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Questo è esattamente quello che è avvenuto durante gli scavi per la costruzione della stazione Venezia della metropolitana romana, durante i quali sono state rinvenute importanti testimonianze risalenti all'epoca adrianea. L'edificio è

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ABSTRACT

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L'area di Piazza Venezia si trova in adiacenza alla collocazione dei Fori Imperiali, nel centro della Roma Imperiale, e qualsiasi scavo attuato in questa zona potrebbe significare il ritrovamento di importanti monumenti antichi.

Questo è esattamente quello che è avvenuto durante gli scavi per la costruzione della stazione Venezia della metropolitana romana, durante i quali sono state rinvenute importanti testimonianze risalenti all'epoca adrianea. L'edificio è stato

riconosciuto come l'Auditorium di Adriano, il luogo in cui l'imperatore filosofo voleva proporre a Roma le tradizioni elleniche delle gare di retorica e delle recitationes .

Il progetto nasce dalla partecipazione ad un Concorso di Idee indetto dalla Soprintendenza Speciale ai Beni Archeologici per la copertura dello scavo contenente l'Auditorium, per il quale esso dovesse essere visibile dall'alto e accessibile solo a piccoli gruppi di persone.

La volontà di questa tesi è quindi, sì,

la copertura dello scavo, ma anche l'ampliamento dello stesso in direzione dell'aiuola centrale della Piazza e la musealizzazione del complesso per renderlo più accessibile ad ogni tipo di visitatore.

Con questo progetto si vuole donare

alla città di Roma un'area

archeologica moderna, pensata per

essere utilizzata in diverse occasioni,

e che consenta ai visitatori di

conoscere la conformazione di tratti di

città altrimenti mai mostrati dagli

scavi, come le insulae .

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I FORI IMPERIALI

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All'epoca di Cesare, il Foro Romano aveva dimensioni ridotte e non era più sufficiente a contenere le grandi adunanze popolari, la discussione delle cause e la trattazione degli affari. Si percepiva la necessità di conferire al centro di Roma una forma più monumentale, in virtù dell'importanza che la città aveva assunto nel mondo conosciuto, simile alle grandi città orientali.

Giulio Cesare fu il primo a voler dotare la città di una nuova centralità, fondando il suo Foro a nord del

vecchio centro cittadino. Seguì Augusto, costruendone uno ad est di quello del predecessore. Vespasiano, a seguito della vittoria della guerra giudaica, edificò il Tempio della Pace, arricchendolo in seguito con un portico che gli fece prendere il nome di Forum Pacis e, successivamente, di Forum Vespasiani. Tra il Foro di Vespasiano e quello di Augusto era stato lasciato uno spazio libero, che fu colmato dal figlio di Vespasiano, Domiziano, e, successivamente, da Nerva, con la costruzione del Foro

Transitorio.

Traiano costruì infine l'ultimo Foro, a seguito delle vittorie sui Daci, a nord dei Fori di Cesare e Augusto, tagliando una porzione della collina del Quirinale per aumentare l'area disponibile.

I Fori Imperiali costituiscono un

magnifico complesso monumentale

ed oggi, a seguito dell'intervento di

Corrado Ricci nei primi del

Novecento, sono stati restaurati, così

da fornire un'immagine consona della

grandezza della Roma imperiale.

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01 _ IL FORO DI CESARE

Il vecchio Foro Romano, durante i cinque secoli che separavano la sua costruzione dall'epoca di Cesare, era stato quasi completamente occupato dalle fabbriche; gli edifici che lo circondavano, ossia la Basilica Giulia, la Basilica Emilia, i templi di Vesta e dei Dioscuri, rendevano impossibile un ampliamento su tre lati di esso, mentre il quarto lato era sbarrato dalla rocca Capitolina. Si rese quindi

necessario trovare una nuova area su cui fosse possibile edificare il nuovo centro della vita pubblica romana.

Numerose abitazioni, in gran parte signorili, avevano occupato le pendici dei colli circostanti il Foro Romano, quindi, quando Cesare decise di avviare la costruzione del nuovo Foro dovette acquistare l'area per una cifra considerevole, considerato anche il fatto che la città non aveva ancora iniziato a espandersi verso il Campo Marzio.

I lavori di costruzione cominciarono

nel 54 a.C., subito dopo la conquista della Gallia, che permise a Cesare di ottenere un copioso bottino, devoluto interamente per l'abbellimento della città. Pare che occorsero tre anni per le trattative di esproprio e per le opere di demolizione, infatti i lavori di costruzione iniziarono solo nel 51 a.C., quando fu inciso un lungo gradino sulle pendici del Campidoglio, al quale furono addossate le taberne della piazza pubblica.

Nel frattempo, Giulio Cesare era

impegnato in Gallia e, a Roma,

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Pompeo tramava per farlo destituire e nominarsi console unico. Cesare riusciva a mantenere la sua influenza in città grazie ai suoi fedeli, ma il Senato lo dichiarò nemico della patria, su istigazione di Pompeo, quindi il generale decise di muovere contro Roma. Pompeo fuggì verso Brindisi, dove salpò con una nave diretto a Oriente, da dove continuò a ordire le trame della lotta, ormai divenuta mortale, con Giulio Cesare, il quale ebbe la meglio nel 48 a.C., con la battaglia di Farsalo, durante la

quale decise di dedicare un tempio alla protettrice del popolo romano, Venere Genitrice. Forse l'idea di innalzare un tempio al centro del Foro, come accadeva nelle città italiche, era già nella mente del dittatore, ma la divinità a cui dedicarlo non era ancora stata designata.

Il Foro cesariano aveva forma di rettangolo, lungo e stretto, con lati di circa 160 e 75 metri; il tempio di Venere fu addossato a uno dei lati corti, di fronte all'ingresso, quindi in

origine era visibile solo per tre lati.

L'area del Foro fu circondata da taberne.

Il muro perimetrale del Foro di

Cesare è composto da una serie di

arcate di grossi blocchi di pietra,

suddivise in tre piani da piattebande,

ne formavano la facciata prima che

Traiano ne chiudesse alcune per

rinforzare le nuove fabbriche collocate

da lui al di sopra di esse. Il muro di

tufo era rivestito in travertino e, forse,

in marmo, ed è probabile che, anche

al tempo di Cesare esistesse un

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portico colonnato, probabilmente a due piani, per fornire ombra e riparo, cosa che non accadeva nell'ampia piazza antistante.

Le botteghe circondanti il Foro sono costruite in massiccia muratura di peperino e non hanno la stessa forma e dimensione, infatti vennero costruite su un terreno irregolare che si addentrava a triangolo nel colle: è per questo motivo che hanno lunghezze differenti. In età cesariana erano coperte da un tetto con soppalco poggiato su una cornice sporgente,

mentre in età traianea, per rinforzarle, furono sostituiti i tetti con delle volte a tutto sesto.

Verso il fondo del lungo Foro, sul lato corto opposto all'ingresso, si erge l'alto basamento su cui poggia il Tempio di Venere Genitrice. L'epiteto Genitrice venne utilizzato da Cesare per dimostrare il mito secondo cui la gens Iulia, di cui faceva parte, discendesse direttamente, attraverso il suo fondatore Iulo,da Enea, figlio della dea.

Il tempio fu inaugurato, insieme al Foro antistante, nel 46 a.C., e fu uno dei pochi monumenti voluti da Cesare che il dittatore poté vedere ultimati prima della sua uccisione, avvenuta nel 44 a.C.

Al podio, di cui oggi rimane solo il

nucleo cementizio, ma che all'epoca

della costruzione doveva essere

fasciato con blocchi di tufo e rivestito

da lastre di marmo, si accedeva

tramite due scalinate laterali, e su di

esso si andava a collocare un tempio

periptero, con otto colonne sul fronte

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principale e nove, piuttosto ravvicinate, sui lati, mentre sul retro era privo di colonne. Ai lati del pronao si collocavano due bacini quadrati di fontane marmoree ornati dalle statue delle ninfe Appiadi, al centro si trovava l'altare e, su un lato, è ancora visibile il basamento di una scultura di Sabina divinizzata, eretta dagli abitanti di Sabratha in Africa.

