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Mestieri e maestrie. La vera libertà delle donne

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Academic year: 2021

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oscar.serafin@gmail.com Stampa /

Edizioni Ets, Pisa - Italy

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Pensate al futuro che vi aspetta,

pensate a quello che potete fare

e non temete niente.

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P A R O L E /

Patrizia Tomio

Ester Pacor e Chiara Simon

Renata Kodilja

Chiara Simon

Federico Vicario

Enrico Fantin

Gea Arcella

Barbara Poggio

Anna Maria Salvi, Maria Rosaria Ventrelli, Licia Viggiani

Enrico Fantin

Antonella Pocecco

I M M A G I N I /

IMMAGINI DI LAVORATRICI TRIESTINE

TRA LA FINE DELL’OTTOCENTO E GLI INIZI DEL NOVECENTO

DA TRIESTE A... LAGONEGRO E CASTROVILLARI

MESTIERI DA DONNE.

TRA ’800 E ’900 DA TRIESTE A... UDINE E ARTEGNA

MANI ALL’OPERA. DONNE LAVORATRICI

TRA ’800 E ’900 DA TRIESTE A... TRENTO E ROVERETO

GLI ANTICHI MESTIERI DELLE DONNE

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La Commissione Europea nel recente documento strategico sull’impegno a favore della parità di genere1 ribadisce che ”la promozione della parità di genere è un com-pito fondamentale dell’UE: l’uguaglianza tra donne e uomini rappresenta un valore fondamentale dell’Unione europea, uno dei suoi obiettivi, nonché un vettore di cre-scita economica. L’Unione mira a promuovere la parità tra donne e uomini in tutte le sue attività... La Commissione individua quindi cinque settori d’intervento prioritari: pari indipendenza economica per donne e uomini; pari retribuzione per lavoro di pari valore; parità nel processo decisionale; dignità, integrità e fine della violenza nei con-fronti delle donne; parità tra donne e uomini nelle azioni esterne.” Se ancora ce ne fosse bisogno, la Commissione Europea ci ricorda in buona sostanza che la crescita e lo sviluppo sostenibile passano attraverso un processo di empowerment, o ulteriore empowerment, della donna.

Le tante tappe della mostra itinerante sulle professioni femminili da fine ’800 da Trie-ste, a Udine e Artegna del Friuli, a Trento e Rovereto, a Matera e Potenza, parlano tutte di empowerment femminile; attraverso la rappresentazione fotografica delle imma-gini d’epoca, raccontano con intensità l’emancipazione delle donne nelle professio-ni. Una mostra che con immagini storiche parla non solo di passato, ma tanto più di presente e di futuro. Il presente e il futuro del lavoro delle donne come cardine dello sviluppo sostenibile della nostra società.

1. Ma quanto vale oggi il lavoro delle donne? Qual è la portata di crescita collettiva dell’empowerment femminile? L’inserto Economia e Finanzia di Repubblica dello scorso 16 maggio titola “Con la parità uomo-donna l’economia mondiale crescerebbe del 35%... La ricetta è del Fondo monetario internazionale che, dati alla mano (ricerca 2019 del Gruppo Sodexo), spiega che avvalersi delle donne in quelle che sono le po-sizioni strategiche aumenterebbe l’economia globale del 35%. Un pensiero condiviso anche da uno studio condotto dalla Harvard Business Review: l’equilibrio di genere permetterebbe di raggiungere 28 mila miliardi di dollari del PIL mondiale entro il 2025. Obiettivo crescita dunque. Una equazione più donne al lavoro più fatturato sempre ribadita da molti economisti.2”. Quindi con la parità lavorativa tra i generi, data da una proporzione di almeno 40/60, 40% di donne e 60% di uomini nei team di lavoro, l’e-conomia mondiale crescerebbe del 35%, mentre la diminuzione del gender gap nelle aziende porta all’aumento di produttività e fatturato, riduce infortuni e assenteismo e migliora le condizioni psico-fisiche dei lavoratori.

