• Non ci sono risultati.

DISPOSITIVI MEDICI IMPIANTABILI

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "DISPOSITIVI MEDICI IMPIANTABILI"

Copied!
31
0
0

Testo completo

(1)

DISPOSITIVI MEDICI IMPIANTABILI

Possono essere protesi ortopediche (anca, ginocchio…), per il sistema cardiovascolare e impianti dentali. Essi vanno a sostituire una struttura biologica che non funziona più come dovrebbe.

Protesi ortopediche

Sono dispositivi che vanno a sostituire le articolazioni, come ginocchio, anca, spalla, gomito… oppure possono essere impianti per la colonna vertebrale. Le articolazioni, in generale, permettono il movimento relativo di due o più capi articolari, grazie a muscoli, tendini e legamenti. I due capi ossei possono ruotare su tre assi o strisciare, in base alla conformazione

dell’articolazione. Il movimento è infatti determinato dalle geometrie articolari e dai tessuti molli circostanti (azione dei legamenti). È quindi importante conoscere queste componenti per creare un dispositivo e per permetterne l’impianto, così da poter mantenere i movimenti relativi dell’articolazione dopo il posizionamento del dispositivo.

Ø LA PROTESI D’ANCA

L’articolazione dell’anca è costituita da una testa sferica che si articola all’interno della cavità acetabolare del bacino, può essere schematizzata da una cerniera sferica circondata da una capsula legamentosa. La geometria di testa e coppa è favorevole al movimento rotatorio, che viene ulteriormente stabilizzato dalla capsula circostante. L’anca consente il movimento relativo tra femore e bacino: permette di camminare e per questo motivo viene fortemente sollecitata.

Appoggio bipodalico: il baricentro si trova sull’asse di simmetria del corpo, il peso corporeo (meno quello delle gambe) si ripartisce ugualmente sulle due anche.

Appoggio monopodalico: durante il cammino si ha alternanza di appoggi monopodalici in cui il baricentro si sposta sul lato dell’arto in appoggio. Lo spostamento del peso fa intervenire i muscoli abduttori (che collegano gran trocantere e bacino), i quali generano una forza R che si somma alla forza peso C. Queste due forze vanno ad agire sull’anca in relazione al loro braccio d’azione. È stato riscontrato che durante il cammino l’anca viene caricata di una forza pari a 5 volte il peso corporeo, mentre durante la corsa di circa 7.6 volte per l’aumento dell’inerzia.

Processi che portano a protesizzazione 1. Processi degenerativi

• Artrosi deformante primaria: si ha usura massiva della cartilagine, la testa femorale va a contatto con l’osso del bacino direttamente, senza interposizione di tessuto.

NB. La cartilagine non è in grado di ricostituirsi e, al suo diminuire, aumenta lo stress agente sulla parte rimanente che quindi si degrada sempre più. Il processo degenerativo è cronico.

• Artrosi secondaria a processi che hanno modificato i rapporti anatomici e funzionali quali traumi, processi infiammatori (artriti), patologie endocrine (diabete, gotta), malformazioni congenite (displasia), osteoporosi.

2. Processi infiammatori

• Artrite reumatoide: meccanismo autoimmune a danno della membrana sinoviale (infiammazione), su soggetti

geneticamente predisposti. La superficie della testa femorale non è più liscia e distribuisce i carichi in maniera scorretta.

L’effetto dell’infiammazione si può mitigare con farmaci, ma se è troppo elevato può andare ad intaccare anche la componente ossea, infiammandola.

3. Anomalie congenite: variano i rapporti tra le forze agenti sull’anca con aumento della reazione vincolare su di essa, l’articolazione è resa invalida. Si può quindi arrivare ad artrosi secondaria.

• Displasia: deformazione congenita dell’articolazione;

• Lussazione congenita: uscita della testa femorale dall’acetabolo con conseguente stiramento della capsula articolare che alla lunga diventa meno efficace nell’impedire la lussazione dell’articolazione;

• Coxa vara o coxa valga: scorretta distribuzione dei carichi per conformazione degli arti deformata.

4. Patologie traumatiche

• Lussazione traumatica;

• Fratture dell’acetabolo;

• Fratture dell’epifisi del femore;

• Complicanze derivanti da frattura: pseudoartrosi, osteonecrosi della testa femorale, varismo e valgismo, coxoartriti settiche, artrosi secondaria;

• Osteonecrosi della testa del femore in seguito a frattura: l’osso ricresce in base agli stimoli che, se scorretti, possono portare a interruzione o rottura dei vasi; questo interrompe l’irroramento della testa del femore che quindi muore.

Per questi casi, soprattutto in soggetti anziani, si preferisce protesizzare piuttosto che utilizzare mezzi di osteosintesi, per avere un recupero quasi immediato.

(2)

Biomeccanica patologica

Lo stato di sollecitazione nell’anca prevede un rapporto sfavorevole tra i bracci di anca e abduttori, con aumento della forza esercitata dei muscoli per compensare il

momento della forza peso: se si ha protesizzazione va diminuito il carico trasmesso all’impianto, per evitare di ricadere nella condizione patologica. Il braccio degli abduttori può accorciarsi per diversi motivi (malformazioni, artrosi…).

Teoria di Charnley:

1. Centralizzazione della testa femorale: viene spostato il centro articolare per diminuire il braccio della forza peso (BC);

2. Osteotomia del grande trocantere: taglio e rotazione del grande trocantere (tecnica non più utilizzata) per far aumentare il braccio (AB) della forza generata dagli abduttori.

Specifiche di progetto per una protesi d’anca

1. Consentire i gradi di libertà rotazionali consentiti dall’articolazione naturale fra coscia e bacino: questo requisito si può ottenere mimando la forma dell’articolazione naturale. L’articolazione dell’anca consiste in una cerniera sferica, con una sfera che si articola in una semisfera.

2. Sopportare i carichi applicati durante il passo (requisito minimo). I valori di forza applicata sull’articolazione sono pari a circa cinque volte il peso corporeo. Questo requisito rappresenta la necessità di avere affidabilità meccanica nel tempo.

3. Resistere alla fatica meccanica derivante dall’applicazione ciclica del carico durante il passo. Questo requisito rappresenta l’affidabilità a lungo termine. Si considera che la protesi debba sopportare 1 milione di cicli all’anno e, idealmente, dovrebbe durare per tutta la vita del paziente. Questo requisito è influenzato dalla sezione resistente del dispositivo, dal materiale e dalla storia di lavorazione del pezzo.

4. Avere superfici articolari resistenti a usura o tali per cui l’usura non produca danni funzionali, né induca risposte

indesiderate dei tessuti ossei. L’usura è un fenomeno inevitabile dovuto al movimento relativo e all’elevato carico sulle due superfici a contatto, è fortemente influenzata dal tempo e quindi dalla durata dell’applicazione. Considerando in prima approssimazione l’usura abrasiva, essa porta a perdita di materiale meno duro con conseguente modifica della geometria del pezzo: si passa da una sfera che si articola in una semisfera a una sfera (più dura) che si articola in una superfice diversa.

Questo determina un movimento scorretto e una cattiva trasmissione dei carichi con aumento degli sforzi. Inoltre, i detriti rilasciati possono essere reattivi e determinare una risposta biologica in base a quantità, dimensioni e tipo di materiale.

5. Essere fabbricata con materiali biocompatibili: non devono indurre alterazioni o risposte indesiderate nei tessuti ospiti o devono dare una risposta biologica che favorisca la stabilità meccanica dell’interfaccia stelo-femore e metal back-bacino.

6. Garantire la stabilità meccanica delle interfacce sia subito dopo l’impianto (stabilità primaria-1÷2 giorni-) sia nel tempo (stabilità secondaria). Il successo dell’impianto (target fondamentale) è dato dall’immobilità delle componenti impiantate nel tessuto osseo. La stabilizzazione dipende dal tipo di protesi: le protesi cementate sono stabilizzate da subito tramite la resina acrilica interposta tra stelo e osso, mentre la stabilità delle protesi non cementate dipende dalla risposta del tessuto osseo. Questa risposta può essere neutra, osteoinduttiva con ricrescita del tessuto oppure può portare a riassorbimento osseo e conseguente fallimento dell’impianto. Il requisito di progetto è che la risposta sia il più possibile osteoinduttiva, così da garantire una stabilità a lungo termine.

7. Essere facilmente impiantabile. Il successo del dispositivo dipende dal corretto impianto da parte del chirurgo poiché la protesi deve avere il giusto posizionamento in termini di angolazione, allineamento…, così da subire i corretti carichi per determinare l’integrazione nel tessuto osseo. Per far sì che l’impianto avvenga nel modo corretto è bene facilitarne le modalità, cioè è necessario fornire uno strumentario preciso ed efficace, ma al contempo facile da usare. Dato che lo strumentario non si vende ma si da in comodato d’uso all’ospedale, il produttore non ha guadagno da esso e c’è quindi un interesse di innovazione tecnologica e studio degli strumenti relativamente basso.

