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EVOLUZIONE STORICA DELL ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO A cura di Antonio Quinci

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EVOLUZIONE STORICA DELL’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

A cura di Antonio Quinci

1.1 Introduzione

Lo studio della storia e dell’evoluzione dei modelli organizzativi del lavoro è utile e necessario sia per comprendere gli errori che hanno accompagnato l’evoluzione della società, dal suo nascere ai nostri giorni, sia per prevedere i possibili sviluppi futuri e prepararsi in questo modo ai nuovi bisogni sociali e della persona lavoratrice.

1.2 Dall’Homo sapiens alla rivoluzione industriale

Nelle società primitive il lavoro era sinonimo di vita. L’intera vita dell’individuo veniva spesa per garantire la propria sussistenza e quella del nucleo familiare. Scrivono Kranzberg e Gies, “Al livello economico di queste società, la distinzione non è tra lavoro e non lavoro, ma soltanto tra il sonno e la veglia, perché essere desti significa essere al lavoro” ; per circa due milioni di anni, gli uomini nascevano, lavoravano e morivano (1).

La prima forma di lavoro organizzato, vecchia come l’Homo Sapiens, è riconoscibile in una primitiva ripartizione dei compiti tra uomini e donne e tra vecchi e giovani. Dalle origini al 10.000– 8.000 a.C. (2) la distribuzione del lavoro era limitata alla raccolta del cibo. Piccoli gruppi isolati vagavano procurandosi cibo attraverso la caccia, pesca e raccogliendo i pochi frutti della terra, come bacche e radici. Si trattava di una continua lotta per procurarsi il minimo di sussistenza. La divisione del lavoro avveniva non tanto per volontà dell’uomo ma per ragioni di tipo geografico e sessuale. Dei piccoli gruppi che vivevano lungo i fiumi o nelle vicinanze del mare, alcuni si specializzavano nelle pesca, altri nella caccia. L’età ed il sesso portavano ad ulteriori suddivisioni del lavoro: gli anziani, con meno forza e agilità, venivano assegnati a compiti più sedentari, come ad esempio la preparazione del cibo, i bambini venivano avviati alla raccolta di noci e bacche.

La donna, per quasi tutto il tempo della vita, procreava e allattava, con ciclo continuo (3).

La sostituzione dell’attività agricola come fonte di cibo rispetto a quella della caccia e della raccolta, richiese migliaia di anni. Intorno al 10.000 a.C., nelle comunità neolitiche del Vicino Oriente si cominciò a praticare l’agricoltura come attività prevalente rispetto a

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quella della caccia. Le civiltà che si costituirono nelle valli dei fiumi della Mesopotamia e dell’Egitto, si fondavano su sistemi d’irrigazione su larga scala. Era necessario un sistema di coordinamento per dirigere la costruzione dei sistemi d’irrigazione. Scrive Wittfogel:

“Se l’agricoltura irrigua dipende dall’effettiva disponibilità di un considerevole rifornimento idrico….. una grande quantità di acqua può essere incanalata e tenuta sotto controllo solo dall’impiego di lavoro di massa, che deve essere coordinato, disciplinato e guidato” (4). Questi nuovi sistemi d’irrigazione determinarono una divisione del lavoro e modificarono la struttura della società. Il conseguente surplus di cibo permise ad alcuni uomini di dedicarsi completamente a specifiche professioni, come quella del fabbro e del vasaio, non dovendo pensare più direttamente alla propria sussistenza e potendo scambiare il prodotto del loro lavoro con i beni di prima necessità. Nacque conseguentemente la professione del mercante che commerciava i surplus delle nuove produzioni. Mentre i villaggi crescevano, diventando borghi e città, proliferarono molte altre occupazioni e professioni. Si rese inoltre necessario provvedere alla difesa di queste nuove comunità, composte prevalentemente di contadini, con organizzazioni di tipo militare. Questa

“rivoluzione neolitica”, avvenuta attorno al 3.000 a.C., aveva trasformato le comunità egualitarie dell’età della pietra in strutture sociali completamente diverse. Come sostengono Kranzberg e Gies, “una piramide con una élite di governo al vertice e gli schiavi alla base, e con un numero crescente di mestieri e occupazioni in mezzo, composta ancora in massima parte da contadini” (1).

Nel Vicino, Medio ed Estremo Oriente, il surplus dei prodotti agricoli e la produzione di utensili di rame costituirono le fondamenta delle grandi civiltà, legate alle opere d’irrigazione. Questo modello di organizzazione del lavoro, nei suoi aspetti essenziali, rimase immutato fino all’arrivo della macchina a vapore, inventata dallo scozzese James Watt nel 1775.

