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IL CONTE UGOLINO
DRLLA
GHERARDESGA
STUDIO STORICO LETTERARIO
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< ITTÀ DI t'AHTKLLO
S. I.API
T1PQ6RAFO-EDITORK
1894i
...^-—•^.•~-
S. ZAPI Uditore in Città di Castello
BELLI
(Gr. G.),I Sonetti Itomaneschi, pubbli^
eati dal nijwte Giacomo, a cura di Luigi Mo- randi. — Unica edizione
fatta sugli autografi.—
1886-89.
—
Seivolumi, L.
24.In
carta amano
(pochissime
copie), L. 30.—
11 voi.VI, per
chi lo volesseseparato
(carta amacchina), L.
12.Questa edizione definitiva ci dà intero e vero il Poeta di cui si pro- fessarono ammiratori il Manzoni eilGrogol;il PoetaoheilSainte-Beuve chiamava ingegno originale e diprim'ordine. Essaèl'unicachesiastata fatta sugli autografi, e contiene quasi 2200 sonetti,dicui 1300affatto ine- diti; e gli altri, restituiti alla loro genuina lezione, alterata o guasta nelle edizioni precedenti.
Alle note del Belli, nehaaggiunteilMorandimolteemolte migliaia, così storiche come filologiche; e sonetti e note formano come unavasta e curiosa storia aneddotica (spessissimo appoggiata su documenti rarie curiosi, che invano si cei^cherebhero in altri libri) della
Roma
de'Papie di tutta la vita romana, specialmente dal 1830 al48.
Un
copiosissimo Indice de' nomipropri e delle cose notabili di tutti iSonetti, e un Glossario, non menocopioso, agevolanol'usodell'opera sotto il rispetto storico e filologico.
Il primo volume è anche adorno di un finissimo ritratto del Poeta, inciso in rame dal Pazzi.
Nella Profazione, il Morandi rifa su documentiinparteignoti omal
noti la storia delle origini e delle vicendediPasquino; d,àunlargosag- gio di motti arguti veramente romaneschi, e di pasquinate dai primi tempi fino ai giorni nostri, ricercandone le fonti e illustrandoleedocvi-
mentandole. Entrato quindi a parlare del Belli, e mostratolesueatti-
nenzecon Pasqiiino, analizza lospirito satirico del dialetto di cuisiservì;
ricerca il segreto dell'arte sua, ne narra la vita eilmtitamentopolitico, e finalmente discorre a lungo dei discepoli del grande Poeta.
"L'opera del Belli,,, scriveva
YORICK
nella DomenicaFiorentina del 27 aprile 1890, "riprodotta cosi integra e vasta, èmonumentoinsigne di letteratura, un documento storico di primissimo ordine.„E
il BOACillV, nella Cultura del1-15luglio 1889: "Il Morandiè scrit- tore accurato, diligente in ogni sua cosa,ma
forse egli consentirà che in nessuna ha posta maggior cura epiùfelice,cheinquesta edizionedel Belli, la quale accresce così fuor di misura l'eredità letterariachesene aveva sinora... Coi sonetti del Belli ecollenotedelsuoeditore, siviene davvero a ricostituire l'immagine morale di questaRoma
anteriore al 1870, immagine che importa tanto più fermare collo scriverne, ch'essaè cominciata a sparire da gran tempo, e sparisce ogni giorno piùdaglioc- chi... Di tino dei tratti di questa città che ai)puntosconapare,haragio- nato il Morandi a lungo nella sua Prefazione, di Pasquino e delle Pa- squinate. Egli ha avuto ragiono di credere che nella poesia popolare e satirica del Bellisitrasfondaesi dilati lospirito ch'ebbenomedaquella celebre statua storpia Non credo chePasquinoe lePasquinateaves- sero avuto prima d'ora una storia più esatta, nelle parti almeno che ilMorandi ha voluto trattarne „
E
1»AOSjO itKiT^ìiF, nella Deutsche Rundscliau del settembre 1893:" Un'edizione completa del Belli rimane un debito d*onore degVItaliani:
cosi altra volta io chiusi l'introduzione alle mie versioni. Undici anni dopo, il Morandi stessosièguadagnato il meritodi pagarequestodebito d'onore. La sua edizione, condottain modo esemplare, fu compiutanel 1889...
E
veramente esemplare è questa edizione completa, frutto dilungo e amoroso lavoro intorno al nostro poeta, e di tal diligenza, ohe nulla lascia trascurato di quanto poteva giovare a intendere il testo e
a conoscere tutto ciò ohe riguarda i tempi e l'autore.„
COLLEZIONE
DI
OPUSCOLI DANTESCHI
INEDITI RARI
DIRETTA
DA G. L. PASSERINI
VOLUME XV
CITTA DI CASTELLO
8.
LAPI TIPOGRAFO-EDITORE
1894
Oc.
DEL NOCE
IL CONTE UGOLINO
DELLA
GHERARDESCA
STUDIO STORICO-LETTERARIO
CITTA DI CASTELLO
S.
LAPI TIPOaRAFO-EDITOEE
1894
Dir ti poss'io:
Purg.. XVIII,4«.
PROPRIETÀ LETTERARIA
PROEMIO ALLA SECONDA EDIZIONE
Quando venne
alla luceper
laprima
voltaquesto
libretto,una
solaobbiezione
fumossa
alle
conclusioni
cui in esso si arriva.L'obbie- zione
cifu
fattada un
critico assai cortese, alquale
èusar
cortesiarispondere
emostrargli che
i suoi
dubbii erano
già stati risoluti nelle pre-messe
enel paragrafo decimo.