8. Essere facilmente sostituibile se si danneggia o se il suo funzionamento si compromette. La mininvasività dell’intervento permette un recupero più veloce per il minor danneggiamento dei tessuti circostanti. Questo avvantaggia un eventuale intervento di revisione, perché permette di avere osso a sufficienza per inserire una nuova protesi. Un foro piccolo, sebbene poco invasivo, fa sì che il campo operatorio sia ridotto e possa creare difficoltà nell’impianto.

** Protesi da revisione: più grande e lunga di una protesi da primo impianto, per poter cercare stabilità dopo la rimozione della prima protesi e di parte di tessuto osseo che viene trascinato via durante l’espianto. **

9. Avere un comportamento biomeccanico che non alteri le caratteristiche meccaniche globali del sistema bacino-femore. Le attuali protesi hanno steli che irrigidiscono la parte prossimale del femore. La catena stelo-testa-cotile della protesi è molto più rigida di quella naturale e ciò determina la trasmissione di carichi impulsivi potenzialmente dannosi.

10. Garantire nei tessuti ossei, specialmente del femore, uno stato di sollecitazione tale per cui il fenomeno del

rimodellamento osseo non venga spostato verso riassorbimento o crescita anomala. La ricrescita ossea è influenzata dagli stimoli che l’osso subisce, il carico meccanico deve essere correttamente distribuito. È possibile rappresentare il sistema protesi-femore mediante due molle in parallelo, la forza agente sull’articolazione va a ripartirsi tra le due componenti in base alla loro rigidezza (maggior rigidezza, maggior carico assorbito). Essendo per natura la protesi in metallo molto più

(3)

rigida del tessuto osseo, essa si prende carico maggiormente degli sforzi provocando un fenomeno di stress shielding (sempre) in cui l’osso non riceve un carico adeguato. Per permettere una distribuzione del carico tale da avere ricrescita ossea è necessario agire su materiale e forma dello stelo femorale. Si potrebbe cambiare il tipo di materiale scegliendone uno meno rigido, ma il problema dei materiali meno rigidi (plastici) è che sono poco resistenti nel tempo, lo stesso vale per protesi più assottigliate e flessibili in cui la minor sezione resistente abbassa la resistenza meccanica dell’intero dispositivo.

Componenti della protesi d’anca

Le protesi d’anca possono avere diverse modalità, in generale la protesi d’anca è formata da stelo, testa, inserto e metal back:

• Stelo e testa possono essere solidali, quindi una componente unica;

• Acetabolo e inserto possono essere un pezzo unico cementato nel bacino;

• Stelo e collo possono essere modulari;

• È possibile avere protesi con solo stelo, collo e testa che vanno ad articolarsi direttamente nell’acetabolo naturale del paziente, nel caso in cui la

patologia sia solo a livello del femore.

Modularità del dispositivo: componente acetabolare e femorale sono legati da un accoppiamento conico tra testa e collo, metal back e inserto sono resi solidali tra loro, mentre testa femorale e inserto formano un accoppiamento sferico che mima l’articolazione naturale e presenta un livello minimo di gioco che permette

l’accoppiamento. La modularità ha un vantaggio chirurgico ed economico per il produttore: per uno stesso stelo vi possono essere colli di lunghezza, angolo diafisario e inclinazione diversi. Questo permette al produttore di avere un magazzino molto più piccolo, mentre per il chirurgo la scelta è più ampia e si ha una maggior personalizzazione del dispositivo per il paziente. Lo svantaggio della modularità è quello di avere più componenti che determinano quindi maggior probabilità di rottura.

Materiali

• Componente femorale: necessita di elevata biocompatibilità e resistenza alla corrosione, oltre che elevate caratteristiche meccaniche (sforzo a rottura e resistenza a fatica).

Lega Ti6Al4V, titanio di grado 5 con 6%Al e 4%V come elementi droganti. Ha caratteristiche meccaniche migliori (E=110GPa) rispetto ai gradi di titanio inferiori che risultano però essere più puri e biocompatibili. È una lega ELI (extra low interstitial), ovvero una lega standard a grado medicale, con specifiche più restrittive sugli elementi presenti in basse percentuali. Il Vanadio può essere sostituito con il Niobio (Ti6Al4Nb7). Gli steli possono essere sottoposti a finitura superficiale o rivestimento, per provocare irruvidimento superficiale che favorisca il contatto con l’osso. Le protesi cementate sono invece sottoposte a lucidatura, per evitare la formazione di microcricche nel cemento e difetti superficiali sullo stelo che possono portare a fenomeni di fatica meccanica.

• Componente acetabolare: necessita di elevata biocompatibilità e resistenza alla corrosione, oltre che di elevate caratteristiche meccaniche (sforzo a rottura e resistenza a usura).

Il metal back non ha gli stessi problemi di resistenza meccanica che ha lo stelo, i carichi sono nettamente inferiori. L’inserto viene sottoposto a carichi impulsivi e permette il loro smorzamento.

Interfaccia protesi-osso: stelo femorale o componente acetabolare.

Lo scambio di sollecitazioni tra protesi e osso può portare a eventi favorevoli o sfavorevoli (successo o insuccesso).

Le sollecitazioni meccaniche scambiate sono dovute al fatto che la protesi è inserita negli arti inferiori, naturalmente sottoposti a carichi elevati. La protesi deve trasmettere all’osso i carichi, per evitare riassorbimento: è necessario un range corretto di carico e quindi di deformazione sull’osso. Se la deformazione trasmessa è sotto il range, perché la protesi è troppo rigida, l’osso va incontro a riassorbimento, se è troppo elevata l’osso può rompersi perché troppo sollecitato. Se la deformazione sull’osso è troppo bassa il tessuto osseo perde consistenza e si ha atrofia ossea, questo porta a mobilizzazione della protesi. Se il carico sull’osso è troppo elevato, le cellule ossee non sono più in grado di sopportare questi sforzi e vanno in necrosi, facendo aumentare eccessivamente la sollecitazione con conseguente mobilizzazione della protesi. D’altra parte, anche il carico sulla protesi dev’essere all’interno di un range: se il carico è troppo elevato si va incontro a usura per movimenti articolari e attriti che vengono incrementati, se poi l’usura è troppo elevata la quantità di detrito cresce e il corpo non è più in grado di smaltirlo, portando a necrosi ossea con mobilizzazione dello stelo all’interno dell’osso.

Il raggiungimento della stabilità è molto difficile e si basa su un equilibrio delicato.

(4)

Accoppiamenti sferici

Requisito di progetto degli accoppiamenti: minimizzare la quantità di detrito da usura prodotta. Supponendo che l’usura sia solo di tipo abrasivo, si ha distacco di piccole particelle per i movimenti relativi delle due componenti sottoposte a una forza. I detriti che vengono prodotti restano in situ, possono essere reattivi e dare problemi più o meno gravi in base alla tipologia di materiale.

La quantità di materiale può far degenerare la risposta infiammatoria.

• Accoppiamento tradizionale: testina in CoCr e inserto acetabolare in UHMWPE, la quantità di detriti da usura è molto elevata e la testa va a penetrare maggiormente all’interno dell’inserto.

• Accoppiamento CoCr con UHMWPE reticolato (bombardamento con raggi gamma o beta che fanno creare crosslink e rendono il polietilene più resistente a usura): la quantità di detriti d’usura si riduce di dieci volte rispetto all’accoppiamento tradizionale con polietilene non trattato.

• Accoppiamento metallo-metallo: la quantità di detrito prodotto si riduce a un quinto rispetto all’accoppiamento CoCr- UHMWPE reticolato. Il materiale rilasciato è diverso, gli ioni metallici danno reazione infiammatoria peggiore del polietilene.

• Accoppiamento ceramico-ceramico: ulteriore riduzione della quantità di detrito prodotto, in quanto i due materiali a contatto sono molto duri, quindi più resistenti all’abrasione rispetto ai materiali plastici a contatto con materiali più duri.

Inoltre, il detrito rilasciato è inerte nell’ambiente biologico.

Il corpo umano ha una soglia di smaltibilità del detrito prodotto influenzata dalla quantità di detrito; la quantità di detrito smaltibile non è univocamente determinata. È però importante anche la reattività del detrito prodotto: ad esempio le protesi in metallo danno una piccola quantità di detriti, con dimensioni submicrometriche, ma il detrito di CrCo è molto reattivo e può entrare nella circolazione ematica, andando ad accumularsi in organi come il fegato. L’accumulo porta a mobilizzazione della protesi in primis, ma entrando in circolo va a creare problemi ad organi più importanti (metallosi). Le protesi in metallo-metallo sono commercialmente morte, per gravi danni creati ai pazienti. Il problema stava nel fatto che la protesi era stata mal

progettata. Il bordo del metal back era stato assottigliato eccessivamente e andava quindi a schiacciarsi (metalback non più emisferico), in questo modo i carichi andavano a distribuirsi male e lo sforzo sull’inserto aumentava provocando ulteriore usura.