All'interno della cella, sulla parete corta opposta all'ingresso, si creava un'abside, nella quale era contenuta la statua di Venere Genitrice,

commissionata da Cesare allo scultore greco Archesilao, della scuola neo‐attica, amico di Lucullo; la scultura era panneggiata e portava un Erote sulla spalla e un altro fanciullo per mano, probabilmente Iulus, figlio di Enea, fondatore della gens Iulia.

Della decorazione del tempio conosciamo alcuni dettagli grazie alle opere del Labacco e del Palladio, i quali avevano cercato di riprodurre in pianta e in alzato il tempio, ma solo il secondo si era avvicinato alla realtà.

Alcuni frammenti del fregio, decorati

da ricche foglie d'acanto, sono

custoditi nella Villa Medici, dove

fungono da decorazione di un

loggiato. Altri pezzi della decorazione

sono stati rinvenuti ai piedi del

basamento durante gli scavi; essi

rappresentano amorini tauroctoni e

dovevano con ogni probabilità andare

a decorare la parte esterna della

cella. Fino ad allora l'arte romana non

aveva scolpito la figura infantile, in

quanto si riteneva forse inadeguata

alla rappresentazione di quelle forme

delicate, ma in questo fregio gode nel

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far giocare l'infanzia nel tempio di Venere.

Nel portico del tempio era custodita una ricca raccolta di quadri di artisti greci, acquistati da Cesare per abbellire il suo Foro, tra cui una tela di Timomaco rappresentante Medea armata che meditava l'uccisione dei figli avuti da Giasone e un ritratto di Cleopatra; trovavano spazio nel portico anche delle sculture, tra cui una statua loricata dello stesso Cesare e una riproduzione fedele in bronzo del cavallo del dittatore.

La trasformazione quasi integrale

subita dal Foro di Cesare durante il

Tardo Impero ha fatto perdere le

tracce della forma architettonica

originale, legata alla vecchia maniera

repubblicana, probabilmente troppo in

contrasto con il gusto raffinato dei

romani degli ultimi periodi dell'Impero,

ma possiamo immaginare lo stile a

cui si rifaceva osservando edifici del

vecchio Foro Romano, quali la

basilica Emilia, il tempio del Divo

Giulio e il teatro di Marcello.

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02 _ IL FORO DI AUGUSTO

Nel 42 a.C., durante la battaglia di Filippi, con la quale volle vendicare la morte di Cesare, Augusto fece il voto di proseguire l'opera iniziata dal padre adottivo di ampliamento del centro monumentale dell'Urbe con edifici degni della capitale di un Impero delle dimensioni di quello romano.

Per isolare il suo monumento dal quartiere popolare della Subura e

proteggerlo dai continui incendi che si verificavano nelle insule, Augusto fece erigere un alto muro in pietra gabina e peperino, ritenuti refrattari al fuoco. Il Foro assunse forma rettangolare, come quello di Cesare, ma con una larghezza maggiore (110 x 85 m), e venne dotato di due grandi emicicli coperti, per maggiore comodità dei frequentatori, uno dei quali resta ancora visibile fino quasi al coronamento, che raggiungeva i 33 metri di altezza.

Augusto ebbe diverse difficoltà

durante le pratiche di esproprio dell'area da destinare alla costruzione del Foro, in quanto si trattava di un quartiere molto popoloso; la forma irregolare del complesso è dovuta proprio alla presenza di quest'ultimo.

I lavori di costruzione durarono a lungo, e la fabbrica venne inaugurata solo nel 2 d.C., quando il tempio non era ancora terminato, mentre i lavori di finitura proseguirono per circa un secolo.

Il muro di cinta del Foro era costruito

in peperino e pietra gabina, tagliati in

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blocchi regolari e disposti astrati alterni, mentre le parti più esposte e tecnicamente più importanti, quali le piattebande, gli archivolti e gli stipiti, erano in travertino.

Ai lati del tempio, dedicato a Marte Ultore, si aprono due serie di archi per il passaggio alla Subura e all'Esquilino; gli archi a sinistra del tempio portavano ad uno spazio rettangolare che, in epoca successiva a quella augustea fu decorato con grandi lesene di pavonazzetto inframmezzate da lastre di giallo

antico e di africano che inquadravano tre pannelli per parte, in cui erano inseriti quadri in rilievo metallico o in pittura, e destinato a contenere una statua colossale dello stesso imperatore, di cui restano le impronte dei piedi sul sulla base e i fori nel muro all'altezza dei fianchi e della testa, grazie ai quali si è potuta ricostruire l'altezza della scultura, che raggiungeva i dodici metri.

I due emicicli erano coperti con un tetto a falde, e si aprivano verso l'area centrale del Foro tramite un

portico a pilastri. Tra gli emicicli e la piazza, su tutti i lati lunghi del Foro, correvano due ambulacri coperti, che in facciata si presentavano con un'architettura a due ordini, di cui l'inferiore era in grandi colonne di cipollino alte 9,50 metri sovrastate da una ricca cornice a mensole e cassettoni, mentre il superiore era formato da statue di Cariatidi che sorreggevano le mensole sporgenti dell'attico, anch'esso a cassettoni.

All'interno del suo Foro, Augusto

aveva fatto collocare le statue dei più

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illustri condottieri romani, da Enea fino a quelli del suo tempo, e, tra tutte, primeggiava la statua di Giulio Cesare, eletto tra gli dei, di cui si conservava nel tempio la spada, quasi fosse una reliquia.

Il Tempio di Marte Ultore era addossato al lato orientale del Foro e andava a formare uno sfondo monumentale alla piazza. Si innalzava su un podio alto 3,55 metri ed era costruito secondo il tipo italico, quindi si trattava di un tempio

periptero su tre lati, con otto colonne corinzie, alte quindici metri e con diametro di 1,76 metri, su ciascuno di essi. Il podio è tutto in opera di tufo, rivestito in marmo bianco e decorato con lastre o festoni di metallo, il che si deduce dai fori regolari nella fascia tra le due cornici.

Una scalinata di diciassette gradini, al centro della quale era collocato l'altare, conduceva al pronao, dove si trovavano alti basamenti su cui poggiavano statue di cui oggi rimangono solo i busti, attraverso il

quale si accedeva alla cella, dove erano collocate, per sostegno del tetto, due file di colonne a leggera distanza dalla parete, con basi di statue interposte.

La parete di fondo del tempio

terminava con una grande abside,

nella quale sorgevano le statue

colossali di Marte e Venere, su un

basamento di cinque gradini. Il

gruppo scultoreo, eseguito

sicuramente a Roma da artisti della

scuola di Pasitele, rappresentava

Marte vestito in abiti militari e Venere

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riccamente panneggiata che si appoggia alla spalla di lui.

Il tempio ci è pervenuto in pessime condizioni, in quanto, già nei primi secoli dopo la sua costruzione, le colonne e parte della facciata non erano più in piedi, date le testimonianze che raccontano di una cappella costruita sulla cella distrutta nel IX secolo. Nel Medioevo, inoltre, vennero impiantate al suo interno numerose fornaci di calce per sfruttare l'abbondanza di marmi presente sul monumento. Tra il XVIII

e il XIX secolo fu costruito, sul tempio

e su parte del recinto, un convento,

che venne poi demolito quando si

intrapresero gli scavi del Foro.

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03 _ IL TEMPIO O FORO DELLA PACE

Della grande piazza che costituiva il Forum Pacis oggi non restano che pochi avanzi sparsi, emersi durante gli scavi del grande complesso dei Fori Imperiali. Essi consistono in una nicchia rinvenuta sotto la Torre de' Conti, in una grande aula con nicchie perimetrali e in un breve tratto di pavimentazione in lastre di marmi

colorati appartenente al peristilio della piazza.

