1
Capitolo 2
Aspetti regolamentari: il trattamento prudenziale dei rischi di
mercato
2.1 Il rischio di mercato tra Basilea 1 e Basilea 2
Sebbene l’Accordo di Basilea del 19881
fosse finalizzato alla valutazione del patrimonio in relazione al rischio di credito, in esso si affermava che il Comitato riconosceva che, quanto prima, lo schema di misurazione dell’adeguatezza patrimoniale avrebbe dovuto essere ampliato al fine di tener conto del rischio di mercato. Di conseguenza, lo svilup-po dell’attività di negoziazione da parte di numerose grandi banche e la crescente volati-lità dei mercati finanziari indussero il Comitato ad estendere i requisiti patrimoniali an-che ai rischi di mercato. In particolare, il Comitato di Basilea formulò alcune proposte, che vennero presentate nell’aprile del 1993 e riviste due anni dopo; a conclusione di tale processo di consultazione, il Comitato approvò un emendamento all’Accordo del 1988, pubblicato nel gennaio 1996 (il Market Risk Amendment).
Il documento di consultazione del 19932 introduceva una metodologia standardizzata che consentiva di calcolare il requisito patrimoniale complessivo sulla base del cosid-detto “approccio a blocchi” (building-block approach), secondo il quale il requisito complessivo viene ottenuto come somma dei requisiti di capitale a fronte dei seguenti rischi: rischio di posizione su titoli di debito e di capitale, che viene, a sua volta, suddi-viso in rischio generico (ossia il rischio di perdite causate da un generalizzato andamen-to sfavorevole dei fatandamen-tori di mercaandamen-to) e rischio specifico (ossia il rischio di perdita su specifici titoli, causato da un andamento sfavorevole di fattori propri di un singolo emit-tente), rischio di cambio e rischio di posizione su merci. Tale approccio standard risul-tava tuttavia eccessivamente rigido e semplicistico per le banche di maggiori dimensio-ni, in grado di sviluppare e calibrare modelli di misura del rischio più sofisticati.
Alla luce di ciò, il Market Risk Amendment del 19963 consentiva l’utilizzo di modelli interni per il calcolo del requisito patrimoniale, a patto che venissero rispettati alcuni
1
Basel Committee on Banking Supervision, “International Convergence of Capital Measurements and
Capital Standards”, Bank for International Settlement, July 1988.
2 Basel Committee on Banking Supervision, “ Supervisory Treatment of Market Risk”, Bank for Interna-tional Settlement, April 1993.
3 Basel Committee on Banking Supervision, “Amendment to the capital accord to incorporate market
2
requisiti minimi di natura qualitativa e quantitativa. In particolare, il Comitato prevede-va che il requisito di capitale giornaliero, determinato utilizzando un modello VaR con intervallo di confidenza del 99% e holding period di almeno dieci giorni lavorativi, do-vesse essere determinato in base al maggiore tra:
1) la misura del VaR relativa al giorno precedente;
2) la media delle misure del VaR giornaliero nei 60 giorni operativi precedenti, moltiplicata per un fattore di sicurezza, fissato dall’autorità di vigilanza naziona- le, che non può in nessun caso essere inferiore a 3.
Più precisamente, il fattore di sicurezza varia da 3 a 4 in funzione della qualità del mo-dello interno, qualità che viene misurata attraverso test retrospettivi, che mettono a con-fronto il VaR, calcolato dal modello interno, con la variazione giornaliera del portafo-glio4.
In Basilea 25, il Comitato, sostanzialmente, non fa altro che riprendere la disciplina del ’93 e del ’96, senza aggiungere nulla di nuovo.
Al fine di recepire le proposte presentate dal Comitato di Basilea, l’Unione Europea in-tervenne con due direttive (93/6/CEE, nota come CAD I, o Capital Adequacy Directive I e 98/31/CEE, nota come CAD II), successivamente emendate dalle direttive 2006/48 e 2006/496, le quali recepiscono lo schema prudenziale di Basilea 2. Le direttive dell’Unione Europea non differiscono molto dai documenti del Comitato; tuttavia, le prime prevedono, accanto ai requisiti sui rischi di mercato, requisiti patrimoniali anche sul rischio di concentrazione e sul rischio di regolamento.
In Italia, tali direttive sono state recepite dalla Banca d’Italia con la Circolare n. 263 del dicembre 2006, normativa entrata in vigore l’1 gennaio 2008.
4
Per ulteriori approfondimenti si veda Basel Committee on Banking Supervision “Supervisory
Frame-work for the usu of backtesting in conjunction with the internal models approach to market risk capital requirements”, Bank for International Settlement, January 1996.
5
Basel Committee on Banking Supervision, “Basel II: International Convergence of Capital Measurement
and Capital Standards. A Revisited Framework-Comprehensive Version”, Bank for International
Settle-ment, June 2006. 6
La direttiva 2006/48 insieme alla direttiva 2006/49 vengono a volte definite “CAD III”, per sottolineare che rappresentano una terza importante ondata normativa in materia di requisiti patrimoniali. In alter-nativa, esse sono note anche come CRD I (Capital Requirements Directive I).
3
2.2 Cartolarizzazioni, CDO e misurazione dei rischi di mercato
duran-te la crisi finanziaria del 2007
Prima che la crisi finanziaria si manifestasse, numerose banche internazionali, per sfrut-tare appieno l’elevata liquidità che il mercato offriva, avevano perseguito obiettivi di redditività sfruttando al massimo quella che è la propria dotazione patrimoniale. Non si era trattato di un semplice incremento della leva finanziaria quanto di un’espansione dell’offerta del credito, realizzata cedendo attivi preesistenti mediante operazioni di se-curitization. In sé per sé, questo processo di trasformazione di attivi illiquidi (tipicamen-te prestiti) in attività liquide, sotto forma di titoli negoziabili (asset backed securities, ABS), può essere considerato virtuoso e capace di condurre ad una migliore allocazione dei rischi nell’ambito del sistema finanziario.
Tuttavia, quando per le banche la cessione dei prestiti divenne la prassi (ci sono stati momenti in cui la quota di crediti ceduti raggiungeva anche l’80%-90% degli impieghi erogati7), ecco che sorsero i primi problemi. La situazione si aggravò ulteriormente per-ché le banche non si limitavano a cedere crediti al mercato, ma investivano in prodotti strutturati di credito risultanti da operazioni di securitization (quali i collateralized debt obligations, CDO), i quali venivano inseriti nel portafoglio di negoziazione per benefi-ciare di un arbitraggio regolamentare in base al quale gli intermediari collocavano le at-tività di natura creditizia nel trading book anziché nel banking book, per il minor assor-bimento di patrimonio regolamentare che tale scelta consentiva.
I prestiti ceduti dalle banche venivano, dunque, posti a garanzia di emissioni di titoli che divenivano oggetto di investimento da parte di altre istituzioni finanziarie (o della stessa banca originator, desiderosa di rassicurare il mercato in merito alla qualità degli attivi ceduti). Inoltre, i processi di securitization si erano a loro volta caratterizzati per un ele-vato grado di leva finanziaria, nel senso che le medesime attività sottostanti (prestiti, mutui, ecc.) erano state oggetto di più operazioni di cartolarizzazione (secondo un mec-canismo di ricartolarizzazione o re-securitization). Questo mecmec-canismo aveva accresciu-to la distanza fra originaaccresciu-tor e investiaccresciu-tore finale ed aveva aumentaaccresciu-to l’opacità degli atti-vi, facilitando la trasmissione delle perdite anche a portafogli finanziari apparentemente lontani dagli attivi su cui si erano registrate le insolvenze.
7 A. Resti, A. Sironi, “La crisi finanziaria e Basiela 3: origini, finalità e struttura del nuovo quadro
4
La riflessione dei supervisors sulla performance dei sistemi di misurazione dei rischi, nella crisi deflagrata nell’estate 2007, era iniziata con tempestività. Già nel marzo 2008, ben prima che tutti gli effetti della crisi fossero emersi, venne presentato un importante lavoro di valutazione delle risk management practises da parte del Senior Supervisors Group (SSG), che raccoglie banche centrali e authorities di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Svizzera. Le osservazioni riportate nel documento8 si soffermano soprattutto sui prodotti strutturati di credito (CDO) inseriti nei trading book degli inter-mediari, prodotti assurti quasi a emblema della crisi finanziaria. In particolare, il SSG individua due carenze nel processo di misurazione dei rischi di questi prodotti attraverso modelli del tipo VaR o anche attraverso stress testing:
1) le tranche supersenior dei CDO, per le quali non erano disponibili serie storiche, erano spesso “mappate” sull’andamento di bond corporate aventi meriti di credi-to molcredi-to elevati (da AA), caratterizzati da volatilità molcredi-to basse. Da quescredi-to erro-re iniziale sono derivate molte conseguenze nella stima dei rischi dei prodotti in esame;
2) una scarsa diffusione delle conoscenze necessarie per la valutazione di prodotti come i CDO.
Gli effetti derivanti dall’errata identificazione dei fattori di rischio rilevanti e dalla scar-sa conscar-sapevolezza dei meccanismi di funzionamento del pricing di questi prodotti si so-no amplificati a dismisura con l’emergere della crisi subprime. Come riportato nelle os-servazione del SSG, molti intermediari, a quel punto, non conoscevano la loro esposi-zione al fenomeno e soprattutto realizzarono solo lentamente quale era il livello di ri-schio a cui erano esposti. Le incertezze sulla qualità dei prodotti hanno portato al blocco del mercato secondario dove i prodotti legati in qualche modo alle cartolarizzazioni non erano più scambiati se non a prezzi scontatissimi rispetto ai valori nominali. La man-canza di informazioni sulla reale esposizione di ciascuna banca a questi prodotti ha poi determinato un irrigidimento del mercato interbancario, dove gli intermediari troppo sbilanciati sulla parte a breve si sono trovati nell’impossibilità di far fronte ai propri im-pegni, innescando una catena di fallimenti e interventi di salvataggio da parte di banche centrali e governi.
Stante la situazione descritta, numerose banche hanno subito, durante la crisi, perdite ri-levanti sulle attività finanziarie inserite nel portafoglio di negoziazione (trading book).
8 Senior Supervisors Group, “Observation on risk management practices during the recent market
5
Queste perdite, dovute tra l’altro all’improvviso crollo della liquidità del mercato su cui venivano scambiati i titoli oppure a eventi inattesi di default o di migrazione a una clas-se di rating inferiore, sono emerclas-se in tutta la loro crudezza dato che le attività del trading book dovevano essere riportate in bilancio al “fair value”, risentendo quindi ine-vitabilmente del crollo dei mercati.
Con la crisi è risultato evidente come i requisiti patrimoniali sui rischi di mercato, calco-lati secondo le regole di Basilea 2, siano risultati pesantemente insufficienti ad assorbire queste perdite; ciò è valso in modo particolare per gli intermediari che ai fini di vigilan-za si avvalevano di modelli interni e non della metodologia standardizvigilan-zata per calcolare il requisito patrimoniale. Da qui le critiche mosse ai modelli VaR (uso di serie storiche recenti; non rispetto dell’assioma di subadditività; ipotesi di normalità delle distribuzio-ni; modesta considerazione della liquidità), critiche peraltro non nuove9 e talvolta non pienamente condivisibili. Campell10, infatti, mostra come i sistemi di controllo del ri-schio basati su misure VaR, dove ben impostati, soprattutto riguardo al rispetto dei cri-teri di eleggibilità degli strumenti da inserire nei portafogli di trading e affiancati da a-zioni protettive del management, si siano dimostrati efficaci anche durante la crisi. Ap-pare, dunque, pienamente condivisibile l’opinione di Sironi, secondo il quale prima di attribuire al VaR la causa delle ingenti perdite subite dai portafogli di trading di molte banche, è bene chiedersi fino a che punto questi modelli hanno mancato di segnalare l’aumento improvviso del rischio e quanto invece il management, che su di essi faceva affidamento, si è semplicemente limitato ad attribuire all’aumento delle misure di ri-schio una natura congiunturale e temporanea cui dare scarso rilievo nelle politiche di corretta gestione delle posizioni11.