• Accoppiamento CoCr-UHMWPE

Vantaggi: nel caso di lussazione, in cui la testa esce dall’inserto, si può aggiungere un bordo all’inserto per impedire che la testa esca. Questo può essere realizzato solo per un inserto in polietilene, molto più lavorabile. L’UHMWPE è utilizzato inoltre per smorzare l’onda impulsiva di carico statico.

Svantaggi: vi è grande produzione di detriti perché il polietilene è morbido. Questo può portare a osteolisi periprotesica da frammento, dovuta all’attacco dei macrofagi sui detriti che vanno a distruggere anche l’osso nell’intorno della protesi.

Questa perde di stabilità e si ha mobilizzazione, con fallimento dell’impianto.

• Accoppiamento metallo-metallo

Vantaggi: protesi durevole, poca produzione di detriti submicrometrici e modifica delle superfici limitata.

Svantaggi: non assorbono carichi impulsivi, rilascio di detriti molto reattivi, rischio di lussazione.

• Accoppiamento ceramica-ceramica

Vantaggi: bassissima quantità di detrito, i detriti sono inerti e non reattivi, vengono isolati e non creano problemi. È la soluzione ideale per quanto riguarda le protesi articolari.

Svantaggi: alto costo (4-5 volte superiore), produzione estremamente complessa per le alte temperature di fusione (ci sono solo due produttori al mondo). Non assorbono carichi impulsivi perché le componenti sono molto rigide e non presentano campo plastico, vi è alto rischio di lussazione. Il materiale è per sua natura fragile, il posizionamento dev’essere molto preciso e la revisione di questo accoppiamento è molto difficile perché la rottura avviene di schianto e in mille pezzi.

Tipologie di usura che si possono sviluppare

In prima ipotesi si è considerata l’usura abrasiva, con distacco di particelle da una superficie. L’usura da terzo corpo è sviluppabile nell’anca per via dell’articolazione congruente tra le due superfici in moto relativo (non nel ginocchio): usura determinata dall’interposizione di un terzo corpo tra testina e inserto acetabolare. Le particelle frapposte abradono entrambi gli elementi dell’articolazione. Per quanto riguarda l’inserto plastico le particelle vanno scagliare la superficie, togliendone dei pezzi. Inoltre, le particelle rigano la superficie della testina, aumentando la rugosità superficiale che incrementa l’usura abrasiva dell’inserto. Le particelle del terzo corpo sono di un materiale diverso da quello delle componenti: possono essere particelle d’osso residue dall’operazione, oppure particelle di cemento osseo nel caso di protesi cementate. Questi problemi sono dovuti all’intervento chirurgico. L’usura da terzo corpo interviene per la geometria dell’articolazione: le superfici sono congruenti e il terzo corpo permane tra di esse. Nel ginocchio questo problema non interviene perché le superfici non sono congruenti e il terzo corpo può essere espulso.

Tipi di vincolo

Per impiantare una protesi va creato un sito che possa accogliere il dispositivo, sia nel bacino che nel canale femorale.

Per inserire la coppa acetabolare si scava minimamente il bacino per esporre l’osso e per inserire il metal back, che ha una sua dimensione standard (taglia). Per inserire lo stelo femorale bisogna sagomare la forma del canale femorale tramite raspe con la forma dello stelo, queste raspe presentano dei tagli per penetrare nel canale e preparare il sito d’impianto.

(5)

Protesi cementate: il cemento per ossa (PMMA -polimetilmetacrilato) si ottiene miscelando polvere (polimero) e liquido (monomero) direttamente in sala operatoria. Questa pasta fluida viene colata all’interno del canale femorale, il materiale resta fluido per qualche minuto. Quando viene inserita la protesi il cemento sale e funge da riempitivo tra protesi e osso. Dopo poco il cemento polimerizza, solidifica e fissa la protesi. Non è un incollaggio, è un riempitivo, vi sono due interfacce cemento-osso, cemento-protesi.

Vantaggi: si ottiene stabilità primaria immediata, il cemento uniformemente distribuito garantisce una distribuzione di carichi su una superficie più ampia, la tecnica chirurgica è più semplice perché il foro non ha tolleranze troppo restrittive in quanto il cemento va a riempire e fissare. Questa tecnica è preferita per persone anziane, per poterle rialzare subito (stabilità primaria) e per la possibile scarsa qualità dell’osso.

Svantaggi: il cemento per ossa può rompersi, ha caratteristiche meccaniche non elevate e subisce gli stessi sforzi che subisce il metallo, se il cemento cede si perde tutta la stabilità meccanica dell’impianto. Durante la miscelazione del cemento si può introdurre dell’aria che va a creare bolle nel cemento che ne diminuiscono la sezione resistente, con aumento del rischio di rottura (si risolve questo problema preparando i cementi sottovuoto). La polimerizzazione è esotermica, raggiunge temperature superiori ai 60°C che portano alla necrosi del primo strato di cellule. Questo in realtà non è così negativo perché permette al cemento di insinuarsi attraverso l’osso spongioso e fissare la protesi.

Protesi non cementate: la protesi viene forzata all’interno della sede ossea. La stabilità primaria è

demandata al press-fit, interferenza protesi-osso, la stabilità secondaria è demandata alla ricrescita ossea.

Vantaggi: minore invasività, il buco può essere più piccolo. C’è minor rischio di mobilizzazione (evidenza clinica) perché se l’osso ricresce resta stabile a lungo termine, quindi c’è maggior affidabilità nel lungo periodo. Queste protesi vengono quindi impiantate maggiormente in soggetti giovani e attivi, che possano stimolare l’osso a ricrescere.

Svantaggi: l’intervento è più difficile perché necessita maggior precisione, la dimensione da creare nel canale è molto specifica perché la protesi dev’essere inserita perfettamente nel canale per creare

interferenza durante il press-fit. Il chirurgo deve avere molta manualità per creare il canale con le raspe e inserire poi la protesi.

Design degli steli

• Steli cementati

1° Generazione: Thompson-Charnley e derivati: steli a banana lisci, monoblocco, con limitato numero di taglie, cementate con cemento uniformemente distribuito.

2° Generazione: autobloccante Muller e derivati: steli a lama strutturati, modulari, con ampia gamma di taglie, disponibili con cemento in A/P e press-fit bicorticale M/L.

3° Generazione: Exeter e derivati: steli sottili, lisci e lucidati a specchio, con taglie a sviluppo tridimensionale, spigoli smussati, centratori distali e prossimali, distribuzione omogenea del cemento.

• Steli non cementati

Press-fit secondo Spotorno: steli CLS e derivati: la porzione prossimale è l’unica zona di appoggio e osteointegrazione, dalla porzione prossimale verso quella diafisaria lo stelo si restringe e si assottiglia per evitare ogni possibile fenomeno di stress- shielding. La stabilità rotazionale è data dalle alette longitudinali.

Press-fit secondo Zweymuller: steli Zweymuller e derivati: la porzione d’appoggio e osteointegrazione è più ampia in direzione M/L e comprende tutta la zona metadiafisaria. Il contatto nel canale è bicorticale, la stabilità rotazionale è data dalla forma a cuneo e dalla sezione quadrangolare. Lo stelo riempie il gran trocantere con una protuberanza a sperone prossimo-laterale.

Press-fit secondo la scuola USA: steli Osteonics e derivati: steli di derivazione cementata, l’appoggio non privilegia le corticali M/L, si distribuisce su quelle anteroposteriori. La stabilità rotazionale e antiaffondamento è precaria e dettata dal corretto dimensionamento dell’impianto. La porzione distale è più riempitiva, ha angoli smussati, presenta problemi di effetto punta.

Press-fit anatomico: steli ABG e derivati: protesi anatomica con riproduzione il più congruente possibile del design femorale fisiologico, con una curva mediale. La stabilità di questi impianti è labile, tralascia le anatomiche e soggettive antiversioni del femore. Se si credesse a una riproducibilità dell’anatomia si dovrebbe optare per protesi custom made, irrealizzabili per l’alto numero di pazienti che subiscono protesizzazione dell’anca. Questo fa sì che questo tipo di protesi sia in forte declino.

Design acetabolari

• Press-fit: hanno forma emisferica con schiacciamento polare per migliorare il contatto e per affondarlo in modo corretto.

Esistono cotili press-fit monoblocco, in cui non c’è interfaccia tra metallo e polietilene.

• Ad espansione: l’acetabolo è chiuso da un anello che viene rimosso durante l’intervento, avviene così rilascio di punte che si innestano nel bacino garantendo stabilità primaria immediata.

