ABSTRACT
L'area di Piazza Venezia si trova in adiacenza alla collocazione dei Fori Imperiali, nel centro della Roma Imperiale, e qualsiasi scavo attuato in questa zona potrebbe significare il ritrovamento di importanti monumenti antichi.
Questo è esattamente quello che è avvenuto durante gli scavi per la costruzione della stazione Venezia della metropolitana romana, durante i quali sono state rinvenute importanti testimonianze risalenti all'epoca adrianea. L'edificio è stato
riconosciuto come l'Auditorium di Adriano, il luogo in cui l'imperatore filosofo voleva proporre a Roma le tradizioni elleniche delle gare di retorica e delle recitationes .
Il progetto nasce dalla partecipazione ad un Concorso di Idee indetto dalla Soprintendenza Speciale ai Beni Archeologici per la copertura dello scavo contenente l'Auditorium, per il quale esso dovesse essere visibile dall'alto e accessibile solo a piccoli gruppi di persone.
La volontà di questa tesi è quindi, sì,
la copertura dello scavo, ma anche l'ampliamento dello stesso in direzione dell'aiuola centrale della Piazza e la musealizzazione del complesso per renderlo più accessibile ad ogni tipo di visitatore.
Con questo progetto si vuole donare
alla città di Roma un'area
archeologica moderna, pensata per
essere utilizzata in diverse occasioni,
e che consenta ai visitatori di
conoscere la conformazione di tratti di
città altrimenti mai mostrati dagli
scavi, come le insulae .
I FORI IMPERIALI
All'epoca di Cesare, il Foro Romano aveva dimensioni ridotte e non era più sufficiente a contenere le grandi adunanze popolari, la discussione delle cause e la trattazione degli affari. Si percepiva la necessità di conferire al centro di Roma una forma più monumentale, in virtù dell'importanza che la città aveva assunto nel mondo conosciuto, simile alle grandi città orientali.
Giulio Cesare fu il primo a voler dotare la città di una nuova centralità, fondando il suo Foro a nord del
vecchio centro cittadino. Seguì Augusto, costruendone uno ad est di quello del predecessore. Vespasiano, a seguito della vittoria della guerra giudaica, edificò il Tempio della Pace, arricchendolo in seguito con un portico che gli fece prendere il nome di Forum Pacis e, successivamente, di Forum Vespasiani. Tra il Foro di Vespasiano e quello di Augusto era stato lasciato uno spazio libero, che fu colmato dal figlio di Vespasiano, Domiziano, e, successivamente, da Nerva, con la costruzione del Foro
Transitorio.
Traiano costruì infine l'ultimo Foro, a seguito delle vittorie sui Daci, a nord dei Fori di Cesare e Augusto, tagliando una porzione della collina del Quirinale per aumentare l'area disponibile.
I Fori Imperiali costituiscono un
magnifico complesso monumentale
ed oggi, a seguito dell'intervento di
Corrado Ricci nei primi del
Novecento, sono stati restaurati, così
da fornire un'immagine consona della
grandezza della Roma imperiale.
01 _ IL FORO DI CESARE
Il vecchio Foro Romano, durante i cinque secoli che separavano la sua costruzione dall'epoca di Cesare, era stato quasi completamente occupato dalle fabbriche; gli edifici che lo circondavano, ossia la Basilica Giulia, la Basilica Emilia, i templi di Vesta e dei Dioscuri, rendevano impossibile un ampliamento su tre lati di esso, mentre il quarto lato era sbarrato dalla rocca Capitolina. Si rese quindi
necessario trovare una nuova area su cui fosse possibile edificare il nuovo centro della vita pubblica romana.
Numerose abitazioni, in gran parte signorili, avevano occupato le pendici dei colli circostanti il Foro Romano, quindi, quando Cesare decise di avviare la costruzione del nuovo Foro dovette acquistare l'area per una cifra considerevole, considerato anche il fatto che la città non aveva ancora iniziato a espandersi verso il Campo Marzio.
I lavori di costruzione cominciarono
nel 54 a.C., subito dopo la conquista della Gallia, che permise a Cesare di ottenere un copioso bottino, devoluto interamente per l'abbellimento della città. Pare che occorsero tre anni per le trattative di esproprio e per le opere di demolizione, infatti i lavori di costruzione iniziarono solo nel 51 a.C., quando fu inciso un lungo gradino sulle pendici del Campidoglio, al quale furono addossate le taberne della piazza pubblica.
Nel frattempo, Giulio Cesare era
impegnato in Gallia e, a Roma,
Pompeo tramava per farlo destituire e nominarsi console unico. Cesare riusciva a mantenere la sua influenza in città grazie ai suoi fedeli, ma il Senato lo dichiarò nemico della patria, su istigazione di Pompeo, quindi il generale decise di muovere contro Roma. Pompeo fuggì verso Brindisi, dove salpò con una nave diretto a Oriente, da dove continuò a ordire le trame della lotta, ormai divenuta mortale, con Giulio Cesare, il quale ebbe la meglio nel 48 a.C., con la battaglia di Farsalo, durante la
quale decise di dedicare un tempio alla protettrice del popolo romano, Venere Genitrice. Forse l'idea di innalzare un tempio al centro del Foro, come accadeva nelle città italiche, era già nella mente del dittatore, ma la divinità a cui dedicarlo non era ancora stata designata.
Il Foro cesariano aveva forma di rettangolo, lungo e stretto, con lati di circa 160 e 75 metri; il tempio di Venere fu addossato a uno dei lati corti, di fronte all'ingresso, quindi in
origine era visibile solo per tre lati.
L'area del Foro fu circondata da taberne.
Il muro perimetrale del Foro di
Cesare è composto da una serie di
arcate di grossi blocchi di pietra,
suddivise in tre piani da piattebande,
ne formavano la facciata prima che
Traiano ne chiudesse alcune per
rinforzare le nuove fabbriche collocate
da lui al di sopra di esse. Il muro di
tufo era rivestito in travertino e, forse,
in marmo, ed è probabile che, anche
al tempo di Cesare esistesse un
portico colonnato, probabilmente a due piani, per fornire ombra e riparo, cosa che non accadeva nell'ampia piazza antistante.