Prima di questo evento, il medioevo vide la fioritura di mestieri specializzati e la fondazione di una grande quantità di corporazioni. I maestri di queste corporazioni producevano e vendevano i prodotti direttamente sulla porta d’entrata delle loro botteghe.

Questo fenomeno si manifestò soprattutto nell’Europa nord occidentale, dove sono ancora presenti testimonianze di corporazioni come quella dei tessitori di Mainz, dei pescivendoli di Worms, dei ciabattini di Wurzburg e altre corporazioni artigiane di Londra, Lincoln, Oxford e Parigi. Un progresso importante nell’organizzazione del lavoro fu legato al fenomeno del “putting out”, inerente alla produzione di panni di lana, che nel medioevo rivestiva enorme importanza. La manifattura dei panni di lana prevedeva diverse fasi di

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lavorazione: pulitura, cardatura, filatura, tessitura, follatura, ulteriore pulitura, battitura, infeltritura, apprettatura e infine tintura (5). Prima del putting out, l’intero processo lavorativo avveniva all’interno delle famiglie contadine, che utilizzavano i panni di lana per le loro necessità. Con il “putting out” si sviluppo nelle grosse città fiamminghe del XVIII secolo una vera e propria industria urbana. Si venne a creare una grande classe imprenditoriale che acquistava lana greggia e la consegnava ai tessitori, che a loro volta filavano e tessevano nella propria casa i panni per poi restituirli nuovamente all’imprenditore. Successivamente l’imprenditore follava e tingeva il panno in laboratori propri o lo vendeva ad altri che ne ultimavano la finitura. Questa nuova organizzazione del lavoro rappresentò un progresso importante a livello internazionale, il lavoro veniva suddiviso in varie fasi, a carico di lavoratori specializzati e l’imprenditore godeva di una posizione di vantaggio rispetto agli altri lavoratori, essendo a tutti gli effetti un datore di lavoro. La produzione di panni di lana creò inoltre un grande commercio tra i paesi dell’Europa nord-occidentale e nel mediterraneo. Questa evoluzione determinò una spinta verso la ricerca di modi e attrezzature atti a velocizzare e risparmiare forza lavoro. Uno dei principali meccanismi innovatori fu la ruota ad acqua che si sostituiva al pesante lavoro umano.

Nel 1733 Johan Kay riuscì ad aumentare la velocità di produzione dei telai meccanici grazie all’introduzione della “navetta volante” e nel 1780 Edmund Cartwright costruì un telaio azionato interamente da forza motrice idraulica. Già nel 1820, queste due innovazioni permisero un aumento notevole della produzione di panni di lana e cotone, con conseguente diminuzione dei prezzi, imparagonabile a quella di pochi decenni prima.

Conseguenza e nello stesso tempo causa dell’aumento di produzione fu l’organizzazione del lavoro tipico della fabbrica. Nelle vecchie corporazioni, il singolo artigiano era fautore di tutte le fasi e le operazioni richieste per la produzione di un singolo oggetto. Nelle fabbriche la forza lavoro serviva solamente per alimentare, far funzionare la macchina e controllare il prodotto finito. L’esperienza dell’artigiano divenne così un fattore di poca importanza. L’artigiano si era trasformato in un semplice operatore di macchina. In questo modo gli uomini con esperienza, padroni del proprio mestiere, potevano essere sostituiti dalle donne e dai bambini, che potevano essere sottopagati.

Queste trasformazioni dell’organizzazione del lavoro, avvenute nel periodo conosciuto come “rivoluzione industriale” furono accelerate dal processo di perfezionamento dei telai meccanici, il cui alto costo doveva essere compensato da una produzione continua, permessa solamente da un’organizzazione di fabbrica. Il motore a vapore inoltre, sostituì la

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forza motrice delle ruote idrauliche e il suo utilizzo nei mezzi di trasporto rivoluzionò il mercato del XIX secolo.

1.3 F.W. Taylor: teorico della scienza della produzione di massa

L’ingegnere statunitense Frederick W. Taylor (1856-1915) applicò nell'industria metallurgica Bethlehem Steel Co. la sua originale teoria che illustrò in alcuni importanti scritti (7). In Principi di organizzazione scientifica del lavoro (8) Taylor descrive la sua teoria che si basava sui seguenti processi innovativi:

- sviluppo di conoscenze su basi scientifiche - selezione scientifica della manodopera

- preparazione e perfezionamento dei lavoratori su basi scientifiche - intima e cordiale collaborazione tra dirigenti e manodopera

La sua teoria si fondava sul principio che la migliore produzione si determina quando a ogni lavoratore è affidato un compito specifico, da svolgere in un determinato tempo e in un determinato modo. Qualsiasi operazione del ciclo produttivo industriale poteva dunque essere scomposta e studiata nei minimi particolari. È questo, secondo Taylor, il compito dei manager, che sulla base delle verifiche empiriche devono stabilire:

- il compito specifico di ogni lavoratore;

- in quanto tempo lo deve svolgere - in che modo lo deve svolgere.