• Ad avvitamento: la coppa ha scanalature autofilettanti, si avvita nell’osso (non è sostituibile, non sono più sul mercato).

Cause di insuccesso

La classificazione tiene conto del momento in cui avviene il fallimento.

• A breve termine: dai giorni appena dopo l’intervento a circa uno-due mesi.

1. Mobilizzazione settica: la protesi, per una sepsi (infezione), non è stabile all’interno della componente ossea. L’osso non ricresce in maniera adeguata intorno alla protesi; la mobilizzazione può avvenire sia nell’acetabolo che nel canale femorale.

L’infezione può rientrare con normali terapie farmacologiche, se non rientra può portare a mobilizzazione dei componenti protesici. È fondamentale scongiurare il rischio di impiantare qualcosa non sterile in partenza, i dispositivi vengono forniti

(6)

all’ospedale già sterili, ovvero privi di organismi viventi. Il progettista deve mettere in campo strategie di sterilizzazione che garantiscano di avere un dispositivo sterile e che mantenga la sterilità per un lasso di tempo sufficiente. Il procedimento di sterilizzazione è industriale, in alternativa è l’ospedale stesso a dover sterilizzare il dispositivo che viene fornito non sterile (in realtà le protesi d’anca sono fornite sterili, mentre lo strumentario no). I metodi di sterilizzazione sono diversi, vengono scelti in base al materiale con cui è costruito il dispositivo: per le componenti metalliche si usa la sterilizzazione a raggi beta o gamma, per le componenti plastiche non si può usare l’irraggiamento perché crea infragilimento, si preferisce esporre la componente all’ossido di etilene (EtO). Il progettista si deve preoccupare di scegliere il miglior tipo di sterilizzazione per la componente, ovvero la quantità di raggi o ossido che garantiscano sterilità per il tempo necessario. Bisogna infine validare il processo e tutte le sue caratteristiche (es. tempo di esposizione, avendo un livello di presenza di microorganismi

controllato). La sterilizzazione va a uccidere le componenti viventi, non rimuove però i residui di lavorazione che possono creare problemi di compatibilità. In ogni caso l’assenza completa di microorganismi è irraggiungibile, si stima la probabilità di avere un numero minimo di organismi sul dispositivo. SAL=sterility assurance level (10-6) indica la probabilità di avere un dispositivo non sterile e considera questo livello accettabile. Quali sono le cause d’infezione? La probabilità che avvenga un’infezione aumenta a causa dell’intervento, partendo dai presupposti che il sito d’impianto non è perfettamente sterile e il paziente può presentare un’infezione in atto. Il dispositivo protesico artificiale è un sito favorevole (catalizzatore

d’infezione) per l’attacco batterico, questo innalza la probabilità di avere un’infezione radicata. Il paziente potrebbe poi andare incontro a infezione post-impianto in ospedale. La probabilità che l’infezione insorga perché il progettista non è stato in grado di progettare un metodo di sterilizzazione efficace è molto inferiore rispetto alla probabilità che insorga un’infezione durante o dopo l’impianto. L’incidenza di questi fenomeni viene abbassata tramite prevenzione con cure farmacologiche sempre più efficaci. Se vi è mobilizzazione settica la protesi viene rimossa e ne viene impiantata una nuova dopo aver debellato l’infezione: nel periodo in cui si cura l’infezione il paziente resta senza articolazione oppure è possibile impiantare uno spaziatore in PMMA antibiotato, questo rilascia l’antibiotico nel sito d’impianto e permette al paziente di muoversi. ** Questa causa di fallimento può avvenire con tutti i dispositivi impiantabili. **

2. Lussazione ricorrente: prerogativa della protesi d’anca, è determinata dall’impossibilità della testa femorale di rimanere all’interno dell’inserto acetabolare. Questo implica non funzionalità del dispositivo. Può essere dovuta a una conformazione anatomica particolare del paziente o a cattivo impianto chirurgico. Per rimediare è necessario reintervenire, reimpiantando la componente acetabolare e correggendo gli errori di posizionamento. Si può rimediare con inserti in polietilene con un labbro antilussazione.

3. Allergia: se il paziente dovesse risultare allergico al materiale di cui è costituito uno dei componenti della protesi l’unica cosa da fare è rimuovere il dispositivo e sostituirlo con un altro in materiale diverso. Con la protesi d’anca vi è la possibilità di cambiare il materiale, con altri dispositivi è invece impossibile.

• A medio termine: da un mese a un anno di vita della protesi, non sono dovute a risposta biologica intensa post operazione.

4. Cedimento strutturale: un componente del dispositivo si rompe. Generalmente, nel medio termine possono rompersi solo le componenti ceramiche (testina o acetabolo). Il rischio di cedimento nel breve termine è stato abbassato introducendo materiali diversi negli anni. Se si usano materiali ceramici la rottura può essere dovuta a cedimenti di schianto per propagazioni di cricche instaurate durante l’impianto.

5. Mobilizzazione asettica per stress shielding: vi è mancanza di vincolo meccanico tra componente protesica e struttura ossea, in assenza di infezione. L’inserimento della protesi può scaricare l’osso che quindi può andare incontro a riassorbimento, con conseguente perdita di compattezza e mobilizzazione della componente protesica.

6. Mobilizzazione asettica per cedimento del manto di cemento: nelle protesi cementate, il cemento interposto tra stelo e osso è intrinsecamente fragile e c’è alta probabilità di rottura. Se cede il manto di cemento la stabilità viene persa e la protesi inizia a muoversi all’interno dell’osso.

• A lungo termine: fino alla vita utile della protesi e del paziente.

7. Cedimento strutturale a fatica: la componente femorale è quella più caricata a fatica, uno stelo si rompe in seguito a riassorbimento osseo, se l’integrazione della protesi nell’osso è garantita il rischio di cedimento è molto basso. Questo può anche essere dovuto a corrosione dei componenti modulari con innesto e propagazione di cricche con conseguente rottura.

8. Mobilizzazione asettica per osteolisi periprotesica da frammenti: è dovuta a usura con produzione di detriti di polietilene. I detriti scatenano una risposta infiammatoria con richiamo di macrofagi che distruggono il polietilene e la massa ossea circostante, con danneggiamento della stabilità ossea e conseguente mobilizzazione della protesi.

Le tipologie di fallimento sono uguali (cedimento e mobilizzazione), nel tempo varia la causa scatenante alla base del fallimento.

Trends presenti e futuri

Essendo la protesi d’anca molto usata e sviluppata nel tempo vi sono dispositivi consolidati. Le innovazioni vengono introdotte e sviluppate come mode e trends. Alla base delle innovazioni vi il concetto di Preserving Bone, ovvero la necessità di preservare la massa ossea, soprattutto in vista di un reimpianto. Si tende quindi a ridurre la lunghezza dello stelo. In alternativa sono state presentate protesi d’anca con processi tecnologici innovativi, ad esempio stampate con deposizione 3D di polveri. Il vantaggio è di tipo produttivo, con una singola stampata è

possibile produrre una quantità elevata di pezzi con riduzione dei tempi di produzione (usata soprattutto per componente acetabolare). Questo tipo di produzione permette inoltre di ottenere un dispositivo con rugosità superficiale, senza necessitare di trattamenti ulteriori. Il disegno di trabecolatura esterna può essere controllato per favorire il trasferimento del carico all’osso.

(7)

Ø PROTESI DI GINOCCHIO

È la protesi più impiantata in assoluto negli ultimi anni, con un trend che abbassa l’età di prima protesizzazione. Questo tipo di protesi non ha affidabilità a lungo termine pari a quella della protesi d’anca, ha una durata di circa 10 anni (10 milioni di cicli).

L’articolazione è molto complessa, collega la parte distale del femore alla parte prossimale della tibia. Vi è un terzo osso, la patella o rotula, che si inserisce nella parte antero-superiore del

ginocchio ed è collegata al tendine del quadricipite femorale, essa scorre nel solco intercondoloideo.