Le botteghe circondanti il Foro sono costruite in massiccia muratura di peperino e non hanno la stessa forma e dimensione, infatti vennero costruite su un terreno irregolare che si addentrava a triangolo nel colle: è per questo motivo che hanno lunghezze differenti. In età cesariana erano coperte da un tetto con soppalco poggiato su una cornice sporgente,
mentre in età traianea, per rinforzarle, furono sostituiti i tetti con delle volte a tutto sesto.
Verso il fondo del lungo Foro, sul lato corto opposto all'ingresso, si erge l'alto basamento su cui poggia il Tempio di Venere Genitrice. L'epiteto Genitrice venne utilizzato da Cesare per dimostrare il mito secondo cui la gens Iulia, di cui faceva parte, discendesse direttamente, attraverso il suo fondatore Iulo,da Enea, figlio della dea.
Il tempio fu inaugurato, insieme al Foro antistante, nel 46 a.C., e fu uno dei pochi monumenti voluti da Cesare che il dittatore poté vedere ultimati prima della sua uccisione, avvenuta nel 44 a.C.
Al podio, di cui oggi rimane solo il
nucleo cementizio, ma che all'epoca
della costruzione doveva essere
fasciato con blocchi di tufo e rivestito
da lastre di marmo, si accedeva
tramite due scalinate laterali, e su di
esso si andava a collocare un tempio
periptero, con otto colonne sul fronte
principale e nove, piuttosto ravvicinate, sui lati, mentre sul retro era privo di colonne. Ai lati del pronao si collocavano due bacini quadrati di fontane marmoree ornati dalle statue delle ninfe Appiadi, al centro si trovava l'altare e, su un lato, è ancora visibile il basamento di una scultura di Sabina divinizzata, eretta dagli abitanti di Sabratha in Africa.
All'interno della cella, sulla parete corta opposta all'ingresso, si creava un'abside, nella quale era contenuta la statua di Venere Genitrice,
commissionata da Cesare allo scultore greco Archesilao, della scuola neo‐attica, amico di Lucullo; la scultura era panneggiata e portava un Erote sulla spalla e un altro fanciullo per mano, probabilmente Iulus, figlio di Enea, fondatore della gens Iulia.
Della decorazione del tempio conosciamo alcuni dettagli grazie alle opere del Labacco e del Palladio, i quali avevano cercato di riprodurre in pianta e in alzato il tempio, ma solo il secondo si era avvicinato alla realtà.
Alcuni frammenti del fregio, decorati
da ricche foglie d'acanto, sono
custoditi nella Villa Medici, dove
fungono da decorazione di un
loggiato. Altri pezzi della decorazione
sono stati rinvenuti ai piedi del
basamento durante gli scavi; essi
rappresentano amorini tauroctoni e
dovevano con ogni probabilità andare
a decorare la parte esterna della
cella. Fino ad allora l'arte romana non
aveva scolpito la figura infantile, in
quanto si riteneva forse inadeguata
alla rappresentazione di quelle forme
delicate, ma in questo fregio gode nel
far giocare l'infanzia nel tempio di Venere.
Nel portico del tempio era custodita una ricca raccolta di quadri di artisti greci, acquistati da Cesare per abbellire il suo Foro, tra cui una tela di Timomaco rappresentante Medea armata che meditava l'uccisione dei figli avuti da Giasone e un ritratto di Cleopatra; trovavano spazio nel portico anche delle sculture, tra cui una statua loricata dello stesso Cesare e una riproduzione fedele in bronzo del cavallo del dittatore.
La trasformazione quasi integrale
subita dal Foro di Cesare durante il
Tardo Impero ha fatto perdere le
tracce della forma architettonica
originale, legata alla vecchia maniera
repubblicana, probabilmente troppo in
contrasto con il gusto raffinato dei
romani degli ultimi periodi dell'Impero,
ma possiamo immaginare lo stile a
cui si rifaceva osservando edifici del
vecchio Foro Romano, quali la
basilica Emilia, il tempio del Divo
Giulio e il teatro di Marcello.
02 _ IL FORO DI AUGUSTO
Nel 42 a.C., durante la battaglia di Filippi, con la quale volle vendicare la morte di Cesare, Augusto fece il voto di proseguire l'opera iniziata dal padre adottivo di ampliamento del centro monumentale dell'Urbe con edifici degni della capitale di un Impero delle dimensioni di quello romano.
Per isolare il suo monumento dal quartiere popolare della Subura e
proteggerlo dai continui incendi che si verificavano nelle insule, Augusto fece erigere un alto muro in pietra gabina e peperino, ritenuti refrattari al fuoco. Il Foro assunse forma rettangolare, come quello di Cesare, ma con una larghezza maggiore (110 x 85 m), e venne dotato di due grandi emicicli coperti, per maggiore comodità dei frequentatori, uno dei quali resta ancora visibile fino quasi al coronamento, che raggiungeva i 33 metri di altezza.
Augusto ebbe diverse difficoltà
durante le pratiche di esproprio dell'area da destinare alla costruzione del Foro, in quanto si trattava di un quartiere molto popoloso; la forma irregolare del complesso è dovuta proprio alla presenza di quest'ultimo.
I lavori di costruzione durarono a lungo, e la fabbrica venne inaugurata solo nel 2 d.C., quando il tempio non era ancora terminato, mentre i lavori di finitura proseguirono per circa un secolo.
Il muro di cinta del Foro era costruito
in peperino e pietra gabina, tagliati in
blocchi regolari e disposti astrati alterni, mentre le parti più esposte e tecnicamente più importanti, quali le piattebande, gli archivolti e gli stipiti, erano in travertino.