Il nome proprio dell'edificio era Templum Pacis, e solo durante il Tardo Impero, per assimilarlo al complesso, prese il nome di Foro della Pace o di Vespasiano.

Si trattava di un complesso costituito da una piazza porticata, con collocato sul fondo il Tempio dedicato alla Pace, così come era stato deciso da Vespasiano nel 71 d.C., a seguito della vittoria sui Giudei e della pacificazione con l'Oriente. Nel

Tempio venivano conservati i trofei di guerra, portati a Roma da Tito, condottiero della guerra giudaica, ossia il candelabro a sette bracci in oro massiccio, le tavole della legge di Mosè e le trombe d'oro e d'argento, tutti raffigurati nei rilievi dell'Arco di Tito.

Il Foro della Pace sorse sull'area in

cui, in età repubblicana, aveva sede il

Macellum, adiacente al Foro

Romano, del quale sono stati

rinvenuti alcuni muri in opera tufacea

al di sotto della pavimentazione del

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Tempio.

Il muro perimetrale, di cui è stato rinvenuto un tratto nel lato nord‐

ovest, era costruito in grandi blocchi di peperino, come quello del Foro di Traiano, e presentava su ognuno dei lati lunghi due grandi nicchie ornamentali le cui pareti sono composte di travertino bugnato alla base, di alcuni filari di tufo al centro e di blocchi di peperino alla sommità.

Dinanzi a ciascuna nicchia erano collocate due grandi colonne in marmo africano, e di fronte a tutte le

pareti correvano due portici larghi dodici metri e mezzo, sostenuti da colonne in granito rosso sopraelevate da tre gradini rispetto alla piazza antistante. Il pavimento del portico era in lastre di marmo giallo e pavonazzetto, mentre la copertura era costituita di un tetto a falda.

Gli altri due lati della piazza erano invece concepiti in maniera diversa; il primo, adiacente al Foro Transitorio, era formato da un colonnato in marmo africano molto accostato alla parete perimetrale, nella quale si

aprivano tre porte che consentivano l'accesso dal Foro Transitorio; il secondo, addossato alla Velia, era opposto all'ingresso e si trattava quindi del fronte più importante della piazza.

Il fronte principale era formato da una

doppia fila di colonne scanalate in

marmo bianco sopraelevate rispetto

alla spianata del Foro, nella quale si

aprivano delle strisce dentate vuote,

identificate come spazi per la

vegetazione. Il colonnato apparteneva

ad un'aula absidata centrale, ai lati

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della quale si aprono altre due stanze; in quest'aula è stato riconosciuto il Tempio della Pace, in quanto all'interno del recinto del Foro non si trovano altri edifici e all'interno dell'abside è stato rinvenuto il basamento di una statua. Le due sale laterali contenevano probabilmente delle biblioteche, una greca e una latina, come era uso nell'Antica Roma.

La pianta del Foro risulta del tutto particolare, infatti gli studiosi hanno concordato nel definire il complesso

non propriamente un Foro, bensì un tempio con la sua area recinta, il sacro recinto della Pace. Si può ipotizzare che il monumento venne costruito con lo stesso concetto dell'Ara Pacis Augustae, infatti venne decorato da Vespasiano con le migliori opere di pittura e scultura dei maestri greci, rimaste distrutte durante l'incendio commodiano. Il monumento fu ricostruito da Settimio Severo e resistette per circa altri due secoli, ma, a seguito di terremoti e assedi, rimase vittima della

distruzione.

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04 _ IL FORO TRANSITORIO O DI NERVA

Nerva, successore di Domiziano, inaugurò durante il suo regno il Foro definito Transitorio, incorporando in esso anche il Tempio della Pace, all'epoca non ancora definito Foro. La denominazione Transitorium venne assegnata a questo complesso a causa della sua funzione di passaggio tra il Foro di Augusto e

quello di Vespasiano; esso era infatti attraversato da una strada che aveva la funzione di collegare il Foro Romano ai quartieri popolari della Subura e delle Carine. Questa via interna, nota come Argiletum e percorsa anche nel Medioevo, presenta nel sottofondo in tufo i profondi solchi delle ruote dei carri: si trattava infatti di una via molto traffica, essendo l'unica congiunzione tra l'Esquilino e il Foro Romano.

La pianta del Foro Transitorio è lunga

e stretta, forma obbligata dall'area su cui esso andava ad innestarsi, completando la sistemazione monumentale di quello spazio. La pavimentazione è composta da due strati, uno in travertino, originale del periodo di Nerva, e uno superiore in lastre di marmo, poggiato su uno strato di scarico di circa un metro.

Sotto al pavimento sono stati

rinvenuti resti di case private e un

frammento della Cloaca Massima,

coperta con un arco in pietra tenera a

tutto sesto, con pietre a taglio incerto,

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indice di una edificazione risalente all'età arcaica. Sono state rinvenute inoltre due tombe a cremazione, scavate nel terreno a quattro metri di profondità.

Secondo studi recenti, la costruzione del Foro Transitorio è stata interessata da due fasi: la prima, rimasta solo allo stato di progetto, prevedeva una piazza recintata da quattro lati rettilinei e il tempio, con il pronao e la cella, allo stesso livello della spianata; durante l'esecuzione il

progetto fu cambiato, i due lati corti vennero curvati ad arco ed il tempio venne elevato su di un basamento, mentre il colonnato venne spostato indietro per fare spazio alla scalinata di accesso al pronao e la cella vide ridurre notevolmente le sue dimensioni iniziali.

Di particolare interesse è il fregio del tempio, esastilo corinzio, che mostra come l'edificio fosse stato dedicato alla dea Minerva, la quale è scolpita in altorilievo sull'architrave, mentre su tutto il fregio si rincorrono

rappresentazioni di lavori femminili, attinenti al mito di Aracne, al culto di Minerva e delle Muse.

Poco ci rimane del Foro di Nerva e

del Tempio di Minerva; sebbene nel

Cinquecento gli antiquari abbiano

potuto osservare e rappresentare i

resti del colonnato, Paolo V, agli inizi

del XVII secolo, fece abbattere il

pronao per servirsi delle colonne e

delle cornici come ornamento della

fontana dell'acqua Paola sul

Gianicolo.

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05 _ IL FORO DI TRAIANO

Ciò che rimane del Foro di Traiano è diviso in due parti dalla Via Alessandrina: la prima, la più importante e rappresentativa, è l'area scavata dai Francesi a partire dal 1812, che si sviluppa dalla base della colonna e si allarga verso sud, andando a comprendere l'abside della basilica Ulpia, una delle biblioteche e una parte della piazza.

La seconda parte è collegata ai

Mercati Traianei e comprende quasi tutto il portico coperto nordorientale e la retrostante esedra.

Inizialmente si pensava che il complesso del Foro Traiano si concludesse a oriente, e nel lato opposto a occidente, in corrispondenza della grande esedra che emergeva nel giardino di alcune case costruite sul luogo, ma gli scavi attuati negli Anni Venti hanno dimostrato che quell'esedra era un edificio a sé stante, un intero quartiere della Roma Antica venuto

alla luce in buono stato di conservazione a seguito della demolizione di edifici più moderni che l'avevano nascosto. Ai lati dell'esedra, che si innesta sulle pendici del Quirinale, si trovano due emicicli di dimensioni minori, coperti da volte a settore sferico e dotati di porte al piano inferiore e di finestre a quello superiore.

Il vero emiciclo del Foro Traiano è

stato rinvenuto più all'interno, a una

distanza di dodici metri dal primo da

esso separato tramite una strada

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selciata. Di esso non rimangono che pochi e bassi tratti in opera di tufo bugnato, dai quali si deduce che si trattasse di un paramento chiuso, o al massimo dotato di aperture nella parte superiore, fornito di lesene e rivestito in marmo. Al centro risalta una grande nicchia rettangolare, ornata da due colonne separate, e di fronte ad esse riemergono ampi tratti di pavimentazione in lastre di marmi policromi.