Gli elementi operativi che Taylor introdusse nel management della fabbrica furono:

- creazione di un centro di programmazione

- standardizzazione delle operazioni e dei movimenti

- studio dei tempi e introduzione delle tariffe differenziali di cottimo - utilizzazione di strumenti di rilevazione e di controllo

In questo modo Taylor razionalizzò il ciclo produttivo della fabbrica nella quale lavorava.

Il suo obiettivo era quello d’introdurre, criteri di ottimizzazione ed economicità, attraverso l'eliminazione degli sforzi inutili, l'introduzione di sistemi di incentivazione, la gerarchizzazione interna e la rigorosa selezione del personale. L'applicazione pratica di questi principi aprì la strada alla prima catena di montaggio, introdotta negli stabilimenti della Ford Motors Company, e di fatto dunque modificò tutta l'organizzazione del lavoro nelle industrie. Con Taylor nasce il concetto della “divisione funzionale del lavoro”, che suddivide le attività in modo tale che ogni uomo abbia il minor numero possibile di funzioni da espletare. Inoltre la necessità di controllare “scientificamente” il lavoro portò

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ad una rigida standardizzazione dello stesso e assume fondamentale importanza la suddivisione fra programmazione ed esecuzione e il rendimento tese ad essere sempre più influenzato dal coordinamento dei vari reparti, mansioni e gruppi, più che dalla qualità e dallo sforzo singolo individuale. Particolarmente trasformata, nel nuovo sistema produttivo, fu la figura dell'operaio, cui il taylorismo tolse ogni tipo di discrezionalità:

mentre in precedenza egli poteva scegliere i tempi e i modi del suo lavoro, con l'introduzione delle nuove procedure fu costretto a adattarsi ai ritmi e ai metodi scelti dai dirigenti.

1.4 La produzione di massa in America

La produzione di massa, logica conseguenza della rivoluzione industriale e del taylorismo, grazie alla fabbricazione di macchine utensili altamente specializzate e un’organizzazione basata su una minuziosa divisione del lavoro, permise di produrre grandi quantità di beni a basso costo. Secondo S.Buchanan si ebbe un “passaggio progressivo dalla manifattura alla macchinofattura“ (6). Il processo lavorativo dell’artigiano fu frantumato nelle sue parti costituenti e delegate alla macchina. Uomini e macchine, senza distinzione, furono organizzati secondo modelli complessi di operazioni produttive, fondati sull’efficienza della produzione. La macchina utensile giocò inoltre un ruolo determinante nelle produzioni, essendo una macchina in grado di fabbricare altre macchine.

Henry Ford, oltre a questi elementi, introdusse nella sua fabbrica d’automobili la prima linea di assemblaggio semovente. Questa innovazione, oltre ad una gestione più economica delle risorse materiali, permise ad ogni operaio di concentrarsi solo su di un unico compito ripetitivo, eliminando in questo modo i movimenti dispersivi. Il ritmo di produzione poteva essere regolato dalla velocità della linea semovente, e fu aumentato decisamente.

La linea semovente di assemblaggio messa a punto da Ford, cambiò il corso della storia americana. Nel 1908 il prodotto che uscì dalla fabbrica di Ford, la storica autovettura chiamata “modello T”, presentava le principali caratteristiche per divenire un prodotto di massa: la durata e l’economicità di esercizio. Queste caratteristiche furono accompagnate da un prezzo di vendita alla portata di un mercato di massa. Già nel 1912 la produzione del

“modello T” non poté stare al passo con la domanda.

Ben presto la tecnica di produzione di Ford si estese anche ad altre tipologie d’industria (refrigeratori, lavatrici, macchine da cucire et.c.), creando il fenomeno di una produzione di massa in una società di consumo di massa.

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La linea di assemblaggio determinò una radicale riorganizzazione dei processi lavorativi, dove notevole importanza rivestiva la divisione del lavoro. Le mansioni dell’operaio vennero frantumate in atti minuti e ripetuti che non richiedevano alcuna capacità e che potevano essere eseguiti con un minimo di addestramento dell’operatore. In questo modo il costo della forza-lavoro si abbasso ulteriormente.