Il femore ha due condili laterali con raggi di curvatura specifici, essi sono assimilabili a sfere e si articolano sul piatto tibiale piano; il condilo esterno si assume circa il 60% del carico agente sulla componente femorale, mentre l’altro il 40%. Per semplicità si considera il carico distribuito in modo simmetrico sui due condili (50-50). I condili sono liberi di ruotare e traslare sul piatto, l’articolazione è poco congruente. Oltre alla rotazione vi è strisciamento relativo tra femore e tibia, in più la rotula ruota sul femore. L’articolazione dev’essere contenuta da una capsula che trattenga i movimenti all’interno di un range articolare fisiologico, questa stabilità è garantita da strutture ligamentose (legamenti crociati che bloccano i movimenti antero-posteriori e legamenti collaterali che stabilizzano la direzione medio-laterale), dalla cartilagine (menischi: semilune cartilaginee che ricoprono la superfice del piatto tibiale, contengono i movimenti dei condili perché hanno bordi rialzati, in più permettono la diminuzione dell’attrito con assorbimento dei carichi impulsivi) e dai tendini (tendine del quadricipite femorale:

trattiene la rotula attaccandosi distalmente alla tibia). I legamenti crociati limitano la traslazione e rotazione relativa tra femore e tibia. Il legamento crociato anteriore stabilizza la tibia quando questa cerca di muoversi anteriormente strisciando. Il

legamento crociato posteriore collega la parte interna del condilo laterale alla parte posteriore della tibia, impedendo lo spostamento posteriore della tibia. I due legamenti controlaterali limitano gli spostamenti/traslazioni laterali che si possono avere durante urti o situazioni particolari (diversi dal cammino). Con la protesizzazione si sacrificano i legamenti (quello anteriore è sempre sacrificato), quindi bisogna inserire all’interno del disegno della protesi dei meccanismi che garantiscano all’articolazione di essere trattenuta. Durante il cammino si ha flesso-estensione nel piano sagittale del ginocchio con un angolo di 60° di flessione tra femore e tibia. Associato a questo movimento si ha una piccola (4-6°) rotazione relativa tra femore e tibia per via della non perfetta simmetria dei condili femorali (impercettibile). Infine, si ha un terzo movimento di shear (traslazione) antero-posteriore tra femore e piatto tibiale. Se non ci fosse lo strisciamento relativo il femore cadrebbe fuori dal piatto perché troppo corto per contenere l’intero rotolamento del femore. Lo strisciamento, dal punto di vista meccanico, può però creare problemi dati dai maggiori attriti che si sviluppano e che quindi portano a un incremento dell’usura.

Patologie che portano a protesizzazione 1. Processi degenerativi

• Artrosi deformante primaria: vi è degenerazione della cartilagine (menischi), in cui si può arrivare a esposizione dei capi ossei, con elevato incremento degli attriti e del dolore connesso;

• Artrosi secondaria a processi che hanno modificato i rapporti anatomici e funzionali, dovuti a traumi e processi infiammatori (artriti- infiammazione della membrana sinoviale): portano a disallineamento dei carichi articolari, con carico non

egualmente ripartito tra condilo mediale e laterale. Nel ginocchio sano generalmente i due condili si assumono lo stesso carico (più quello mediale perché più grande), se vi è disallineamento uno dei condili è sovraccaricato. La cattiva ripartizione può essere dovuta a traumi o a problematiche congenite. Questo disallineamento può essere compensato tramite

intervento chirurgico, senza protesizzazione, soprattutto se ci si trova ancora in una fase non avanzata. Si va a scaricare il compartimento sovraccaricato, andando a raddrizzare l’articolazione per rallentare l’evolvere della patologia. Queste operazioni sono dette osteotomie, possono essere di sottrazione o addizione. Se l’asse meccanico della gamba è allineato tra anca, ginocchio e caviglia si ha condizione fisiologica, in caso di artrite o artrosi l’asse può essere spostato medialmente e passare per la parte mediale del ginocchio, sovraccaricando la parte mediale. Si raddrizza la tibia per riportare l’asse al centro del ginocchio; si interviene con osteotomia di sottrazione, tagliando un cuneo dalla tibia. In alternativa si può avere osteotomia per addizione, con rottura della tibia, raddrizzamento e successivo inserimento di osso all’interno della tibia.

La protesi di ginocchio

È una protesi di ricopertura che ricopre i capi ossei dell’articolazione, con geometrie che mimano quelle naturali. I capi articolari vengono preparati per poter accogliere la protesi, si tagliano piani inclinati sul femore per poter accoppiare la parte interna della protesi; la tibia viene resecata superiormente per poter applicare l’inserto protesico.

La parte femorale metallica si inserisce nel condilo, inferiormente il piatto tibiale metallico si inserisce nella tibia. Tra le due componenti metalliche vi è l’inserto tibiale, in polietilene. È possibile sostituire anche la rotula.

Classificazione

• Secondo il numero dei compartimenti sostituiti: i compartimenti da sostituire possono essere compartimento femoro- rotuleo, femoro-tibiale-laterale e femoro-tibiale-mediale.

• Protesi mono-compartimentale in cui viene sostituito il compartimento laterale o mediale, con rivestimento del condilo laterale o mediale e del piatto tibiale corrispondente, l’altro compartimento viene lasciato così com’è. Questo tipo di protesi si impianta quando c’è patologia di un solo compartimento, per avere minor invasività.

Questo tipo di protesi permette il mantenimento dei legamenti del paziente (unico tipo di protesi che mantiene tutti i legamenti), senza necessitare di particolari disegni che trattengano i movimenti al posto dei legamenti. Inserendo due protesi mono-compartimentali (protesi bi-mono) si permette il mantenimento dei legamenti, avendo una protesi

(8)

completa e stabile. Nonostante ciò, vi sono delle modifiche nell’articolazione che possono portare a complicazioni per il taglio delle due ossa e per le caratteristiche dell’inserto, questi possono influenzare il tensionamento dei legamenti che non devono essere laschi o eccessivamente tensionati. Se in partenza i legamenti non sono funzionanti non è possibile inserire una protesi di questo tipo perché non possiede vincoli che impediscano la lussazione del compartimento. La bassa congruenza dell’articolazione è mantenuta, la stabilità viene garantita dal mantenimento dei legamenti.

• (Protesi bi-compartimentale: protesi pensata per i pazienti con patologie per un solo compartimento femoro-tibiale più una patologia rotulea. Si inserisce una parte che ricopre il solco intercondiloideo contenete la rotula. Questa protesi non ha avuto grande successo.)

• Protesi tri-compartimentale senza rotula: è una protesi totale (TKR) senza patella, sostituisce entrambi i compartimenti femoro-tibiali più il solco intercondoloideo. È possibile che vi sia protesizzazione della rotula oppure no, in questo caso si mantiene la rotula naturale.

• Protesi tri-compartimentale con sostituzione di rotula: la rotula viene rivestita con metallo e materiale plastico nella zona a contatto con il femore.

• Secondo il grado di vincolo meccanico: il disegno delle componenti permette di avere una protesi più o meno stabile, in base alle strutture ligamentose presenti e che possono essere mantenute nel paziente.

• Protesi di ricoprimento: sono protesi che non presentano vincoli meccanici particolari che limitino i movimenti. Queste protesi meno vincolate sono impiantate nel caso in cui sia possibile mantenere i legamenti naturali, hanno affidabilità a lungo termine maggiore, bisogna quindi equilibrare affidabilità e vincolo meccanico. Si ha mantenimento di tutti i legamenti, tranne quello anteriore.

• Protesi posterior stabilized (semi-vincolata): si impianta nel caso in cui manca o va rimosso il legamento crociato posteriore, è necessario un vincolo di traslazione posteriore della tibia. In questa protesi vi è una cresta sul piatto tibiale e sull’inserto, mentre sul femore vi è un box in cui si articola la cresta.

• Protesi a cerniera cilindrica vincolata: questa protesi si impianta solo se mancano tutti i legamenti, per cui l’articolazione è fortemente instabile, in particolare è utilizzata per tumori che obbligano elevate resezioni di componente ossea. Questa protesi presenta dei lunghi steli/fittoni che si vincolano meccanicamente all’osso, è estremamente stabile e blocca tutti i movimenti che portano a lussazione dell’articolazione, essa però consente solo la flesso-estensione nel piano sagittale (camminata non fisiologica).

• Secondo la tipologia di inserto tibiale:

• A polietilene mobile: l’inserto può ruotare o traslare rispetto al piatto in cui è inserito (più instabile).

• A polietilene fisso nel piatto.

Dallo stesso modello di disegno delle superfici articolari (curvatura dell’inserto femorale), è possibile scegliere diverse tipologie di protesi, con inserto mobile o fisso, oppure con piatti tibiali diversi con sacrificio di un diverso legamento.

Questa modularità permette di avere un minor magazzino e di avere maggior scelta durante l’operazione chirurgica, in base alla clinica del paziente. Le protesi con inserto mobile danno luogo a bassi sforzi di taglio, per via della rotazione relativa tra inserto e piatto, oltre che alla rototraslazione del femore sull’inserto. Il femore ruotando sopra l’inserto ne provoca la rotazione sul piatto, permettendone la rotazione intra-extra. Lo svantaggio presentato da queste protesi è dovuto all’aumento del rischio di usura, in quanto l’inserto ha ora due superfici che possono subirla: in protesi a inserto fisso si ha usura della superficie superiore, su cui si inserisce e muove il femore; in protesi a inserto mobile si usura anche la superficie inferiore perché si muove sul piatto tibiale.