Traiano ingaggiò, per la progettazione del suo colossale Foro,

l'architetto romano di origini nabatee Apollodoro di Damasco, già progettista dell'Odeon di Domiziano, delle Terme dell'imperatore Traiano a Roma e del Porto, sempre per l'imperatore, nella città costiera di Porto, sita nella zona di Fiumicino, e autore probabilmente anche delle due statue di Traiano collocate nel Foro, una sulla sommità della Colonna e l'altra al centro della piazza. Il progetto fu finanziato con il ricco bottino proveniente dalle vittorie riportate dall'imperatore Traiano nelle

guerre daciche e venne inaugurato, secondo i Fasti Ostiensi, nel 112 d.C.

L'accesso principale al complesso

monumentale si trovava in

corrispondenza del Foro di Augusto

ed era costituito, come sappiamo

dalle rappresentazioni su alcune

monete di età traianea, da un arco ad

un solo fornice, dedicato a Traiano

nell'anno stesso della sua morte, il

117 d.C. Sulle estremità del fronte di

accesso, in corrispondenza dei lunghi

porticati adiacenti alla piazza, si

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aprivano due archi di dimensioni minori. Il fronte di ingresso, leggermente curvato ad arco, era ornato all'interno da una fila di colonne sporgenti, simili a quelle del Foro di Nerva, che sorreggevano un ricco fregio ornamentale.

La piazza scoperta, di dimensioni considerevoli (118 x 89 m) era lastricata con grandi piastre di marmo bianco e conteneva al centro una grande statua equestre di Traiano, in bronzo dorato; sui lati lunghi correvano due portici, coperti da tetti

a falda e pavimentati in marmi policromi, con colonne in pavonazzetto scanalate in facciata e paraste dello stesso materiale lungo la parete di fondo. La base delle colonne era sopraelevata rispetto alla piazza tramite tre gradini in giallo antico, mentre il piano superiore dei portici era costituito da un alto attico in cui trovavano posto le statue dei Daci sottomessi, intervallate da clipei figurati e finestre.

Il perimetro del Foro era delimitato da un poderoso muro in opera tufacea,

che andava a costituire sui lati lunghi

le absidi laterali della Basilica Ulpia

e, a circa metà del porticato, altri due

emicicli, di proporzioni quasi uguali,

che si sviluppavano al riparo del

colonnato ed erano chiusi verso di

esso da una fila di pilastri; per la loro

posizione e per l'atmosfera tranquilla

erano scelti come luogo di studio

dalle scuole di giovani guidati da

esperti maestri, soprattutto durante il

Tardo Impero.

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LA BASILICA ULPIA

L'edificio più importante del Foro di Traiano è considerato uno dei capolavori dell'architettura romana dell'età più dorata dell'Impero ed era formata da una lunga navata centrale, circondata da un doppio ordine di colonne che la dividevano quasi in cinque navate.

Sui lati corti erano presenti due esedre, di cui una è oggi visibile in parte al di sotto del solaio in calcestruzzo di Via dell'Impero,

mentre l'altra è seminascosta dalla facciata di palazzo Roccagiovine.

Le pareti della Basilica erano rivestite in marmo lunense, le trabeazioni erano in marmo pentelico e le colonne in granito grigio, giallo antico e pavonazzetto, mentre il tetto era in lamina di bronzo dorato, il che, unitamente ai colori dei marmi, dava all'interno un aspetto imponente.

Così come i porticati laterali, la facciata della Basilica era adorna di sculture rappresentanti personaggi illustri, gruppi equestri, trofei di

guerra, immagini dei Daci in ceppi, tra cui lo stesso re vinto, Decebalo, mentre sul portico si ripeteva spesso la scritta ex manubiis, ossia con le spoglie tolte al nemico.

Una gradinata, lunga quasi quanto la Basilica, rialzava di poco il pavimento, portandolo alla stessa altezza di quello delle biblioteche, che si trovavano dalla parte opposta, ai lati del basamento della Colonna.

Non sappiamo come si concludesse il

Foro prima dell'intervento di Adriano,

ma possiamo supporre che qui si

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andasse a collocare un porticato a doppia altezza, che consentisse di ammirare i fregi della Colonna fino a un livello abbastanza elevato, come accadeva dai terrazzi delle biblioteche.

Le colonne interne della basilica non erano tutte uguali, ma quelle della navata centrale erano in granito e avevano altezza e diametro maggiori rispetto a quelle delle navate laterali, in cipollino e di proporzioni minori a causa dell'inclinazione del tetto. Basi e capitelli erano invece per tutte le

colonne in marmo bianco e in stile corinzio.

L'accesso alla Basilica avveniva principalmente dal lato del Foro, tramite tre archi di dimensioni differenti, più ampio, a tre fornici, quello centrale, più ridotti quelli laterali, posti in corrispondenza dei passaggi porticati; sull'altro fronte, verso il cortile delle Biblioteche, erano presenti due soli ingressi, collocati tra l'accesso alle biblioteche e il basamento della colonna istoriata.

Le navate minori erano costituite da

ambulacri coperti, che circondavano

la navata centrale, vera sede delle

assemblee, e da essi si accedeva

alle due absidi, la cui forma rimane

ancora incerta perché ne è stato

scoperto solo un tratto in quello

occidentale. Il pavimento della

Basilica era costituito da lastre di

marmi policromi disposti con ricchi

disegni geometrici, composti da

cerchi inscritti in quadrati, contornati

da fasce.

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LE BIBLIOTECHE

Ai lati della Colonna, sul fronte posteriore della Basilica Ulpia, sono collocate due stanze, che denotano il carattere nobile del Foro di Traiano:

si tratta di due Biblioteche, all'interno delle quali era conservato, tra sculture di pregio, l'archivio privato dell'imperatore.

Durante gli scavi è stata rimessa in luce quasi interamente una delle due sale, fino ad un'altezza di tre metri, ora situata al di sotto del piano

stradale di Via dei Fori. Questa scoperta ha portato a dare un'identificazione alle due sale, data la conformazione di quella riportata alla luce: si tratta di un ambiente a pianta rettangolare, le cui pareti sono scavate da una serie di nicchie a sezione rettangolare, per poter contenere gli scaffali che custodivano i volumina.

Le nicchie sono sopraelevate rispetto al piano di calpestio per mezzo di tre gradini, al di sopra dei quali si sviluppa una ricca decorazione

architettonica, a due ordini di colonne. Dai frammenti ritrovati nell'aula si può dedurre che le colonne fossero in giallo antico e pavonazzetto. La muratura è in laterizio, diversa da quella del resto del Foro in quanto questo materiale assorbe l'umidità ed era quindi adatto alla conservazione di papiri e pergamene.

La parete di fondo era caratterizzata

dalla presenza di una nicchia più

ampia, rivestita in marmo, contenente

la statua di una divinità, mentre il

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soffitto era probabilmente a volta e il pavimento completamente rivestito in marmo.

Dietro ognuna delle biblioteche si

sviluppavano due scale: una

permetteva l'accesso al ballatoio,

quindi al secondo ordine di nicchie,

mentre la seconda portava al tetto

che ricopriva la volta.

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LA COLONNA TRAIANA

La Colonna Traiana è il monumento più importante dell'intero complesso del Foro di Traiano ed è stata considerata in ogni tempo una meraviglia della scultura antica, salvandosi per questo motivo, insieme alla gemella Antonina, alla distruzione cieca del Medioevo.

L'importanza che la Colonna ha avuto nei secoli è stata aumentata dall'ascendente che la figura di Traiano ha da sempre avuto sul

popolo romano con il suo valore di generale e con la fama della sua giustizia e della sua nobiltà di carattere.