Con piccole variazioni di percentuali nella stima della crescita, il messaggio giunge monocorde da più fonti. Tra i tanti, lo studio dell’EIGE ( European Institute for Gender Equality, Unione Europea)3 pubblicato nel 2019 mostra che aumentare la partecipa-zione delle donne nel settore delle STEM e colmare il divario retributivo genererebbe ulteriori 6 milioni di posti di lavoro in Europa entro il 2050. Un’Unione europea più equi-librata per genere avrebbe forti e positivi impatti sul PIL in crescita nel tempo, un più

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alto livello di occupazione e produttività e potrebbe rispondere alle sfide legate all’in-vecchiamento della popolazione nell’UE. L’uguaglianza di genere ha impatti forti e po-sitivi sul prodotto interno lordo (PIL) pro capite che crescono nel tempo. Entro il 2050, il miglioramento della parità di genere comporterebbe un aumento del PIL pro capite dell’UE dal 6,1 al 9,6%, che equivale da 1,95 € a 3,15 trilioni di euro. Il miglioramento della parità di genere porterebbe quindi a ulteriori milioni di posti di lavoro, a bene-ficio sia delle donne che degli uomini. Circa il 70% di questi posti di lavoro verrebbe assunto da donne, tuttavia i tassi di occupazione femminile e maschile si incontrano a lungo termine, raggiungendo un tasso di occupazione dell’80% entro il 2050.

Tuttavia appare evidente che, soprattutto in ambito lavorativo, l’uguaglianza di genere nell’UE si sta ancora muovendo a passo di lumaca. Il CESE, European Economic and Social Committee4 ha ripetutamente messo in guardia contro la persistente segrega-zione e discriminasegrega-zione tra i sessi nei mercati europei del lavoro e nella società. Ses-sant’anni dopo l’impegno assunto dall’UE nel Trattato di Roma di eliminare il divario retributivo di genere, tale divario è ancora ampio, aggirandosi intorno al 16%, mentre il divario pensionistico di genere è addirittura pari al 38%. Le donne rappresentano il 51% della popolazione dell’UE, ma solo il 67% di esse ha un’occupazione e, tra gli im-prenditori, la percentuale di donne è appena del 31%. A causa dei compiti di assisten-za domestica e familiare che si trovano a dover svolgere, le donne hanno maggiori pro-babilità di accettare un lavoro a tempo parziale o precario, e quindi di avere un salario inferiore. Ma le donne sono ancora fortemente sottorappresentate anche negli organi decisionali politici ed economici, come i consigli di amministrazione delle società. Gli stereotipi di genere permeano tutti gli aspetti della vita, e quella lavorativa di ma-schi e femmine non fa eccezione. I mezzi d’informazione, da parte loro, contribuiscono spesso a perpetuare ruoli, stereotipi e codici di genere, quando non presentano addi-rittura immagini degradanti delle donne. Di fronte ai segnali di regresso in materia di diritti delle donne registrati in Europa negli ultimi anni, nonché alle stime assai poco incoraggianti ci vorrà più di un secolo perché le donne ottengano un pari trattamento. E in Italia? A che punto è la parità lavorativa? Secondo l’ultimo rapporto Eurostat 20185, l’occupazione femminile ha raggiunto quasi il 48%, ma l’Italia è comunque penultima nella classifica europea sulla quota delle donne che lavorano. Lo afferma anche l’ISTAT6 nel rapporto annuale, secondo cui in Italia nel 2017 “per il quarto anno consecutivo” il tasso di occupazione generale cresce, attestandosi al 58%, “ma è an-cora 0,7 punti percentuali sotto il livello del 2008 e lontano dalla media UE. Il riavvici-namento ai valori del 2008 – sottolinea l’istituto di statistica – si deve esclusivamente alla componente femminile (+1,7 punti dal 2008 in confronto a -3,1 degli uomini) anche se l’Italia si caratterizza per un tasso di occupazione femminile più basso della media europea (48,9% contro 62,4%). Si tratta del valore più basso dopo la Grecia”.

