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CAPITOLO PRIMO IL NUOVO APPARATO SANZIONATORIO

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CAPITOLO PRIMO

IL NUOVO APPARATO

SANZIONATORIO

SOMMARIO: 1. La situazione economico-politica - 2. Limitazioni

alla discrezionalità del legislatore nel determinare le sanzioni in risposta al licenziamento illegittimo derivanti dalla Costituzione – 3. ..e dalle fonti sovranazionali - 4. Il nuovo apparato sanzionatorio: due letture - 5. La scelta per una sanzione meramente indennitaria come portato di una visione economica del diritto - 6. La tutela in forma specifica nel diritto dei contratti e il principio di effettività – 7. Il licenziamento come inadempimento contrattuale: considerazioni sull’apparato sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi ante-riforma – 8. Rinvio

1. La situazione economico-politica

Ogni provvedimento legislativo trova le propria ragion d’essere nel contesto storico, politico, sociale ed economico in cui vede la luce. Ritengo che l’analisi di un qualsiasi testo di legge non possa prescindere da una, seppur sintetica, considerazione di tali fattori.

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E la considerazione di essi risulta ancor più importante nell’affrontare l’analisi delle modifiche apportate all’apparato sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi dalla legge 28 Giugno 2012 n.92. La riforma infatti vede la luce in un periodo travagliato per l’economia del nostro paese. Nell’estate del 2011, in seguito alla crisi economica globale scaturita dall’esplosione della bolla speculativa sul mercato immobiliare e dallo scandalo dei mutui subprime, l’Italia ha corso il grave rischio di non poter più onorare i —crescenti— interessi che avrebbe dovuto concedere agli acquirenti dei propri titoli di Stato1 e quindi di ritrovarsi in una situazione di default sostanziale2. Sotto la pressione di un debito pubblico con un

1 Tale rischio, semplificando al massimo, è rappresentato dal differenziale (l’ormai arcinoto spread) tra i rendimenti dei titoli del debito pubblico italiano (buoni del tesoro poliennali o BTP) a scadenza decennale e i rendimenti dei titoli di stato decennali tedeschi (Bundesanleihen o Bund), considerati come molto sicuri in quanto garantiscono alte probabilità di restituzione degli interessi garantiti ai compratori. La Germania è infatti ritenuta paese generalmente affidabile agli occhi degli operatori finanziari, con conti dello Stato in ordine e con una politica economica stabile e di rigore. L’incremento dello spread significa che lo Stato italiano, per collocare sul mercato i titoli, è costretto, nelle aste che si verificano periodicamente, ad alzare il rendimento garantito ai compratori a titolo di interessi. Sull’argomento, anche per una critica all’eccessiva influenza dei mercati finanziari sulle dinamiche economico-politiche dei singoli paesi (sulla quale si ritornerà infra cap.III), si veda

A.PERULLI-V.SPEZIALE, L’art.8 della legge 14 settembre 2011, n.148 e la “rivoluzione di

Agosto” del Diritto del lavoro, in Working Paper 132/2011 in http://csdle.lex.unict.it, pp. 3-5 e nt.2.

2 Il meccanismo sotteso al differenziale con i rendimenti dei titoli di debito tedeschi rischia di generare una vera e propria reazione a catena. Infatti «l’incremento dei tassi influenza l’ammontare del debito sovrano»(Ivi,p.3). La crescita del, già elevato, debito pubblico influisce negativamente sulla fiducia che i possibili acquirenti dei titoli di stato nutrono nella capacità del nostro paese di onorare i

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rapporto a doppia cifra rispetto al prodotto interno lordo3 , una bassa crescita —che «riduce le entrate fiscali e quindi obbliga, per sostenere le spese, ad un maggior indebitamento dello Stato»4— e una purtroppo consueta tendenza all’instabilità politica, il nostro paese resta esposto alla c.d. crisi dei debiti sovrani. In tale situazione, che rischiava —e rischia tuttora— di mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza dell’area Euro, è arrivato da più parti5 il monito a ricorrere ad urgenti riforme strutturali; da un lato volte a risanare i conti pubblici riassumibili nella riduzione del rapporto negativo deficit-pil, dall’altro volte ad invertire il trend recessivo e a favorire la ripresa economica.

Tra queste ultime, come si intuisce dal titolo, va sicuramente annoverata anche la legge 28 giugno 2012, n.92, «Disposizioni

propri debiti. Il “prezzo” di questa sfiducia è un aumento del tasso di interesse da garantire all’eventuale compratore per indurlo ad acquistare titoli che non ritiene completamente affidabili. L’aumento del tasso di interesse comporta un aumento del differenziale. Risulta quasi intuitivo circolo di questo tipo esporrebbe, nel lungo periodo, il nostro paese ad un elevato rischio di insolvibilità(rischio di

default) alle scadenze pattuite con i creditori.

3 L’ammontare del debito pubblico italiano nel secondo trimestre 2013 si è attestato a 2.076 miliardi di euro, pari al 133,3 % del prodotto interno lordo. I dati sono elaborati da Eurostat e visibili in http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ ITY_PUBLIC/2-23102013-AP/EN/2 23102013-AP-EN.PDF. Nel 2011 tale rapporto era del 120,7 %, poi salito al 127 % nel 2012.

4A.PERULLI-V.SPEZIALE, op.cit., p.4.

5 È ancora vivo il ricordo della famosa lettera inviata del presidente BCE Jean Claude Trichet il 5 agosto 2011 al presidente del consiglio, nella quale si raccomandavano provvedimenti volti al risanamento della situazione economica nonché all’adozione di misure per riavviare la crescita economica.

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in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita».

Le modifiche apportate dalla riforma —in estrema sintesi— sembrano poggiare sulla ricerca di un equilibrio di fondo: aumentare la flessibilità in uscita, ovvero la possibilità datoriale di licenziare con più facilità, ma al tempo stesso riducendo quella in entrata, ossia rivisitando ed irrigidendo la disciplina delle tipologie di contratto di lavoro diverse dal contratto a tempo indeterminato6.

Questa soluzione dovrebbe portare, come esplicitato negli obiettivi che la riforma intende raggiungere7, «a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione ridistribuendo in modo più equo le tutele dell'impiego».

Il nostro mercato del lavoro è stato da tempo sottoposto a pressanti critiche da alcuni organismi internazionali e comunitari: la produttività del lavoro risulterebbe molto bassa, vi sarebbe una forte distinzione tra lavoratori iper-protetti e

6 Per una sommaria analisi della disciplina introdotta in materia di contratti c.d. precari in relazione alle modifiche apportate dal d.l. 28 giugno 2013, n. 76 (c.d. decreto lavoro) convertito da l. 9 agosto 2013, n. 99. si veda infra Conclusioni. 7

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sotto-protetti, nonché una scarsa possibilità di ricollocazione nel mercato dei lavoratori che abbiano perso il proprio posto.

Tutto questo comporterebbe previsioni negative in merito ad una ripresa economica effettiva nonché un rilevante handicap per il nostro paese nell’attrarre investimenti esteri.

La situazione è stata più volte messa in risalto nei reports elaborati dalle istituzioni internazionali volti a fornire indicazioni sull’andamento delle economie dei singoli stati, nonché dalle indicazioni provenienti dalla Banca Centrale Europea, dall’OCSE e dalla Commissione Europea.