• Secondo il tipo di fissazione:

• Protesi con fissazione cementata: fa uso di cemento per ossa PMMA per la fissazione delle componenti. Sono molto diffuse. I vantaggi di questo tipo di protesi è la semplificazione del taglio chirurgico delle superfici articolari perché lo strato di cemento uniforma le discontinuità delle resezioni chirurgiche che possono essere quindi meno precise. In aggiunta, il cemento si comporta come smorzatore e trasmette i carichi tra protesi e osso. Gli svantaggi correlati a queste protesi sono la possibilità di avere pezzi di cemento che possono andare a interporsi tra le due componenti articolari e creare usura da terzo corpo. Essendo le superfici non congruenti, però, il terzo corpo può essere eliminato. Il cemento, inoltre, può andare incontro a invecchiamento e rompersi, facendo perdere connettività tra protesi e osso.

• Protesi non cementata: per garantire la stabilità primaria si usa il press-fit, mentre la stabilità secondaria è data dalla ricrescita ossea. Il vantaggio di queste protesi è l’assenza di eventuali pezzi di cemento. Gli svantaggi sono l’assenza di aderenza tra protesi e osso, con perdita di interfaccia. La stabilità è difficile da ottenere per la geometria articolare.

• Protesi ibrida: femore non cementato e tibia cementata o viceversa.

Materiali utilizzati per le protesi di ginocchio

La scarsa congruenza tra superfici femorali e tibiali influenza la scelta dei materiali. La componente femorale è esclusivamente in metallo, in lega di CoCr. Non viene usato il titanio, esso è molto resistente a corrosione per produzione di un film di ossido, per questo motivo non è possibile usare un materiale di questo tipo per una componente articolare in movimento perché lo strato di ossido andrebbe a danneggiarsi e porterebbe a fenomeni di corrosione. Il piatto tibiale per protesi a inserto fisso può essere costituito in lega di titanio (Ti6Al4V) perché non vi sono movimenti relativi tra piatto e inserto. Il piatto tibiale per protesi a inserto rotante è costituito in lega di CoCr perché soggetto a movimenti relativi con l’inserto. L’inserto è invece costituito da polietilene ad altissimo peso molecolare, UHMWPE. Non è possibile usare gli accoppiamenti ceramici a bassissima usura, come nella protesi d’anca, perché l’articolazione del ginocchio è non congruente, quindi le aree di contatto istante per istante sono

(9)

molto piccole e portano a sforzi molto elevati. Sebbene la forza applicata sia leggermente inferiore durante il cammino rispetto all’anca (2.8 x peso corporeo) a far crescere gli sforzi sono le aree molto ridotte. Questi sforzi possono portare a rottura delle componenti ceramiche. NB. Quando si impianta la protesi non è più presente il fluido sinoviale fisiologico che lubrifica l’articolazione, va a prodursi un fluido pseudosinoviale che non ha però le stesse capacità lubrificative fisiologiche.

Specifiche di progetto della protesi di ginocchio, in relazione a quelle della protesi d’anca:

1. Consentire i movimenti di libertà rotazionali consentiti dall’articolazione naturale: in realtà non tutte le protesi garantiscono questo requisito (cerniera vincolata);

2. Sopportare i carichi applicati durante il passo, in relazione al peso corporeo: i carichi da sopportare sono inferiori rispetto a quelli dell’anca, ma danno luogo a sforzi molto più elevati per le aree di congruenza ridotte;

3. Resistere alla fatica meccanica derivante dall’applicazione ciclica del carico durante il passo: i componenti che possono andare incontro a rottura per fatica dipendono dalla tipologia di protesi, piatto tibiale nelle protesi totali e piatto tibiale e condilo femorale nelle mono-compartimentali;

4. Avere delle superfici articolari resistenti a usura: l’usura porta a perdita di funzionalità;

5. Essere fabbricata con materiali biocompatibili: nella protesi d’anca ci si riferisce soprattutto allo stress shielding, nella protesi di ginocchio questo problema è minore perché le componenti sono cementate;

6. Garantire stabilità primaria e secondaria: la presenza del cemento permette di garantire questo requisito;

7. Essere facilmente impiantabile: disegno e progettazione di uno strumentario capace di ottenere le corrette superfici sagomate per mimare l’articolazione e nel contempo di facile utilizzo per il chirurgo. Questa combinazione è difficile da ottenere, per i diversi pezzi componibili;

8. Essere facilmente sostituibile: si vuole massimizzare il risparmio di tessuto osseo e dei tessuti molli circostanti (legamenti);

9. Avere un comportamento biomeccanico che non alteri le caratteristiche meccaniche globali: si fa riferimento alla rigidezza delle componenti. Si migliora questa condizione tramite l’inserto tibiale plastico, che smorza i carichi impulsivi;

10. Garantire uno stato di sollecitazione nel tessuto osseo, tale da consentire il rimodellamento osseo.

Cause di fallimento

• A breve termine:

1. Mobilizzazione settica: il rischio di contrarre una sepsi durante l’operazione chirurgica aumenta perché durata e difficoltà di intervento sono elevate. Se si ha rimozione della protesi per curare l’infezione bisogna inserire uno spaziatore, che

permette di mantenere un certo tono muscolare e lo spazio articolare, per evitare un eccessivo avvicinamento di femore e tibia. Lo spaziatore è inoltre caricato di antibiotico e lo rilascia durante l’impianto per curare l’infezione. Lo spaziatore permette di muovere l’articolazione durante il periodo in cui non vi è la protesi, sebbene in maniera limitata.

2. Allergia: può portare a fallimento della protesi, con necessità di reimpianto di una protesi custom made con un materiale diverso, generalmente non utilizzato. Sono state sviluppate protesi ricoperte da TiNbN (nitruro di titanio e niobio) tramite deposizione da vapore; questo strato scherma il CoCr abbassando il rischio di allergia. Inoltre, lo strato deposto rende molto liscia la superficie e fa diminuire il rischio di abrasione dell’inserto.

• A medio termine:

3. Mobilizzazione asettica per stress shielding: nella protesi di ginocchio questo rischio è ridotto perché c’è minor momento flettente rispetto all’anca.

4. Mobilizzazione asettica per cedimento del manto di cemento.

5. Lussazione: il rischio è elevato per l’instabilità intrinseca dell’articolazione.

• A lungo termine:

6. Cedimento strutturale a fatica: nella protesi mono-compartimentale possono rompersi entrambe le componenti metalliche perché è una protesi piccola e le sezioni resistenti nel condilo femorale sono ridotte. Nella protesi totale aumentano le sezioni resistenti, per quanto riguarda le componenti metalliche si può rompere solamente il piatto tibiale, in condizioni particolari: se vi è riassorbimento di una delle due

parti terminali della tibia, non vi è tessuto consistente che permetta l’appoggio del piatto, quindi vi è sovrasollecitazione che porta a fallimento a fatica; queste conseguenze si hanno anche nel caso di rottura del manto di cemento.

7. Mobilizzazione asettica per osteolisi periprotesica da frammenti: il piatto va incontro a cedimento strutturale a fatica perché l’osso si riassorbe per deposizione del detrito d’usura di polietilene dell’inserto. Nell’osso si ha reazione

infiammatoria con osteolisi periprotesica, perdita di compattezza del tessuto e successiva sovrasollecitazione del piatto con rottura a fatica. I macrofagi che dovrebbero attaccare i detriti vanno ad intaccare anche la componente ossea.

8. Usura dell’inserto tibiale: si ha usura per fatica ed è particolare per il ginocchio.

Questo tipo di usura porta a distacco di parti molto grandi del dispositivo, in particolare provoca la disgregazione dell’inserto in polietilene, determinando l’articolazione della componente femorale su quella tibiale con conseguente corrosione e metallosi. Per provare in laboratorio queste cause di fallimento vi sono delle norme, si testa il piatto tibiale appoggiato solo per metà e sollecitato sull’altra

parte: questo piatto resiste per circa 107 cicli, applicando però una forza minore rispetto a quella che agisce a livello del ginocchio. Clinicamente è dimostrato che un piatto non appoggiato va incontro a rottura.

(10)

Tipologie di usura

• Usura abrasiva: l’azione di taglio esercitata dalle superfici dure che strisciano su superfici di materiale più tenero porta ad asportazione di materiale dalla superficie più tenera, per via delle asperità superficiali (rugosità) del materiale duro. Per avere questo tipo di usura dev’esserci moto relativo tra due materiali di durezza differente, sottoposti a pressione.

• Usura adesiva: il carico preme le due superfici una contro l’altra, generando pressioni molto elevate e zone di contatto puntuale che si deformano. Nel moto relativo tra le due componenti si ha attrito che genera calore e crea delle

microsaldature. Esse portano ad usura adesiva e, per i movimenti relativi, vengono strappate. Aumenta così la rugosità e il materiale più duro abrade il più morbido, si passa all’usura abrasiva. Usura adesiva e abrasiva sono superficiali

• Usura da terzo corpo: l’usura da terzo corpo non è caratteristica per le protesi di ginocchio per la non congruenza delle superfici. Questo tipo di usura avviene per interposizione di particelle di materiale duro (osso, cemento) tra le superfici articolari, queste vanno a rendere rugose le due superfici e a generare ulteriori detriti.