Più che la consapevolezza di essere inesorabilmente fanalini di coda nelle statistiche dell’occupazione in Europa, potrebbe colpire una constatazione rimarcata dal rappor-to ISTAT 2012 sul mercarappor-to del lavoro, secondo il quale “Negli ultimi vent’anni, l’occu-pazione in Italia cresce solo grazie alla componente femminile” e inoltre benché “Le donne siano più scolarizzate degli uomini, i divari sul mercato del lavoro sono ancora

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molto ampi.7” Nonostante il mercato del lavoro sia cambiato e le unità di lavoro sia-no aumentate sensibilmente, il tasso di occupazione femminile continua ad essere nettamente più basso di quello medio europeo. Le donne subiscono ancora un signi-ficativo svantaggio nel caso di una gravidanza: l’avere un figlio, infatti, è l’elemento fondamentale che spiega, insieme alla precarietà, la probabilità di perdere il lavoro a distanza di 10 anni, soprattutto a causa dell’impossibilità di bilanciare il ruolo di ma-dre e di lavoratrice. Peraltro, le recenti crisi economiche hanno accentuato le difficol-tà delle donne: in particolare, nell’industria il calo occupazionale femminile è stato doppio rispetto a quello maschile e per le donne il rischio di perdere il posto di lavoro è risultato, a parità di altre condizioni, superiore del 40% a quello degli uomini. L’obiettivo è quindi migliorare le percentuali di occupabilità femminile, a beneficio di tutti, maschi e femmine; ma come possiamo fare meglio di così?

2. Empowerment: combinazione di capacità di azione e opportunità concrete.

Dall’analisi dello stesso rapporto ISTAT sull’occupazione stupisce scoprire che la quota di donne inattive 15-74 anni che: “non cercano attivamente lavoro ma sono su-bito disponibili a lavorare” in Italia è quasi 4 volte più elevata che in Europa (16,6% vs. 4,4%). In quasi tutti i paesi dell’Unione europea, in rapporto alle forze lavoro, le donne inattive disponibili a lavorare sono molto più numerose degli uomini. Tuttavia nel no-stro Paese il divario è molto più ampio e la distanza è ancora più forte se il confronto viene fatto rispetto ai principali paesi, soprattutto nord-europei. Ho letto questo dato come una manifestazione della volontà e della motivazione femminile alla realizzazio-ne professionale, anche e soprattutto attraverso sfide di crescita personale e colletti-va: come un artefatto del bisogno di empowerment.

Con il termine empowerment viene indicato un processo di crescita, sia dell’individuo sia del gruppo, basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’auto-determinazione per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale. Riprendendo la definizione di Donata France-scato, si tratta della “fiducia di poter influenzare positivamente il corso degli eventi e di avere un grado di controllo su quel che succede.8”

Nella prospettiva sociale, il concetto di empowerment femminile implica la capacità delle donne di disporre delle risorse sufficienti e di poter prendere decisioni9. Come recita la Dichiarazione di Pechino (1995) si tratta della “partecipazione ai processi de-cisionali e l’accesso al potere”. In questo senso la capacità di una singola donna di determinare un cambiamento personale positivo dovrebbe favorire il cambiamento sociale, di comunità, fino a quello politico e istituzionale.

Quest’ottica sociale e comunitaria può essere ricondotta all’approccio delle capabili-ties proposto da Amartya Sen in seno alla teoria della giustizia sociale e della giustizia di genere. Secondo l’approccio delle capabilities, il ben-essere di una donna (e di un gruppo di donne) deriva dai risultati dell’azione congiunta (functioning) nel persegui-re quel che ritiene degno di essepersegui-re perseguito. Questa libertà equivale all’impiego fruttuoso delle capabilities, ovvero il porre in essere funzionamenti ottimali di risorse potenzialmente accessibili (es. disponibilità di risorse finanziarie, politiche di

garan-7 - https://www.ISTAT.it/it/ files/2012/05/Sintesi_2012.pdf

8 - Francescato D. (2007) Amore

e potere. Uomini e donne dal conflitto al confronto nella coppia e società, Kappa, Roma.