"'Ci pare
(egli scrisse, nellaNuova Antologia
del16 Settembre 1889)
....che meglio s'appongano
coloroche nei
ghiacciatinell'Antenora vedono
dei colpevoli ditradimento
politico ingenerale: includa
poio no
taletradimento, secondo
i casi,anche
ildanno
della patria,
questo non vuol
dir nulla;ma per Dante
ilconcetto
essenziale è quello diman- canza
aidoveri
politici, altrimentisarebbe im-
possibilerendere ragione
dellapresenza
inquel luogo
diTesauro
dei Beccaria,un pavese, che>
favorendo
inFirenze
la parte ghibellina,non
po-teva
certo essereaccusato d'aver
tradita la patria,mentre
sefu
colpevole,fu
certo ditradimento
politico, in
quanto essendo abate
diVallombrosa avrebbe dovuto
aiutare i guelfidevoti
allaSanta
Chiesa.^Se questo
fossevero,noi domanderemmo:
E
allora.Bocca, che
fuun Ghibellino
ilquale
tradì i Guelfi,come
sivede
chiaro a pag. 23,perchè
sitrova pur
lui nell'Antenora
?Mancò
ai propriidoveri
politici?No. Tradì
il partitocon-
trario forse?Ma
coinemici non v'ha tradimenti:
tutto è lecito,
qualunque
astuzia,qualunque
sor- presa,qualunque più
ardito einiquo colpo
dimano. E
pure,dopo Ugolino,
l'Abati è la figurameglio
rilevata diquesta parte
della ghiacciaia, enon
sipuò dubitare
delleintenzioni
diDante
nel
metterlo
lì.Per conseguenza
egli,da
ghibel- lino,non può
esserecolpevole che
diaver
tra- dito ilcomune guelfo
diFirenze. Quanto
alladannazione
delBeccheria,
sipuò parimenti
chie-dere: E
logico,ed
èprovato
dalla storiache chiunque vestiva
l'abito ecclesiasticoavesse per obbligo
didifendere
il partitoguelfo?
Tutt'al- tro! L'abito, dice ilproverbio, non
fa ilmona-
co, e
questa
volta calzadavvero. Basta leggere
nelle storie particolari diquei tempi per cavarne
degliesempii
a migliaia.Qui ne
citeròdue
so- lenni: l'arcivescovoRuggieri
e il cardinale Otta-viano
degliUbaldini.
Ilprimo,
siha
dal rac-conto
stesso della vitad'Ugolino, che
fu ghibel- lino fino alle midolla; l'altrofu tanto
sfegatato partigiano dell'imperatore,che
uscìnel famoso motto
:Se anima
c'è, ioVho perduta
pei Ghibellini,Dunque
ilBeccheria,
ghibellino di patria e di fa-miglia,
mantenutosi
tale sotto la cocolla e la por-pora
(enon
sipuò negare, dappoiché congiurava
inprò
degli antichi amici)non aveva dovere
al-cuno verso
i Gruelfi ;ed
ilsuo
caso è lo stessodi quello di
Bocca,
cioè di taleche rovina
il partito contrario; laqualcosa non
ètradimento.
Ribattuta
cosi l'obbiezione, restafermo
il criteriodantesco da
noi ritrovato, cioèche nell'Antenora
si
punisce
iltradimento
di patria, intesoperò con
le
condizioni
edentro
itermini
assegnatinel
se-condo
paragrafo.Se non
che,da
quellanon fondata obbie-
zione, il sullodato critico trassequesta conse- guenza,
in cuinega
iltradimento
diUgolino
allaMeloria:
"Per noi adunque
l'opinionemigliore
èquella modernamente
espressada parecchi
in- terpretiche Ugolino
apparissea Dante come
tra- ditore....per
lasua condotta verso
ilnipote Nino Visconti
(delquale
ilpoeta
fuammiratore ed amico)
neltempo
dellacomune
signoria. „ L'essere errato ilprecedente,
è già diper
seuna prova che
ilconseguente non può
essere giusto;ma alcune
osservazionitoglieranno meglio ogni dubbiezza. L'opinione che
lacondotta verso
ilnipote
facessedannare Ugolino, campeggiò
tra le altre allorché sicredeva che
questi eRug-
gieri si trovassero nella
Tolomea; oppure uno
diqui
e l'altronell'Antenora. Ultimamente, dopo che
ilMestica ebbe
chiarito quell'errore, il prof.d'Ovidio,
con quell'acutezza
dimente che tanto
lo distingue, cercò di
provare
la stessa cosa,pur
ammettendo che Ugolino
e E;Uggieri stianoen- trambi nell'Antenora. Ma qui
giace nocco.Per- chè dunque
ilPoeta non
viha pur dannato Nino quando
lacondotta da
zioa nipote
eda nipote a
zio era la stessa, ecome
l'unocercava
di so-verchiar
l'altro e far tuttomio,
cosi l'altro si pro-vava
di farcon
l'uno?E
poi: sipuò chiamar
tra-dimento una
lotta lunga,sebbene
piùo meno
co- perta, tradue
della stessa parte?Al più
al piùsi
ha una
scissione,quando, come in questo
caso,né
l'unonò
l'altro dei contrastantiabbandona
la
fazione
cui appartiene.Poiché
é certoche Ugolino, mettendosi d'accordo con
l'Arcivescovo,non intendeva
ritornare agliantichiamori
ghibel-lini,
bensì
soltanto servirsicome strumento
del partito opposto;guelfo
eraeguelfo voleva
restare,né più né meno come faceva Nino. Fu invece
l'Ubaldini
quello
che,per ambizione,
tradì lapropria
parte e siaccostò
ai Guelfi,onde meritò
di starpure
in Oocito.E
infine, ciòche ne sem-
bra
decisivo, se lacolpa
diUgolino
piuttostoche verso
ilcomune
diPisa
fu verso il nipote, alloranon
siha più un tradimento
politico,ma
perso-nale
;viene quindi a mancare
la caratteristica diquesto spartimento
della ghiaccia,dove
ildanno non
é di singoli individui,ma
di interi partitij
oltre di che,
come
traditore di parente, ilposto
delGherardesca sarebbe
stato nellaCaina. E
non
siadetto che Dante per
la schietta amici- ziache sentiva verso
ilgiudice Nino, abbia vo-
lutoper
lui fareun'eccezione.