Ai lati del tempio, dedicato a Marte Ultore, si aprono due serie di archi per il passaggio alla Subura e all'Esquilino; gli archi a sinistra del tempio portavano ad uno spazio rettangolare che, in epoca successiva a quella augustea fu decorato con grandi lesene di pavonazzetto inframmezzate da lastre di giallo
antico e di africano che inquadravano tre pannelli per parte, in cui erano inseriti quadri in rilievo metallico o in pittura, e destinato a contenere una statua colossale dello stesso imperatore, di cui restano le impronte dei piedi sul sulla base e i fori nel muro all'altezza dei fianchi e della testa, grazie ai quali si è potuta ricostruire l'altezza della scultura, che raggiungeva i dodici metri.
I due emicicli erano coperti con un tetto a falde, e si aprivano verso l'area centrale del Foro tramite un
portico a pilastri. Tra gli emicicli e la piazza, su tutti i lati lunghi del Foro, correvano due ambulacri coperti, che in facciata si presentavano con un'architettura a due ordini, di cui l'inferiore era in grandi colonne di cipollino alte 9,50 metri sovrastate da una ricca cornice a mensole e cassettoni, mentre il superiore era formato da statue di Cariatidi che sorreggevano le mensole sporgenti dell'attico, anch'esso a cassettoni.
All'interno del suo Foro, Augusto
aveva fatto collocare le statue dei più
illustri condottieri romani, da Enea fino a quelli del suo tempo, e, tra tutte, primeggiava la statua di Giulio Cesare, eletto tra gli dei, di cui si conservava nel tempio la spada, quasi fosse una reliquia.
Il Tempio di Marte Ultore era addossato al lato orientale del Foro e andava a formare uno sfondo monumentale alla piazza. Si innalzava su un podio alto 3,55 metri ed era costruito secondo il tipo italico, quindi si trattava di un tempio
periptero su tre lati, con otto colonne corinzie, alte quindici metri e con diametro di 1,76 metri, su ciascuno di essi. Il podio è tutto in opera di tufo, rivestito in marmo bianco e decorato con lastre o festoni di metallo, il che si deduce dai fori regolari nella fascia tra le due cornici.
Una scalinata di diciassette gradini, al centro della quale era collocato l'altare, conduceva al pronao, dove si trovavano alti basamenti su cui poggiavano statue di cui oggi rimangono solo i busti, attraverso il
quale si accedeva alla cella, dove erano collocate, per sostegno del tetto, due file di colonne a leggera distanza dalla parete, con basi di statue interposte.
La parete di fondo del tempio
terminava con una grande abside,
nella quale sorgevano le statue
colossali di Marte e Venere, su un
basamento di cinque gradini. Il
gruppo scultoreo, eseguito
sicuramente a Roma da artisti della
scuola di Pasitele, rappresentava
Marte vestito in abiti militari e Venere
riccamente panneggiata che si appoggia alla spalla di lui.
Il tempio ci è pervenuto in pessime condizioni, in quanto, già nei primi secoli dopo la sua costruzione, le colonne e parte della facciata non erano più in piedi, date le testimonianze che raccontano di una cappella costruita sulla cella distrutta nel IX secolo. Nel Medioevo, inoltre, vennero impiantate al suo interno numerose fornaci di calce per sfruttare l'abbondanza di marmi presente sul monumento. Tra il XVIII
e il XIX secolo fu costruito, sul tempio
e su parte del recinto, un convento,
che venne poi demolito quando si
intrapresero gli scavi del Foro.
03 _ IL TEMPIO O FORO DELLA PACE
Della grande piazza che costituiva il Forum Pacis oggi non restano che pochi avanzi sparsi, emersi durante gli scavi del grande complesso dei Fori Imperiali. Essi consistono in una nicchia rinvenuta sotto la Torre de' Conti, in una grande aula con nicchie perimetrali e in un breve tratto di pavimentazione in lastre di marmi
colorati appartenente al peristilio della piazza.
Il nome proprio dell'edificio era Templum Pacis, e solo durante il Tardo Impero, per assimilarlo al complesso, prese il nome di Foro della Pace o di Vespasiano.
Si trattava di un complesso costituito da una piazza porticata, con collocato sul fondo il Tempio dedicato alla Pace, così come era stato deciso da Vespasiano nel 71 d.C., a seguito della vittoria sui Giudei e della pacificazione con l'Oriente. Nel
Tempio venivano conservati i trofei di guerra, portati a Roma da Tito, condottiero della guerra giudaica, ossia il candelabro a sette bracci in oro massiccio, le tavole della legge di Mosè e le trombe d'oro e d'argento, tutti raffigurati nei rilievi dell'Arco di Tito.
Il Foro della Pace sorse sull'area in
cui, in età repubblicana, aveva sede il
Macellum, adiacente al Foro
Romano, del quale sono stati
rinvenuti alcuni muri in opera tufacea
al di sotto della pavimentazione del
Tempio.
Il muro perimetrale, di cui è stato rinvenuto un tratto nel lato nord‐
ovest, era costruito in grandi blocchi di peperino, come quello del Foro di Traiano, e presentava su ognuno dei lati lunghi due grandi nicchie ornamentali le cui pareti sono composte di travertino bugnato alla base, di alcuni filari di tufo al centro e di blocchi di peperino alla sommità.
Dinanzi a ciascuna nicchia erano collocate due grandi colonne in marmo africano, e di fronte a tutte le
pareti correvano due portici larghi dodici metri e mezzo, sostenuti da colonne in granito rosso sopraelevate da tre gradini rispetto alla piazza antistante. Il pavimento del portico era in lastre di marmo giallo e pavonazzetto, mentre la copertura era costituita di un tetto a falda.
Gli altri due lati della piazza erano invece concepiti in maniera diversa; il primo, adiacente al Foro Transitorio, era formato da un colonnato in marmo africano molto accostato alla parete perimetrale, nella quale si
aprivano tre porte che consentivano l'accesso dal Foro Transitorio; il secondo, addossato alla Velia, era opposto all'ingresso e si trattava quindi del fronte più importante della piazza.
