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Alessandro Pascolini

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Academic year: 2021

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Alessandro Pascolini

Praticamente ogni cosa sulla terra, compreso il

nostro corpo, è più o meno radioattiva. La produzione di materiali a bassissima radioattività residua è

particolarmente complessa e costosa, ma qualche volta le circostanze giocano favorevolmente: nella mostra "la radioattività, una faccia della natura", promossa dall'INFN a Milano nell'ambito della

Settimana Europea della Scienza e della Tecnologia, sono stati esposti due "pezzi" straordinari, privi di ogni traccia di radioattività per quanto possano rivelare gli apparati di misura più precisi.

L'eccezionalità dei pezzi sta nel fatto che si tratta di reperti archeologici. La loro storia è curiosa anche perché rivela un inatteso rapporto fra archeologia e ricerca avanzata.

Verso la metà del primo secolo A.C. una nave commerciale romana carica di una quantità

eccezionale di piombo fece naufragio sulla costa sud- occidentale della Sardegna, presso l'isola di

Maldiventre. Il piombo, nonostante fosse materia modesta, costituiva in epoca romana un florido mercato, venendo largamente usato nella

realizzazione di oggetti di uso comune, quali condutture (fistulae) per l'acqua, pesi, grappe di riparazione, urne cinerarie, nonché nella produzione

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delle monete di bronzo e delle "ghiande" dei frombolieri per uso militare.

La scoperta del relitto, una decina di anni fa, ha

immediatamente destato l'interesse degli archeologi, dato che si trattava del primo ritrovamento di una nave romana specializzata per questo tipo di

trasporto, e per le caratteristiche del carico, circa 1300 lingotti, ciascuno del peso di 33 kg (circa 100 libbre romane) con punzonato il nome dei fabbricanti (Fig. 2): in larga parte Caius e Marcus Pontilieni, figli di Marcus, ed, in quantità minore, Quintus Appius, figlio di Caius, e Carulius Hispalius, tutte famiglie di origine italiana che svolgevano attività mineraria in Spagna. La "multinazionale" dei Pontilieni era già ben nota agli archeologi per una serie di ritrovamenti in varie parti del Mediterraneo.

Ma la notizia non sfuggì neppure ad Ettore Fiorini, un fisico impegnato nello studio dei processi rari prodotti dalla radiazione naturale: il piombo della nave

romana poteva costituire un materiale schermante di eccezionale qualità per esperimenti di fisica

estremamente delicati, quali la rivelazione dei neutrini emessi dal sole, i decadimenti spontanei della materia, la ricerca della materia cosmica oscura.

Tutti questi esperimenti prevedono dei segnali

tenuissimi, per cui si impone la massima protezione degli strumenti di misura per ottenere una efficace soppressione di segnali spurii prodotti da processi competitivi. Il piombo antico fornisce uno schermo

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ideale, avendo eliminato nel tempo anche le pur minime componenti iniziali del radionuclide piombo- 210 e dei suoi discendenti nella catena radioattiva. Il contenuto di piombo-210 si dimezza ogni circa 22 anni, per cui in 2000 anni si è praticamente

annullato.

La comunione di interessi ha portato ad un accordo fra l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e la

Soprintendenza Archeologica di Cagliari e Oristano:

l'INFN ha finanziato una campagna di scavi

sottomarini, in cambio della disponibilità di parte del carico per schermature di esperimenti da svolgersi al Laboratorio del Gran Sasso: l'operazione ha

permesso il recupero di un relitto importante dal punto di vista archeologico ed il piombo a

disposizione della ricerca è venuto di fatto a costare meno del piombo purificato industriale e di qualità superiore.1

Il piombo della nave romana è risultato di altissima qualità, praticamente il materiale meno radioattivo esistente al mondo, anche per la protezione fornita da 30 metri di acqua ai raggi cosmici ed ai resti radioattivi dispersi nell'atmosfera dagli esperimenti nucleari e dal disastro di Cernobyl. Inoltre, essendo stato prodotto come sottoprodotto della metallurgia dell'argento, è stato purificato da elementi radioattivi leggeri.

A supporto degli studi archeologici, si è proceduto inoltre ad un'analisi isotopica di parte dei lingotti mediante spettrometria di massa al centro europeo JRC di Ispra. Tre dei quattro isotopi stabili del piombo

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(206, 207 e 208, ma non il 204) sono prodotti dal decadimento spontaneo dell'uranio e del torio e la precisa percentuale dei vari isotopi in un dato

minerale di piombo dipende dalla storia geologica della miniera da cui è stato tratto. Pertanto il

confronto dei rapporti isotopici del piombo

recuperato con quello di filoni di miniere sfruttate in epoca romana permette di risalire all'origine del piombo, un dato prezioso per l'archeologia.

Naturalmente le differenze sono piccole ed occorrono misure di alta precisione per avere delle indicazioni significative, che tuttavia costituiscono dei dati

oggettivia complemento delle informazioni

archeologiche. 3 I lingotti del relitto di Maldiventre sono risultati di composizione omogenea, analoga a quella dei minerali di miniere di Cartago Nova,

l'attuale Cartagena, in Spagna. (Fig. 4)

Questa collaborazione fra fisici ed archeologi

permette un uso non convenziale dei beni archeologi e dà modo alla tecnologia metallurgica romana di contribuire ad alcune delle più affascinanti ricerche della fisica contemporanea.

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