In conseguenza
ci pare,che
leconclusioni
in- ferite inquesto
Studio,non avendo ricevuto più gravi confutazioni
diqueste
, sussistano tuttequante
; e gli èper
ciò che,ripubblicando
ilvo^
lumetto, non
viabbiamo apportato nessuna mo-
dificazione sostanziale,
ma
soltantobrevi
ritocchiqua
e là nella disposizione delragionamento, e specialmente
neiprimi due
o tre paragrafi.Roma,
Agosto 1894.L^AUTORE.
SOMMARIO.
I.Insufficienzaeincertezzadellacolpafinquiassegnataad Ugolino. Pontiallequali Danteattinse le notizie.—II. Crite- rii con cui si può ricercare ildelitto delConte. Concetto del tradimento dipatria, equaledifferenza esista inesso dai tem- po di Dante ad oggi. Osservazioni in pro]posito. Si provaohe un traditoreadanno d'Italianièsempreunlatino. Tradimen- to di patria, nel trecento è sempre tradimento di parte. In quanti modi puòfarsi.
—
III- Si oontroprovanoisuidetti cri- teri! con gliesempii danteschi. Bocca, Buoso, il Beccheria, il Soldanieri, G-ano, Tribaldello.—
IV. Indole della colpa d'U- golino. Difficoltà di scriverne la vita.—
V. Famigliadei G-he- rardesohi. Seguonola parte ghibellina. Rugginecoi Viscon-ti. Amicizia di Ugolino con Giovanni Visconti. Parentela.
Ultime sue gesta ghibelline. Primimacchinamentidel Conte e del Giudice adannodella libertà di Pisa. Esilio. Ritorno.
Si ripigliano le turbolenze. Fuga in Sardegna del Visconti.
Sconfitta. Ritorna inToscana. Domandaperdono. Ugolino
è citato e messo inprigione. Condannadel Visconti. Guerra degli esuli. Politica ambidestra di Carlo I d'Angiò. Morte del Visconti. Ugolino è liberato.
Va
a Lucca e ripiglia la guerra. Sconfitte dei Pisani. Pace. Per quali ragioni Ugo- lino sia restato tranquillo sino alla battaglia della Meloria.—
VI. Mutazioni avvenute. Guerra tra Genovesi e Pisani.Battaglia della Meloria.
—
VII. Lega di Genova con le città toscane contro Pisa. Invito ad Ugolino di entrarvi. Ugolinoè accusato di tradimento e poi assolto.
È
creato Podestà.Sua condotta nel Consiglio. Genova rifiuta la pace. Ostilità dei Toscani contro Pisa e dei Genovesi contro il Porto. Tratta- tivecoiFiorentini. Cessionedelle castella. Finisce laguerra.Sbandimento dei Ghibellini. Altre castella cedute a Lucca.
Nino Visconti. Suapotenza. Riforme nelle leggi pisane. Nino va in Sardegna. Discordie con l'avo. Rinunziaal potereefa rinunziare Ugolino.
—
Vili. Ninoed Ugolino ripigliano lasi-gnoria.
—
IX. L'arcivescovo Ruggieri. Cacciata di Nino. Con- tegno di Ruggieri verso Ugolino. Rottura. L'esortaa rinun- ziare al potere. Sollevazione del popolo. Ugolinoe presopri- gione. Sua morte.—
X. Leggenda sullamorted'Ugolino. Sua vera colpa.—
XI. Tradimento dell'Arcivescovo.—
XII. Con- siderazioni sulla morte del Conte.Dir ti poss'io:
Pur-g., XVIII, 46.
I.
Il chiarissimo prof. Mestica, ricercando in
un
suo scritto il vero spartimento della cerchia dei tra- ditori, che
Dante assegna
al conteUgolino
ed al-l'arcivescovo Ruggieri,
ha
dimostratoad
evidenza, e per più argomenti, che il posto dientrambi
è nel- l'Antenora. (1)* Ciò essendo,deve
ritenersi per indu- bitato, che su di lorogravano
colpe ditradimento
verso la patria dello stessogenere
di quelleonde vanno
infamati gli altri che sono dannati in quelme- desimo
girone; senon
che, l' infinita pietà di cui ilPoeta ha
circondato la dolorosa figura di Ugolino,ha
fatto si che la sua colpa sia rimasta nell'ombra, e che gl'illustratori del divinopoema
poco si sian curati di ricercarla, contentandosi di crederlo in quel luogo peruno od un
altro motivo,nessuno
dei quali invero èda paragonare
a quelli per cui si sa di si-curo
che
gli altri sono stati dannati.Di
più : pernon
esser conosciutoun
atto ditradimento
che lo facesse collocaresenza
discussione.nell'Antenora, si* Vedi le notein fondo al volumetto.