Il fronte principale era formato da una
doppia fila di colonne scanalate in
marmo bianco sopraelevate rispetto
alla spianata del Foro, nella quale si
aprivano delle strisce dentate vuote,
identificate come spazi per la
vegetazione. Il colonnato apparteneva
ad un'aula absidata centrale, ai lati
della quale si aprono altre due stanze; in quest'aula è stato riconosciuto il Tempio della Pace, in quanto all'interno del recinto del Foro non si trovano altri edifici e all'interno dell'abside è stato rinvenuto il basamento di una statua. Le due sale laterali contenevano probabilmente delle biblioteche, una greca e una latina, come era uso nell'Antica Roma.
La pianta del Foro risulta del tutto particolare, infatti gli studiosi hanno concordato nel definire il complesso
non propriamente un Foro, bensì un tempio con la sua area recinta, il sacro recinto della Pace. Si può ipotizzare che il monumento venne costruito con lo stesso concetto dell'Ara Pacis Augustae, infatti venne decorato da Vespasiano con le migliori opere di pittura e scultura dei maestri greci, rimaste distrutte durante l'incendio commodiano. Il monumento fu ricostruito da Settimio Severo e resistette per circa altri due secoli, ma, a seguito di terremoti e assedi, rimase vittima della
distruzione.
04 _ IL FORO TRANSITORIO O DI NERVA
Nerva, successore di Domiziano, inaugurò durante il suo regno il Foro definito Transitorio, incorporando in esso anche il Tempio della Pace, all'epoca non ancora definito Foro. La denominazione Transitorium venne assegnata a questo complesso a causa della sua funzione di passaggio tra il Foro di Augusto e
quello di Vespasiano; esso era infatti attraversato da una strada che aveva la funzione di collegare il Foro Romano ai quartieri popolari della Subura e delle Carine. Questa via interna, nota come Argiletum e percorsa anche nel Medioevo, presenta nel sottofondo in tufo i profondi solchi delle ruote dei carri: si trattava infatti di una via molto traffica, essendo l'unica congiunzione tra l'Esquilino e il Foro Romano.
La pianta del Foro Transitorio è lunga
e stretta, forma obbligata dall'area su cui esso andava ad innestarsi, completando la sistemazione monumentale di quello spazio. La pavimentazione è composta da due strati, uno in travertino, originale del periodo di Nerva, e uno superiore in lastre di marmo, poggiato su uno strato di scarico di circa un metro.
Sotto al pavimento sono stati
rinvenuti resti di case private e un
frammento della Cloaca Massima,
coperta con un arco in pietra tenera a
tutto sesto, con pietre a taglio incerto,
indice di una edificazione risalente all'età arcaica. Sono state rinvenute inoltre due tombe a cremazione, scavate nel terreno a quattro metri di profondità.
Secondo studi recenti, la costruzione del Foro Transitorio è stata interessata da due fasi: la prima, rimasta solo allo stato di progetto, prevedeva una piazza recintata da quattro lati rettilinei e il tempio, con il pronao e la cella, allo stesso livello della spianata; durante l'esecuzione il
progetto fu cambiato, i due lati corti vennero curvati ad arco ed il tempio venne elevato su di un basamento, mentre il colonnato venne spostato indietro per fare spazio alla scalinata di accesso al pronao e la cella vide ridurre notevolmente le sue dimensioni iniziali.
Di particolare interesse è il fregio del tempio, esastilo corinzio, che mostra come l'edificio fosse stato dedicato alla dea Minerva, la quale è scolpita in altorilievo sull'architrave, mentre su tutto il fregio si rincorrono
rappresentazioni di lavori femminili, attinenti al mito di Aracne, al culto di Minerva e delle Muse.
Poco ci rimane del Foro di Nerva e
del Tempio di Minerva; sebbene nel
Cinquecento gli antiquari abbiano
potuto osservare e rappresentare i
resti del colonnato, Paolo V, agli inizi
del XVII secolo, fece abbattere il
pronao per servirsi delle colonne e
delle cornici come ornamento della
fontana dell'acqua Paola sul
Gianicolo.
05 _ IL FORO DI TRAIANO
Ciò che rimane del Foro di Traiano è diviso in due parti dalla Via Alessandrina: la prima, la più importante e rappresentativa, è l'area scavata dai Francesi a partire dal 1812, che si sviluppa dalla base della colonna e si allarga verso sud, andando a comprendere l'abside della basilica Ulpia, una delle biblioteche e una parte della piazza.
La seconda parte è collegata ai
Mercati Traianei e comprende quasi tutto il portico coperto nordorientale e la retrostante esedra.
Inizialmente si pensava che il complesso del Foro Traiano si concludesse a oriente, e nel lato opposto a occidente, in corrispondenza della grande esedra che emergeva nel giardino di alcune case costruite sul luogo, ma gli scavi attuati negli Anni Venti hanno dimostrato che quell'esedra era un edificio a sé stante, un intero quartiere della Roma Antica venuto
alla luce in buono stato di conservazione a seguito della demolizione di edifici più moderni che l'avevano nascosto. Ai lati dell'esedra, che si innesta sulle pendici del Quirinale, si trovano due emicicli di dimensioni minori, coperti da volte a settore sferico e dotati di porte al piano inferiore e di finestre a quello superiore.
Il vero emiciclo del Foro Traiano è
stato rinvenuto più all'interno, a una
distanza di dodici metri dal primo da
esso separato tramite una strada
selciata. Di esso non rimangono che pochi e bassi tratti in opera di tufo bugnato, dai quali si deduce che si trattasse di un paramento chiuso, o al massimo dotato di aperture nella parte superiore, fornito di lesene e rivestito in marmo. Al centro risalta una grande nicchia rettangolare, ornata da due colonne separate, e di fronte ad esse riemergono ampi tratti di pavimentazione in lastre di marmi policromi.