La macchina imponeva il suo ritmo al processo lavorativo e al lavoratore stesso e conseguentemente si dovette imporre una ferrea disciplina per garantire la produzione. Era necessaria la massima diligenza nella sorveglianza di ogni fase della produzione. Con questo nuovo sistema di produzione si dovette incrementare oltre che il personale direttivo e anche quello impiegatizio, in quanto la produzione di massa richiedeva una contabilità accurata.

Tre pertanto le nuove classi di lavoratori che si vennero a creare in questi contesti: il personale di staff, il personale di controllo e il personale di vendita, ultimo anello della catena del processo produttivo.

1.5 Jules Henry Fayol e la teoria della direzione amministrativa

Un modello razionale del lavoro industriale simile a quello di Taylor, sebbene con caratteristiche diverse, fu elaborato in modo indipendente da J.H. Fayol (1841-1925), nell’ambito dell’industria francese dell’acciaio (9). Ingegnere presso un’impresa mineraria, Fayol ne diventò il direttore generale e si propose di rendere scientifica l’attività di direzione. Secondo Fayol la gestione dell’azienda prevede sei gruppi di funzioni:

- tecniche - commerciali - finanziarie - di sicurezza - contabili - amministrative

La responsabilità della gestione dell’azienda è attribuita alla funzioni amministrative, la quale deve provvedere ai seguenti processi:

- pianificazione - organizzazione - comando - coordinamento - controllo

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Secondo Fayol le competenze dell’attività amministrativa non potevano essere acquisite solo attraverso l’esperienza ma anche attraverso lo studio di modelli teorici e sperimentazioni. Si trovò pertanto nella condizione di delineare una serie di teorie e principi generali sulla direzione aziendale, all’epoca mancanti. I principi sui quali secondo Fayol si basa l’esercizio della direzione sono i seguenti:

- Principio della divisone del lavoro: diversamente da Taylor, Fayol ritiene che divisioni e specializzazioni del lavoro troppo accentuate creino problemi di coordinamento e suddivide il lavoro non in termini di singole mansioni ma a livello più aggregato di unità organizzative e gestionali. Al crescere della organizzazione è necessario inoltre suddividere e raggruppare le risorse in base alla specializzazione.

- Principio di autorità e responsabilità: chi ha responsabilità deve avere autorità ed implica il diritto di dare ordini e pretendere obbedienza.

- Principio di disciplina: senza disciplina viene meno il principio di autorità

- Principio di direzione: per ogni gruppo di attività che condivide lo stesso obiettivo deve esserci un solo capo.

- Principio dell’unità del comando: un dipendente deve ricevere ordini da un solo capo e riferire solo a lui.

- Principio scalare: deve esistere una precisa catena di comando, senza vuoti di potere.

La via gerarchica deve essere rigorosamente rispettata.

- Principio del numero di livelli: le linee di comando devono essere chiare e definite (organigrammi). Si deve progettare strutture gerarchiche il più possibile piatte, in modo da rendere la catena di comando più corta possibile

- Principio dell’ampiezza del controllo: vi è un limite fisiologico nel numero di persone che possono dipendere da un capo (studi successivi hanno dimostrato che il rapporto ottimale è di uno a quattro-sei)

- Principio dell’equilibrio: le varie parti dell’organizzazione devono essere in equilibrio e nessuna delle funzioni deve assumere un’indebita importanza a scapito delle altre.

- Principio di line e staff: vengono definite line le strutture e gli operatori dedicati alle normali funzioni aziendali (produzione, vendita, approvvigionamento et.c.) e staff quelle con compiti di consulenza e supporto che dipendono direttamente dai vertici e che si collocano al di fuori della linea di comando.

- Principio della remunerazione equa: la remunerazione deve, nei limiti del possibile, soddisfare gli interessi dell’organizzazione e dei collaboratori ed in ogni modo devono incoraggiare gli sforzi, senza condurre a retribuzioni eccessive.

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1.6 La reazione dei lavoratori e del mondo intellettuale ai “modelli tayloristici”

I modelli di organizzazione del lavoro che si ispirarono alle teorie di Taylor furono fin dall'inizio duramente contestati dai movimenti dei lavoratori e dai sindacati. Per Taylor, ciò che avrebbe dovuto spingere gli operai ad adattarsi alle nuove condizioni di lavoro era l'incentivo economico, reso tra l’altro possibile dalla maggiore produttività. Anche questa versione strettamente economicista del lavoro fu contestata dai sindacati, che Taylor, tutto proteso verso la massima efficienza e il massimo profitto, considerava inutili, nocivi e destinati alla dissoluzione.

Diversi furono gli intellettuali che presero una netta posizione contro le teorie tayloristiche.

