolo del tema assegnatomi, ad esso si rapporta quanto sono andato osservando, l’ulteriore deduzione che credo se ne possa trarre è la impossi- bilità di distinguere il profilo oggettivo e soggettivo della colpa.

19 Cass. 22.11.2007, n. 5117, cit.

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Il percorso verso la dissoluzione della colpa si compie perdendo anche il rife- rimento a quell’evento intermedio costituito dall’evento prevedibile interno allo scopo della norma, trampolino di lancio verso quello sconosciuto tipico della giu- risprudenza sull’amianto: asbestosi/mesotelioma.

Esemplare la più volte menzionata sentenza relativa al disastro di Sarno sulla quale quindi val la pena soffermarsi ancora per la rilevanza dei suoi enunciati. Gio- va premettere, in punto di fatto, che, a Sarno, prima del disastro si erano verificati modici episodi alluvionali che secondo criteri scientifici, che la sentenza non con- testa, non rendevano prevedibile l’immane colata di fango poi verificatasi.

La Corte, dopo aver asserito che, in linea generale, la prevedibilità va an- corato alla “migliore scienza ed esperienza”, subito dopo l’affranca e la scioglie da siffatto riferimento affermando che, però, in materia di colpa “le regole che disciplinano l’elemento soggettivo hanno funzione precauzionale e la precauzione richiede che si adottino certe cautele anche se è dubbio che la mancata adozione pro- vochi eventi dannosi”. Di fatto, lo scostamento dai livelli scientifici richiesti per la prova della causalità viene esplicitato precisando che, mentre per la causalità ci si deve chiedere se, eliminando la condotta, l’evento non si sarebbe verificato “con alto grado di credibilità razionale”, “ben inferiore è la soglia che impone l’adozio- ne della regola cautelare”. Stante la natura “preventiva” di tali regole, si ritiene obbligatoria la loro adozione quando ancora “non siano eliminati i dubbi” sulla pericolosità di una determinata condotta. In altri termini, l’obbligo della loro osservanza scatta ben prima che della condotta, alla quale si riferiscono, venga asseverata – ex ante – l’idoneità causale, ove queste non vengano rispettate, a produrre eventi dannosi.

La conclusione è tanto chiara quanto sconvolgente: mentre, nel delitto colposo di evento, non ci può essere causalità senza colpa, ci può essere colpa senza causa- lità: evidenti, ci sembrano, gli effetti devastanti che questo assunto comporta per l’edificio del delitto colposo.

Parimenti lampante è la logica che vi è sottostante: questa è quella propria del principio di precauzione, pronto ad etichettare come colpose condotte i cui collegamenti con l’evento gravitano ancora nel cono dell’incertezza scientifica. La sentenza su Sarno lo nega espressamente, specificando che l’area di applicazione del principio di precauzione è quella legata ad altri campi di materie, quali onde elettromagnetiche, OGM, telefonia cellulare. Settori, questi, nei quali sugli oggetti in questione grava soltanto un sospetto di pericolosità. Ciò laddove non sarebbe pertinente evocare questo principio nei casi nei quali da una determinata condotta sia già derivato un danno.

Anche ammettendone la fondatezza, quest’impostazione sta e cade, peraltro, solo ove si postuli un’omogeneità di grandezza tra i danni già intervenuti e quelli dei quali si dovrebbe prevedere la verificazione. Situazione, questa, non riscontra- bile nella vicenda di Sarno, di portata infinitesimale presentandosi i danni associati alle precedenti alluvioni rispetto a quelli disastrosi collegati agli eventi del maggio 1998.

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Ma la decisione avente ad oggetto i fenomeni in questione ignora il problema.

E, anzi, proseguendo nella sua costruzione “separata” della colpa rispetto alla cau- salità, giunge alla conclusione che, pur “se di un fenomeno naturale non si conosco- no…le cause, gli effetti possibili” (ché – come rilevavo – si dà conto del fatto che

“gli scienziati ignoravano la possibilità di quelle colate di fango” produttive degli eventi in concreto verificatisi), la cautela nell’affrontarlo “deve essere maggiore pro- prio perché non si possono escludere con valutazione ex ante fondata su conoscenze scientifiche…gli effetti maggiormente distruttivi”.

Il Sindaco avrebbe quindi dovuto evacuare la città pur se la scienza non consen- tiva di prevedere quell’evento, posto che, per escludere la prevedibilità, “occorre valutare se può essere esclusa la possibilità” in quanto occorre tener conto della

“peggiore conseguenza possibile”.

Verrebbe da chiedersi cosa dovrebbero fare – alla stregua di questi criteri – i sindaci di città poste in luoghi nei quali la scienza prevede la possibilità di terremo- ti: San Francisco, Tokio, Napoli?

Non del tutto dissimili considerazioni possono formularsi rispetto alla sentenza di primo grado – poi però riformata – nei confronti dei membri della Commissione Grandi Rischi e relativa al terremoto dell’Aquila.

Riprendendo le fila del discorso, confido appaia ora giustificata la grave affer- mazione che avevo azzardato all’esordio di questo paragrafo: la giurisprudenza che ho criticamente esaminato finisce – in buona sostanza – con l’enucleare un concet- to di colpa caratterizzato da un elemento soggettivo capace di ampliare la portata preventiva ricostruita nel suo aspetto oggettivo.