Traiano ingaggiò, per la progettazione del suo colossale Foro,
l'architetto romano di origini nabatee Apollodoro di Damasco, già progettista dell'Odeon di Domiziano, delle Terme dell'imperatore Traiano a Roma e del Porto, sempre per l'imperatore, nella città costiera di Porto, sita nella zona di Fiumicino, e autore probabilmente anche delle due statue di Traiano collocate nel Foro, una sulla sommità della Colonna e l'altra al centro della piazza. Il progetto fu finanziato con il ricco bottino proveniente dalle vittorie riportate dall'imperatore Traiano nelle
guerre daciche e venne inaugurato, secondo i Fasti Ostiensi, nel 112 d.C.
L'accesso principale al complesso
monumentale si trovava in
corrispondenza del Foro di Augusto
ed era costituito, come sappiamo
dalle rappresentazioni su alcune
monete di età traianea, da un arco ad
un solo fornice, dedicato a Traiano
nell'anno stesso della sua morte, il
117 d.C. Sulle estremità del fronte di
accesso, in corrispondenza dei lunghi
porticati adiacenti alla piazza, si
aprivano due archi di dimensioni minori. Il fronte di ingresso, leggermente curvato ad arco, era ornato all'interno da una fila di colonne sporgenti, simili a quelle del Foro di Nerva, che sorreggevano un ricco fregio ornamentale.
La piazza scoperta, di dimensioni considerevoli (118 x 89 m) era lastricata con grandi piastre di marmo bianco e conteneva al centro una grande statua equestre di Traiano, in bronzo dorato; sui lati lunghi correvano due portici, coperti da tetti
a falda e pavimentati in marmi policromi, con colonne in pavonazzetto scanalate in facciata e paraste dello stesso materiale lungo la parete di fondo. La base delle colonne era sopraelevata rispetto alla piazza tramite tre gradini in giallo antico, mentre il piano superiore dei portici era costituito da un alto attico in cui trovavano posto le statue dei Daci sottomessi, intervallate da clipei figurati e finestre.
Il perimetro del Foro era delimitato da un poderoso muro in opera tufacea,
che andava a costituire sui lati lunghi
le absidi laterali della Basilica Ulpia
e, a circa metà del porticato, altri due
emicicli, di proporzioni quasi uguali,
che si sviluppavano al riparo del
colonnato ed erano chiusi verso di
esso da una fila di pilastri; per la loro
posizione e per l'atmosfera tranquilla
erano scelti come luogo di studio
dalle scuole di giovani guidati da
esperti maestri, soprattutto durante il
Tardo Impero.
LA BASILICA ULPIA
L'edificio più importante del Foro di Traiano è considerato uno dei capolavori dell'architettura romana dell'età più dorata dell'Impero ed era formata da una lunga navata centrale, circondata da un doppio ordine di colonne che la dividevano quasi in cinque navate.
Sui lati corti erano presenti due esedre, di cui una è oggi visibile in parte al di sotto del solaio in calcestruzzo di Via dell'Impero,
mentre l'altra è seminascosta dalla facciata di palazzo Roccagiovine.
Le pareti della Basilica erano rivestite in marmo lunense, le trabeazioni erano in marmo pentelico e le colonne in granito grigio, giallo antico e pavonazzetto, mentre il tetto era in lamina di bronzo dorato, il che, unitamente ai colori dei marmi, dava all'interno un aspetto imponente.
Così come i porticati laterali, la facciata della Basilica era adorna di sculture rappresentanti personaggi illustri, gruppi equestri, trofei di
guerra, immagini dei Daci in ceppi, tra cui lo stesso re vinto, Decebalo, mentre sul portico si ripeteva spesso la scritta ex manubiis, ossia con le spoglie tolte al nemico.
Una gradinata, lunga quasi quanto la Basilica, rialzava di poco il pavimento, portandolo alla stessa altezza di quello delle biblioteche, che si trovavano dalla parte opposta, ai lati del basamento della Colonna.
Non sappiamo come si concludesse il
Foro prima dell'intervento di Adriano,
ma possiamo supporre che qui si
andasse a collocare un porticato a doppia altezza, che consentisse di ammirare i fregi della Colonna fino a un livello abbastanza elevato, come accadeva dai terrazzi delle biblioteche.
Le colonne interne della basilica non erano tutte uguali, ma quelle della navata centrale erano in granito e avevano altezza e diametro maggiori rispetto a quelle delle navate laterali, in cipollino e di proporzioni minori a causa dell'inclinazione del tetto. Basi e capitelli erano invece per tutte le
colonne in marmo bianco e in stile corinzio.
L'accesso alla Basilica avveniva principalmente dal lato del Foro, tramite tre archi di dimensioni differenti, più ampio, a tre fornici, quello centrale, più ridotti quelli laterali, posti in corrispondenza dei passaggi porticati; sull'altro fronte, verso il cortile delle Biblioteche, erano presenti due soli ingressi, collocati tra l'accesso alle biblioteche e il basamento della colonna istoriata.
Le navate minori erano costituite da
ambulacri coperti, che circondavano
la navata centrale, vera sede delle
assemblee, e da essi si accedeva
alle due absidi, la cui forma rimane
ancora incerta perché ne è stato
scoperto solo un tratto in quello
occidentale. Il pavimento della
Basilica era costituito da lastre di
marmi policromi disposti con ricchi
disegni geometrici, composti da
cerchi inscritti in quadrati, contornati
da fasce.
LE BIBLIOTECHE
Ai lati della Colonna, sul fronte posteriore della Basilica Ulpia, sono collocate due stanze, che denotano il carattere nobile del Foro di Traiano:
si tratta di due Biblioteche, all'interno delle quali era conservato, tra sculture di pregio, l'archivio privato dell'imperatore.
Durante gli scavi è stata rimessa in luce quasi interamente una delle due sale, fino ad un'altezza di tre metri, ora situata al di sotto del piano
stradale di Via dei Fori. Questa scoperta ha portato a dare un'identificazione alle due sale, data la conformazione di quella riportata alla luce: si tratta di un ambiente a pianta rettangolare, le cui pareti sono scavate da una serie di nicchie a sezione rettangolare, per poter contenere gli scaffali che custodivano i volumina.