Sul basamento della Colonna si legge un'iscrizione posta dal Senato romano, che cita “AD

DECLARANDVM QVANTAE

ALTITVDINIS MONS ET LOCVS TANT[IS OPE]IBVS SIT EGESTVS”, che, tradotta letteralmente significa

“per testimoniare quale era l'altezza del monte e del luogo che fu scavato con così grandi lavori”. Questa

iscrizione ha dato il via ad un'infinita

serie di interpretazioni per

comprendere la reale funzione della

Colonna, infatti il Foro di Traiano è

situato in una zona che inizialmente

era occupata da colline, che furono

tagliate e rimosse per far spazio al

complesso. Si è quindi giunti alla

conclusione che il Senato romano

abbia voluto collocare in quel luogo

un simbolo per ricordare al popolo di

Roma l'immane cambiamento

nell'immagine della città e nella

morfologia del territorio operato dalla

(27)

costruzione del Foro.

Questa ipotesi porta a considerare il fatto che inizialmente la Colonna fosse da realizzarsi semplicemente striata, quindi il fregio che oggi la caratterizza sarebbe frutto di un intervento attuato in un secondo momento, ma questa ipotesi è stata scartata da accurati studi fatti sia sulla superficie del marmo, i cui fregi sarebbero molto più superficiali delle ipotetiche striature, sia sulla collocazione del monumento, tra le due biblioteche, quasi fosse un libro

perennemente aperto a gloria di Roma e di Traiano. Inoltre il basamento riporta fregi d'armi, che non si spiegherebbero se la Colonna non narrasse una storia di guerra.

Tutti questi argomenti portano alle seguenti conclusioni: la Colonna fu realmente voluta dal Senato per ricordare un avvenimento che aveva cambiato profondamente l'immagine della città, demolendo una sella di monte densamente ricoperta di alte insulae, la cui asportazione dovette richiedere un lavoro degno di

menzione.

L'architetto pensò a lungo dove

collocare la Colonna isolata, alta

trentotto metri e allo stesso tempo

ritenne opportuno decorarne il fusto,

che sarebbe stato altrimenti

monotono: da qui l'idea del fregio

istoriato, che avrebbe ricordato ai

posteri le gesta dell'imperatore

Traiano in terra dacica e il grande

trionfo di Roma. Tale idea portò

quindi alla collocazione della Colonna

all'interno del cortile tra le due

Biblioteche: il fusto divenne così un

(28)

asse su cui fu avvolto il grande volume delle imprese di Traiano;

volume scolpito, non scritto, che trovava la sua collocazione ideale tra i volumi delle Biblioteche.

La Colonna, detta per il suo fregio Coclide, è costituita da un basamento ornato con trofei di armi barbariche, sul quale si erge il fusto, composto di diciassette colossali tamburi di marmo di Carrara, più altri due, uno per la base, col toro a serto di lauro, e uno per il capitello dorico. Altri due

tamburi servono da base alla statua di San Pietro, che va a sostituire quella abbattuta di Traiano, mentre il basamento è composto di quattro file di blocchi, ognuna formata da due blocchi rettangolari con giunture alternate; la fondazione è a platea di calcestruzzo.

La Colonna Traiana è simbolo della potenza costruttiva dei Romani, capaci di elevare ad altezze così grandi blocchi di marmo di tali dimensioni, ricavando in ognuno la sua parte di scala a chiocciola,

ancora conservata nei suoi 185 gradini e illuminata da finestre a feritoia. L'altezza totale della Colonna, senza la statua, è di 39,83 metri, e il fusto presenta un'entasis a due terzi dell'imoscapo, effetto voluto più dall'ordine ionico che dal dorico, ma l'altezza elevata richiedeva questa finezza tecnica per un migliore effetto ottico.

La porta che si apre nel piedistallo dà

accesso ad un piccolo vestibolo, da

cui si diparte un breve corridoio che

conduce alla camera sepolcrale; il

(29)

corridoio fu chiuso con una spessa parete in laterizio e riaperto nel Medioevo per rubare l'urna d'oro che conteneva le ceneri dell'ottimo principe Traiano. A destra del vestibolo ha inizio la scala, la quale gira prima a rampe rettilinee, all'interno del basamento, per prendere poi l'andamento spiraliforme in corrispondenza del fusto, con gradini studiati per essere esattamente nove per ogni voluta della spirale e cinque per ogni blocco.

Il fregio si avvolge sul fusto della Colonna con ventitré spirali per più di duecento metri e su di esso si contano più di duemilacinquecento figure. È diviso in due parti perfettamente uguali per le due guerre, i cui racconti sono separati dal bassorilievo di un'elegante Vittoria alata; si tratta della fedele riproduzione delle gesta dell'imperatore, delle battaglie combattute, delle città conquistate, delle opere costruite lungo il percorso, infine della sconfitta dei

Daci e della morte del loro re Decebalo.

All'epoca della costruzione della

Colonna una vivace policromia

ricopriva le figure del fregio; ciò

contribuiva ad arricchire l'effetto

artistico e la visione dell'elemento da

lontano.

(30)

IL TEMPIO DEL DIVO TRAIANO

L'ultimo edificio del complesso del Foro di Traiano è una fabbrica edificata a seguito della morte dell'imperatore ad opera del suo successore, Adriano. Non sappiamo come si concludesse il complesso del Foro prima dell'intervento di Adriano, ma il successore di Traiano fece edificare, nell'area oggi occupata dal Palazzo della Prefettura e dalla chiesa di Santa Maria di Loreto, un colossale tempio ottastilo periptero,

con pronao formato da colonne in

granito del diametro di circa due

metri; altre colonne di dimensioni

minori costituivano il porticato

circostante il podio del tempio, che

andava ad abbracciare quella che

oggi è conosciuta come Platea

Traiani.

(31)

ADRIANO IMPERATORE

(32)

L'edificio oggetto di studio è stato identificato come l'Auditorium di Adriano, e , per questo motivo, è necessario conoscere la figura dell'imperatore filosofo.

Amante delle arti, della letteratura e della poesia, si trovò a governare un Impero Romano alla sua massima espansione, con i problemi da ciò derivanti, dovendone fortificare i confini per mantenere la pace all'interno del suo regno.

La figura dell'imperatore è stata raccontata e tramandata attraverso i

secoli da numerosi autori, a partire dalle note biografiche narrate dalla storica e pare biografa ufficiale Giulia Balbilla, fino alla celebre opera Memorie di Adriano, scritta da Marguerite Yourcenar nel 1951, romanzo in forma di epistola nella quale l'imperatore racconterebbe al giovane amico Marco Aurelio la propria vita e le proprie esperienze.

Tra i passi più toccanti dell'opera della Yourcenar troviamo la trascrizione di una poesia dell'imperatore, nella quale egli si

rivolge alla propria anima, destinata presto a lasciare il suo corpo e vagare in un mondo ignoto:

Animula vagula, blandula, hospes comesque corporis

quae nunc abibis in loca pallidula, rigida, nudula, nec, ut soles, dabis iocos.

P. Aelius Hadrianus, imp.

(33)

01 _ LA FIGURA DI ADRIANO

Publius Aelius Traianus Hadrianus nasce il 24 gennaio del 76 a Italica, città iberica a 7 km da Siviglia fondata da Scipione l'Africano.

Il padre, Publio Elio Adriano Afro, era imparentato con Traiano, la madre, Domizia Paolina, era originaria di Cadice.

Entrambi i genitori morirono quando Adriano era giovanissimo, e Traiano,

non avendo avuto figli, divenne suo tutore. La moglie dell'imperatore, Plotina, lo adottò come fosse un figlio, aiutandolo notevolmente nel cursus honorum e spingendolo al matrimonio con Vibia Sabina, anch'essa imparentata con Traiano.

Il matrimonio fu un fallimento, ma gli ottimi rapporti intrattenuti con la suocera avvicinarono ancora di più il giovane alle stanze del potere.

Quando l'imperatore Nerva nominò Traiano suo successore, la carriera di Adriano subì una svolta ed egli iniziò

ad accumulare cariche pubbliche: fu tre volte tribuno militare, in Pannonia e in Germania, fu questore, tribuno della plebe e pretore.