9 - Zupi, M. (2016). La

misurazione dell’empowerment delle donne. Il dibattito sugli indicatori. A cura di CeSPI, Centro

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zia delle libertà di espressione, di partecipazione politica, ecc.). Il concetto di capa-bilities non si riferisce esclusivamente alle capacità delle donne ma alla combinazio-ne di capacità di aziocombinazio-ne e opportunità concretamente offerte10. In estrema sintesi, le donne dovrebbero avere l’effettiva libertà di condurre uno stile di vita, inclusa la vita lavorativa, corrispondente a quel che vogliono essere, posto che il contesto sociale e culturale favorisca le condizioni di scelta nella pienezza delle proprie potenzialità e propri talenti.

3. Donne e lavoro: la lunga strada verso l’emancipazione femminile. Dalla scheda di sintesi storica sulla condizione lavorativa della donna da Enciclopedia Treccani: “Alla fine dell’Ottocento, in tutte le società del mondo occidentale, costume, morale e dirit-to sono ancora uniti nel sanzionare la diseguaglianza fra uomini e donne, il privilegio maschile, lo stato di minorità delle donne. …Le donne, tutte le donne, sono ancora escluse dalla partecipazione politica, sono ritenute incapaci di agire secondo ragio-ne, sono sottoposte alla potestà del marito; non sono libere di gestire la propria vita e i propri beni; sono escluse da tutta una serie di percorsi di studio e di professioni; non godono di parità di trattamento con gli uomini nella famiglia e nel lavoro. Molte donne delle classi popolari lavorano (operaie in fabbrica, braccianti, contadine, serve, lavoranti a domicilio ma anche piccole commercianti, sarte, ricamatrici), spinte dalla necessità economica, ma l’aspirazione sociale diffusa anche fra loro è quella di esse-re, come le donne dei ceti agiati, spose e madri all’interno della famiglia, un modello femminile che si è imposto nella società borghese del XIX secolo e che ha segregato la donna borghese in casa più delle sue antenate non borghesi11.”

Oggi: una svolta in atto e non compiuta. Dallo stesso documento tecnico dell’Enciclo-pedia Treccani, a conclusione dell’excursus storico sul ruolo del lavoro nel processo di emancipazione femminile e di conseguenza della sua incidenza sui cambiamenti socio-culturali, si conferma che dalla fine dell’Ottocento “sono rapidamente cambia-ti i ruoli sessuacambia-ti, come ben evidenziano le trasformazioni della famiglia. ... Anche la mentalità comune sul maschile e sul femminile è senza dubbio cambiata e l’immagine delle donne è divenuta più complessa. Sono cadute molte barriere sociali e culturali che impedivano alle donne libertà, indipendenza, autorealizzazione e successo, ma ingiustizie e discriminazioni nei confronti del sesso femminile sono ancora presenti e in molti casi rimangono gravi. ... Sono ancora le donne a svolgere in famiglia la gran parte del lavoro casalingo con la conseguenza, per le molte donne che lavorano anche fuori casa, di essere normalmente sottoposte a un doppio carico di lavoro. La svolta dunque è in atto e non è concluso il cammino delle donne, in oscillazione fra ugua-glianza e differenza, strategie che sono fra loro alternative solo se l’uguaugua-glianza viene declinata come uniformità, ovvero negazione della differenza”. La consapevole libertà di scelta di ogni donna passa quindi dalla esaltazione del valore della propria diversità e del valore del proprio talento.

10 - Sen, A. K. (1999).

Development as Freedom,

Knopf, New York. Sen, A. K. (1995). Gender

Inequality and Theories of Justice, in M. Nussbaum and

Glover (eds.) (1995), Women,

Culture and Development: A Study of Human Capabilities,

Clarendon Press, Oxford.

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