era resa ammissibile, fra le altre, l'interpetrazione di crederlo nella
Tolomea, imputandogli
qual tra-dimento
ilgambetto
che diede al nipoteUgolino
Visconti, detto Nino, giudice di Gallura, il quale agara
con luitendeva
a farsi in Pisa capo, assoluto del partito guelfo nell'intento di distruggere quell'om- bra di libertà che ancora vi rimaneva, eagguantarne
incontrastato la signoria. Icommentatori
poi sono cosi scarsi e svogliati nel recar notizie sulla reità del Conte, che si direbbe abbianpaura
di guastare la divina poesia di quellastupenda
narrazione, e che, per la più spiccia, confesserebbero volentieriUgolino
trovarsi nel fondo dell' infernonon
altro che per go- dersi la vendetta di rodere il cranio all'Arcivescovo.L'argomento
d'accusa più forte è il tradimento delle castella;ma
è fallace, perchèDante
stessonon mo-
stra di crederci; infatti,come giustamente
osservail
Del Lungo
(2), egli riferisceoggettivamente
cheil conte aveva voce d^aver tradito
Pisa
delle castella,ma non
vimette
il suggello della propria convin- zione dicendo che Vaveva tradito.Nemmeno
alla lon«tana si
può
quindisupporre
che sia perquesta colpa ch'ei lo figge nel secondo girone della ghiacciaia;quando
invece sicomprende
assai chiaro esser lui per- suaso cheda
quella voce fu tolto pretesto di farlo morir di fame.Ma, come
si vede, queste sonodue
questioni distinte. Pure, se l'Alighieri l'
ha messa
in quel sito dell'Inferno, gli è perchèha dovuto
sapere di tal delittoda
renderlo agli occhi suoi tanto colpevolequanto Bocca
degliAbati
oBuoso da Duera;
sia poi che questo delitto fosse vero ocomunemente
creduto tale.Basta
pel nostro assuntoil supporre che vero fosse riputato
da
tutti, e quindianche
dalPoeta
; il quale del resto in questo affarepoteva benissimo aver sicure informazioni dellave-
rità, che
Ugolino
molte elunghe
praticheebbe
conFirenze dopo
larotta della Meloria; (anzi è probabileche Dante
l'abbia conosciuto, sebbeiienon
di perso-na, allorché il conte v'andò nel 1285) e, se sulle sue colpe
ebbe
dubbii, glieli potè levare giudiceNin
gentil a lui legatosi di dolce amicizia neltempo che
questi, essendo chiusoilConte
nella torre della fame, sorret- to dalla taglia guelfa diToscana,
cominciò quella guerra accanita controPisa
il cui centro d'azione era Firenze. (3)II.
Nella
storia degli ultimianni
diUgolino
biso-gna
distinguere tre fatti: primo, il suotradimento
verso la patria, per il quale èmesso
dalPoeta
neigelatiguazzi; poi, il
motivo
della sollevazione del po- polo di Pisa contro di lui, sicchévenne
preso e chiusoin carcere; per ultimo, le ragioni
ohe
indussero i Pi- sani a lasciarlo morire difame dopo
averlo tenuto prigione quasinove
mesi, ragioni chepossono
averemolte
attinenzecon
quelle della rivolta,ma pure
diversificarne per certe speciali considerazioni.
Que-
sti tre fatti,
come
appresso sivedrà
chiaramente, sono distinti e originatida
motivi diversi,mentre
sin ora si sono confusi,
credendo che
causa unica, e della rivolta dei Pisani, e dellamorte
del Conte, e del suo trovarsi fra i traditori della patria,quan- do
questapena non
si cerca di giustificarla col pre- tesotradimento
fatto a Nino, sia ilrammentato
af-fare delle castella.
Per
avere qualchenorma
sicuracome
ricercare qual fu il tradimento del Gherardeschi,dobbiamo preliminarmente
stabiliredue
cose: 1^In
che si dif- ferenzia rispetto ad oggi il concetto che in quei tem-tempi
siaveva
della patria e deltradimento
di pa-tria: 2*^ le note caratteristiche
comuni
agli altri dan- nati di questo secondocompartimento. — Quando
siavranno
questidue
criterii, allora si potrà vederecon
precisione di che specie di tradimento patrio l'Alighieri infami tutti i peccatori dell'Antenora.
Questa
notizia ci servirà diguida
per riconoscere quale, tra le tante azioni di cui fu ricca la vita del conte di Donoratico,può
essere stata quella che gliabbia meritato lo stare in
compagnia
diBuoso
e di Bocca.Con
lo stessoragionamento vedremo
pure, findove
è possibile, la reità dell'arcivescovoRug-
gieri, il quale, poiché si trova nel
medesimo
luogo, dev'essere infetto d'un'ugual macchia.1*^ L'idea di tradimento porta con sé quelladi fidu- cia
da
parte della persona adanno
della quale esso vien perpetrato, e di frodolenza e viltàda
parte di chi locommette. Queste due
condizioninon
possonoman-
car mai; sono anzi distintive d'ogni specie di tradi- menti, e si possono rilevare in tutti quelli che i dan- nati di quest'ultima cerchia infernale
hanno commes-
so; se
non
che, l'idea di patria che si trovacongiunta
conuna
sorta di essi, senza alterare il concetto in ge- nere del tradimento,può
averlo modificato inun modo
tutto particolare.
E
facile ilcomprendere
che questomodo
varia secondo l'idea che ogni popolo si fa della patria; perciò nel caso di cui si parla, il tradimentoè tanto diverso
da come
or noi l'intendiamo,quanto
essa idea di patria si évenuta
modificandoda Dante
ai nostri tempi.
E
invero,mentre
parentela, espi-talità, beneficenza, oggi
non
significano cose diverseda
quelle di allora,non va
così per la patria, la quale, permaggiore
estensione, assenza di partiti intolleranti, più regolata e tranquilla libertà ci of- freun'imagine
assai differenteda
quella di sei se- coli addietro, e, ciò che più fa al caso, ciconduce
aun apprezzamento
assai diverso del delitto verso di essa e della sostanza di questo delitto.Qui
èopportuno
fare alcune osservazioni, (ovvie a chi è pratico della storia di quei tempi)che
con- trassegnanomirabilmente
il concetto in cui si te-neva
questa colpa; inquanto
che allora parecchie cosenon infamavano,
le quali adessodarebbero
onta incancellabile. L'arte,come
lachiama Dante,
di ri-tornar nella città nativa
opprimendo
la fazione av- versa, erada
tutti praticata; quindi ilmuoverle
con- tro inarmi
e coprirla di stragi emine
eran cosecomu-
ni.