Al momento della morte, Traiano lo

nominò suo successore, e il giovane

Adriano salì al trono nel 117, con

l'acclamazione di buona parte

dell'esercito, cosa che allontanò i

dubbi sulla legittimità della sua

successione. Il Senato, dopo un

messaggio del neo imperatore che

affermava di non potersi sottrarre alla

volontà dell'esercito, accettò il nuovo

(34)

regnante. Tutto questo portò Adriano ad insediarsi con notevole rapidità e a rafforzare continuamente il proprio potere durante il ventennio che seguì, fino alla morte dell'imperatore, avvenuta naturalmente e non a seguito di una violenza derivante dalla congiura.

Anche la designazione del successore, dopo la morte di Adriano, non fu ostacolata, grazie al grande potere assunto dall'imperatore.

Al momento del suo insediamento, Adriano si trovò alla guida di un Impero che aveva raggiunto le sue massime dimensioni, grazie alle campagne in Dacia condotte dal suo predecessore, Traiano, che avevano portato i confini dell'Impero ad estendersi fino alle regioni danubiane e all'Arabia Felix.

Il regno di Adriano fu caratterizzato quindi da una generale pausa nelle operazioni militari e dal rafforzamento dei confini. Abbandonò le campagne di Traiano in Mesopotamia,

considerandola una regione indifendibile per la difficoltà di far giungere rifornimenti in quelle zone.

Si concentrò invece sulla definizione

di confini controllabili a costi

sostenibili. I limes più instabili furono

rafforzati con opere di fortificazione

permanenti, tra le quali la più celebre

è la linea del Vallo di Adriano, in

Gran Bretagna, dove l'imperatore

fece costruire un lungo muro

difensivo per arginare i popoli della

Caledonia. Anche la frontiera del

Danubio fu notevolmente rinforzata

(35)

per proteggere il territorio imperiale dalle incursioni barbariche.

Dopo aver definito e rafforzato i confini dell'Impero, e aver raggiunto una stabilità grazie alle nuove istituzioni fondate per governare le regioni più distanti da Roma, Adriano poté dedicarsi alla promozione della cultura e delle arti, argomento che lo interessava maggiormente essendo egli stesso un fine intellettuale, amante delle arti figurative, della poesia e della letteratura.

Fu un umanista ellenofilo, benché disconoscesse Omero, fu amico di filosofi greci e studiò le filosofie platoniche ed epicuree. In omaggio ai filosofi greci, che tanto apprezzava, fu il primo imperatore romano a portare la barba, uso ripreso da molti suoi successori.

Fu il primo imperatore romano a essere iniziato al rito ellenico dei misteri eleusini e a interessarsi della cultura delle regioni più orientali dell'Impero.

Allo stesso tempo volle riaffermare le

antiche origini della città di Roma, valorizzando elementi arcaici e augustei della religione romana, richamando ad esempio al culto di Romolo e di Numa Pompilio. Reinserì il culto di Venere Genitrice, istituito da Cesare e in seguito abbandonato, associandolo a quello della dea Roma.

Durante il suo regno, Adriano viaggiò

in ogni parte dell'Impero,

apprendendo le culture locali e

venendo a conoscenza delle

(36)

tradizioni dei popoli. Nel corso di uno di questi viaggi, l'imperatore conobbe un giovane greco di bell'aspetto e se ne innamorò. Antinoo visse a lungo con Adriano e, durante un viaggio in Egitto, nel 130, morì a seguito di una caduta tra le acque del Nilo.

Adriano, sommerso dal dolore, fece fondare nel luogo della morte di Antinoo la città di Antinopoli, dove fece edificare un tempio dedicato al culto del giovane divinizzato, associato alla figura del dio egizio Osiride. In Europa, fece scolpire

centinaia di statue del giovane, che testimoniarono l'amore dell'imperatore per quel giovane dall'aria malinconica, con il volto tondo, le labbra carnose e la folta capigliatura.

Adriano morì di morte naturale, a sessantadue anni, nella sua residenza estiva di Baia. Cassio Dione ricorda, nella Storia Romana, come

Dopo la morte di Adriano gli fu eretto un enorme monumento equestre che lo rappresentava su di una quadriga. Era così

grande che un uomo di alta statura avrebbe potuto camminare in un occhio dei cavalli, ma, a causa dell'altezza esagerata del basamento, i passanti avevano l'impressione che i cavalli ed Adriano fossero molto piccoli.

In realtà si pensa che la costruzione

del monumento sia iniziata durante il

regno dell'imperatore, nel 135, e non

dopo la sua morte. Nel corso dei

secoli il mausoleo fu più volte

trasformato, diventando quello che

oggi conosciamo come Castel

Sant'Angelo.

(37)

02 _ ADRIANO ARCHITETTO

L'amore per le arti di ogni genere portò Adriano ad interessarsi anche di architettura, portandolo al crescente impegno, durante il principato, di dare una forte impronta stilistica personale agli edifici costruiti.

Sembra che l'imperatore mettesse spesso mano ai progetti, e questo portò ad un conflitto con l'architetto Apollodoro di Damasco, ufficialmente

investito, già sotto Traiano, dell'incarico progettuale per la corte imperiale. Pare che Adriano, infastidito dalle continue critiche dell'architetto, arrivò al punto di esiliarlo e in seguito farlo eliminare.

Il grande interesse di Adriano per l'architettura portò alla costruzione, durante il suo regno, di numerosi monumenti, che sono giunti fino a noi, in particolare ricordiamo la Villa extraurbana di Tivoli, una delle più maestose villae d'otium dell'epoca imperiale, il Pantheon, tempio

dedicato a tutte le divinità romane, il

Tempio di Venere e Roma con cui

abbellì ulteriormente la città, il proprio

mausoleo e, infine, a seguito delle

ultime scoperte archeologiche,

possiamo annoverare tra gli edifici

adrianei, l' Atheaeum .

(38)

VILLA ADRIANA

Collocata sui Monti Tiburtini, a 17 miglia romane dall'Urbe, era raggiungibile sia attraverso la Via Tiburtina Valeria e la Via Prenestina, sia attraverso la navigazione lungo il fiume Aniene.

La zona era ricca di ville rustiche che erano sorte fin dall'epoca repubblicana nell'area che connetteva Roma e Tivoli. Ne esisteva una, costruita sotto Silla e ingrandita sotto Cesare, che divenne proprietà della

moglie dell'imperatore Vibia Sabina.

Questa villa divenne il primo nucleo centrale dell'immensa residenza adrianea, incorporata poi nel Palazzo imperiale.

Studiando il sistema di canalizzazioni della Villa, si può pensare che la sua ideazione sia stata unitaria, ma dai bolli laterizi rinvenuti sul sito si è giunti alla conclusione che la sua costruzione abbia abbracciato un periodo di tempo molto ampio, presumibilmente dal 118 al 138 d.C.

L'imperatore, rientrato dall'ultimo dei

suoi viaggi nel 134, avrebbe quindi potuto godere della residenza solo negli ultimi anni di vita.

La complessità della pianta della Villa è dovuta, probabilmente, alla molteplicità delle funzioni che essa doveva ricoprire, da quella strettamente residenziale a quelle più rappresentative e di servizio, oltre al disomogeneo terreno su cui venne edificata.

La magnificenza delle strutture della

Villa è conseguenza diretta delle

scelte dell'imperatore, che volle qui

(39)

riprodurre diversi monumenti che aveva avuto modo di osservare durante i suoi viaggi fino ai confini dell'Impero.

Ecco che compaiono allora edifici come il Pecile, riproduzione fedele della Stoà Poikile nell'agorà di Atene, un'ampia piazza colonnata decorata al centro da un bacino idrico e circondata da un porticato; il Canopo, struttura che evoca un braccio del Nilo che congiungeva la città di Canopo, sede del tempio dedicato a Serapide, con Alessandria,

caratterizzata da un'ampia vasca circondata da un porticato tra le cui colonne erano inserite statue portate presumibilmente dai viaggi di Adriano all'estero.