• Usura per fatica: avviene se sono presenti elevati carichi applicati in modo ciclico. I grandi carichi creano delle cricche subsuperficiali che si propagano, rendendo la superficie vaiolata/butterata. Si producono un’elevata quantità di

macrodetriti che portano alla rottura dell’inserto. Il detrito è così grande da non determinare una reazione infiammatoria con richiamo di macrofagi e osteolisi. Il problema è di tipo funzionale, l’inserto si rompe e non svolge più il suo compito.

Questo tipo di usura è subsuperficiale.

La formula di Archard descrive il volume totale del detrito prodotto a causa di usura abrasiva V=∫ 𝒌𝒙𝝈𝒅𝑨

V=k*P, con k wear factor tipico della natura dei materiali a contatto e dell’accoppiamento, A area su cui agisce lo sforzo σ=P/A, P carico pressorio e x distanza di scorrimento. Utilizzando dei componenti di geometria molto semplice è possibile determinare sperimentalmente questa formula. Si considerano moti relativi semplici (rettilinei, circolari) del componente (pin) rispetto a una superficie liscia (flat). Si scelgono gli accoppiamenti di materiale per valutarne le azioni reciproche. Andando ad applicare il movimento relativo è possibile valutare la quantità di detrito prodotta, per determinare quale accoppiamento è più favorevole.

La formula viene utilizzata per valutare l’influenza di ciascun parametro sulla produzione di detrito da usura abrasiva. In particolare, a priori non è possibile sapere se avere superfici di contatto più grandi è favorevole oppure no: se l’area è maggiore aumenta la superficie di contatto e diminuisce lo sforzo di contatto, però l’area che può subire usura è più ampia.

Dalle prove di usura si può calcolare il wear factor k, costante di proporzionalità che lega volume prodotto ai parametri sperimentali. Durante le prove pin on disk vi è un alto grado di semplificazione delle geometrie rispetto a quelle reali

dell’articolazione, in più i movimenti sono ridotti rispetto ai complessi movimenti che subisce il ginocchio. Le prove più indicative sono quindi quelle che utilizzano prototipi di protesi di ginocchio, che rappresentano condizioni molto più vicine a quelle reali. I simulatori di ginocchio consentono di applicare al provino movimenti più complessi sottoposti al carico assiale: flesso-

estensione, rotazione interna-esterna e traslazione (shear) antero-posteriore. La protesi si sottopone a circa 5 milioni di cicli (corrispondenti a circa 5 anni di vita dell’impianto) e si misura via via il detrito prodotto. I metodi di rilevazione del detrito prodotto sono tre: è possibile determinare la produzione di detrito tramite misura della differenza di peso tra il dispositivo testato e il dispositivo prima del test. Questa tipologia di analisi non è valida, le prove sono fatte in condizioni idratate con siero bovino che aumenta il peso della componente testata. In alternativa si può raccogliere il liquido dopo la prova e si estrapola il detrito che si pesa direttamente, in questo caso il problema si ha per la degradazione del siero bovino, nei 60 giorni di durata della prova. Il siero sviluppa mucillagini all’interno del detrito che quindi dev’essere sottoposto a lavaggi e trattamenti per eliminare le proteine sviluppate durante la prova. L’acidità e aggressività dei lavaggi possono determinare eliminazione del detrito stesso. Infine, è possibile usare macchine a misurazione di coordinate che scansionano la superficie prima e dopo la prova, la scansione determina le aree coinvolte dal processo d’usura che hanno coordinate differenti. Il volume presente fra le due curve è quindi corrispondente al volume di detrito perso; questo tipo di analisi permette anche di valutare quali zone sono state usurate maggiormente. A invalidare i risultati vi è la natura viscoelastica del materiale testato che, sottoposto ad azione assiale, va incontro a scorrimento viscoso e quindi a modifica della sua geometria. La variazione scansionata sarà data quindi dalla perdita di detrito sommata alla variazione di geometria. La soluzione può essere quella di andare a scansionare il materiale in partenza già sottoposto ad azione assiale.

Tornando alla formula di Archard, il valore di wear factor, risulta essere fortemente influenzato dal valore del coefficiente di attrito f tra gli accoppiamenti. L’accoppiamento CrCo-UHMWPE scelto per la protesi di ginocchio (scelta d’accoppiamento obbligata dalla geometria non congruente del ginocchio) è l’accoppiamento con maggior coefficiente di attrito f=0.07. Gli accoppiamenti ad attrito minore hanno caratteristiche meccaniche insufficienti per i carichi a cui deve sottostare l’articolazione.

Com’è possibile diminuire il rilascio di detrito in questo accoppiamento?

Per quanto riguarda la componente metallica, che va generalmente ad abradere l’inserto, è necessario diminuire la rugosità superficiale, così da diminuire l’efficacia dei picchi di rugosità nell’abrasione del polietilene. La rugosità del polietilene non influisce, viene immediatamente “spianata” dal materiale più duro e dai carichi trasmessi dal femore. Per quanto riguarda l’inserto, si può trattare il polietilene con processi di irraggiamento che determinano cross-linking e fanno aumentare la resistenza a usura. La struttura a catene del polietilene viene irraggiata, si ha la formazione di cross-links, ovvero legami tra le diverse catene. L’efficacia del processo è proporzionale al numero di cross-links che si formano e alla dose di irraggiamento applicata. La resistenza all’usura abrasiva aumenta con il cross-linking. Con questo processo vengono, però, peggiorate le caratteristiche meccaniche di resistenza intrinseche del materiale. L’irraggiamento crea radicali liberi che possono andare incontro a ossidazione, con conseguente infragilimento del dispositivo. Il numero di radicali liberi aumenta all’aumentare della dose di irraggiamento e fa diminuire la tenacità del polietilene. Questo abbassamento delle caratteristiche meccaniche porta

(11)

all’aumento dell’usura sub-superficiale a fatica per propagazione di cricche. È necessario trovare un compromesso per

aumentare la resistenza a usura ma mantenere le caratteristiche meccaniche (resistenza a usura per fatica). Questo è permesso per una giusta dose di irraggiamento. Il polietilene della protesi di ginocchio non può essere irraggiato come nella protesi d’anca, in cui non si hanno problemi di usura sub-superficiale, ciò consente l’utilizzo di dosi maggiori. Vi sono accorgimenti e ulteriori trattamenti che vengono applicati al polietilene cross-linkato per eliminare i radicali liberi:

• Irraggiamento sottovuoto per diminuire l’ossigeno presente in fase di irraggiamento, per impedire una prima ossidazione;

• Trattamenti termici con ri-arrangiamenti molecolari che diminuiscono i radicali liberi;

• Drogaggio del PE con vitamina E: sostanza biocompatibile che si lega ai radicali liberi, per impedire l’attacco dell’ossigeno.

L’influenza di A e σ sulla quantità di detrito prodotto (formula di Archard) non è ben definita: un aumento di area va a diminuire gli sforzi agenti sul dispositivo ma vi è un’area maggiore interessata al processo d’usura. Non si sa a priori se convenga avere una protesi a bassa o alta congruenza (con stabilità intrinseca garantita dai bordi che si vanno a creare). Con test su simulatore di due disegni di piatto tibiale è stato determinato che convenga avere protesi meno congruenti, cioè con area di contatto minore, perché si usurano di meno (è una valutazione preclinica che prescinde dalla conoscenza del paziente e dalla stabilità necessaria). Questi esperimenti si sono basati sull’andamento del wear factor, che decresce all’aumentare della pressione di contatto, la quale cresce al diminuire dell’area (minor area, minor congruenza, maggior pressione, minor wear factor). Le protesi più congruenti, con aree di contatto maggiori, danno pressioni minori e un fattore k più alto: questo determina un valore di usura maggiore, con una quantità di detrito prodotto maggiore.

Le prove pin on disk (semplici) valutano l’influenza della distanza di scorrimento (x); l’usura aumenta al crescere di x. In realtà, le geometrie complesse e il moto pluridirezionale (cross shear) modificano l’effetto di x sull’usura. Svolgendo delle prove con simulatore di ginocchio è possibile determinare un aumento dell’usura al crescere di x, come determinato con prove più semplici (pin on disk). La disposizione delle catene del polietilene può variare in base ai moti che si svolgono, le catene vengono

riorientate secondo la direzione antero posteriore di scorrimento (cross-shear). Il movimento stesso delle componenti determina un’aumento di resistenza in direzione antero-posteriore, a sfavore della direzione medio-laterale che risulta essere più debole. Il materiale risulta più resistente ai movimenti avanti e indietro di shear piuttosto che ai movimenti interno-esterno.