A. de Toqueville nella sua opera “La democrazia in America”, nei riguardi degli operai scrive:

“ma allo stesso tempo egli perde la facoltà generale di applicare la sua intelligenza alla direzione del suo lavoro. Egli diviene ogni giorno più abile e meno attivo; così che si può dire di lui che nella misura in cui il lavoratore migliora, l’uomo si degrada” (10)

Nella sua opera “The Stones of Venice”, Ruskin afferma:

“Noi abbiamo molto studiato e perfezionato, da qualche tempo, la grande e civile scoperta della divisione del lavoro, Solo che diamo ad essa un falso nome. Non è, in verità, il lavoro che è diviso, ma l’uomo: diviso in tanti e semplici segmenti di uomo, rotto in piccoli frammenti e briciole di vita, così che tutta la piccola parte d’intelligenza che è lasciata in un uomo non è sufficiente a costruire un spillo o un chiodo, ma si esaurisce nella costruzione della punta di uno spillo o della testa di un chiodo” (11)

Ferma la posizione di H.Braverman, scrittore e direttore del mensile politico americano

“The American Socialist”, che nella sua opera “Labor and monopoly capital. The degradation of work in the twentieth century” afferma:

“La divisione del lavoro nella società è caratteristica di tutte le società note; quella nella fabbrica è il particolare prodotto della società capitalistica. La divisione sociale del lavoro divide la società in tante occupazioni, ciascuna adeguata ad una branca di produzione; la divisione parcellizzata del lavoro elimina le occupazioni intese in tal senso e rende l’operaio non all’altezza di eseguire un processo produttivo completo . Mentre la divisione sociale del lavoro suddivide la società, quella parcellizzata suddivide gli umani; e mentre la divisione della società può valorizzare l’individuo e la specie, la sottodivisione dell’individuo, se realizzata senza tener conto delle capacità e dei bisogni umani, è un crimine contro la persona e l’umanità.”

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Per il lavoratore, oltre alla noia che trovava nell’eseguire lo stesso piccolo compito, nello stesso modo, per tutta la giornata, si aggiungeva la tensione nervosa che derivava dall’eseguirlo entro un tempo fissato arbitrariamente dalla direzione della fabbrica. Se voleva aumentare la produzione, la direzione non faceva altro che aumentare il ritmo della linea di produzione.

Come vedremo nei prossimi paragrafi, successivamente le dottrine delle human relations e della system analysis, basate sull'analisi della complessità della realtà aziendale,

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determinarono il superamento del taylorismo e della sua rigorosa ma limitata analisi del binomio uomo-macchina.

1.7 Elton Mayo e la scuola delle relazioni umane

Tra le prime scuole di pensiero a considerare il taylorismo una teoria rigida e lacunosa, fu la scuola chiamata delle relazioni umane che vide come suo capostipite Elton Mayo. Egli condusse studi sistematici presso le Officine Hawthorne di Chicago della Western Electric Company tra il 1927 e il 1932. Mayo e il suo gruppo falsificarono l’assunto tradizionale che i lavoratori fossero come un elemento della macchina, sensibili solo al comando, alla gratificazione economica, alla punizione e alle condizioni fisiche del lavoro. Attraverso una serie di esperimenti (13), compresero che la produttività è legata alle relazioni sociali, e nello specifico con la motivazione e con l’attenzione di cui le persone si sentono oggetto.

Lo scienziato sociale Stuart Chase, riesaminando gli studi di Hawthorne, affermava: “una fabbrica svolge due azioni principali: quella economica, consistente nel produrre beni e quella sociale consistente nel creare e distribuire soddisfazioni umane tra coloro che in essa lavorano”. Le principali teorie della scuola delle relazioni umane si possono riassumere nel modo seguente:

- L’impresa è un sistema sociale, non solo tecnico ed economico

- L’individuo è motivato da fattori psicologici e sociali, non solo economici - I gruppi rivestono grande importanza

- La leadership dovrebbe avere un approccio più democratico e meno autoritario - L’informazione interna ha rilevante importanza

- Il management richiede capacità sociali oltre che tecniche - La motivazione è correlata alle esigenze sociali delle persone

Il fatto di comprendere che gli operai avevano delle motivazioni che andavano oltre al guadagno economico e al benessere fisico, consentì di compiere un grande passo innanzi sulla strada che portava a una direzione realmente scientifica del lavoro.

1.8 Herbert Simon e lo studio delle decisioni umane

L’opera di Herbert Simon fu caratterizzata da una straordinaria interdisciplinarità e centrata sullo studio delle decisioni umane, sia dei singoli individui, sia di organizzazioni formate da una molteplicità di individui. Questo pensatore diede contributi fondamentali alle scienze dell'organizzazione, alla psicologia, all'intelligenza artificiale (di cui può

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essere considerato uno dei padri fondatori), alla filosofia, al management e all'economia.