Neanche pareva
strana la proposta di raderla al suolo perimpedire
al partito contrario, ritornandovi, di farne centro di suapotenza
: ora chi lo facesse, sepure non
venissechiamato
traditore,non
si salve- rebbe dal disprezzo dei suoi stessi nemici.La
partepoi, a quei tempi, era in
cima
ai pensieri di ogni cit- tadino, a scapitoanche
della città (4), e tradirla era reputato delittomassimo
; infatti icommentatori
delpoema
sono concordi nelritenere eziandio per tradi- tori della patria coloro che tradivano quella. Cosi, tanto per citarne uno,sebbene
la chiosa siaalquanto
inesatta, il trecentista che
va
sottoilnome
diAnoni-
mo
Fiorentino(5)entrando
aparlare di questosecondo
girone dice : "Fa menzione
l'Auttore in questa se-conda
prigione di coloroche
tradirono la propria pa- tria loro signore o loro parte etchiamala Anto-
nòra. „ Risultada
ciò, chesebbene
allora si fossemolto lontani dal pensare che l' Italia è la patria di tutti gl'Italiani, e
ognuno
fosse contento della città in cui nasceva,nondimeno
per questa città gli -eran lecite eperdonate
tali cose che ora noi sareb- bero per l'Italia tutta.E
naturale quindi il dub-bio, che il vero concetto di patria nel trecento
non doveva nemmeno
esser risposto nella repubblica na- tiva; e dove, lovedremo
testé.2^
Se una
legge generale deesi creder sottintesa nellamente
diDante
nel giudicare queste colpe, e seda un punto
di vista unico sideve ammettere
che i traditori siano stati dannati nell'Antenora, e se essopunto
di vista èda
dedursinon
con induzioni dottrinariené
con fantastiche ipotesi,come pur
trop- po si fa,ma unicamente
dal confronto tra loro degli esempii che egli ci lasciò, ci pare cheun
criterioda
lui seguito senzamai
farvi eccezione, sia questo:che, per
un
tradimento di questo genere,commesso
adanno
d'Italiani, il traditoredeve
essereimmancabil- mente un
Italiano.Parrà
forse oziosa questa distin- zione, enon
è.Se
aMontaperti
il colpo diBocca
fosse stato dato
da un
Francese,Dante non
l'avrebbecondannato come
traditore della patria,anche
se ilFrancese
fosse stato intinto di parte guelfa o ghibelli- na: ciò è chiaro, oalmeno non
suscitaripugnanza
nel- l'animo di nessuno.Lo comprova
il fatto che ilPoeta
colloca in Purgatorio il guelfo Carlo d'Angiò, colui dal maschio naso^ (6) il quale alla battaglia diBene-
vento, essendo già rotto quasi tutto l'esercito suo, e trovandosi incalzatoaspramente
dalla cavalleria tedesca al soldo di Manfredi, disperato della vitto- ria,mandò
fuori il grido: alli stocchi^ alli stocchi e fedire i cavalli, atterrando traditorescamente i nemici, contro l'uso delcombattere
di quei tempi, e trion-fando cosi del suo rivale.
Che
sia tradimento enon
astuzia guerresca
come
quella di Tagliacozzo,Ove
senz'armi vinse il vecchio Alardo,non
fa bisogno spenderci molte parole perdimo-
strarlo.
Basta pensare
che i cavalieri tedeschicom-
battevano fiduciosi nelle leggi di cavalleria d'allora, le quali dichiaravanosomma
viltà il ferire i cavalli:dunque
fiduciada
parte degli uni, frodolenzada
parte degli altri(8).Tale
azionesuonò famosa
a quei tempi, e lecronache
la registrarono;ma
se l'Angioinonon ne
raccolse tutta lainfamia
di cui era meritevole,non deve
recar meraviglia, poiché egli fu il vincitore ed era sorretto dal partito guelfo cheda
queltempo
in poiandò
pigliandoun
incon- trastato sopravvento.Né Dante poteva
ignorarla, egli chemostra
di conoscere tutti i particolari della conquista angioina e della battaglia diBenevento,
fin quello della grave mora.
Conveniamo
che a nes- suno è passatomai
per lamente
di credere Carlod'Angiò
traditore della patria italiana;ma abbiamo
fatto osservar ciò
appositamente; perchè
seanche Dante non
ritiene tale lui,non
lapensa
cosi perun
Pavese, il Beccheria,che congiurava
amutare
il go-verno
guelfo diFirenze
;
quantunque,
in fatto di pa-tria,
un Pavese od un Provenzale dovevano
essereugualmente
estranei a Pirenze.Se ne
conclude per- tanto che,sebbene Dante
si adatti almodo
di pensare dei suoi tempi, distinguendo tante patriequante
sud- divisioni politiche; vuole poi,perchè
possa reputarsi traditore della patriauno che
abbiacommesso un
taltradimento
in Italia, che esso sia latino.E
per latinonon
devesi intendere,come qualcuno
fa, l'abitatore solo dell'Italia media,ma
chi è nato in qualsivoglia2-15
—
Opuscoli danteschi.regione della penisola; che
appunto
in questo sensoDante
l'usachiaramente
in più luoghi delPoema
(9).Questa
èuna prima
notacomune; vediamo
di tro-varne
qualch'altra.Parrebbe
che il tradimentonon avrebbe
potuto commettersi cheda un
cittadino nella propria terra e adanno
di questa;mentre
gli esempii diDante
sono si varii che ci autorizzano a credere inmodo
diverso.E
se in questo girone si puniscono itraditori della patria,
non
vidovrebbero
aver luogo quelli che tradirono la parte, la quale è cosa affatto distintada
quella, tanto che ilbene
di essa o il suo tradimento,anche ragionando
di quei tempi,non
im- plica che per eccezione ilbene
o iltradimento
della patria (10).Se non
che,un
altro criterio cheDante mostra
di aver adottato è il seguente: che, nel con- cetto di quei tempi, per tradimento di patriasidebba
ritenere il
tradimento
d'una parte politica senz'al- tro, enon mai
della città o dello Stato in cui siaveva
diritto di cittadinanza. Gli è vero infatti, (e si è poc'anzi notato) che i faziosi
consideravano
lapatria moltoda meno
che la parte loro, secondo che le pas- sionilipersuadevano
:tal parte eraquindi il tutto peressi, e la lotta combattevasi
non
contro o per il luogo natio,ma
contro la potenza della fazione av- versa.Parte dunque
per loro voleva dire patria e più; e solo nel più stretto senso politico parte e pa- triaeranl'istessa cosa.Eglino
questa patria partigia-na
se laportavano con
loro negli esilii, e di essa altri pezzi incontravanoqua
e làdove signoreggiavano
idee uguali alle proprie; sicché per molti, aitempi
di Dante,non numerose
patrie esistevano,ma due
sorta di esse, le guelfe e le ghibelline. Il nido dell'infanzia, l'ovile ove si "dorme
agnello „ per quei ferocinon
esisteva: il loro sogno era il trionfo, il dominio.
