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Academic year: 2021

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CONCLUSIONI

Negli ultimi anni il liquidity risk management nelle banche è stato interessato da un significativo processo di evoluzione. La crisi sub-prime ha messo in luce le carenze gestionali che caratterizzavano i principali intermediari bancari, riportando la necessaria attenzione verso il rischio di liquidità. La valutazione di tale rischio deve necessariamente essere svolta in rapporto all’area di impatto, all’orizzonte temporale di analisi, all’origine del rischio e allo scenario di riferimento. Nel breve periodo le banche devono quantomeno monitorare la posizione finanziaria netta e identificare l’orizzonte temporale entro il quale esse non sono in grado di far fronte ai propri fabbisogni di liquidità senza ricorrere a nuove forme di finanziamento garantito. Nel medio-lungo periodo risultano importanti anche gli indicatori di liquidità di medio e lungo termine, che rapportano passività e attività con analoga scadenza. Tali rapporti sono spesso inferiori all’unità per via della trasformazione delle scadenze, ma una loro caduta è indice di crescente vulnerabilità per la banca.

La repentina illiquidità su alcuni mercati ha mostrato l’inefficacia delle prove di stress e la mancata considerazione delle interdipendenze tra il liquidity risk e gli altri rischi in capo alle banche. Riguardo al Contingency Funding Plan, esso deve essere necessariamente considerato come una concreta strategia di intervento conosciuta e condivisa da tutte le unità operative della banca dalle quali può scaturire il rischio di liquidità. Infine, risulta necessario un rafforzamento della disclosure verso tutti gli stakeholders della banca, che dovrà riguardare non solo stress test e Contingency Plan, ma anche ulteriori informazioni qualitative come le strutture di governo, le politiche, le procedure di gestione e misurazione del rischio di liquidità e le strategie di funding.

La crisi ha dunque favorito una maggiore sensibilità da parte delle banche al

tema del liquidity risk, oggi percepito come elemento vitale del modello di

business della banca. A conferma di ciò, dalla survey di Ernst & Young emerge

come l’implementazione del liquidity risk management sia oggi considerata dalle

banche persino più importante del processo di definizione del capitale.

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Sul piano normativo, a partire dal 2009 si è messo in moto un importante processo di ri-regolamentazione, che ha come espressione principale Basilea 3. Il nuovo impianto normativo entrerà in vigore nel 2013 e ciò che preoccupa maggiormente è il suo impatto su un sistema bancario già notevolmente provato dalla crisi che è ancora in corso. A seguito degli ampi interventi governativi a sostegno del settore bancario prima e dell’occupazione poi, la crisi del 2008 si è infatti tradotta in una crisi di finanza pubblica. La crisi dell’economia reale, espressa dai bassi tassi di crescita e di occupazione, si è tradotta in una crescita significativa dei crediti deteriorati e di conseguenza del costo del credito.

Dall’altro lato, la crisi del debito sovrano si riflette, per le banche dei paesi più colpiti, in un innalzamento del costo del funding e in perdite in conto capitale.

Dalla scorsa estate una crisi di gravità eccezionale ha investito l’Europa e in

modo particolare l’Italia. Il peggioramento delle prospettive dell’economia

globale, l’aggravarsi delle condizioni finanziarie della Grecia e i timori suscitati

dall’annuncio del coinvolgimento del settore privato nella riduzione del debito

pubblico greco hanno innescato nuove tensioni sul mercato del debito sovrano,

che si sono estese ai mercati finanziari e bancari dell’area dell’euro colpendo

direttamente l’Italia e la Spagna. Sono venute in luce le vulnerabilità dei singoli

paesi membri: nel nostro, la bassa crescita e l’elevato debito pubblico. Le

tensioni sul mercato del debito sovrano si sono rapidamente trasmesse ai sistemi

bancari e sono state ampliate dal declassamento, da parte delle agenzie di rating,

del merito creditizio di Stati e intermediari. Si è così accentuata la segmentazione

del mercato interbancario lungo linee nazionali, con un forte allargamento dei

differenziali tra il tasso overnight sui mercati italiano e spagnolo e quello medio

dell’area. Negli ultimi cinque mesi del 2011 la provvista netta delle banche

italiane presso non residenti, sull’interbancario estero e in obbligazioni, è

diminuita di oltre 100 miliardi. Tra gli operatori si diffondeva il timore che una

flessione della raccolta e una possibile scarsità di garanzie stanziabili presso

l’Eurosistema potessero avviare una crisi sistemica. Le tensioni erano aggravate

dall’elevato ammontare di obbligazioni delle banche dell’Area Euro in scadenza

sui mercati internazionali nel corso del 2012.

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Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha reagito estendendo dall’estate gli acquisti di titoli nell’ambito del Securities Markets Programme, riducendo i tassi ufficiali in due riprese e dimezzando in dicembre il coefficiente di riserva obbligatoria. Inoltre, la BCE ha deciso di condurre, a dicembre del 2011 e a fine febbraio di quest’anno, due operazioni di rifinanziamento a lunga scadenza, tre anni, con integrale aggiudicazione degli importi richiesti, ampliando anche la gamma delle attività stanziabili a garanzia dei finanziamenti.

La raccolta all’ingrosso venuta meno è stata così sostituita con il rifinanziamento presso l’Eurosistema e parte dei fondi è stata investita in titoli di Stato. Tali operazioni hanno preservato il funzionamento dei mercati, contenuto i rendimenti ed evitato che la caduta della provvista si traducesse in una restrizione creditizia rovinosa per famiglie e imprese.