Le nicchie sono sopraelevate rispetto al piano di calpestio per mezzo di tre gradini, al di sopra dei quali si sviluppa una ricca decorazione
architettonica, a due ordini di colonne. Dai frammenti ritrovati nell'aula si può dedurre che le colonne fossero in giallo antico e pavonazzetto. La muratura è in laterizio, diversa da quella del resto del Foro in quanto questo materiale assorbe l'umidità ed era quindi adatto alla conservazione di papiri e pergamene.
La parete di fondo era caratterizzata
dalla presenza di una nicchia più
ampia, rivestita in marmo, contenente
la statua di una divinità, mentre il
soffitto era probabilmente a volta e il pavimento completamente rivestito in marmo.
Dietro ognuna delle biblioteche si
sviluppavano due scale: una
permetteva l'accesso al ballatoio,
quindi al secondo ordine di nicchie,
mentre la seconda portava al tetto
che ricopriva la volta.
LA COLONNA TRAIANA
La Colonna Traiana è il monumento più importante dell'intero complesso del Foro di Traiano ed è stata considerata in ogni tempo una meraviglia della scultura antica, salvandosi per questo motivo, insieme alla gemella Antonina, alla distruzione cieca del Medioevo.
L'importanza che la Colonna ha avuto nei secoli è stata aumentata dall'ascendente che la figura di Traiano ha da sempre avuto sul
popolo romano con il suo valore di generale e con la fama della sua giustizia e della sua nobiltà di carattere.
Sul basamento della Colonna si legge un'iscrizione posta dal Senato romano, che cita “AD
DECLARANDVM QVANTAE
ALTITVDINIS MONS ET LOCVS TANT[IS OPE]IBVS SIT EGESTVS”, che, tradotta letteralmente significa
“per testimoniare quale era l'altezza del monte e del luogo che fu scavato con così grandi lavori”. Questa
iscrizione ha dato il via ad un'infinita
serie di interpretazioni per
comprendere la reale funzione della
Colonna, infatti il Foro di Traiano è
situato in una zona che inizialmente
era occupata da colline, che furono
tagliate e rimosse per far spazio al
complesso. Si è quindi giunti alla
conclusione che il Senato romano
abbia voluto collocare in quel luogo
un simbolo per ricordare al popolo di
Roma l'immane cambiamento
nell'immagine della città e nella
morfologia del territorio operato dalla
costruzione del Foro.
Questa ipotesi porta a considerare il fatto che inizialmente la Colonna fosse da realizzarsi semplicemente striata, quindi il fregio che oggi la caratterizza sarebbe frutto di un intervento attuato in un secondo momento, ma questa ipotesi è stata scartata da accurati studi fatti sia sulla superficie del marmo, i cui fregi sarebbero molto più superficiali delle ipotetiche striature, sia sulla collocazione del monumento, tra le due biblioteche, quasi fosse un libro
perennemente aperto a gloria di Roma e di Traiano. Inoltre il basamento riporta fregi d'armi, che non si spiegherebbero se la Colonna non narrasse una storia di guerra.
Tutti questi argomenti portano alle seguenti conclusioni: la Colonna fu realmente voluta dal Senato per ricordare un avvenimento che aveva cambiato profondamente l'immagine della città, demolendo una sella di monte densamente ricoperta di alte insulae, la cui asportazione dovette richiedere un lavoro degno di
menzione.
L'architetto pensò a lungo dove
collocare la Colonna isolata, alta
trentotto metri e allo stesso tempo
ritenne opportuno decorarne il fusto,
che sarebbe stato altrimenti
monotono: da qui l'idea del fregio
istoriato, che avrebbe ricordato ai
posteri le gesta dell'imperatore
Traiano in terra dacica e il grande
trionfo di Roma. Tale idea portò
quindi alla collocazione della Colonna
all'interno del cortile tra le due
Biblioteche: il fusto divenne così un
asse su cui fu avvolto il grande volume delle imprese di Traiano;
volume scolpito, non scritto, che trovava la sua collocazione ideale tra i volumi delle Biblioteche.
La Colonna, detta per il suo fregio Coclide, è costituita da un basamento ornato con trofei di armi barbariche, sul quale si erge il fusto, composto di diciassette colossali tamburi di marmo di Carrara, più altri due, uno per la base, col toro a serto di lauro, e uno per il capitello dorico. Altri due
tamburi servono da base alla statua di San Pietro, che va a sostituire quella abbattuta di Traiano, mentre il basamento è composto di quattro file di blocchi, ognuna formata da due blocchi rettangolari con giunture alternate; la fondazione è a platea di calcestruzzo.
La Colonna Traiana è simbolo della potenza costruttiva dei Romani, capaci di elevare ad altezze così grandi blocchi di marmo di tali dimensioni, ricavando in ognuno la sua parte di scala a chiocciola,
ancora conservata nei suoi 185 gradini e illuminata da finestre a feritoia. L'altezza totale della Colonna, senza la statua, è di 39,83 metri, e il fusto presenta un'entasis a due terzi dell'imoscapo, effetto voluto più dall'ordine ionico che dal dorico, ma l'altezza elevata richiedeva questa finezza tecnica per un migliore effetto ottico.
La porta che si apre nel piedistallo dà
accesso ad un piccolo vestibolo, da
cui si diparte un breve corridoio che
conduce alla camera sepolcrale; il
corridoio fu chiuso con una spessa parete in laterizio e riaperto nel Medioevo per rubare l'urna d'oro che conteneva le ceneri dell'ottimo principe Traiano. A destra del vestibolo ha inizio la scala, la quale gira prima a rampe rettilinee, all'interno del basamento, per prendere poi l'andamento spiraliforme in corrispondenza del fusto, con gradini studiati per essere esattamente nove per ogni voluta della spirale e cinque per ogni blocco.
