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creato podestà;

ma non

è verisimile.

Porse

il

non

aver voluto

pagare

si allegò

come

scusa da chi

ebbe

onta è rimorso di dire il vero ; poiché ci

sembra

che

un

tal

Neze da

Marti, il quale riusci a

vedere

i pri-gionieri pochi giorni innanzi la loro morte, abbia parlato col

Conte sinceramente quando

gli disse che, pagasse o

non pagasse

la

somma

richiesta era tut-t'uno; tanto e tanto era già stabilito che dovesser morire.

Ma non

è inverisimile la voce corsa che il Conte, vistosi spacciato,

dimandasse

con alte grida penitenza, e

non

gli fosse conceduto

prete

frate che l'andasse a confessare.

5-15

Opuscoli danteschi.

Pubblicata

la loro

morte

ed estratti i cadaveri, furono seppelliti, ancora con la catena al piede, nel chiostro de' frati minori,

dove una

colonna con su

una

doppia catena

pendente da un rampo

indicava

il

punto

della sepoltura.

In

progresso di

tempo

lo spirito di parte

non

lasciò

nemmeno

riposare quelle tormentate ossa nell'ultima dimora, e,

come

reliquie di martiri guelfi, furono levate

da

terra ghibellina e trasportate a

Firenze

nella chiesa di

Santa

Croce.

X.

Anche

attorno ad Ugolino,

come

a tutte le per-sone

segno

d'inestinguihil odio, si è formata

una

leg-genda.

La

riporta

Flaminio Dal Borgo

nell'opera già tante volte citata, verso la fine dell'

undecima

dissertazione; ed è preziosissima per chi,

come

noi, si è proposto

non

soltanto di

appurare

i fatti della sua vita,

ma

principalmente di sviscerarli e coordi-narli attorno a un'idea

madre;

poiché, senza dubbio, quello ch'ei fece dal

punto

che abbracciò il partito guelfo sino alla morte, proviene tutto

da un

pen-siero unico e costante, solo variabile in

quanto

s'a-dattava alle

mutanti

condizioni dei tempi.

Senza

stare qui a ripetere

quanto

l'illustre autore delle Origini del Oristianesimo

ha

detto nella prefazione a quell'opera in proposito delle

leggende

e della loro importanza,

rammenterò ohe anche

questa, se

non

ci

può

essere garanzia dei fatti che racconta, ci

con sicurezza la

natura

dell'impressione che

Ugo-lino lasciò nei suoi concittadini, impressione di

ti-ranno

violento e ambizioso, che il popolo, il quale

non

sa ragionare astrattamente, manifestò a

modo

67 suo in

maniera

viva e parlante,

inventando

o

ripor-tando

fatti e aneddoti; i quali, se perciò

non

sono tutti veri

ne

verisimili, sono però stati ritenuti pro-babili in lui attesa l'ambizione e l'indole sua, le sue azioni, i suoi intendimenti.

La

leggenda, quale noi la possediamo, è

un

rifa-cimento

di gente letterata su

un

preesistente rac-conto popolare, poiché è scritta in latino e vi sono inseriti dei brani di storia.

Questo

lavoro, a parer nostro,

deve

essere stato fatto nella

seconda metà

del

decimo

quartosecolo, e

non prima

;

mentre

il racconto popolare, il quale

ben

si discerne

frammezzo

alla sciocca fatica di chi forse intese scrivere

una

storia di quella

tremenda

catastrofe e delle ragioni

onde

fu causata,

non deve rimontare

oltre la generazione seguente a quella in cui essa catastrofe

avvenne,

perchè vi è fresco il ricordo del passaggio dell'im-peratore Arrigo

VII

per

Pisa

e della liberazione di Guelfuccio pronipote

d'Ugolino

(52).

Che

la

leg-genda non

sia tutta d'invenzione popolare, lo

mostra appunto

il fatto della liberazione di Guelfuccio, che è vero poiché se

ne

fa parola nelle cronache.

Ma

gli altri che la storia

non

è in

grado

di accertare possono ritenersi per

buoni

?

Fa

meraviglia che scrittori di polso,

come

il Sismondi, l'abbiano tutti alla cieca accettati;

ma

a senso nostro

qualche

cosa è

da

rigettare.

E

in

primo

luogo facciamo notare

che

questa

leggenda non

parla dell'avvelenamento del nipote, il conte

Anselmo

di Capraia; efferatezza

che

in essa, accusatrice spietata d'Ugolino,

avrebbe

dovuto

trovare il suo posto; e però questa infamia,

come

del resto

hanno

fatto molti, è

da

mettere nelle favole.

Tra

queste

va pure

quel che essa narra della

fame

di

Pisa

e dell'uccisione del nipote

del-l'arcivescovo Ruggieri. Dice: che essendoci gran ca-restia nella città e il popolo facendone mormorazioni,

il nipote suo

Anselmuccio

gli si sia presentato pre-gandolo che ponesse

termine

alla

fame levando

le gabelle sull'annona; e che

Ugolino

irritato, rinfac-ciandogli che con questo consiglio

intendeva

levar-gli la signoria di Pisa,

dava

di

mano

alla

spada

e lo feriva in

un

braccio. Il nipote dell'Arcivescovo, accorso a riparare l'amico,

rimproverava

il

Conte

della sua snaturatezza;

ma

che costui,

da

ciò reso più furibondo, arraffata

una ronca

uccidesse il poco

prudente

interlocutore. Continua, che recato il ca-davere dall'Arcivescovo, questi noi volesse

neppure

vedere, dicendo che quello

non

era il suo nipote, e che il fratello suo

Ugolino non

poteva esser ca-pace di

commettere

quella scelleratezza che gli si

imputava. Ma

l'Arcivescovo, cosi dissimulando il

dolore della perdita del nipote e la rabbia contro l'uccisore, aspettava che venisse il

momento oppor-tuno

per vendicarsi.

Or, è

mai

possibile che

Ugolino

si attirasse ad-dosso le

mormorazioni

del popolo affamandolo, lui che conosceva molto

bene

di che pelo fosse questo popolo, e

quando

per

non

dispiacergli,

come

s'è vi-sto,

una

volta rinunziò al potere, un'altra accondi-scese a ratificare il trattato di pace coi

Genovesi?

Ed

è poi logico il supporre che

levando

le gabelle sarebbe finita la carestia?

Al

più potevasi far

di-minuire

di poco il prezzo dei viveri.

Ed

eran

vera-mente

imposte

nuove

quelle o

non

piuttosto le

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