Il mercato del credito continua però a soffrire e la dinamica effettiva dei prestiti non riflette solo fattori di offerta, ma anche la debolezza congiunturale della domanda e il deterioramento della qualità del credito. Vi sono comunque segnali che il miglioramento delle condizioni di liquidità delle banche stia favorendo l’offerta di credito. Nei primi mesi del 2012 i sondaggi presso banche e imprese segnalano condizioni di finanziamento meno tese rispetto a quelle dell’ultimo trimestre del 2011. I tassi sulle erogazioni alle imprese sono tornati in media a scendere. Gli acquisti netti di titoli di Stato da parte delle banche italiane nei primi tre mesi dell’anno in corso sono stati pari a 70 miliardi, di cui circa un terzo su scadenze inferiori all’anno. È stata in parte ripristinata la liquidità del mercato: per le banche, l’accumulo di attività a breve termine consentirà di far fronte all’eventuale mancato rinnovo delle obbligazioni in scadenza e di accompagnare la ripresa della domanda di credito. Ristabilire condizioni ordinate sul mercato del credito è essenziale per le prospettive della nostra economia.

L’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato, le difficoltà di raccolta bancaria, i

maggiori costi e la minore disponibilità di credito all’economia hanno

determinato finora un effetto depressivo sull’attività economica, che senza gli

interventi dell’Eurosistema sarebbe stato ancora maggiore.

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Tuttavia, l’incompleta costruzione istituzionale dell’Unione Europea incide pesantemente sul giudizio dei mercati. Al centro della crisi del debito sovrano, infatti, vi sono oggi dubbi crescenti da parte degli investitori internazionali sulla coesione dei governi nell’orientare la riforma della governance europea, e sulla loro capacità di assicurare la tenuta stessa dell’unione monetaria. Nell’ultimo consiglio europeo del 28 e 29 giugno sono stati fatti importanti passi in avanti verso la stabilizzazione finanziaria nell’area Euro, come ad esempio il trasferimento della supervisione bancaria alla BCE che porterà alla creazione di un meccanismo di assicurazione europea dei depositi e di un fondo europeo per la gestione delle crisi bancarie.

In un simile contesto le banche devono provvedere all’adeguamento al nuovo quadro regolamentare, che dovrebbe comportare tra le altre cose una significativa diminuzione della redditività bancaria, già notevolmente colpita dalla crisi. Un ruolo rilevante viene svolto anche dai due nuovi requisiti di liquidità, sebbene dalle indagini di impatto condotte dallo stesso Comitato di Basilea risulti un lievissimo impatto di questi ultimi sulla crescita del PIL. Teoricamente l’effetto complessivo di Basilea 3 sulla crescita economica dovrebbe essere positivo, poiché in prospettiva la maggiore solidità del sistema finanziario ridurrà la probabilità di nuove crisi finanziarie e le conseguenti ricadute sull’economia reale. Gli studi del Comitato di Basilea e dell’Autorità Bancaria Europea mostrano un certo ritardo nell’implementazione di Basilea 3 da parte degli intermediari bancari. Per quanto riguarda gli intermediari italiani, le indagini svolte dalla Banca d’Italia indicano invece che il percorso verso Basilea 3 procede con regolarità.

Attualmente siamo in attesa dell’uscita delle direttive europee di recepimento

della nuova normativa (CRD IV e CRR), dunque il testo definitivo di Basilea 3

potrebbe ancora essere soggetto a modifiche. Nel nostro paese, come in molti

altri della zona Euro, le preoccupazioni maggiori derivano dagli oneri delle

nuove regole in capo alle banche, che potrebbero traslarsi sulle imprese già in

difficoltà per la crisi. Nel recente convegno dell’ABI su Basilea 3 sono emerse

diverse criticità riguardanti la nuova normativa: la prima rigurada il fatto che

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ancora non è stata assicurata la sincronizzazione temporale della regolamentazione USA con l'UE; la seconda, ancora più preoccupante, riguarda il fatto che negli Stati Uniti non vengono riscontrate proposte su nuove regole per la gestione del rischio di liquidità. Inoltre, non è assicurata una piena comparabilità dei coefficienti patrimoniali; di qui il rischio rilevante di vedere vanificata l'impostazione di un mercato europeo unico, anche a causa della recente proposta di introdurre flessibilità nazionali nel fissare requisiti patrimoniali e ponderazioni più severe. Intanto, un passo in avanti è stato fatto dalla Commissione Affari economici e finanziari del Parlamento europeo, che il 14 maggio ha approvato un emendamento alla Direttiva europea sui requisiti di capitale accogliendo il cosiddetto Pmi Supporting Factor, una misura sostenuta congiuntamente da banche e imprese volta ad attenuare i rigori della normativa non applicando, per la parte dei prestiti alle Pmi, i maggiori requisiti di capitale richiesti alle banche dai regolatori dopo la crisi. Il fattore di correzione applicato ai finanziamenti alle PMI è stato fortemente sostenuto dall'ABI e dalle maggiori associazioni di imprese italiane. Tale fattore verrà applicato a tutte le banche, anche a quei piccoli istituti di credito che non adottano sistemi di rating interno ma che finanziano quasi esclusivamente PMI, evitando così potenziali restrizioni di credito a beneficio dell’economia reale.

In conclusione, è evidente come la normativa di Basilea 3 entri in vigore in un

periodo poco favorevole per il sistema bancario, che patisce le difficoltà della

crisi del debito sovrano. Entro l’estate di quest’anno sarà approvato dal

parlamento europeo il testo definitivo della nuova regolamentazione, che

potrebbe discostarsi da quello approvato nel dicembre 2010 dal Comitato di

Basilea per i vari emendamenti approvati successivamente.

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