Il fregio si avvolge sul fusto della Colonna con ventitré spirali per più di duecento metri e su di esso si contano più di duemilacinquecento figure. È diviso in due parti perfettamente uguali per le due guerre, i cui racconti sono separati dal bassorilievo di un'elegante Vittoria alata; si tratta della fedele riproduzione delle gesta dell'imperatore, delle battaglie combattute, delle città conquistate, delle opere costruite lungo il percorso, infine della sconfitta dei
Daci e della morte del loro re Decebalo.
All'epoca della costruzione della
Colonna una vivace policromia
ricopriva le figure del fregio; ciò
contribuiva ad arricchire l'effetto
artistico e la visione dell'elemento da
lontano.
IL TEMPIO DEL DIVO TRAIANO
L'ultimo edificio del complesso del Foro di Traiano è una fabbrica edificata a seguito della morte dell'imperatore ad opera del suo successore, Adriano. Non sappiamo come si concludesse il complesso del Foro prima dell'intervento di Adriano, ma il successore di Traiano fece edificare, nell'area oggi occupata dal Palazzo della Prefettura e dalla chiesa di Santa Maria di Loreto, un colossale tempio ottastilo periptero,
con pronao formato da colonne in
granito del diametro di circa due
metri; altre colonne di dimensioni
minori costituivano il porticato
circostante il podio del tempio, che
andava ad abbracciare quella che
oggi è conosciuta come Platea
Traiani.
ADRIANO IMPERATORE
L'edificio oggetto di studio è stato identificato come l'Auditorium di Adriano, e , per questo motivo, è necessario conoscere la figura dell'imperatore filosofo.
Amante delle arti, della letteratura e della poesia, si trovò a governare un Impero Romano alla sua massima espansione, con i problemi da ciò derivanti, dovendone fortificare i confini per mantenere la pace all'interno del suo regno.
La figura dell'imperatore è stata raccontata e tramandata attraverso i
secoli da numerosi autori, a partire dalle note biografiche narrate dalla storica e pare biografa ufficiale Giulia Balbilla, fino alla celebre opera Memorie di Adriano, scritta da Marguerite Yourcenar nel 1951, romanzo in forma di epistola nella quale l'imperatore racconterebbe al giovane amico Marco Aurelio la propria vita e le proprie esperienze.
Tra i passi più toccanti dell'opera della Yourcenar troviamo la trascrizione di una poesia dell'imperatore, nella quale egli si
rivolge alla propria anima, destinata presto a lasciare il suo corpo e vagare in un mondo ignoto:
Animula vagula, blandula, hospes comesque corporis
quae nunc abibis in loca pallidula, rigida, nudula, nec, ut soles, dabis iocos.
P. Aelius Hadrianus, imp.
01 _ LA FIGURA DI ADRIANO
Publius Aelius Traianus Hadrianus nasce il 24 gennaio del 76 a Italica, città iberica a 7 km da Siviglia fondata da Scipione l'Africano.
Il padre, Publio Elio Adriano Afro, era imparentato con Traiano, la madre, Domizia Paolina, era originaria di Cadice.
Entrambi i genitori morirono quando Adriano era giovanissimo, e Traiano,
non avendo avuto figli, divenne suo tutore. La moglie dell'imperatore, Plotina, lo adottò come fosse un figlio, aiutandolo notevolmente nel cursus honorum e spingendolo al matrimonio con Vibia Sabina, anch'essa imparentata con Traiano.
Il matrimonio fu un fallimento, ma gli ottimi rapporti intrattenuti con la suocera avvicinarono ancora di più il giovane alle stanze del potere.
Quando l'imperatore Nerva nominò Traiano suo successore, la carriera di Adriano subì una svolta ed egli iniziò
ad accumulare cariche pubbliche: fu tre volte tribuno militare, in Pannonia e in Germania, fu questore, tribuno della plebe e pretore.
Al momento della morte, Traiano lo
nominò suo successore, e il giovane
Adriano salì al trono nel 117, con
l'acclamazione di buona parte
dell'esercito, cosa che allontanò i
dubbi sulla legittimità della sua
successione. Il Senato, dopo un
messaggio del neo imperatore che
affermava di non potersi sottrarre alla
volontà dell'esercito, accettò il nuovo
regnante. Tutto questo portò Adriano ad insediarsi con notevole rapidità e a rafforzare continuamente il proprio potere durante il ventennio che seguì, fino alla morte dell'imperatore, avvenuta naturalmente e non a seguito di una violenza derivante dalla congiura.
Anche la designazione del successore, dopo la morte di Adriano, non fu ostacolata, grazie al grande potere assunto dall'imperatore.
Al momento del suo insediamento, Adriano si trovò alla guida di un Impero che aveva raggiunto le sue massime dimensioni, grazie alle campagne in Dacia condotte dal suo predecessore, Traiano, che avevano portato i confini dell'Impero ad estendersi fino alle regioni danubiane e all'Arabia Felix.
Il regno di Adriano fu caratterizzato quindi da una generale pausa nelle operazioni militari e dal rafforzamento dei confini. Abbandonò le campagne di Traiano in Mesopotamia,
considerandola una regione indifendibile per la difficoltà di far giungere rifornimenti in quelle zone.
Si concentrò invece sulla definizione
di confini controllabili a costi
sostenibili. I limes più instabili furono
rafforzati con opere di fortificazione
permanenti, tra le quali la più celebre
è la linea del Vallo di Adriano, in
Gran Bretagna, dove l'imperatore
fece costruire un lungo muro
difensivo per arginare i popoli della
Caledonia. Anche la frontiera del
Danubio fu notevolmente rinforzata
per proteggere il territorio imperiale dalle incursioni barbariche.
Dopo aver definito e rafforzato i confini dell'Impero, e aver raggiunto una stabilità grazie alle nuove istituzioni fondate per governare le regioni più distanti da Roma, Adriano poté dedicarsi alla promozione della cultura e delle arti, argomento che lo interessava maggiormente essendo egli stesso un fine intellettuale, amante delle arti figurative, della poesia e della letteratura.