Questo è il motivo per cui le protesi a piatto rotante risultano più resistenti all’usura: la rotazione dell’inserto fa diminuire gli sforzi di taglio agenti sulla componente meno resistente a usura. Sulla superficie inferiore, in cui non si ha reorientamento delle catene, non c’è cross-shear dovuto ai carichi elevati agenti sul femore, quindi non si ha peggioramento delle condizioni di movimento ma gli vengono trasferiti una parte degli sforzi di taglio dalla superficie superiore. Il problema è la presenza della seconda superficie in moto relativo, bisogna valutare se il volume totale di detrito prodotto è inferiore rispetto alle protesi a piatto fisso, che presentano una sola superficie usurabile. Tramite prove computazionali si valutano i valori di pressione agenti sulle superfici superiore e inferiore durante il ciclo del passo. Questi risultati sono inseriti nel calcolo del volume prodotto al variare del numero di cicli. Dai risultati finali, l’aver introdotto la superficie inferiore in queste protesi a piattaforma rotante non

influenza significativamente (5%) il volume totale di detrito prodotto, esso risulta essere minore rispetto a protesi con piattaforma fissa. La quantità di detrito deriva per la maggior parte dalla superficie superiore nonostante essa subisca il fenomeno del cross shear. La somma dei due contributi risulta essere inferiore alla quantità di detrito prodotta in protesi a piatto fisso. (Wear rate: volume d’usura prodotto per un milione di cicli del passo, si utilizza nei grafici sulle slide. È diverso dal wear factor della formula di Archard.)

(12)

Ø DISPOSITIVI DA OSTEOSINTESI

I dispositivi di osteosintesi non vengono impiantati per tutta la vita del paziente, essi rimpiazzano una funzione che manca a un certo tessuto finché questo non la recupera. In particolare, il dispositivo di osteosintesi trasmette i carichi tra due parti di tessuto osseo che mancano di continuità, fino a che l’osso non si rigenera ed è in grado di trasmettere i carichi da sé. Questi dispositivi sono progettati a termine, non a vita infinita: si sa che il dispositivo verrà tolto dopo un certo lasso temporale. Per quanto riguarda i fenomeni di fatica, ci si trova a lavorare nel tratto obliquo della curva di Wohler, non su quello orizzontale (a lungo termine). Questi dispositivi possono essere sia interni che esterni, alcuni possono avere una componente che sostiene il carico, posizionata esternamente al corpo. In questo caso vi sono ridotte problematiche di compatibilità:

• anatomica: le dimensioni non sono più limitate ad essere compatibili con il sito d’impianto;

• biologica: non vi sono problemi per la componente portante, essa è esterna e può essere in qualsiasi materiale.

Ad accumunarli vi è l’obiettivo: garantire la stabilità dei monconi ossei fratturati.

Patologie

Vi è un’ampia varietà di patologie che portano all’uso di mezzi di osteosintesi. La frattura ossea è la patologia principale che porta all’impianto di questi dispositivi, ma vi sono molteplici tipologie di frattura con morfologia diversa e dipendente dal soggetto e dall’osso fratturato. Non può esservi un dispositivo universale per la cura delle fratture, ma tutti i mezzi di

osteosintesi hanno in comune l’obiettivo: rispristinare la continuità meccanica dell’osso permettendo la trasmissione dei carichi.

I dispositivi più interessanti, per quanto riguarda i requisiti di affidabilità meccanica, sono quelli applicati per patologie di femore e tibia, in quanto sono costantemente sottoposti a carichi molto elevati. Il dispositivo da osteosintesi parte dalla condizione patologica e si propone di tenere insieme i due o più monconi ossei creatisi a causa della frattura.

Mezzi di osteosintesi

La grande varietà di patologie e le conseguenti richieste specifiche non permettono una descrizione univoca dei dispositivi.

Generalmente sono formati da placche forate che permettono il fissaggio di viti, con possibile presenza di fili.

Biomeccanica

Il dispositivo deve garantire una progressiva sollecitazione di compressione del callo osseo per consentire riformazione di tessuto osseo, deve impedire qualsiasi movimento relativo tra i monconi ossei della frattura, tranne la traslazione perpendicolare alle rime di frattura, che permette la trasmissione corretta di carico tra i monconi ossei. Infatti, l’osso ricresce correttamente solo se sottoposto ai carichi fisiologici. Il mezzo di

osteosintesi deve garantire stabilità, per evitare una pseudoartrosi ossea, con crescita scorretta del callo osseo.

Rispetto al gesso, i dispositivi di osteosintesi permettono la trasmissione dei carichi per applicazione di sforzi sull’osso fratturato. La scelta tra mezzo di osteosintesi e gesso dipende dall’equilibrio rischio beneficio: il mezzo di osteosintesi prevede una ripresa più veloce e stabile, ma il paziente dev’essere sottoposto a intervento chirurgico.

Classificazione

La classificazione avviene secondo il posizionamento del mezzo di osteosintesi:

• Osteosintesi interna: dispositivo è collocato internamente al corpo. Possono essere placche, viti e fili che si applicano a cavallo della rima di frattura dell’osso, oppure fissatori interni (o chiodi endomidollari) che vengono posizionati all’interno del canale midollare di ossa lunghe e bloccati in zona prossimale e distale tramite viti di ancoraggio. Le placche fissate con viti stabilizzano la frattura, il numero di viti impiantate fa incrementare la rigidezza del sistema e la stabilità (la sicurezza del chirurgo rende più rigido il sistema con guarigione più lenta, il dispositivo risulta meno sicuro). I fissatori sono generalmente costituiti da un tubo

che viene inserito nel canale midollare, ad esempio del femore. Questo tubo presenta scanalature o fori alle estremità. Per posizionare il fissatore viene fatto un buco all’estremità superiore o inferiore del femore dove viene inserito il tubo e martellato all’interno del canale, dopo il posizionamento il tubo viene fissato tramite inserimento delle viti nei fori alle estremità distale e prossimale. Il fissatore blocca tutti i movimenti tranne quello verticale di trasmissione del carico. Il fissatore permette di utilizzare l’arto subito dopo l’operazione, questo consente di sollecitare da subito l’osso con i carichi fisiologici. Il fissatore stabilizza maggiormente il femore rispetto all’impianto di una placca. I chiodi possono essere lunghi o corti, in base all’osso in cui si impianta e alla posizione. Quelli lunghi sono usati per frattura della diafisi femorale, mentre quelli corti per fratture del collo del femore. I fissatori lunghi, fissati distalmente e prossimalmente garantiscono una maggior stabilità, quelli corti fissati solo distalmente o prossimalmente sono più flessibili per il minor numero di viti, questo determina una minor influenza del fenomeno dello stress shielding durante la guarigione. I chiodi endomidollari si

differenziano dalle placche per il posizionamento interno all’osso, mentre le placche sono apposte esternamente ad esso.

Un vantaggio dei chiodi endomidollari è il fatto che mantengano intaccato il periostio superficiale, che fa iniziare la creazione di callo osseo. In aggiunta i chiodi endomidollari femorali possono essere antegrade, se inseriti dall’alto (grande trocantere), oppure retrograde se inseriti dal ginocchio (condili). Questi due tipi di fissatori hanno diverso strumentario d’impianto, la scelta dipende dalla clinica del paziente.

Specifiche di progetto dei mezzi di osteosintesi interna 1. Impedire i micromovimenti delle rime di frattura (stabilità);

2. Consentire la progressiva sollecitazione di compressione durante la formazione del callo (compatibilità biomeccanica);

Riferimenti

Documenti correlati

Ora, estetica del frammento e sgangherabilità sono tentativi, il primo sistematico, il secondo più occasionale e periferico, di rendere conto da un lato

Inoltre, il chirurgo ortopedico ti spiegherà i rischi potenziali e le complicanze della chirurgia di protesi d'anca, comprese quelle relative alla chirurgia stessa

3 cotili in lega di Titanio trabecolare di varie forme e di varie taglie, accessoriato di alette prossimali per la fissazione iliaca e di uncino distale ischiatico, con la

35 Stelo monoblocco, in lega di titanio, di forma rettangolare a presa meta-diafisaria per potersi adattare alle varie morfologie femorali (femore normale o a tubo di

Per 100 di questi pazienti si è proceduto ad un’ammissione individuale standard: nell’arco di circa 60 minuti, si è svolto l’accertamento medico e infermieristico (non previsto

Obiettivo del mio lavoro è stato lʼidentificazione delle variabili che possono avere unʼinfluenza sullʼusura del polietilene, quali il diverso processo di

• Linea di comando da 172 a 194: vengono impostati i gradi di libertà del modello di figura 4.1 per simulare il movimento della protesi di arto inferiore nella

• Piegare la gamba sana, tirare su la gamba operata tenendo il ginocchio ben disteso ed il piede a martello.. Ripetere