Il complesso della Villa si estendeva per un'area di quasi 120 ettari, ed era composto da numerosi altri edifici, come viene ricordato nella Historia Augusta:

Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli ove erano riprodotti con i loro

nomi i luoghi più celebri delle province dell’Impero, come il Liceo, l’Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi.

Il Palazzo imperiale era circondato da

decine di altri complessi, tra cui è

importante ricordare due edifici

termali, le Grandi e le Piccole Terme,

riconoscibili ancora oggi per le

eccezionali strutture coperte da

poderose cupole e volte a botte, i

(40)

complessi delle Biblioteche e degli Hospitalia , due teatri ai confini opposti, un Teatro romano e uno greco, la Sala dei Filosofi.

I luoghi più affascinanti della Villa restano in ogni caso quelli caratterizzati dalla presenza dell'acqua, tra cui è fondamentale ricordare il Teatro Marittimo, uno dei monumenti più rappresentativi del complesso, divenuto simbolo dell'unicità e della concezione innovativa dell'impianto architettonico dell'intera residenza.

L’isola era accessibile attraverso due strutture girevoli in legno e la sensazione, ancora oggi, è quella di trovarsi in un luogo nel quale potersi ritirare per svolgere in tranquillità le proprie attività. L’Edificio prende il nome da un raffinato fregio figurato in marmo con soggetto marino che ne decorava la trabeazione.

Costituito da un corpo circolare preceduto da un pronao che immette in un portico di forma circolare sorretto da colonne ioniche e coperto

da volta a botte. Il colonnato si riflette

sull’acqua di un ampio canale che

delimita un’isola artificiale, sulla quale

si imposta un edificio che può essere

identificato come una vera e propria

domus , una sorta di residenza minore

all’interno della residenza imperiale.

(41)

IL PANTHEON

Fatto costruire da Adriano tra il 118 e il 128 sui resti del precedente Pantheon di Agrippa, l'edificio è un tempio dedicato a tutte le divinità, passate, presenti e future.

La sua costruzione fu un capolavoro di ingegneria e, al tempo stesso, una straordinaria innovazione nel panorama architettonico dell'epoca:

l'inserimento infatti di un corpo a pianta circolare alle spalle del pronao

di un tempio non ha precedenti nelle architetture che ci sono pervenute, se non forse nel tempio B dell'Area Sacra del Largo di Torre Argentina.

La fusione tra un modello classicista e un edificio di concezione tipicamente romana fu una sorta di compromesso tra l'arte e la tradizione ellenistica e la nuova cultura romana.

L'edificio è caratterizzato dalla presenza di un pronao ottastilo al quale si accede attraverso cinque gradini. Il fregio in facciata riporta

l'iscrizione in lettere bronzee di Agrippa, mentre i fori presenti nella struttura fanno pensare ad una decorazione del frontone con una grande aquila ad ali spiegate.

All'interno del pronao trovano posto

due file di quattro colonne che

formano tre navate, la più ampia delle

quali, centrale, porta all'ingresso al

tempio. Le colonne erano in granito,

grigio per le otto in facciata e rosa

per quelle retrostanti, mentre i

capitelli corinzi, le basi e gli elementi

della trabeazione erano in marmo

(42)

pentelico proveniente dalla Grecia. Il tetto a doppio spiovente era sostenuto da travi lignee rivestite da una placcatura bronzea che venne asportata sotto Papa Urbano VIII nel 1625 per la costruzione del Baldacchino di San Pietro, mentre la pavimentazione era in marmi colorati disposti in un disegno geometrico di quadrati e cerchi.

Oltrepassato il pronao ci si trova in un ampio ambiente di forma circolare coperto da una semisfera. Il diametro

del cilindro alla base (43,44 m) è uguale a quello della cupola, infatti all'interno del monumento è perfettamente inscrivibile una sfera di diametro pari a quello del cilindro.

Nel muro perimetrale si aprono sei nicchie di forma alternativamente trapezoidale e semicircolare, oltre a quelle per l'abside e per l'ingresso.

L'ordine superiore era caratterizzato dalla presenza di lesene che inquadravano finestre affacciate sul corridoio di alleggerimento interno. La

decorazione romana è oggi visibile solo in una porzione, in quanto fu sostituita durante i restauri settecenteschi.

Il pavimento della rotonda è leggermente convesso verso i lati, mentre assume una conformazione concava al centro, per far sì che l'acqua piovana che entra dal foro nella cupola defluisca verso i ventidue fori nella pavimentazione.

La cupola, registrata come la

seconda più grande della storia, ha

(43)

un diametro di 43,44 m ed è decorata all'interno da cinque ordini di ventotto cassettoni, di dimensioni decrescenti verso l'alto, fatta eccezione per l'ultima fascia liscia nella porzione superiore. Per costruire una cupola di tali dimensioni, il cui peso sarebbe stato insostenibile, si ricorse ad una serie di espedienti tecnici di concezione rivoluzionaria: la decorazione a cassettoni contribuisce ad alleggerire la struttura, ma non è sufficiente.

Vennero quindi utilizzati diversi tipi di

calcestruzzo ad impasto più leggero verso il culmine della cupola.

Abbiamo dunque tre strati di calcestruzzo, il più vicino al tamburo caratterizzato dall'impasto con scaglie di mattoni, il secondo con scaglie di tufo, il terzo, più vicino all'oculo, è impastato con lava vulcanica macinata.

La cupola poggia su un anello in opera laterizia, su cui si trovano aperture su tre livelli, in parte con funzione estetica e in parte

strutturale, che vanno a formare una struttura di sostegno articolata. Sulla parete esterna sono oggi visibili i numerosi archi di scarico in bipedali inseriti nella muratura, che scaricano il peso della cupola sui punti di maggiore resistenza dell'anello sottostante, alleggerendo il peso in corrispondenza dei vuoti.

Nel Vii secolo fu convertito in basilica

cristiana, la Chiesa di Santa Maria ad

Martyres, il che gli ha consentito di

sopravvivere integro fino ad oggi.

(44)

IL MAUSOLEO DI ADRIANO

Iniziato da Adriano nel 130 quale suo mausoleo funebre, ispirandosi al mausoleo di Augusto, l'edificio fu ultimato da Antonino Pio nel 139, dopo la morte dell'imperatore. Venne costruito nella zona adiacente al Campo Marzio, al quale fu unito tramite un ponte, unica via di accesso al monumento.

Il mausoleo era composto da una base cubica alta dodici metri, rivestita

in marmo lunense, con un fregio decorativo a teste di buoi e lesene angolari. Agli angoli del basamento si innalzavano gruppi di statue bronzee di uomini e cavalli. Sul lato di accesso si trovava l'arco intitolato ad Adriano, che portava ad un corridoio interamente rivestito in marmo giallo.

Al di sopra del cubo di base poggiava un tamburo rivestito in travertino, al di sopra del quale si trovava un secondo tamburo sovrastato da un tumulo di terra alberato da cipressi e

circondato di statue marmoree.

Il basamento misurava circa ottantacinque metri di lato, mentre il tamburo aveva un diametro di sessantaquattro metri. Il tumulo in terra era sovrastato da una quadriga in bronzo guidata dal dio Helios affiancato dall'imperatore Adriano, e l'altezza complessiva del monumento era di ventuno metri.

Attorno al mausoleo correva una

cancellata in bronzo decaorata da

pavoni, emblema della famiglia Aelia,

(45)

perché gli occhi disegnati sulla coda degli animali erano ritenuti divini.

All'interno pozzi di luce illuminavano la scala elicoidale in laterizio rivestita in marmo, situata nel tamburo cilindrico, che, con un giro di 360°, saliva di dieci metri fino a raggiungere la cella sepolcrale quadrata, rivestita in marmi policromi e sormontata da altre sale, fino ad arrivare all'ultima, base del gruppo statuario alla sommità. L'esterno del tamburo cilindrico era circondato da

colonne e rivestito di marmi rari.