A
questomodo
di pensarla ilPoeta non
s'è del tutto accostato; perchè lasciando ilnome ed
il ri- spetto di patria alla città, con tutti i sentimenti di orgoglio geloso e di tenerezza, quali la suagrande
e gentileanima
li sentiva per Firenze,pur
tuttavia ritennecome
tradimento di patria quello fatto auna
parte politica,conforme
che all'età sua si giudica- va.Né poteva
fare diversamente.Qualunque
al- tro concetto egli potrà aver avuto di cosiffatto tra-dimento ha dovuto
rassegnarlo a quello chene avevano
i suoi contemporanei, per i quali scrive-va ed
ai quali anzi recavaad esempio
i fatti stessisuoni
si era posato il loro giudizio; che facendo altri-menti, si sarebbe trovato nel caso di
condannare
per altro titolo, e quindicon pena
disforme, coloro checomunemente
erano stimati traditori della patria(11).Intanto è chiaro, che se in ogni città,
come
era inGe-
nova,Modena ed
altre, idue
partiti si fossero con- trabbilanciati, dimodo
che quella avesse potuto reg- gersiindifferentemente a parte guelfao ghibellina, se alcunocommetteva
attoviolento adanno
della fazione avversa alla propria, traditore della suanon
era,né
si poteva dire
nemmeno
della patria, perchè questanon pendeva
più in parte guelfa che in ghibellina.Mentre
v'eran delle città nelle qualiuna
d'esse parti era cosinumerosa che comprendeva
lamaggioranza
della popolazione; allora il colore politico di talmag-
gioranza sicomunicava
alla città; ilgoverno
che siordinava secondo
i principii di quelladiventava uno
stato di cose
da non mutarsi perchè
voluto dai più, e neirivolgimenti forzati la parte cosi affermatanon
siriusciva
mai
amandarla
tutta in esilio,perchè
si sa- rebbedovuto
faruscire il piùdellapopolazione.Que-
sto è il solo caso in cui col
nome
di patria s'intendetanto il
comune
che laparte dominante, sicchéformano una
cosa sola: cosi Firenze, Lucca,Bologna
eranopa- trie guelfe; Pisa, Arezzo, Siena fino aun
certotempo,
Pavia,Cremona,
ghibelline.La
fazione avversa di-ventava
in esseun
partito,una
setta quasi; partito vivo si,ma non
capace didominarle
senza aiuto stra- niero tradimento.E
Firenze rimasesempre
guelfa perchè il più della sua popolazioneaveva
spiriti guelfi; Pisa, ghibellina.Mutare
a Firenze ilgoverno da
guelfo in ghibellino e far viceversa a Pisa (12), cioè oprar cosa contraria almodo
di pensare ed alla volontà dellamaggioranza
dei cittadini di esse, o in altri termini, fare che il partito vi pigliasseil soprav-.vento, era
un
.tradire la patria;ma perchè
chi lofaceva potesse chiamarsi traditore, occorreva che
commettesse davvero
opera di tradimento, che la for- za aperta e l'astuzianon
bastavano. Sicomprende
di leggieri che il tradimento contro
una
cittàcome
PisaFirenze poteva
indifferentemente venir tantoda un
Gruelfo cheda un
Grhibellino; in sostanza ba- stava che valesse amutare
ilgoverno
della città voluto dai più: mentre,quando
il tradimento avve-niva
solo adanno
della parte senzache
ilcomune
ci fosse per nulla compreso,
(come
inModena
oGe-
nova,dove non
c'eratendenza
politica spiccata) al-lora e'
non
poteva venircommesso
cheda uno
dei seguaci di quella.III.
Abbiamo
cosi trovatodue
note caratteristiche che sono sufficienti per riconoscere seun dannato
possa ono comprendersi
nella categoria dei traditori dellapatria;
vediamo
ora di controprovarle con gli esempii danteschi. Sivedrà
chetradimento
di patria è sem- pre tradimento di parte (oestensivamente
del co-mune, quando, come
s'è detto, la parte glidà
colore politico); basta con ciò che il traditore sia italiano.E
sivedrà
ancora che iltradimento
consistesempre
in un'azione energica, decisiva, rapida, unica; in-
somma
in un'azione violenta enon mai
in un'operalentamente
eastutamente consumata. Non
si esclu- de però,che
quell'azione violentanon
possa essere stata avantilungamente
pensata e predisposta; che anzi è questa l'impronta speciale di tutti i tradi-menti
: l'apparecchiar dilunga mano
quello che sieseguisce all'improvvista.
Primo
in questocompartimento. Dante
incontraBocca
degli Ahsiti, ghibellino (13), il quale,troncando
all'improvviso il braccio di Iacopo dei Pazzi, al co- minciare della battaglia di Montaperti, fa cadere lostendardo maggiore
delcomune
guelfo diFirenze ed
è cagione della rotta dei Gruelfi e del
mutamento
ài governadella città.E dunque
traditore della patria,non
perchè abbia tradito la parte propriama
quellaguelfa cui aderiva Firenze.