Fu un umanista ellenofilo, benché disconoscesse Omero, fu amico di filosofi greci e studiò le filosofie platoniche ed epicuree. In omaggio ai filosofi greci, che tanto apprezzava, fu il primo imperatore romano a portare la barba, uso ripreso da molti suoi successori.
Fu il primo imperatore romano a essere iniziato al rito ellenico dei misteri eleusini e a interessarsi della cultura delle regioni più orientali dell'Impero.
Allo stesso tempo volle riaffermare le
antiche origini della città di Roma, valorizzando elementi arcaici e augustei della religione romana, richamando ad esempio al culto di Romolo e di Numa Pompilio. Reinserì il culto di Venere Genitrice, istituito da Cesare e in seguito abbandonato, associandolo a quello della dea Roma.
Durante il suo regno, Adriano viaggiò
in ogni parte dell'Impero,
apprendendo le culture locali e
venendo a conoscenza delle
tradizioni dei popoli. Nel corso di uno di questi viaggi, l'imperatore conobbe un giovane greco di bell'aspetto e se ne innamorò. Antinoo visse a lungo con Adriano e, durante un viaggio in Egitto, nel 130, morì a seguito di una caduta tra le acque del Nilo.
Adriano, sommerso dal dolore, fece fondare nel luogo della morte di Antinoo la città di Antinopoli, dove fece edificare un tempio dedicato al culto del giovane divinizzato, associato alla figura del dio egizio Osiride. In Europa, fece scolpire
centinaia di statue del giovane, che testimoniarono l'amore dell'imperatore per quel giovane dall'aria malinconica, con il volto tondo, le labbra carnose e la folta capigliatura.
Adriano morì di morte naturale, a sessantadue anni, nella sua residenza estiva di Baia. Cassio Dione ricorda, nella Storia Romana, come
Dopo la morte di Adriano gli fu eretto un enorme monumento equestre che lo rappresentava su di una quadriga. Era così
grande che un uomo di alta statura avrebbe potuto camminare in un occhio dei cavalli, ma, a causa dell'altezza esagerata del basamento, i passanti avevano l'impressione che i cavalli ed Adriano fossero molto piccoli.
In realtà si pensa che la costruzione
del monumento sia iniziata durante il
regno dell'imperatore, nel 135, e non
dopo la sua morte. Nel corso dei
secoli il mausoleo fu più volte
trasformato, diventando quello che
oggi conosciamo come Castel
Sant'Angelo.
02 _ ADRIANO ARCHITETTO
L'amore per le arti di ogni genere portò Adriano ad interessarsi anche di architettura, portandolo al crescente impegno, durante il principato, di dare una forte impronta stilistica personale agli edifici costruiti.
Sembra che l'imperatore mettesse spesso mano ai progetti, e questo portò ad un conflitto con l'architetto Apollodoro di Damasco, ufficialmente
investito, già sotto Traiano, dell'incarico progettuale per la corte imperiale. Pare che Adriano, infastidito dalle continue critiche dell'architetto, arrivò al punto di esiliarlo e in seguito farlo eliminare.
Il grande interesse di Adriano per l'architettura portò alla costruzione, durante il suo regno, di numerosi monumenti, che sono giunti fino a noi, in particolare ricordiamo la Villa extraurbana di Tivoli, una delle più maestose villae d'otium dell'epoca imperiale, il Pantheon, tempio
dedicato a tutte le divinità romane, il
Tempio di Venere e Roma con cui
abbellì ulteriormente la città, il proprio
mausoleo e, infine, a seguito delle
ultime scoperte archeologiche,
possiamo annoverare tra gli edifici
adrianei, l' Atheaeum .
VILLA ADRIANA
Collocata sui Monti Tiburtini, a 17 miglia romane dall'Urbe, era raggiungibile sia attraverso la Via Tiburtina Valeria e la Via Prenestina, sia attraverso la navigazione lungo il fiume Aniene.
La zona era ricca di ville rustiche che erano sorte fin dall'epoca repubblicana nell'area che connetteva Roma e Tivoli. Ne esisteva una, costruita sotto Silla e ingrandita sotto Cesare, che divenne proprietà della
moglie dell'imperatore Vibia Sabina.
Questa villa divenne il primo nucleo centrale dell'immensa residenza adrianea, incorporata poi nel Palazzo imperiale.
Studiando il sistema di canalizzazioni della Villa, si può pensare che la sua ideazione sia stata unitaria, ma dai bolli laterizi rinvenuti sul sito si è giunti alla conclusione che la sua costruzione abbia abbracciato un periodo di tempo molto ampio, presumibilmente dal 118 al 138 d.C.
L'imperatore, rientrato dall'ultimo dei
suoi viaggi nel 134, avrebbe quindi potuto godere della residenza solo negli ultimi anni di vita.
La complessità della pianta della Villa è dovuta, probabilmente, alla molteplicità delle funzioni che essa doveva ricoprire, da quella strettamente residenziale a quelle più rappresentative e di servizio, oltre al disomogeneo terreno su cui venne edificata.
La magnificenza delle strutture della
Villa è conseguenza diretta delle
scelte dell'imperatore, che volle qui
riprodurre diversi monumenti che aveva avuto modo di osservare durante i suoi viaggi fino ai confini dell'Impero.
Ecco che compaiono allora edifici come il Pecile, riproduzione fedele della Stoà Poikile nell'agorà di Atene, un'ampia piazza colonnata decorata al centro da un bacino idrico e circondata da un porticato; il Canopo, struttura che evoca un braccio del Nilo che congiungeva la città di Canopo, sede del tempio dedicato a Serapide, con Alessandria,
caratterizzata da un'ampia vasca circondata da un porticato tra le cui colonne erano inserite statue portate presumibilmente dai viaggi di Adriano all'estero.
Il complesso della Villa si estendeva per un'area di quasi 120 ettari, ed era composto da numerosi altri edifici, come viene ricordato nella Historia Augusta:
Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli ove erano riprodotti con i loro
nomi i luoghi più celebri delle province dell’Impero, come il Liceo, l’Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi.