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Accoglimento totale del 19/04/2016 RG n. 13510/2015

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Accoglimento totale del 19/04/2016 RG n. 13510/2015

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TRIBUNALE DI PALERMO PRIMA SEZIONE CIVILE

ORDINANZA

Il Giudice designato nel procedimento recante il N°13510/2015 R.G., esaminati gli atti relativi al procedimento promosso da rata a Tambacounda (Senegai) il 23/3/1982, rappresentata e difesa dall’Aw.

Gabriele Lipani, presso il cui studio a Palermo in via Nicolò Turrisi N°48 è elettivamente domiciliata giusta procura in atti,

Rileva:

La ricorrente ha instaurato il presente giudizio per ottenere la riforma del provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della protezione intemazionale di Palermo, con verbale del 9/6/2015 notificato in data 3/9/2015, ha deciso di non riconoscere alla richiedente la detta protezione, ritenendo sussistere gli estremi per la protezione umanitaria, chiedendo quindi la Sig.ra la concessione dello status di rifugiato o, in subordine, la protezione sussidiaria.

Nessuno si costituiva per la convenuta Commissione.

La causa, istruita documentalmente, veniva posta in decisione all’udienza del 23/3/2016.

Preliminarmente va rilevato il deposito nei termini di legge del ricorso.

La ricorrente, in sede di audizione innanzi la Commissione territoriale, ha narrato una storia lunga e circostanziata, seppure condizionata dal suo

“limitato livello culturale” (vedasi verbale Commissione).

La stessa ha narrato un vissuto di violenze sessuali fin dalla più giovane età, di sfruttamento, di povertà, di totale abbandono affettivo, di situazioni umilianti e degradanti nella quale è stata costretta a vivere.

E’ stata sottoposta, secondo le usanze del luogo, a MGF.

Nel corso della sua vita è stata costretta a prendere più mariti contro la sua volontà.

La Commissione, pur riconoscendo credibili le vicende narrate, ha ritenuto contraddittorie o inverosimili talune circostanze, tali da far dubitare dell’effettivo verificarsi dei fatti narrati.

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Appare immediata la contraddittorietà tra i dubbi sollevati dalla Commissione in ordine al racconto narrato dalla ricorrente e quanto poi asserito nel medesimo verbale nel quale, riconoscendo il diritto della stessa alla protezione umanitaria, si afferma testualmente "considerato che tuttavia la richiedente ha avuto un difficile trascorso di vita risultato veritiero dalla esposizioni rese in sede di audizione....”

La evidente contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato, che non riconosce lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria per la non credibilità della vicenda narrata e, subito dopo, asserisce esser risultato veritiero il racconto, è di per sé sufficiente a far dichiarare l’annullamento del provvedimento impugnato.

Per quanto attiene alle richieste formulate in ricorso, è pur vero che in Senegai il matrimonio forzato è proibito dalla Costituzione e dalla legge, e che esiste la possibilità per le vittime di rivolgersi all’autorità giudiziaria o alle strutture presenti sul territorio che si occupano di diritti umani ed in particolare di dorme e bambini, come correttamente affermato dalla Commissione che cita fonti attendibili al riguardo (www.refworld.org); ciò però si scontra con la realtà del paese, nel quale la violenza contro le donne, i matrimoni combinati anche e soprattutto di bambine in tenera età, la mutilazione genitale femminile, sono tuttora diffuse in maniera allarmante e le pressioni sociali e culturali alimentano il silenzio e rimpunità su tali crimini che avvengono particolarmente in ambiente familiare (rapporto UNICEF www.unicef.it).

La maggior parte delle donne, in Senegai, vive in una condizione subalterna e discriminata. Questa situazione di dipendenza dal padre prima e dal marito poi si riverbera anche all’interno dei rapporti tra sessi, con il frequente verificarsi di violenze di genere. Spesso in caso di denuncia le vittime di abusi e di violenze devono affrontare l’esclusione dalla comunità oltre ai danni fisici ed al trauma psicologico. Per questo la quasi totalità dei casi di violenze, fisiche e psicologiche, rimangono nascoste, emergendo di fatto soltanto al verificarsi di eventi particolarmente gravi o in presenza di un presidio sul territorio di realtà associative forti (http://www.dirittialcuore.it/index.php/progetti-a-favore-delle- donne / essere-donna-in-senegal / ).

Il 95% delle donne in alcune regioni del Senegai ha subito 1’escissione, pratica che mutila la possibilità di provare piacere sessuale per tutta la

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vita, senza contare il resto dei rischi sanitari (http://cesie.org/in- action/mobility/vocidalmondo-senegai/).

Un recente rapporto di Amnesty International sulle MGF in quattro paesi africani (Benin, Gambia, Ghana e Senegai) ha evidenziato la difficoltà di intervento su una realtà complessa, in cui diverse dimensioni sociali si sovrappongono: una strenua resistenza alla loro abolizione proviene, infatti, dalle numerose donne specializzate nel praticare l'operazione, per le quali le MGF rappresentano una sicura e cospicua fonte di reddito oltreché il riconoscimento di un apprezzato status sociale, in contesti in cui la maggioranza delle donne è normalmente condannata alla povertà e all'esclusione (http://www.amnesty.it).

La fattispecie in esame non sembra rientrare nelle ipotesi previste dalTart. 1°

della Convenzione di Ginevra del 1951, in quanto i fatti rappresentati non rientrano nelle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato che va attribuito a chi “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese:

oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”, circostanze che non ricorrono nel caso in esame.

Sussistono invece i requisiti per l’attribuzione della protezione sussidiaria ex art. 14 D. Lgs.251/2007.

Tale forma di protezione spetta infatti a chi, nell’ipotesi di rimpatrio, sia esposto ad un danno grave quale un trattamento inumano o degradante.

La costrizione di una donna ad un matrimonio forzato è stata riconosciuta dalla Suprema Corte grave violazione della sua dignità e dunque trattamento degradante che configura a sua volta un danno grave ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

Un eventuale rimpatrio della ricorrente, inoltre, considerati i suoi trascorsi, la esporrebbe a inevitabili ulteriori atti di violenza, di coercizione nonché ad ulteriori trattamenti certamente inumani e degradanti.

Per le superiori considerazioni appaiono sussistere, nella fattispecie in esame, gli estremi per la concessione della protezione sussidiaria ai sensi del citato art. 14 D. Lgs. 251/2007.

P.Q.M.

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Il Tribunale, in parziale accoglimento del ricorso proposto da

nata a Tambacounda (Senegai) il 23/3/1982 avverso il verbale del 9/6/2015 notificato in data 3/9/2015 della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della protezione intemazionale di Palermo,

riconosce alla stessa il diritto alla protezione sussidiaria ex art. 14 D. Lgs.

251/2007.

Avuto riguardo all’accoglimento solo parziale del ricorso, alla particolarità dell’oggetto del giudizio ed alla complessa evoluzione del contesto normativo e giurisprudenziale - anche sovranazionale - di riferimento in materia, si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.

Si comunichi.

Così deciso a Palermo il 15 aprile 2016

Il G.O.T.

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