Per questa ultima fu insignito del Premio Nobel nel 1978.

Tre i temi fondamentali che sono stati alle base di numerosi lavori di Simon, pubblicati soprattutto tra gli anni '50 e '70:

 l'ostinato richiamo agli economisti a non dimenticare che l'oggetto del loro studio è il comportamento di esseri umani e non quello di ipotetiche entità onniscienti;

 la parallela insistenza sulla necessità di porre sempre l'osservazione empirica alla base di ogni sforzo teorico in economia. Sosteneva Simon che gli economisti dovrebbero sempre partire dall'osservazione di dati empirici e costruire modelli il più possibile parsimoniosi che siano in grado di spiegare questi dati. Secondo Simon, per molti aspetti la teoria economica ha seguito esattamente il cammino opposto, costruendo modelli estremamente complessi e continuando ad utilizzarli anche quando risultino totalmente confutati dall'evidenza;

 la necessità di costruire una teoria economica delle organizzazioni, fino a 20-30 anni fa praticamente inesistente, ed in particolare delle imprese. Oggi gran parte dei nostri atti economicamente rilevanti, come la vita lavorativa per la maggior parte di noi, avvengono all'interno di organizzazioni, che svolgono un ruolo fondamentale nel plasmare le nostre conoscenze, le nostre motivazioni e il modo con cui percepiamo la realtà in cui operiamo.

I concetti principali che si evincono dalle opere di Simon (14) (15), possono essere così riassunti:

• Le caratteristiche di funzionamento dell’organizzazione derivano dal processo di risoluzione di problemi e di scelte razionali;

• L’organizzazione è una struttura formata da individui responsabili delle decisioni da prendere ai vari livelli dell’azienda;

• L’organizzazione deve costruire una rete per fornire le informazioni necessarie a colui che deve prendere le decisioni, affinché possa adeguarli alle esigenze delle decisioni;

• L’organizzazione è un sistema che elabora le informazioni, al fine di prendere decisioni;

• Il modo con cui si formano e si modificano gli obiettivi è un aspetto centrale dell’organizzazione.

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1.9 Le teorie attuali sull’organizzazione del lavoro: le Learning Organizations

Durante gli anni ottanta, la competizione tra le imprese divenne particolarmente intensa, specialmente su scala globale, e cambiò le regole del gioco del mercato mondiale. Il mondo stava cambiando velocemente e cosi i suoi mercati. Le aziende dovevano rispondere con modelli organizzativi del lavoro diversi per far fronte al crescere delle trasformazioni e della competizione. Le vecchie forme organizzative e i vecchi metodi manageriali divenivano sempre più inadeguati e non riuscivano a far fronte a tutti gli eventi interni ed esterni alle organizzazioni. Si delinearono nuove culture aziendali che adottarono valori quali la flessibilità, la rapidità di risposta nei confronti dei clienti, la motivazione dei dipendenti, la qualità dei servizi e dei prodotti. Molte aziende si spostarono verso organizzazioni del lavoro più flessibili, basate sulla decentralizzazione e sulla collaborazione orizzontale.

Attualmente molti manager stanno ridisegnando le loro aziende verso un modello che viene chiamato learning organization (l’organizzazione che apprende). Nelle learning organization viene promossa la comunicazione e condivisione in modo tale che ogni soggetto sia coinvolto nella identificazione e risoluzione di problemi, permettendo all’organizzazione di sperimentare, migliorare e incrementare di continuo le proprie capacità. La learning organization si basa sull’uguaglianza, sull’informazione aperta, su un basso livello di gerarchia e una cultura che incoraggi l’adattabilità e la partecipazione.

Mentre l’organizzazione tradizionale è progettata per operare solo in modo efficiente, in una learning organization il valore essenziale è la capacità di risolvere problemi,

Anche in ambito sanitario, alcuni autori in un articolo comparso nell’anno 2000 nel British Medical Journal (17) propongono questo tipo di modello di organizzazione del lavoro per far fronte ai continui cambiamenti e stati d’incertezza che si verificano nelle Aziende Sanitarie.

La definizione più frequentemente citata di learning organization è quella di Pedlar e coll.

del 1991: “un’organizzazione che cura l’apprendimento di tutti i suoi membri ed è capace di trasformarsi continuamente” (16).