9. Opposti segni: non univoci, in diversa materia e con lo zampino del legislatore Dopo quanto sono andato dicendo, certa giurisprudenza – della stessa Cassa- zione – in materia di responsabilità colposa medica non può non sorprendere per la radicale divergenza che la caratterizza rispetto a quella sin qui esaminata.

Si legga, per tutte, la sentenza della stessa IV sezione 06.07.2007, n. 37606 (Pres.

Battisti, Est. Blaiotta) e vi si troverà una vera e propria summa di quei principi in materia di colpa che abbiamo prima visto essere abbandonati e ripudiati.

Ne segnalo alcuni passaggi essenziali: “il primo profilo dell’imputazione (sott.:

colposa)” attiene al “piano della tipicità, svolgendo esso un ruolo insostituibile nella configurazione delle…fattispecie colpose”. Accanto a questo, che ha natura “im- personale”, “ve ne è un altro di natura soggettiva”. Quest’ultimo, di carattere “più squisitamente soggettivo e personale…”, viene identificato “nella capacità soggettiva dell’agente di osservare la regola cautelare, ….in una parola nell’esigibilità del com- portamento dovuto”.

Trattando, poi, del tema della c.d. causalità della colpa, la sentenza in parola precisa come si sia sempre convenuto sul fatto che “la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della nor-

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ma (sott.: cautelare), ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire.

Tale giudizio conferma l’importante ruolo della prevedibilità e prevenibilità nell’in- dividuazione delle regole cautelari” rilevanti “ai fini della configurazione del profilo oggettivo della colpa”.

A tale proposito, la pronuncia de qua enuncia un postulato di rilevanza fon- damentale nella prospettiva del raffronto con gli orientamenti giurisprudenziali prima esaminati. Si sottolinea, infatti, la necessità di “individuare una norma spe- cifica, di natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto spe- cifico evento, sulla base delle conoscenze che all’epoca della creazione della regola consentivano di porre la relazione causale tra le condotte e risultati temuti”[neretto nostro].

Ho detto “certa” giurisprudenza perché se è vero che accanto a quella ora il- lustrata molte altre ve ne sono che – se pure con minore ricchezza motivazionale – si pongono in questa stessa linea, altrettanto vero è che, in questa stessa materia, troviamo pronunce di segno opposto che ripercorrono i canoni più volte criticati.

Per tutte la nota “Grasseni”20.

E sempre in tema di responsabilità medica non sono senza significato quelle pronunce che aprono spazi di considerazione all’aspetto più squisitamente sogget- tivo della colpa.

Ne riporta una interessante casistica Castronuovo21 citando pronunce della stes- sa Suprema Corte che escludono la colpa del sanitario per la situazione di “emer- genza”, di “concitazione” o di “giustificata stanchezza” in cui si è trovato ad operare.

Casi cioè, in cui rileva la componente personalistica della colpa, in cui la neces- sità di una reale colpevolezza colposa non è dimenticata.

Aperture tutte queste di certo confermate e dilatate dal recente intervento del legislatore: alludo ovviamente alla c.d. riforma Balduzzi che, pur nella sua infelice formulazione, di certo va in questa direzione. Ne è conferma la giurisprudenza che (da quella legge) è derivata e che – con non poca buona volontà – cerca di armo- nizzare i non facilmente componibili dati testuali del testo normativo22.

Nuova legge e relativa giurisprudenza che meriterebbero ben altro approfon- dimento, anziché questo breve cenno, ma che non possiamo certo affrontare in questa sede.

10. Conclusioni

Tirando le fila del discorso e ritornando all’interrogativo che mi ero posto in esordio, temo che la risposta non possa che essere, almeno per larga parte, negati- va: ben poco resta della colpa – rectius – dei suoi contenuti garantistici.

20 Cass. IV, 23.11.2010, n. 8254 (Pres. Brusco, Est. Foti).

21 Cfr. cAstronuovo, La colpa penale, cit., p. 203 ss.

22 Per tutte la ben nota sentenza “Cantore” Cass. IV, 09.04.2013, n. 16237 (Pres. Brusco, Est.

Blaiotta).

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Vero è che – come ho avuto modo di precisare – il quadro non è omogeneo ma neanche questo dato è, in fin dei conti, positivo.

La coesistenza di due linee di pensiero radicalmente divergenti che separano alcuni magistrati da altri della stessa sezione della Corte regolatrice e – sia detto senza alcuna polemica – nominativamente individuabili sol che si vedano i com- ponenti dei collegi e gli estensori delle differenti pronunce, aggiunge, forse, male al male.

All’abbandono dei principi, che contraddistingue larga parte della giurispru- denza si aggiunge – con buona pace della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione – il grave rischio di creare veri e propri sistemi separati contraddistinti da principi fondamentali – come certo sono quelli concernenti la colpa – diversi da materia a materia.

Quanto tutto questo sia pernicioso per il sistema penale e per le garanzie dei cittadini sui due separati, ma confluenti piani, della colpevolezza e della certezza del diritto, lascio ad ognuno valutare.

luigi stortoni

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