Ed
èdegno
di nota cheil
Poeta non condanna
Farinata, capo dei Ghibel-lini e
primo
autore della vittoria e delmutamento, perchè Farinata
osteggiòapertamente
Firenze; equando
l'incontra tra gli eresiarchi il solorimpro-
vero che glipone
in bocca è di credersi di esserle stato forse troppo molesto.Né,
parimenti,condanna
alcun altro di quei Ghibellini, i quali, sotto la con- dotta degliAbati
e deiDella
Pressa,prima
di attac- care lapugna,
disertarono ilcampo
guelfo; perchèl'esito della battaglia
dopo
la loro fugarimase ancora
affidato alla sorte ed al valore dei combattenti.
Nomina
poiBuoso da
Duera, ghibellino^ cuiMan-
fredi e i Ghibellini dell'Italia settentionale aveva-
no
affidato la difesa del passaggio dell'Oglio, e che perdanaro
apri il passo al conteGuido
diMonforte
ed all'esercito del guelfo Carlod'Angiò
(14).Fu
per- ciò soltanto traditore di quella parte che con concor- de volontà gliaveva
affidato l'incarico di osteggiareil proprio
nemico
;ma
tale atto contro la parte bastò perchè fosse dichiarato traditore della patria.Giova rammentare
che il tradimento diBuoso
fuun
atto disomma
importanza, decisivo, nella caduta diMan-
fredi; poiché è notorio che se l'esercito di Carlo fos^
se stato trattenuto in
Lombardia,
in breve si sarebbesciolto,
mancando
gli Angioini deimezzi come man-
tenerlo (15); e
non
che arrivare aCepperano
o a S.Germano non avrebbe
forsenemmeno
valicatoil Po.Il Beccheria, di cui fa
menzione
appresso, èun
cardinal legato di
Alessandro IV,
che congiura permutare
lo stato guelfo di Firenze.Atto
di tradi-mento non
ci fu;ma,
dice il Villani (16), " che a pe- tizione dei Ghibellini usciti di Firenze trattava tra-dimento
„ ; chi sadunque
che voci corsero sulle suetrame
(17); però essendo stato prevenuto,venne
con-dannato
nel capo. Si noti la particolarità già avver-tita che il
Beccheria
è pavese,non
fiorentino ;ma
perchè
fosse traditore di Firenze gli bastava 1' es- sere italiano (18). Inoltre egli è ghibellino,mentre
la città tradita è guelfa; e
sebbene
quindinon
tra- disca la propria parte, pure,come
Bocca, siadopera
che venga
cambiatocon un tradimento uno
stato di cose ordinato secondo parteguelfa, e voluto colà dallamaggioranza
dei cittadini;dunque pur
egli è tradi- tore in ge-nerale d'una parte politica, e per conse-guenza
della patria.23 Viene
appresso Grianni del Soldanieri, il quale inFirenze
" permontare
in istato „abbandona
la pro- priaparte, la ghibellina, e simette
a capo del popolo;donde
la resistenza di questo alConte Guido No-
vello, il richiamo dei Guelfi e l'uscita dalla città dei Ghibellini.
È
traditore diuna
parte politica an- ch'egli e perciò,come
gli altri, èinfamato
di tradi-mento
di patria. Siponga ben mente
al fattoche
il
mutamento
del Soldanierinon
fece che rafforzare quel partito cui seguiva il più della popolazione della città, e dovette essere a questa graditoavendole
datomodo
cosi di sbarazzarsi di quello avversario che lametteva
in continue turbolenze (19).Eppure
Dante,perchè
il Soldanieri fuun
Ghibellinoche
tradì la fazione dei Ghibellini, lo
dannò
senz'altrocome
traditore della patria.Tacendo
diGano
diMaganza
(unica eccezione fra tanti Guelfi e Ghibellini) il quale,secondo
la cro-naca
di Turpino, a Roncisvalle fecemassacrare
da- gliArabi
30000
Cristiani suoi compatriotti, penul-timo
viene Tribaldello de'Zambrasi
che apri di nottele porte di
Faenza,
la quale si teneva pei Ghibellini, e la diede inmano
ai Guelfi diBologna; secondo
alcuni, per
vendetta
de' Lambertazzi, signori della sua città, chenon
gli vollero far giustizia didue
porci chegli erano stati rubati;
secondo
altri, per da- naro.Ad
ognimodo
è traditore d'una parte, e per- ciò della patria.Questo
ci pare il piùcompleto esempio
ditradimento
patrio, poichénuoce
alla pro- pria parte e alComune
che la segue.Però
essova
pocofamoso perchè
dipoca importanza
e di quasinessun
effetto,essendo
leconseguenze
quelleche danno rinomanza
alle azioniumane.
Le
deduzionida
noi tratte avanti ci paiono a ba-24
stanza
comprovate
perchè faccia bisogno di spenderci attorno altre parole; soltantostimiamo opportuno
ri-confermare
quel che già fu avvertito più sopra, cioè che l'Alighierimette come
un'altra condizione del tradimento ilmodo
improvviso, subitaneo in cui fu eseguito, di guisa che la parte della quale si volle la rovinanon ebbe modo
di salvarsi. Ciò sipuò adunque
ritenerecome una
terza caratteristica, la quale, a dir vero, s'è notato che ècomune
ad ogni qualsivoglia specie di tradimenti;ma
peròappunto
essa è del piùgran momento, né può
mancare.IV.
Dopo
questi dannati, e per tali cagioni, senza per altro uscire dall'Antenòra,Dante vede
iduo
ghiac- ciati inuna
buca:Ugolino
e Ruggieri.Per
trovarsi in quel luogo, le loro colpe,come
innanzi s'è detto,devono
essere state pari a quelle degli altri, e deb-bono
quindi rispondere ai criterii generali ritrovati più avanti (20).Occupiamoci
per orasolamente
del Conte.La
questione della nazionalità sipuò met-
ter
da
parte: si sa cheUgolino
era pisano.La
qua- lità del suotradimento
si conosce pure: èun
fatto, chenessuno
storico ocommentatore pone
indubbio
il parteggiare d'
Ugolino
per i Gruelfì ed il suo aver voluto usurpare la signoria diPisa
ghibellina; la quale,da
queltempo
in poi, naturalmente, si sa- rebbe governata con sentimenti favorevoli a quei suoi antichi nemici.Ma
s'è visto che tutto ciònon
basta.