La posizione di quest’ultima potrebbe essere riassunta in una parola ormai di uso comune: flexicurity. Con essa si intende un modello di mercato del lavoro caratterizzato da un’elevata mobilità della forza lavoro, che possa fornire ai lavoratori gli strumenti adeguati per far fronte utilmente alla perdita del posto di lavoro, sia attraverso opportuni sostegni al reddito, sia attraverso la previsione di corsi di formazione e professionalizzazione che aumentino le chances di ritrovare un posto; security intesa dunque non come sicurezza della stabilità del posto ma come sicurezza nel mercato dove poterne reperire facilmente uno nuovo.

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2. Limitazioni alla discrezionalità del legislatore di determinare le sanzioni in risposta al licenziamento illegittimo derivanti dalla Costituzione.

Sembra fuor di dubbio che di primaria importanza per i nostri fini, sia un corretto inquadramento della normativa nella cornice dei principi ricavabili dal dettato della nostra carta fondamentale. In particolare è d’obbligo individuare con più chiarezza possibile quali limiti incontra il legislatore che si accinga a modificare l’apparato sanzionatorio del licenziamento illegittimo. Per raggiungere un simile obiettivo utilizzerò come rifermento prevalente gli orientamenti in materia espressi dalla Corte Costituzionale8.

8 Concordo pienamente con L. CALCATERRA, Diritto al lavoro e diritto alla tutela contro il licenziamento ingiustificato. Carta di Nizza e Costituzione italiana a confronto, in Working Paper 58/2008 in http://csdle.lex.unict.it, p.11 quando afferma che: «nell’affrontare lo studio del fondamento costituzionale della tutela contro il licenziamento ingiustificato, il rischio maggiore è che si finisca per imputare alla Carta fondamentale le proprie opzioni assiologiche: e per evitare che ciò accada si deve necessariamente partire dalla norma come interpretata dalla Corte Costituzionale e considerare questa, per convenzione, come dato oggettivo» Ritengo corretto, per ragioni di chiarezza espositiva, individuare convenzionalmente una base interpretativa dotata di autorità sulla quale edificare le argomentazioni che seguono. Non c’è dubbio infatti che qualsiasi discorso giuridico-interpretativo sui principi costituzionali, comprese le argomentazioni adottate dalla Corte, abbia come presupposto delle scelte valoriali di fondo che andrebbero correttamente esposte. Non sarà però qui possibile ricostruire accuratamente le scelte valoriali sottese a ciascuna decisione. In linea di massima il percorso espositivo che seguirò in questo paragrafo si rifà a L. NOGLER, La disciplina dei licenziamenti individuali nell’epoca del bilanciamento tra i «principi» costituzionali, in AIDLASS (a cura di), Disciplina dei licenziamenti e mercato del lavoro. Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro Venezia 25-26 Maggio 2007, Giuffrè,

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Il potere contrattuale di licenziamento trova il proprio referente costituzionale nella libertà di iniziativa economica sancita dall’art.41 c. 1 9, la quale si estende alle «attività inerenti alla vita e allo svolgimento dell’impresa»10 discendendone per l’imprenditore la libertà non solo di iniziare ma anche, per quello che qui interessa, la libertà di ridurre e cessare un’attività11. L’iniziativa economica non risulta però priva di limiti: se al primo comma il costituente attribuisce una libertà, al secondo comma ne determina i necessari correttivi. La libertà

9 Prima dell’entrata in vigore della nostra Costituzione, il recesso era ricondotto al principio di non perpetuità dei vincoli obbligatori, consacrato nell’art.1628 del codice

civile del 1865 secondo il quale nessuno poteva porsi «all’altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa». L’esigenza di porre l’accento sulla necessaria temporaneità dei vincoli obbligatori era particolarmente sentita nell’ordinamento liberale prefascista come «ovvia affermazione di libertà in contrapposizione al lavoro servile e secondo la logica della grande rivoluzione borghese che spezza i vincoli di origine feudale». Così O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, V ediz., in G. IUDICA, P. ZATTI (a cura di) Trattato di diritto privato, Milano, Giuffrè, 2013. La dottrina dell’epoca fece poi discendere, seppur con differenze nella scelta del percorso argomentativo, da tale principio la necessaria insindacabilità del potere di recesso. (L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto

positivo italiano, Società Editrice Libraria, Milano, 1915-1917 che si distacca da F. CARNELUTTI, Del licenziamento nella locazione d’opere a tempo indeterminato, in RDC,

1911, I, p.389 fondando l’insindacabilità del recesso non sull’applicazione analogica dei principi in materia di locazione di cose ma sul fondamento fiduciario del rapporto). Questo principio «verrà ben presto fatto proprio dal legislatore e riceverà il suggello nel codice del 1942» e in particolare nell’art.2118 cod.civ. (O. MAZZOTTA, La reintegrazione nel posto di lavoro: ideologie e tecniche della stabilità, in Lav. Dir., 2007, n.4, p.537ss anche per una ricostruzione delle successive limitazioni

che verranno apportate al potere di recesso. In argomento anche M. GRANDI,

Licenziamento e reintegrazione: riflessioni storico-critiche in RIDL, 2003, I, p.3ss) 10Corte Cost. 4 maggio 1960 n.29

11 Per tutti O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, IV ediz., in G. IUDICA, P. ZATTI (a cura di) Trattato di diritto privato, Milano, Giuffrè, 2011, p.13

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di impresa «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

Nel caso dell’art.41 c.2 è la Costituzione stessa a fornire un criterio di bilanciamento attribuendo a precisi valori —l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà, la dignità umana— prevalenza sulla libertà di iniziativa economica.

Innanzitutto sembra essere fuori discussione che in caso di licenziamento discriminatorio possa esserci sanzione differente dalla reintegrazione. A tacer d’altro, licenziare in ragione di un fattore di discriminazione è direttamente riconducibile ai limiti espressamente previsti dall’art.41 comma 2 diretti a realizzare «la protezione di valori primari attinenti alla persona umana il cui rispetto è il limite insuperabile di ogni attività economica»12. Il legislatore ha tradotto questo limite nel divieto di licenziamento discriminatorio13: lungi dall’essere meramente mancante dei presupposti di validità, il potere di recesso non sussiste in radice e il rapporto deve poter essere ricostituito come se il licenziamento non fosse mai avvenuto14.

12 Corte Cost. 12 dicembre 1990 n.548 art. 41. Il corsivo è aggiunto. Per la riconduzione del licenziamento discriminatorio nella previsione del limite della dignità umana ex art.41c.2cost. si veda L. NOGLER, La disciplina dei licenziamenti, cit.

p.9

13 Art.3 della legge 11 maggio 1990

14 M. V. BALLESTRERO, Declinazioni di Flexsecurity. La riforma italiana e la deriva spagnola, in Lav. Dir., 2012, n.3-4, p.462.

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Il limite della dignità umana è stato utilizzato dalla Corte costituzionale per stabilire anche dei criteri di forma del licenziamento. La Consulta ha infatti sancito che la forma scritta e la comunicazione dei motivi15 del licenziamento rappresentano «un valore essenziale, nonché una garanzia informata al rispetto della personalità umana»16.

Per quanto riguarda il limite della sicurezza, parte della dottrina ha ravvisato, facendo leva sulle parole utilizzate, interpretate «come sicurezza della propria esistenza»17, l’espressa conferma dell’intensa protezione che il Costituente avrebbe inteso riservare alla continuità della prestazione di lavoro. Attraverso questa ricostruzione Massimo D’Antona, nella sua magistrale apologia della tutela reale, trovava nel combinato disposto tra art. 41 c.2 e art. 4, il fondamento del diritto del lavoratore a conservare il proprio posto18.

15 Nonché il rispetto della procedura ex art.7 St. Lav. Corte Cost. 30 novembre 1982, n. 20; 25 luglio 1989, n. 427

16 Corte Cost. 14 luglio 1971, n. 174; Corte Cost. 7 luglio 1986, n. 176;Corte Cost. 23 luglio 1991, n.364; Corte Cost. 23 novembre 1994, n.398.

17 La norma infatti attribuirebbe «La garanzia di potere, in ogni tempo, disporre dei mezzi necessari alla propria esistenza e a quella della propria famiglia» La ricostruzione risale a U. NATOLI, Sicurezza, libertà e dignità del lavoratore

nell’impresa, in Dir. Lav., 1956, I, p.10.

18 «Il rapporto tra art.4 Cost. e tutela giuridica del posto di lavoro […] va visto nella specifica prospettiva dell’art.41 e dei limiti all’iniziativa economica privata» M. D’ANTONA, La reintegrazione nel posto di lavoro, CEDAM, Padova,1979, p.131

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C’è però da notare che, nonostante l’acutezza delle soluzioni adottate, la Consulta si è assestata su posizioni differenti. In particolare non ha mai accettato la riconduzione dell’art.4 Cost. Nella storica sentenza 26 maggio 1965, n.45, ha stabilito che:

l'indirizzo politico di progressiva garanzia del diritto al lavoro esige che il legislatore nel quadro della politica prescritta dalla norma costituzionale adegui, sulla base delle valutazioni di sua competenza, la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato al fine intimo di assicurare a tutti la continuità del lavoro, e circondi di doverose garanzie […] e di opportuni temperamenti i casi in cui si renda necessario far luogo a licenziamenti.19

Questa linea interpretativa è stata nel tempo ribadita e rafforzata: l’art.4 e l’art.41 non sono dotati di applicabilità diretta, sono principi pariordinati, e la Costituzione non prevede criteri preordinati di bilanciamento. La Corte —la quale, a partire da questa sentenza, ha inaugurato una feconda stagione di legislazione protettiva del lavoratore e di progressiva erosione del recesso ad nutum— opta per lasciare al legislatore l’incombenza «di individuare le doverose garanzie e gli opportuni temperamenti» in caso di licenziamento. I principi non suggeriscono l’opzione per una certa forma di sanzione contro il licenziamento ingiustificato, ma spetterebbe alla fonte primaria la scelta della forma di tutela applicabile contro il

19 Corte Cost. 26 maggio 1965, n. 45, in http://www.giurcost.org/decisioni/ 1965/0045s-65.html

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licenziamento ingiustificato. A dimostrazione di ciò si possono ricordare sia la sentenza n. 194 del 1970, con la quale la Corte ha respinto l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 8 della l. 604 del 196620, sia le sentenze nelle quali essa ha rigettato le eccezioni di incostituzionalità relative ai limiti fissati dall’art. 35 st. lav. all’ambito di applicazione della tutela reale (Corte Cost. 19 giugno 1975, n. 152, in Giur. Cost., 1975, p. 1389; Corte Cost. 8 luglio 1975, n. 189, in Giur. Cost., 1975, p. 1514; Corte Cost. 14 gennaio 1986, n. 2, Giur. Cost., 1986, p. 9; Corte Cost. 14-26 gennaio 1988, n. 106, Giur. Cost., 1988, p. 319)

Il modulo argomentativo della Corte viene infine confermato nelle note sentenze 3 febbraio 2000 n. 46 e 6 febbraio 2003 n. 41 nelle quali la Consulta si espresse sull’ammissibilità di due quesiti referendari dal contenuto speculare: il primo volto all’abrogazione dell’art. 18, il secondo invece ad estendere la tutela reintegratoria anche al di sotto delle soglie previste da tale articolo. Ebbene, in entrambe le occasioni la Corte ha deciso per il nulla osta ai referendum e quindi de facto ha continuato a ritenere che al legislatore spettasse la scelta in merito alle sanzioni applicabili. Questo però non significa che la Costituzione operi una delega in bianco al legislatore. Invero dalla Carta fondamentale possono farsi discendere alcuni limiti

20 Corte Cost. 28 dicembre 1970, n. 194 in http://www.giurcost.org/decisioni/

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—oltre a quanto già anticipato per i licenziamenti discriminatori e gravemente viziati nella forma— all’attività legislativa. Nello specifico la Consulta, nella già citata sentenza 6 febbraio 2003, n.41 affermando che:

a differenza di quanto stabilito dall’art. 2118 cod. civ., che prevedeva il cosiddetto recesso ad nutum dal rapporto di lavoro, la materia dei licenziamenti individuali è oggi regolata, in presenza degli artt. 4 e 35 della Costituzione, in base al principio della necessaria giustificazione del recesso e del potere di adire il giudice, riconosciuto al lavoratore, in caso di licenziamento arbitrario

in sostanza stabilisce che il minimum di costituzionalità si individua nel diritto ad adire un giudice che vagli l’atto di recesso sotto il profilo della giustificazione. Dal principio di necessaria giustificazione discende il vincolo per il legislatore e di prevedere espressamente delle motivazioni idonee ad interrompere il rapporto che non siano riconducibili ad un mero arbitrio e che siano valutabili da un giudice, e un apparato sanzionatorio opportuno, id est idoneo a fare in modo che tale diritto non rimanga solo sulla carta.

È quindi sull’adeguatezza a fungere da presidio alla giustificazione che si deve vagliare se un apparato

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sanzionatorio risulti opportuno. A tale fine un valido appiglio potrebbe essere ricavato dalle fonti sovranazionali che analizzerò nel paragrafo successivo.

Per ora ci basti osservare che la reintegrazione nel posto di lavoro, pur essendo il rimedio sicuramente più opportuno21 in

vista della tutela del lavoratore, non è, secondo la Consulta, costituzionalmente necessitata.

3. ..e dall’ordinamento sovranazionale

Possibili limiti alla discrezionalità del legislatore possono essere rinvenuti nell’art.30 CDFUE secondo il quale : «Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali». L’articolo fonda il principio di giustificatezza del licenziamento nell’ambito del ditì

[non so se dedicare un paragrafo delle conclusioni al diritto di fonte comunitaria e in particolare sull’opera di sostanziale abrogazione che le soft laws di coordinamento in campo economico stanno operando nei confronti dei diritti sociali europei]

21 La reintegrazione, subordinando l’efficacia del recesso alla dimostrazione del datore della conformità a norma delle motivazioni da lui addotte, nonché ricostituendo per intero la situazione precedente al licenziamento, è la soluzione di tutela sicuramente più idonea al rispetto del diritto del lavoratore alla giustificatezza del licenziamento.

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G. ORLANDINI, La tutela contro il licenziamento ingiustificato nell’ordinamento dell’unione europea, in Giorn. dir. lav e relazioni ind., 2012, n.4, p.619ss

Da ciò che è emerso dall’analisi sia del dettato costituzionale, osservato attraverso le lenti della Corte Costituzionale, sia delle fonti sovranazionali, l’individuazione dell’apparato sanzionatorio a cui sottoporre i licenziamenti illegittimi è nella discrezionalità del legislatore, rinvenendosi gli unici limiti nel rispetto del principio di necessaria giustificazione del recesso, oltre a quanto si è già detto in merito ai licenziamenti discriminatori e a quelli inefficaci per vizi di forma22. Ciò starebbe a significare che anche una sanzione meramente indennitaria, purché adeguata, risulta compatibile col nostro ordinamento.

4. Il nuovo apparato sanzionatorio. Due letture.

Il legislatore, usufruendo della discrezionalità che la Costituzione —così come interpretata dalla Corte Costituzionale— lascia in materia di sanzioni, è intervenuto con legge 28 giugno 2012, n.92, «adeguando alle esigenze del

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mutato contesto di riferimento la disciplina del licenziamento»23.

Le modifiche apportate dall’art.1 c. 42 lett. b) all’apparato sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi previsto dall’art.18, consistono nella scomposizione della sanzione unica, costituita dalla reintegrazione nel posto di lavoro, in quattro diversi regimi di tutela24.

Due sono ipotesi di reintegrazione: una «piena»25, disciplinata dai commi 1-3 dell’art. 18, comprensiva di un’indennità «commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva

23 Così il legislatore sintetizza all’art.1, co.1, lett.c, l’intenzione di modificare l’apparato sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi.

24 La « svolta» è resa evidente già nella lettera a) dell’art.1 c.42 che recita: «la rubrica è sostituita dalla seguente “Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo”» la quale va a sostituirsi alla precedente «Reintegrazione nel posto di lavoro». Enfatizza tale «svolta» rispetto al sistema precedente F. CARINCI, Ripensando il “nuovo” art.18 dello Statuto dei lavoratori, in Dir.rel.ind., 2013, n.2/XXIII,

p.305 che riprende l’osservazione di C. CESTER, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in Arg. dir. lav., 2012, n.3, p.548.

25 Utilizzo, ora e per il prosieguo, la terminologia utilizzata da M. T. CARINCI, Il rapporto di lavoro, cit., pp.21-22 la quale distingue le tutele in «reintegratoria

piena», «reintegratoria attenuata», « indennitaria forte» e «indennitaria debole» ripresa anche da altri autori tra cui O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, cit.,

V.SPEZIALE, La riforma del licenziamento individuale, cit. Parla di «reintegrazione

depotenziata» e «indennità risarcitoria onnicomprensiva piena e ridotta» A.

MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo, in RIDL, 2012, I. Altre terminologie si riscontrano in M. MARAZZA, L’art.18, nuovo testo dello statuto

dei lavoratori, in Arg. Dir. Lav., 3/2012. Le differenze terminologiche sembrano

rinviare a differenze di contenuto come si vedrà nel prosieguo. Della tutela reintegratoria piena si parlerà infra al cap.II.

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reintegrazione dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative», la quale comunque «non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto»; e una «attenuata», disciplinata al comma 4 e richiamata dal comma 7, comprensiva di una «un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione» la quale però «non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto»26.

Vengono introdotte poi due forme di «indennità risarcitoria onnicomprensiva»: una «forte» prevista dal comma 5 e richiamata dal comma 7, «determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto»; ed una «debole», regolata dal comma 6, «determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale, tra un minimo di sei ed un

26 Proprio per i limiti all’indennità risarcitoria dovuta al lavoratore, nonché per la mancata previsione del minimo di cinque mensilità, si parla di «reintegrazione attenuata». Per la ricostruzione di questa figura si rinvia infra al cap.III.

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massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo».

Questi quattro regimi sanzionatori vengono associati a diverse fattispecie in relazione alla gravità della violazione. In particolare: la tutela reale «piena» viene ad essere riservata alle situazioni di nullità del licenziamento27, nonché al licenziamento inefficace perché intimato in forma orale (art.18, c.1); la tutela reintegratoria «attenuata» viene invece riservata: ai casi in cui il giudice accerti «che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, perché il fatto contestato non sussiste o il lavoratore non lo ha commesso ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili» (art.18, c.4); ai casi in cui il giudice «accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi dell’articolo 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile»; ai casi in

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cui «accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo»28.

La lettura del dettato normativo, sicuramente non semplice data la prolissità del testo29, sembra rimandare ad una soluzione di compromesso: le novità introdotte non consistono in una decisa opzione per una soluzione integralmente risarcitoria, ma vengono contemplati alcuni spazi in cui conserva rilevanza la tutela reintegratoria. Questo particolare acquista una certa rilevanza se si guarda all’iter di discussione e approvazione del testo di legge. L’intenzione iniziale emersa in ambito ministeriale era di riservare la tutela reale ai soli licenziamenti discriminatori o viziati da motivo illecito30, contemplando per le

28 In quest’ultimo caso la norma precisa che il giudice «può» e non «deve» applicare la sanzione di cui al comma 4. Sui problemi che potrebbero derivare da tale formulazione si veda infra cap. III.

29 Uno dei commenti più condivisi in dottrina riguarda la complessità dello scritto, anche come conseguenza della logica compromissoria che ha portato all’approvazione del testo definitivo. Parla di «testo particolarmente elaborato e complesso, di difficile interpretazione […] poco o nulla traducibile in inglese, s’intende nell’inglese degli investitori stranieri ai quali si voleva spianare la strada»

C. CESTER, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in Arg. dir. lav., 2012, n.3, p.548. P. ICHINO, La riforma dei licenziamenti e i diritti fondamentali dei lavoratori, Relazione tenuta al convegno Il licenziamento individuale tra diritti fondamentali e flessibilità del lavoro promosso dal Centro Nazionale di Studi

di Diritto del Lavoro “Domenico Napoletano”, Pescara, 11 Maggio 2012 in http://csdle.lex.unict.it/archive/uploads /up_406091362.pdf, p. 9 lo definisce come «scritto alla vecchia maniera: ipertrofico, complicato, non leggibile se non dagli addetti ai lavori». S. MAGRINI, Quer pasticciaccio brutto (dell’art.18), in Arg. dir. lav., 2012, n.3, p.538 parla di «testo prolisso e pasticciato […] già difficile da spiegare ad un imprenditore (con uno straniero non ci proveremmo nemmeno)».

30 F. CARINCI, Complimenti, dottor Frankenstein: Il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato del lavoro, relazione tenuta al Convegno La riforma del

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altre ipotesi (licenziamento inefficace e ingiustificato) rimedi a carattere meramente indennitario. Successivamente sono state però introdotte, a seguito del confronto con le parti sociali (connotato da una certa rapidità) e delle votazioni al Senato e alla Camera, ulteriori ipotesi di reintegra per i licenziamenti disciplinari e per quelli invalidi per «manifesta insussistenza dei fatti posti alla base del giustificato motivo oggettivo»31. La logica compromissoria, dati anche i tempi rapidi che hanno contraddistinto l’approvazione del disegno di legge, è dunque da ritenersi un connotato distintivo del dettato normativo, tale da non rendere così lampante una ricostruzione della voluntas legis come inequivocabilmente diretta a limitare la reintegra ad ipotesi residuali32. Sembra piuttosto che la formulazione normativa—soprattutto nell’ambito in cui il legislatore fa

mercato del lavoro, Roma, 13 Aprile 2012, p.5 del dattiloscritto. V. SPEZIALE, Giusta

causa e giustificato motivo dopo la riforma dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, in Working Paper 165/2012 in http://csdle.lex.unict.it, p.22.

31 Vedi supra il sunto del testo definitivo dell’articolo 1 c.42

32 Propendono per una necessaria residualità P. ICHINO, La riforma dei licenziamenti, cit., p. 11 secondo il quale la reintegra è «rimedio straordinario riservato a una stretta minoranza di casi»; M. MARAZZA, L’art.18, nuovo testo dello statuto dei

lavoratori, in Arg. Dir. Lav., 3/2012, p.615 ; A. MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio

del licenziamento illegittimo, in RIDL, 2012, I, p.437 ; T. TREU, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, in Working Paper 155/2012 in http://csdle.lex.unict.it., p.53 Più possibilisti O. MAZZOTTA, I molti nodi irrisolti nel nuovo art.18 dello Statuto dei lavoratori, in Working Paper 159/2012 in http://csdle.lex.unict.it, p.5. secondo il quale «la legge, se non sposa in toto una visuale economicistica, è il frutto di un compromesso che cerca di spostare l’inerzia della sanzione nei confronti del licenziamento illegittimo. Il che non significa certo che vi sia riuscita».

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ricorso alla c.d tutela reintegratoria attenuata33— possa lasciare un certo “margine di manovra” all’interprete nella scelta della sanzione applicabile.

Si badi, la questione sull’estensione della portata della reintegra non è di poco momento. Essa, lungi dall’essere puro esercizio di abilità esegetica, rimanda a questioni di ben più ampio respiro. Come è stato efficacemente osservato infatti:

le alternative che sono al fondo della nuova disciplina in materia di licenziamento affondano le proprie radici nella contrapposizione fra l’idea che il diritto del lavoro abbia a che fare con i valori della persona e quella secondo cui esso debba fornire risposte flessibili alle (abusate) “sfide” del mercato globale34.

La contrapposizione tra reintegrazione e risarcimento del danno, tra tutela in forma specifica e tutela per equivalente, non rappresenta solo la scelta tra due tecniche sanzionatorie; rappresenta la contrapposizione tra due modi di intendere la funzione del diritto del lavoro: l’una legata alla tutela dei diritti e dei valori della persona che nel rapporto di lavoro trovano la loro realizzazione; l’altra legata ad una concezione della

33In particolare il dibattito verte principalmente sul significato da attribuire ai termini «insussistenza» e «manifesta insussistenza» sui quali si gioca l’alternativa tra reintegra e indennità risarcitoria onnicomprensiva. La ricostruzione della tutela reintegratoria attenuata verrà affrontata infra nel cap.3

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regolamentazione in ambito lavoristico, come volta ad assecondare una ricerca della competitività nei mercati.

Si potrebbe dire che la reintegrazione ha a che fare con l’effettività35; l’indennizzo pecuniario avrebbe a che fare con l’efficienza36.

5. La scelta per una sanzione meramente indennitaria come portato di una visione economica del diritto. Critica

Alcuni autori hanno osservato, in accordo con le idee iniziali del legislatore37, che la riforma abbia inteso riservare la tutela reale «alle sole situazioni in cui sia in gioco un diritto assoluto della persona»38, mentre per tutte le ipotesi «in cui sia in gioco soltanto un interesse economico e professionale del

35 Intesa, come si vedrà infra, secondo i canoni dell’art.24 costituzione e del principio della priorità dell’adempimento; come idoneità di una tutela a garantire l’esatta soddisfazione del bene della vita che intende proteggere

36 Intesa in senso economico, come la migliore allocazione possibile delle risorse nel mercato.

37 Come osservato supra il progetto iniziale del legislatore consisteva nel riservare la tutela reintegratoria alle sole ipotesi di licenziamento discriminatorio o viziato da motivo illecito.

38 P. ICHINO, La riforma dei licenziamenti e i diritti fondamentali dei lavoratori, Relazione tenuta al convegno Il licenziamento individuale tra diritti fondamentali e

flessibilità del lavoro promosso dal Centro Nazionale di Studi di Diritto del Lavoro

“Domenico Napoletano”, Pescara, 11 Maggio 2012 , p.11(visibile all’indirizzo http://csdle.lex.unict.it/archive/uploads/up_406091362.pdf).Questa ricostruzione è stata prospettata anche da M. MAZZOLDI, M. RIZZOLLI, Articolo 18 e forme di tutela, cosa cambia con la riforma, in http://www.imille.org/2012/04/art-18-forme-di-tutela-cosa-cambia-con-la-riforma/, 3 aprile 2012;

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lavoratore»39, l’unica soluzione possibile sarebbe l’indennizzo economico.

Questa ricostruzione prende spunto dalla differenziazione, tipica dei sistemi di common law, tra property e liability rules: le prime, a presidio dei diritti assoluti della persona e delle situazioni riconducibili al diritto di proprietà, reagiscono alla lesione del bene con la tutela in forma specifica o specific performance40; le seconde, a protezione dei diritti di credito,

reagiscono all’inadempimento dell’obbligazione trasformando quest’ultima in obbligo risarcitorio41.

Così ragionando si arriva a concludere che il legislatore avrebbe correttamente presidiato i valori assoluti della persona con la previsione della tutela reale, intesa come specific performance conseguente alla violazione di property rules, nei soli casi in cui il

39P. ICHINO, La riforma, cit., p.11.

40Per specific performance si intende la tutela in forma specifica. In R. PARDOLESI, A.

NICITA, M. RIZZOLLI, Le opzioni nel mercato delle regole, in Mercato Concorrenza

Regole, 2006, II, p.246 si indica che «le property rules conferiscono al proprietario il

potere di impedire ad ogni altro individuo d’interferire nell’esercizio del diritto, insieme alla facoltà di alienare al prezzo deciso e fissato dallo stesso dominus. Tutti i trasferimenti dell’entitlement, che avvengano senza il consenso del titolare, sono perciò sanzionati dalla corte ed al proprietario viene generalmente concessa l’inibitoria ovvero (qualora ne sussistano le condizioni) la reintegrazione in forma

specifica del diritto».

41 In R. PARDOLESI, A. NICITA, M. RIZZOLLI, Le opzioni, cit. p.246 si osserva che «la famiglia delle liability rules ricomprende le regole che garantiscono ai terzi la possibilità di assicurarsi l’entitlement a prescindere dal consenso del proprietario, vincolandola al pagamento di un prezzo, solitamente stabilito dall’autorità. Il proprietario non gode, quindi, di tutela forte […] ma per equivalente».

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licenziamento sia «odioso»42, ossia ove «sia in gioco la dignità, l’onorabilità o la libertà morale del lavoratore»43. In particolare licenziamenti che ledono valori assoluti della persona sarebbero, non solo i licenziamenti previsti dal primo comma — licenziamento discriminatorio, intimato in concomitanza col matrimonio o durante la maternità, determinato da motivo illecito— ma anche quelli per giustificato motivo soggettivo, ove vi sia insussistenza del fatto contestato, e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove vi sia manifesta insussistenza del fatto posto alla base del motivo stesso44.

Da queste considerazioni si ricava una lettura del disposto fortemente restrittiva, che fa della sanzione indennitaria «la regola generale» e di quella reintegratoria «un rimedio straordinario»45.

42 Così A.VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli, Torino, 2012, p. 43P. ICHINO, La riforma, cit., p.11.

44 Nel caso dell’insussistenza del fatto posto alla base del giustificato motivo soggettivo la property rule è giustificata dal fatto che «il datore abbia imputato al/la dipendente una mancanza che non è stata da lui/lei commessa» con la conseguenza che ad essere lesi «non sono soltanto un interesse professionale e un interesse economico, ma prima ancora l’onorabilità della persona». Nel caso del giustificato motivo oggettivo invece «la manifesta insussistenza del motivo addotto dal datore a giustificazione del licenziamento induce a ritenere probabile –ancorché non provato al di là di ogni ragionevole dubbio- il motivo discriminatorio o altrimenti illecito». P. ICHINO, La riforma, cit., p.12.

45Ibidem. La ricostruzione suscita qualche perplessità. L’interpretazione del «fatto» qui proposta sembrerebbe rimandare ad un concetto di fatto inteso nella sua materialità, interpretazione che come si vedrà infra nel cap. III, sembra non riscuotere molto successo in dottrina e giurisprudenza. Inoltre non si vede perché il legislatore avrebbe risposto alla lesione degli stessi valori con due sanzioni distinte:

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A ben vedere, la previsione di indennità risarcitorie come risposta ad un licenziamento ingiustificato, può essere in parte spiegata facendo riferimento ai principi mutuati da law and economics — per noi analisi economica del diritto46 — ed in particolare al c.d. efficient breach of contract47 o «rottura efficiente del contratto».

Secondo questa teoria, la norma giuridica «deve poter essere violata, dietro corresponsione di un risarcimento economico, e senza imporre la specific perfomance (esecuzione in forma specifica), onde ciascun soggetto possa scegliere se rispettare o meno la legge mediante compensazione finanziaria»48.

In particolare «un contraente agisce in modo efficiente anche se non rispetta gli obblighi contrattuali, perché ha valutato che i costi del risarcimento dovuti all’eventuale violazione degli

la reintegrazione piena per i casi di cui al comma 1, quella attenuata per i casi previsti dai commi 4 e 7.

46 Il compito fondamentale di questa disciplina, che si situa ai confini tra lo studio del diritto e quello dell’economia, è l’analisi e la risoluzione dei problemi giuridici, attraverso una comparazione tra i diversi gradi d'efficienza economica delle molteplici soluzioni ipotizzabili: una norma risulta tanto più apprezzabile quanto più risulti economicamente efficiente. Lo studio giuseconomico risulta funzionale all’allocazione efficiente delle risorse secondo i modelli matematici elaborati dall’economia c.d. neoclassica.

47 Teoria elaborata da R. A. POSNER, Economic Analysis of Law, Wolters Kluwer, 2007, p.119ss. e 127ss.

48A. PERULLI, Efficient breach, valori del mercato e tutela della stabilità. Il controllo del giudice nei licenziamenti economici in Italia, Francia e Spagna, in RGL, 2012, n.3, p.563

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obblighi contrattuali sono comunque inferiori ai maggiori guadagni ottenibili da un altro contratto»49.

Dunque alla base della teoria vi è un’esigenza prettamente economica: il contraente deve avere a disposizione tutti i dati che gli permettano di prevedere a quali costi andrà incontro sia qualora decida di ottemperare agli obblighi contrattuali, sia qualora decida di interrompere il rapporto. A quel punto la sua scelta dipenderà dall’operazione che in un dato momento risulterà più conveniente.

Adottando quest’impostazione nella materia del licenziamento se ne deduce che l’imprenditore debba poter valutare quale sia la scelta più idonea tra la rottura del contratto e la prosecuzione del rapporto, in base alle variabili rappresentate dall’incremento di produttività derivato dalla specializzazione professionale del lavoratore e dal costo derivato dalla retribuzione da elargirgli.

È facile allora rilevare come, da questo punto di vista, la tutela in forma specifica rappresenti un’eccezione, una deviazione dal sistema giustificabile solo nelle limitate ipotesi in cui risulti più efficiente —id est permetta un’allocazione efficiente delle risorse

49P. ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, in LD, 2003, n.4, p.675 il quale fa riferimento alla definizione fornita da P. LOI, L’analisi economica del

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nel mercato— o sia necessaria per proteggere un diritto assoluto della persona.

Di riflesso la tutela per equivalente monetario assume un ruolo centrale non solo perché permette di agevolare il calcolo dei costi e dei benefici derivanti dalla conclusione di un contratto, ma anche perché svolgerebbe una funzione generale di riequilibrio delle iniquità prodotte dal mercato.

In sostanza dal punto di vista di law and economics, un sistema di norme sarebbe più efficiente laddove le property rules rappresentassero l’eccezione a fronte della regola costituita dalle liability rules.

6. La tutela in forma specifica nel diritto dei contratti e il principio di effettività.

Come è stato giustamente osservato in dottrina la contrapposizione tra property e liability rules «rappresenta l’ipostatizzazione dei sistemi di common law50 e non si adatta ai

50 Dove «il principio che vige è quello opposto alla priorità dell’adempimento in natura: rimedio di stretto diritto è infatti il risarcimento del danno». Così I. PAGNI, Tutela specifica e tutela per equivalente, Giuffrè, Milano, 2004, p.77, la quale però

sottolinea come le Courts possano comunque arrivare «a concedere una tutela specifica (specific performance), ove la conversione della pretesa primaria in risarcimento costituirebbe rimedio inadeguato per l’avente diritto».

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sistemi di civil law che assegnano, invece, priorità all’adempimento in forma specifica»51.

In particolare nel nostro ordinamento sembra essersi definitivamente assestato il principio di priorità logica e giuridica dell’adempimento dell’obbligo rispetto alla tutela risarcitoria52. Importanti indizi in questo senso provengono dal combinato disposto degli art. 1218 e 1453 cod. civ.

Il primo, «ove si concordi nel valorizzare la prima sequenza della fattispecie (“il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta”)»53, il quale, contemplando implicitamente il momento, anteriore all’inadempimento, in cui la prestazione

51 Così L. NOGLER, La nuova disciplina dei licenziamenti ingiustificati alla prova del diritto comparato, in Giorn. dir. lav e relazioni ind., 2012, n.4, p.665. Osservano questa

contrapposizione tra ordinamenti di common e civil law anche V.SPEZIALE, Giusta causa e giustificato motivo dopo la riforma dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, in Working Paper 165/2012 in http://csdle.lex.unict.it, p.17 e A. PERULLI, Efficient breach, cit., p.564.

52 Principio che sembra aver trovato definitivo accoglimento in Cassaz. S.U., 10 gennaio 2006, n.141, in Foro it., 2006, I, 704 nella quale, dopo un efficace excursus storico sull’affermazione del principio priorità dell’esatto adempimento, afferma che: «la sostituzione di un'obbligazione di risarcimento all'azione primitiva […] non è dunque come in diritto romano un fenomeno generale e costante, collegato in modo necessario e per così dire automatico al far valere in giudizio l'obbligazione, bensì un fenomeno affatto speciale e saltuario, condizionato da particolari circostanze di fatto». Il legislatore del novecento avrebbe « così superato "l'anacronistica reminiscenza del diritto romano" (542^, 1^, 13, 1 "... in pecuniam numeratam candamnatur ...") recepita nell'art. 1142 del codice civile francese, secondo cui ogni obbligazione di fare o di non fare si risolve (se resout) nella prestazione di danni e interessi nel caso di inadempimento»

53P. ALBI, Il diritto all’integrità psico-fisica e alla personalità morale del lavoratore, in M. BARBIERI, F. MACARIO, G. TRISORIO LIUZZI, La tutela in forma specifica dei diritti nel

rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano, 2004, p.283 che fa riferimento alle considerazioni

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era ancora possibile, non preclude ma anzi ammette l’individuazione di rimedi volti a garantire l’adempimento. In sostanza, secondo questa lettura, dall’articolo 1218 dovrebbe conseguire che il creditore sia obbligato al risarcimento del danno, in luogo dell’adempimento, «solo quando vi sia la prova dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione»54. Fino a quel momento il debitore è tenuto ad eseguire esattamente la prestazione dovuta.