La learning organization è caratterizzata da una struttura orizzontale di flussi di attività, piuttosto che su di unità funzionali all’interno di una struttura verticale. Il gruppo di lavoro in sé è l’unità di lavoro fondamentale e i confini tra le funzioni sono praticamente eliminati. Un ulteriore cambiamento riguarda il controllo esercitato sui dipendenti nello svolgimento del loro lavoro. Nelle organizzazioni tradizionali vi è una precisa definizione

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del compito, di ogni mansione e del relativo svolgimento, assegnata ad una persona. La conoscenza e il controllo dei compiti sono normalmente centralizzati al vertice. Nelle learning organization l’attribuzione di ruoli ai componenti costituisce parte di un sistema sociale. Ogni componente ha discrezionalità e responsabilità e le persone fanno uso del proprio giudizio e della propria competenza e abilità per ottenere un risultato o raggiungere un obiettivo. Nelle learning organization gli operatori hanno dei ruoli all’interno del team e i ruoli vengono costantemente adattati o ridefiniti. Poche le regole e procedure e la conoscenza e il controllo dei compiti sono attribuiti ai lavoratori piuttosto che a supervisori o dirigenti. I componenti del team vengono incoraggiati a risolvere i problemi lavorando assieme, avvalendosi anche della competenza di persone esterne e degli stessi utenti. Nelle learning organization tutti i componenti del team possiedono un’informazione completa sull’azienda. Le persone nell’organizzazione hanno consapevolezze dell’intero sistema, di come tutto si componga insieme e di come le varie parti dell’organizzazione interagiscono. Le idee e le informazioni sono condivise all’interno del team di lavoro. Compito del manager in questo modello di organizzazione è quello di facilitare la comunicazione, piuttosto che utilizzare l’informazione come forma di controllo. Le learning organization di grosse aziende for profit mantengono linee di comunicazioni aperte non solo con i propri dipendenti ma anche con i clienti, fornitori e persino con i concorrenti, al fine di accrescere la capacità di apprendimento. La strategia aziendale tradizionale basata sulla competizione viene trasformata in una strategia di tipo collaborativo. Tutti i dipendenti contribuiscono ad identificare bisogni, problemi e soluzioni e partecipano al processo decisionale.

La cultura di una learning organization deve avere caratteristiche di flessibilità e adattabilità, incoraggiante l’apertura, l’equità, il miglioramento continuo e il cambiamento.

Nelle learning organization ognuno viene trattato con attenzione e rispetto al fine di creare un clima nel quale le persone sono libere di sperimentare, assumere rischi e commettere errori, in modo tale da favorire gli apprendimenti.

Al giorno d’oggi, molte delle aziende più competitive sono indirizzate verso una organizzazione di questo tipo.

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1.10 Le teorie attuali sull’organizzazione del lavoro: le dimensione del sapere, saper fare, saper essere.

In questo ultimo decennio, alcuni autori hanno intrapreso lo studio del significato del valore morale della divisione del lavoro, ridefinendo il concetto di lavoro stesso quale combinazione di “sapere”, “saper fare” e “saper essere”.

Mentre i concetti di “sapere” e “saper fare” sono abbastanza intuitivi e riguardano le conoscenze e le abilità acquisite dal lavoratore, il concetto di “saper essere” non è facilmente intelligibile. Il “saper essere” può essere inteso come ampliamento dei contenuti relazionali, della creatività e della iniziativa personale. Il premio Nobel per l’economia Amartya Sen definisce il “saper essere” come capacità di partecipazione, riconoscimento, stima, relazioni sociali, fattori che contribuiscono allo sviluppo economico mediante l’espansione della propria e altrui libertà (18). Lo stesso Sen suggerisce tre criteri importanti per definire il concetto di lavoro: capacità di reddito, utilità dei servizi e dei beni prodotti, riconoscimento sociale e personale (19). Il lavoro implica pertanto una combinazione di diverse capacità, oltre a quelle del lavoro in senso stretto, anche quelle di relazione e in ultima analisi quelle relativa al miglioramento della propria vita lavorativa.

Le strategie aziendali di gestione di risorse umane rivolgono sempre più attenzione alla dimensione del saper essere, avendo raggiunto la consapevolezza che il successo di qualsiasi iniziativa dipende in gran parte da due fattori: il coinvolgimento individuale del lavoratore e lo sviluppo di attività di formazione in social skills, non solo di tipo esclusivamente professionale.

Il sociologo Serafino Negrelli, nel suo libro “Sociologia del lavoro” afferma quanto segue:

“La letteratura sociologica, organizzativa ed economica sull’evoluzione e le trasformazioni del lavoro si è maggiormente diffusa sulle caratteristiche del saper fare che non su quelle del saper essere. Influenzata dal problema originale del libero contratto di lavoro fondato sull’asimmetria di potere tra capitale e lavoro e quindi dalla predominante concezione taylorista della organizzazione del lavoro manuale e non manuale, ha dedicato un minor spazio e un minor numero di ricerche e riflessioni, all’altra dimensione del lavoro. La specializzazione delle mansioni in larghezza e in profondità previste dalla matrice di Mintzberg, relativa ai parametri di progettazione organizzativa delle posizioni individuali del lavoro, è un tipico esempio di tale limite. Nell’ambito della larghezza è stata normalmente indicata l’ampiezza dei compiti, ovvero il numero e grado di varietà/complessità; nell’ambito della profondità è stato misurato il grado di autonomia e controllo sul lavoro. Tale incrocio non prende però in considerazione le skills sociali, le capacità di lavorare in gruppo e di sviluppare creatività e relazioni sociali con soggetti interni ed esterni al proprio sistema aziendale o ciò che Gorz e altri hanno definito in estrema sintesi come produzione di sé del lavoratore. Un indicatore al quale si è riferito in maniera innovativa Gallino, individuando le principali dimensioni della qualità del lavoro, anche se quelle più citate ed utilizzate nelle ricerche empiriche sono rimaste, com’è noto, quelle dell’ergonomia, della complessità, dell’autonomia e del controllo, tipiche del saper fare piuttosto che del saper essere.

La tendenza a valorizzare le dimensioni del saper essere costituisce, e lo sarà sempre più in futuro, la principale trasformazione del modo di lavorare nelle imprese oggi” (20) (21) (22) (23) (24).

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Questi cambiamenti fondamentali del lavoro fanno parte anche delle strategie aziendali di fabbriche che producono elementi semplici e materiali, quali ad esempio le fonderie e le fabbriche nelle quali si stampano lamiere. Anche in questi ambiti sempre più l’operatore deve far ricorso a procedure teoriche ed astratte del lavoro di programmazione. “Da un agire orientato al risultato (saper fare) si passa ad un agire riferito al processo che richiede soprattutto padronanza intellettuale del ciclo di lavorazione e quindi un comportamento lavorativo di saper essere. Da operatore macchina, il lavoratore del settore delle macchine utensili si trasforma in un assistente di sistema, al quale saranno richieste una visione globale e competenze d’interveneto sul sistema tecnico complessivo e al quale verrà affidato maggior potere decisionale su elementi importanti del processo produttivo” (20).

Molte delle più grandi aziende for profit di livello internazionale, sono attualmente orientate ad un modo orizzontale di fare impresa, fondato sulle relazioni con le altre imprese, istituzioni e lavoratori che devono condividere capacità di innovazione e professionali, secondo rapporti sempre meno gerarchici o di dominio-subordinazione, tipici della tradizionali organizzazioni del lavoro. In queste imprese prevale la co-progettazione, il co-sviluppo, la condivisione delle informazioni, tecnologie e formazione. Tutto questo richiede lavoratori maggiormente qualificati e soprattutto la valorizzazione delle capacità intellettuali e sociali di ogni lavoratore.

A tal proposito, il fondatore e Presidente della Sony afferma:

“Un’azienda non farà mai strada se il compito di pensare è lasciato a chi dirige. Nell’azienda tutti devono contribuire, e il contributo dei dipendenti dei gradini più bassi non deve limitarsi al lavoro manuale. Noi insistiamo perché tutti i dipendenti contribuiscano con il cervello. Oggi riceviamo una media di otto proposte all’anno da ognuno dei nostri dipendenti, e la maggior parte di esse mirano a rendere più facile o affidabile il lavoro degli interessati, o a rendere più efficiente un certo procedimento. In Occidente c’è chi si fa beffe del sistema delle proposte, dicendo che costringe la gente a ripetere cose ovvie, oppure che è indicativo di una carenza di capacità direttiva da parte della direzione. L’atteggiamento rivela una certa mancanza di comprensione. Noi non costringiamo nessuno a fare proposte, ma le prendiamo sul serio e adottiamo le migliori. E poiché nella maggior parte esse si riferiscono direttamente al lavoro di chi le avanza le troviamo pertinenti e utili. Dopo tutto chi ci potrebbe indicare meglio come organizzare nel dettaglio il lavoro, se non le persone che lo fanno ?” (25).

Anche nelle Aziende Sanitarie del Servizio Nazionale sarebbe auspicabile un cambiamento radicale dell’organizzazione del lavoro, basato su principi di condivisione degli obiettivi, responsabilità e autonomia.. La complessità che gli operatori sanitari quotidianamente affrontano nel garantire servizi rivolti alla salute della persona, richiede che i team di lavoro siano soprattutto orientati alla risoluzione dei problemi. Si rende pertanto sempre più necessaria una nuova strategia aziendale, che miri a valorizzare il saper essere di tutti gli operatori.

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