Il Mausoleo ospitò i resti di varie personalità dell'Antica Roma, oltre a quelle dell'imperatore Adriano: sua moglie Sabina, l'imperatore Antonino Pio, la consorte Faustina Maggiore e tre dei loro figli, Lucio Elio Cesare, Commodo, Marco Aurelio, Settimio Severo, Geta e Caracalla.

Nel corso dei secoli il Mausoleo subì numerose trasformazioni, fino a diventare, sotto Teodorico, una prigione, funzione mantenuta dai papi

fino al 1870 e dal Governo italiano fino al 1901.

della struttura romana, oggi

irriconoscibile, sopravvivono molti

resti, come le strutture di fondazione

del basamento, l'intero nucleo in

muratura del corpo cilindrico,

l'ingresso monumentale in blocchi in

pietra, la rampa elicoidale che

conduce al piano superiore e la Sala

delle Urne, vecchia camera funeraria

destinata ad accogliere i resti

dell'imperatore.

(46)

AREA DI PROGETTO

(47)

Durante gli scavi per la realizzazione della stazione Venezia della Linea C della metropolitana romana, sono emersi, in un'area già densamente ricca di testimonianze, importanti resti di età imperiale.

Gli scavi si sono svolti in due aree e in due periodi di tempo distinti tra loro; in un primo momento le indagini si sono concentrate sull'area relativa all'aiuola centrale di Piazza Venezia, al di sotto della quale si sono rinvenuti numerosi reperti di Età Flavia, tra cui delle insulae e un tratto

della Via Flaminia.

A seguito di questi ritrovamenti, si sono svolte indagini che hanno rallentato la costruzione della metropolitana, per consentire gli studi degli archeologi, quindi lo scavo è stato ricoperto e l'aiuola ricostruita con la forma attuale, differente da quella originaria dell'impianto dell'architetto Antonio Muñoz.

In un secondo momento il progetto della stazione ha spostato l'accesso in adiacenza all'aiuola di Piazza Madonna di Loreto, e, durante gli

scavi per la realizzazione di

quest'ultimo, sono anche qui venuti

alla luce tratti di mura antiche. Le

analisi condotte dagli studiosi hanno

riconosciuto in questi resti dei

frammenti di un edificio monumentale

e lo scavo è stato quindi ampliato fino

a far emergere ciò che in seguito è

stato riconosciuto come l'auditorium

dell'imperatore Adriano, un

importante complesso monumentale

del quale si erano perse le tracce

fisiche, ma non quelle teoriche nei

racconti di diversi storici antichi.

(48)

01 _ L'ATHENAEUM DI ADRIANO

L'edificio riportato in luce in Piazza Madonna di Loreto, proprio di fronte alla facciata della Chiesa omonima, è l'Ateneo di Adriano, il luogo in cui l'imperatore filosofo volle che, anche a Roma, si stabilisse la tradizione della recita pubblica, delle conferenze e delle gare poetiche, come accadeva nella Grecia classica. A

partire dal 135 d.C., data ricavata dai numerosi laterizi bollati con coppie consolari, autori e retori, al centro di ogni aula dell'Auditorium (tre in tutto), leggevano o declamavano recitationes e lezioni di retorica, mentre il pubblico trovava posto a sedere o in piedi sulle gradonate, allora rivestite da marmi come le pareti, che ne conservano oggi una modesta porzione, a seguito degli spogli di età medievale.

L'impianto dell'Auditorium è composto da tre sale rettangolari, ognuna

affiancata da un corridoio che ne consente l'accesso, sviluppate lungo l'arco del porticato della Platea Traiani, l'ampia piazza colonnata voluta da Adriano come quinta scenica per il Tempio del Divo Traiano, costruito per la divinizzazione del suo predecessore in continuità con il complesso del Foro di Traiano.

Lo scavo, svoltosi tra il 2007 e il

2010, ha riportato alla luce due sale,

mentre la terza, settentrionale, rimane

al di sotto delle fondamenta del

(49)

Palazzo delle Assicurazioni Generali.

L'aula centrale è l'unica a essere stata integralmente esposta. Essa è fiancheggiata sul lato meridionale da un lungo corridoio con adiacente stanza. L'ingresso al monumento è collocato sul fronte orientale, dove un'ampia apertura consente l'accesso al corridoio meridionale e da qui all'aula rettangolare.

Lo spazio compreso tra le due gradonate, largo circa tre metri, è pavimentato in lastre rettangolari di

granito grigio incorniciate con giallo antico disposte secondo uno schema simile a quanto previsto nelle Biblioteche del Foro di Traiano.

Diversa la soluzione adottata nel corridoio, nel quale la pavimentazione sarebbe stata in lastre di marmo bianco, a giudicare dall'unico esemplare reperito durante gli scavi.

Rivestite in marmo dovevano essere anche le murature, come testimoniano i tanti fori da grappe visibili nel paramento.

L'elemento caratterizzante l'edificio è

sicuramente rappresentato dalle due gradonate situate all'interno dell'aula rettangolare lungo i lati nord e sud, costituite entrambe da sei gradini, in origine rivestiti da lastre rettangolari di marmo. La gradonata meridionale è contenuta da parapetti in marmo allineati in corrispondenza delle due porte di ingresso alla sala. Quello occidentale è l'unico a essersi conservato integralmente ed è composto da cinque elementi marmorei di diversa natura.

In posizione speculare si trova

(50)

un'altra gradonata appoggiata al muro di limite settentrionale. In questo caso però la scalinata ha un'estensione maggiore risultando così non perfettamente simmetrica alla sorella meridionale. Essa si sviluppa infatti per una lunghezza di diciotto metri a partire dall'angolo della sala. All'estremità opposta è invece contenuta da una balaustra marmorea perfettamente allineata con quella dell'altra gradonata.

L'aula era coperta da una poderosa volta a botte dotata di sei nervature in

bipedali ammorsate in un conglomerato cementizio alquanto leggero. L'intradosso era decorato con un cassettonato a stucchi policromi, di cui sono stati rinvenuti alcuni elementi all'interno delle ingenti unità di crollo depositatesi in seguito agli effetti del sisma che colpì l'edificio alla metà del IX secolo.

La seconda aula gradonata, posta a sud della sala centrale e separata da essa da un cuneo al cui interno son collocate le scale per accedere al

piano superiore, presenta una situazione fortemente compromessa dalle cantine degli edifici di epoca post antica che hanno raggiunto le gradonate di epoca romana. L'assetto generale della struttura è comunque facilmente percepibile: sono state infatti messe in luce le due scalee, una delle quali integralmente, mentre l'altra prosegue oltre limiti di scavo;

entrambe sono contenute da parapetti marmorei, analogamente a quanto visto nella sala centrale.

La pavimentazione interna è

(51)

composta in questo caso da lastroni in pavonazzetto e portasanta, differenziandosi sia come schema che come materiale da quella dell'aula centrale.

Nel tentativo di ricomporre in un quadro unitario i dati emersi nei più recenti scavi sono stati ad essi uniti quelli rinvenuti nel 1902 durante la costruzione del Palazzo delle Assicurazioni. Ne è emerso un complesso caratterizzato da tre sale pressoché identiche, disposte ad arco

di cerchio intorno alla cosiddetta Platea Traiani , ed aperte sull'area porticata antistante.

L'impianto del monumento è dunque facilmente percepibile, ma ancora in dubbio è la sua destinazione d'uso.

Bisogna quindi fare riferimento agli elementi rinvenuti internamente alle sale e, in seguito, riferirsi al contesto circostante.

Le dimensioni ragguardevoli, la ricchezza delle decorazioni e l'alto livello della tecnica costruttiva sono

indici di un complesso dichiaratamente pubblico e monumentale. Le due gradonate affrontate rappresentano inoltre un elemento distintivo che connota fortemente la struttura come spazio adibito a riunioni di varia natura.

L'assetto planimetrico richiama a

categorie architettoniche connesse

all'esercizio di attività culturali, quali

gli auditoria , in particolare si pensi al

confronto con gli auditoria presenti ai

lati della Biblioteca di Adriano ad

Atene, ambienti quadrangolari

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