Per quanto riguarda l’art. 1453 cod. civ.55 è stato osservato come esso «sembra fondare nel nostro ordinamento l’azione di esatto adempimento quale mezzo di protezione contro l’inadempimento delle obbligazioni contrattuali nascenti dai contratti con prestazioni corrispettive»56: in virtù di questa norma la scelta tra rimedio in forma specifica e risarcimento è rimessa al creditore il cui diritto all’adempimento della controparte non sia stato soddisfatto.

La ricostruzione, brevemente riassunta, dell’esistenza nel nostro ordinamento del principio di priorità dell’adempimento,

54I. PAGNI, Tutela specifica e tutela per equivalente, cit., p.20.

55 L’art.1453 c.c. stabilisce: «Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni l’altro può chiedere a sua scelta l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo in ogni caso il risarcimento del danno»

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consente di superare la risalente impostazione ermeneutica57 che operava una bipartizione in punto di tutela, tra situazioni finali (diritti assoluti) e situazioni strumentali (diritti relativi): solo per le prime, strutturate sul modello della proprietà, sarebbe dispensata la tutela in forma specifica mentre per le altre vi sarebbe l’intervento della sola tutela risarcitoria.

A far propendere per questa distinzione, evidentemente restrittiva dell’applicabilità della condanna all’adempimento in natura, hanno contribuito in maniera determinante il dogma della corrispondenza tra condanna ed esecuzione forzata e il noto principio dell’infungibilità degli obblighi di facere.

La corrispondenza tra sentenza ed esecuzione forzata consiste nell’assunto secondo cui si può avere condanna solo con riferimento a situazioni soggettive che potranno poi trovare pratica attuazione nell’azione esecutiva, in quanto «la condanna mira allo specifico e peculiare effetto di costituire il titolo esecutivo»58. Da ciò deriva che limite di fatto all’ammissibilità

57S. SATTA, L’esecuzione forzata, in F. VASSALLI, Trattato di diritto civile, Utet, Torino, 1952, p. 9ss ; 237ss. Per una critica a questa impostazione si veda I. PAGNI, Tutela specifica e tutela per equivalente, cit., p.17 secondo la quale: «Il legislatore processuale

modula ormai le tecniche di tutela in considerazione di esigenze complessive che poco hanno a che fare con la struttura assoluta o relativa delle situazioni soggettive in questione, costringendo il processo a farsi carico alla stessa maniera dei bisogni di tutela che quelle situazioni di volta in volta vengono mostrando».

58Così A. CHIZZINI, Commento all’art.614-bis c.p.c., in G. BALENA, R. CAPONI, A.

CHIZZINI, S. MENCHINI La riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, UTET, Torino, 2010, p. 156, secondo il quale: «Se

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della sentenza sarà la natura del diritto che ne è oggetto, in quanto non eseguibile per via di esecuzione forzata59. Questa ricostruzione è legata a doppio filo col principio di infungibilità degli obblighi di facere, riassumibile nel brocardo nemo ad factum cogi potest, secondo il quale ci sono obblighi che, per loro natura, presentano limiti che li sottraggono alla possibilità di essere suscettibili di esecuzione in forma specifica, e che quindi «impongono ai titolari di situazioni di vantaggio di accontentarsi di risultati equivalenti»60.

Una situazione di questo genere non avrebbe potuto persistere nell’ordinamento molto a lungo. Come è stato efficacemente osservato, con lo sviluppo economico «si è andato sempre più arricchendo il ventaglio di diritti o situazioni da tutelare, a seguito dell’individuazione di nuovi bisogni» e si è avuta una «traslazione dell’epicentro dell’obbligazione, dalla posizione del debitore (nella prospettiva della sua

la funzione del processo di condanna deve individuarsi nella formazione del titolo esecutivo, un limite naturale all’ammissibilità di tale tutela sarà da vedersi nel fatto che il processo stesso non possa dar capo alla costituzione di un titolo esecutivo proprio per la natura del diritto che ne è oggetto». L’opinione è risalente in dottrina, si vedano a titolo esemplificativo: E. BETTI, Diritto processuale civile

italiano, Roma, 1938, p.546; E. T. LIEBMAN, Le opposizioni di merito nel processo

esecutivo, Milano, 1936, p.117; P. CALAMANDREI, La condanna, in P. CALAMANDREI, Opere giuridiche, V, Napoli, 1972, 483ss

59 Per una ricostruzione sintetica dei problemi retrostanti alla correlazione tra condanna ed esecuzione forzata si veda A. PROTO PISANI, Note sulla tutela civile dei diritti, in M. BARBIERI, F. MACARIO, G. TRISORIOLIUZZI, La tutela in forma specifica dei diritti nel rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano, 2004, p.35.

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responsabilità, quale era nel diritto romano) a quella del creditore, incentrata sull’interesse al conseguimento del bene della vita dedotto nel rapporto»61. Viene così ad innescarsi un processo in cui si fa sempre più evidente il favor dell’ordinamento per l’esatto adempimento da parte dell’obbligato inadempiente; per la soddisfazione creditoria in natura e non solo in via di surrogazione monetaria.

Si assiste così, sul piano processuale, al superamento del principio di necessaria correlazione tra condanna ed esecuzione forzata62, nonché ad una più attenta considerazione del principio dell’infungibilità degli obblighi di facere63. Prende sempre più

forza il principio di effettività della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost., inteso non solo come la possibilità di adire un giudice

61A. CHIZZINI, Commento, cit., p.157

62 Sembra essere ormai pacifica, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’ammissibilità e la legittimità di sentenze di condanna ad un facere infungibile e come tali insuscettibili di esecuzione forzata in forma specifica. Si vedano ex multis Cass. 8 aprile 1980, n.3036; Cass. 17 luglio 1992, n.8721;Cass. 13 ottobre 1997, n.9957; Cass. 1 dicembre 15349. Sono dunque ammissibili sentenze di condanna ad un facere infungibile «poiché tale aspetto riguarda l’esecuzione della sentenza e non l’ammissibilità di essa». Così M. PIVETTI, in M. BARBIERI, F. MACARIO, G. TRISORIO

LIUZZI, La tutela in forma specifica dei diritti nel rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano, 2004, p.185, al quale si fa rinvio anche per una disamina della giurisprudenza in materia. Anche nella dottrina processualcivilistica il superamento della correlazione tra condanna ed esecuzione forzata sembra ormai dato acquisito. Per tutti A. PROTO PISANI, Note, cit., p. 35 secondo il quale «la stucchevole polemica

sorta negli anni ’70 circa l’esistenza o no di una correlazione necessaria tra sentenza di condanna ed esecuzione forzata ex terzo libro del c.p.c., sia oggi da considerare superata».

63 Per ulteriori considerazioni sul principio dell’infungibilità degli obblighi di facere si veda infra Cap. II con particolare riferimento all’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro.