Ugolino deve
aver conseguito conun
atto di tradimento, vero o supposto che sia,ma
della25 stessa
natura
di quellicommessi
dai condannati,un
certo
predominio
nelgoverno
della sua patria; pre-dominio
che, abusato di giorno in giorno, locondu-
ceva allameta
che si era prefissa. Il Villani lo taccia cosi in generale di difetti e tradimenti;ma
per vederechiaramente
quello per il qualeDante
lomette
nel secondo giro del gelo di Oocito, è neces- sario riassumere tuttequante
levicende
politiche di lui e dei suoi inquanto hanno
relazione conPisa
e la loro tragica fine.
Perchè
quella che a noisem-
bra la vera causa dellasua dannazione
èda
moltiimpugnata;
esebbene non
l'abbian potuta mostrare erronea,come
del parinon
fu potutasicuramente
pro- varvera da
quei che la difesero, egli èpur
certo che dal contrasto essa è uscita con assaipoca
fidu- cia di aver risoluto la questione.In conseguenza
occorre rinfrancarla connuovi
e solidi argomenti, e noilitrarremo
dalle azioni stesse diUgolino
; al qua-le intento
daremo uno sguardo
per disteso su tutta la suavita,e particolarmente sulla condotta tenuta verso lapatria negli anni precedenti alla causa succennata, e questo rivelandoci l'animo
suo e il fondo dei suoi pensieri perquanto
è possibile, cipuò
fornireuna prova morale
a conforto dell'opinioneche
noi soster- remo. Difficile cosa é poi tratteggiareuna
tal vita,come
ingenere
tutte quelle di persone che sono statesegno
alle passioni degli scrittori, e specialmentequando
idocumenti
scarseggiano.Molte
notizie, che affidate alla cartaavrebbero
dato oggidìgran
lume, rimasero parole; molti pensieri sulle scerete intenzionionde
scaturirono i fatti, restarono nellamente
del cronista, sepure
questi liconobbe
; tantoche
spesso citroviamo
innanzi alcunemagre
indi- cazioni le qualisembrano non
avere alcunlegame
con i fatti precedenti
né
coi posteriori,ma
chepure
si collegano
ad entrambi
; e il fare ipotesi e con- getture, seda una
parte rischiaraun
po' l'oscurità dellecronache
edà
la via d'uscitada
molti viluppi e dubbiezze, d'altro canto spessonon manca
dimet-
tere soprauna
strada falsa.V.
Ugolino, figlio di Guelfo, della nobile e potente famiglia dei Grherardeschi, era conte di Donoratico,
padrone
del Castello di Settimo e di molte terre nei piani dellaMaremma
e di Pisa, e signore della se- sta parte del G-iudicato di Cagliari.Accrebbe
lustro al suo casato colmatrimonio
del figlio Guelfocon
la principessa Elena, figliuola di
Enzo
re di Sarde- gna,imparentandosi
cosi con la imperiai casa di Svevia, alla quale iGherardeschi
poisempre
furono devoti.E
colsangue
suggellarono la loro devozio- ne;perocché Gherardo, un
d'essi, che fu dei fidi e provetti condottieri scelti a consigliare l'inespertoCorradino quando mosse
per la sua infeliceimpresa
contro Carlo d'Angiò, nellafuga venne
pigliato pri- gione col giovinetto nel castello d'Astura, e lasciòpure
la vita sul patibolo.Da Margherita
deiPan-
nocchieschi, contessa di Montingegnoli, senese,
ebbe
cinque figlimaschi
e trefemmine. Turono:
Guelfo giàrammentato.
Lotto,Matteo, Gaddo, Uguccione
Emilia,Gherardesca ed
un'altra di cui s'ignora ilnome
e che fu sposa diGiovanni
Visconti. Si sapure
diun
figlio illegittimo,Landuccio, che mori
combattendo
in difesa delpadre
nella fatale gior-27
nata in cui questicadde
nellemani
del popolo diPisa ammutinato. Prima
assai cheUgolino
si vol- tasse al partito guelfo, eprima ancora
del matri-monio
diGuelfo
con la figlia diEnzo,
iGherarde-
schi, ligi alla politica imperiale della patria, ave-
vano vigorosamente propugnato
le ragioni di essa attraversando lemire
ambiziose della corte diRoma.
Perocché nelPanno
1234papa
GregorioIX, mandando
in giro suoi legati a predicar pace e concordia tra le genti, e a sollecitarle
ad armarsi
peruna nuova
crociata, riscoteva poi
sottomano
permezzo
deime-
desimi ilgiuramento
diubbidienza
dai signori e dalle popolazioni; e inSardegna,
incompenso
diuna
ribenedizione,
Ubaldo
Visconti, giudice di Gallura, lamoglie
di lui, Adelasia,marchesana
diMassa
e giudicessa di Torri, e Pietro diCapraia
che colme- desimo
titolo era investito della provincia diArbo-
rea, rimisero nelle
mani
del legato pontificio i giu- dicati chetenevano
in feudo dalcomune
di Pisa, accettandoli poida
luicon nuova
investiturada
par- te del pontefice.A
questa sfrontata infrazione dei proprii diritti, la repubblica pisana indignatamosse
adomare
i ri- bellicon
le armi; ma,come avviene
in simili casi,alcuni cittadini si diedero a difendere il Visconti
ed
il Capraia, talché si
formarono due
partitiche
pi- gliaronnome
dalledue
fazioni, allora rigogliosissi- me, de' Guelfi e Ghibellini.Capi
di quelli i Vi- sconti, di questi i Gherardeschi. Questi ultimi col- sero con piacere Toccasione di brandir learmi
innome
della republica contro i loro vecchi rivali;poiché Visconti e