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per la tutela dei propri diritti, ma anche come diritto ad una tutela che sia effettiva64; effettività intesa nei termini del noto

principio chiovendiano secondo il quale «il processo deve dare, per quanto è possibile praticamente, a chi ha un diritto, tutto quello e proprio quello che ha il diritto di conseguire»65. Corollario del principio di effettività deve essere la necessaria atipicità delle tutele che il processo può offrire: il giudice deve poter essere in grado di dispensare il rimedio che meglio corrisponde al contenuto della posizione di vantaggio lesa. Inteso in questa accezione l’art. 24 garantisce dunque che alle specifiche situazioni di vantaggio giuridicamente rilevanti, corrispondano forme di tutela adeguate, ossia in grado di assicurare il soddisfacimento del bene della vita ad esse sotteso66.

64 Il principio ad una tutela effettiva viene richiamato dalla Consulta nelle sentenze Corte Cost. 8 settembre 1995, n. 419 e Corte Cost. 15 settembre 1995, n.435 nelle quali viene affermato che gli artt. 24 e 113 della Costituzione: « garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto». Il principio di effettività della tutela rappresenta inoltre il substrato argomentativo della già citata sentenza delle Sezioni Unite del 10 gennaio 2006, n.141, in Foro it., cit.

65 G. CHIOVENDA, Saggi di diritto processuale civile, I, Roma, 1930, p. 110

66 Si vedano in dottrina Principio accolto dalla Corte di Cassazione. Si vedano a proposito: Cass. S. U. 5 luglio 2004 n. 12270; Cass., 18 giugno 2012, n. 9965 la quale segue l’impostazione e fa esplicito riferimento a Cass., S.U., 10 gennaio 2006, n.141, cit. In particolare nella motivazione di quest’ultima sentenza si osserva che: «oggi l'obbligazione di ricostruire la situazione di fatto anteriore alla lesione del credito rendendo così possibile l'esatta soddisfazione del creditore, non tenuto ad accontentarsi dell'equivalente pecuniario, costituisce la traduzione nel diritto sostanziale del principio, affermato già dalla dottrina processuale degli anni trenta

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Questo iter argomentativo sembra essere stato confermato dalla recente previsione nel nostro ordinamento di misure coercitive indirette volte all’attuazione degli obblighi di fare infungibili. Con la legge 18 giugno 2009, n.69 è stato infatti introdotto l’art.614-bis c.p.c., vero e proprio «tassello mancante» per il completamento del sistema di tutela esecutiva previsto dal libro terzo del c.p.c.67, che permette al giudice di stabilire una somma di denaro che il soccombente dovrà versare alla parte vincente per ogni ritardo nell’adempimento (o per ogni violazione) dell’obbligo statuito con sentenza68.

A ciò si aggiunga che sul piano sostanziale sono progressivamente aumentate le ipotesi in cui il legislatore ha previsto esplicitamente il ricorso alla tutela in forma specifica: basti pensare alle direttive comunitarie in materia di tutela degli interessi dei consumatori, le quali prevedono rimedi di

e poi ricondotto all'art. 24 Cost., (Corte Cost. 24 giugno 1994 n. 253, 10 novembre 1995 n. 483), secondo cui il processo (ma potrebbe dirsi: il diritto oggettivo, in caso di violazione) deve dare alla parte lesa tutto quello e proprio quello che le è riconosciuto dalla norma sostanziale».

67F. P. LUISO, Diritto processuale civile, vol.III, Il processo esecutivo, Giuffrè, Milano, 2011, p. 233

68 La previsione di misure di coercizione indiretta per gli obblighi di fare infungibili consente, a mio avviso, di superare definitivamente il dogma di necessaria corrispondenza tra sentenza e tutela esecutiva. Come visto tale dogma prendeva le mosse dalla inidoneità degli strumenti di coercizione diretta a garantire l’adempimento di obblighi di non fare o di fare infungibili. Resta però aperto il problema relativo all’esclusione dall’applicabilità di misure coercitive indirette, testualmente prevista dall’art. 614-bis, delle «controversie di lavoro subordinato pubblico e privato» e «dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409». Sul punto si rimanda infra al Cap.II

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tipo inibitorio e l’espressa previsione del rimedio in forma specifica69. Al consumatore è infatti espressamente riconosciuto il diritto di chiedere l’esatto adempimento e solo all’esito dell’infruttuosa o impossibile o tardiva esecuzione delle prestazioni di sostituzione o riparazione gli è consentito pretendere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. Anche i Principles of European Contract Law optano apertamente per un assetto di tutele che adotti come soluzione privilegiata l’adempimento in forma specifica: all’art. 9:102, rivolto a disciplinare l’inadempimento di obbligazioni non pecuniarie, si prevede che il creditore insoddisfatto abbia «diritto all’adempimento in natura nonché alla correzione dell’adempimento inesatto»70.

69Fanno riferimento alle direttive in materia di tutela del consumatore come prova dell’ormai consolidato favor del legislatore per l’esatto adempimento in luogo della tutela per equivalente: P. ALBI, Il diritto all’integrità, cit., p.690; S. MAZZAMUTO, La prospettiva civilistica, in M. BARBIERI, F. MACARIO, G. TRISORIO LIUZZI, La tutela in

forma specifica dei diritti nel rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano, 2004, p.25, il quale, in

virtù di tali considerazioni e ad onta di un precedente primato della tutela risarcitoria, afferma: «Oggi [...] il primato è delle tutele in forma specifica».

70 Fanno riferimento a tali principi come indizi a conferma dell’esistenza del principio di priorità dell’adempimento S. MAZZAMUTO, La prospettiva civilistica,

cit., p.25; P. ALBI, Il diritto all’integrità, cit., p.691. I Principles of European Contract Law, elaborati da una commissione composta da personalità accademiche

provenienti da tutta Europa e presieduta dal prof. Ole Lando, si propongono lo scopo di tracciare le linee essenziali di una disciplina comune dei contratti che sia funzionale alla zona di libero scambio inaugurata nel Vecchio Continente con l' esperienza della Comunità Europea. I PECL, pur non costituendo vere e proprie fonti del diritto, rappresentano senza dubbio un’autorevole sintesi dei “punti di contatto” tra le norme e i principi vigenti nei singoli paesi europei.

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Bisogna considerare inoltre che anche nel rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione si è assistito ad un epocale cambiamento segnato dalla codificazione del principio della tutelabilità in forma specifica degli interessi legittimi non solo oppositivi ma anche di quelli pretensivi, la cui lesione conduceva in precedenza al solo indennizzo monetario. Questo percorso, volto alla ricerca di una tutela quanto più possibile effettiva, sembra aver ottenuto conferma definitiva nella recente riforma del processo amministrativo: «la giurisdizione […] assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo»71.

I tempi sembrerebbero essere maturi, dunque, per stabilire in via definitiva che nel nostro ordinamento vige il principio di priorità dell’adempimento, il cui contenuto è riassumibile nella considerazione che il rapporto tra tutela in forma specifica e tutela per equivalente debba essere un rapporto di regola-eccezione. Questo dovrebbe significare, come acutamente osservato, che nell’ordinamento si dovrà «predisporre a livello

71Art.1, d.lgs. 2 luglio 2010, n.104. Fa riferimento alla riforma del processo amministrativo come rilevante indizio della ormai acquisita rilevanza nel nostro ordinamento del principio di effettività della tutela e di quello della priorità dell’adempimento G. CANNATI, Bisogni, rimedi e tecniche di tutela del prestatore di lavoro, in Giorn. dir. lav e relazioni ind., 2012, n.1, p.131.

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