In sintesi, i problemi che sono emersi durante la crisi nella misurazione dei rischi di mercato sono riconducibili a due fattori12:
9 A tal proposito si veda: P. Artzner e al. “Coherent measurement of risk”, in Mathematical Finance 1999, Vol. 9, No. 3, pagg. 203-228; J. Danielsson e al. “Incentives for effective risk management”, in Journal of Banking & Finance 2002, Vol. 26, No. 7, pagg. 1407-1425; R. T. Rockafeller, S. Uryasev, “Conditional
val-ue-at-risk for general loss distributions”, in Journal of Banking & Finance 2002, Vol. 26, pagg. 1443-1471;
A. Resti, A. Sironi, “Rischio e valore nelle banche”, Egea, Milano, 2008. 10
A. Campell, “The risk of value-at-risk”, working paper, Risk, 2009. 11
A. Sironi, “The Basel Committee proposals for capital adequacy reform: a critical analysis”, working paper, Carefin 16/2010, Università Bocconi di Milano.
12
A. Resti, A. Sironi, “La crisi finanziaria e Basiela 3: origini, finalità e struttura del nuovo quadro
6
la scarsa “memoria” dei modelli VaR, i cui parametri vengono costantemente aggiornati nel tempo per tenere conto delle condizioni correnti e, dunque, risul-tano sì maggiormente reattivi a fronte di mutamenti nel contesto di mercato, ma anche più svelti nel dimenticare i gravi episodi di crisi verificatisi in passato. In particolare, negli anni antecedenti la crisi, la presenza di mercati ampi, ordinati e liquidi aveva indotto le banche a calibrare i propri modelli in maniera relativa-mente ottimistica, non consentendo loro di anticipare correttarelativa-mente la forte in-stabilità e illiquidità manifestatesi all’improvviso durante le fasi più concitate della crisi; ciò ha fatto sì che al peggiorare delle condizioni di mercato anche i requisiti patrimoniali dettati dai modelli siano risultati marcatamente volatili e abbiano chiesto alle banche un consistente aumento di risorse patrimoniali (in una fase in cui il capitale veniva peraltro eroso da forti perdite);
il fatto che strumenti finanziari il cui principale rischio è quello di credito (e cioè il default di crediti cartolarizzati) fossero stati inseriti nel portafoglio di trading al fine di beneficiare di un arbitraggio regolamentare legato al fatto che le stesse esposizioni, se classificate nel banking book, avrebbero dato origine ad un requi-sito patrimoniale ben più consistente; ciò è stato vero, in particolare, per le ban-che dotate di un modello per i rischi di mercato validato dalle autorità, ban-che hanno artificialmente spostato esposizioni creditizie dal banking book al trading book per beneficiare del minore requisito di capitale dovuto su quest’ultimo.
2.2.1 La risposta del Comitato di Basilea alla crisi finanziaria del 2007
La gravità delle perdite subite durante la crisi da numerose banche attive su scala inter-nazionale sulle posizioni del trading book, ha spinto il Comitato di Basilea a rivedere e rafforzare la risk coverage del framework relativo al trattamento prudenziale dei rischi di mercato previsto da Basilea 2.
Le principali innovazioni regolamentari, che vanno a comporre la nuova disciplina dei requisiti di capitale sui rischi di mercato, sono state rilasciate dal Comitato di Basilea già nel luglio 200913; alcune specificazioni sono state poi aggiunte nel giugno 2010 e recepite nell’ultima versione del documento, pubblicata nel febbraio 201114
. Dato che
13
Basel Committee on Banking Supervision, “Enhancements to the Basel II framework”, Bank for Inter-national Settlement, July 2009; Basel Committee on Banking Supervision “Revision to the Basel II market
risk framework”, Bank for International Settlement, July 2009.
14 Basel Committee on Banking Supervision, “Revision to the Basel II market risk framework. Updated as
7
tali novità si collocano a metà strada fra Basilea 2 e Basilea 3, si è soliti riferirsi alle mi-sure rilasciate a luglio 2009 parlando di “Basilea 2.5”.
In Europa, il nuovo framework è stato recepito con la Direttiva 2010/76/EU del 24 no-vembre 2010, nota come Capital Requiriments Directive III (CRD III). In Italia, la CRD III è stata recepita dalla Banca d’Italia con il X aggiornamento del 21 dicembre 2011 al-la Circoal-lare n. 263 del dicembre 2006. La normativa è entrata in vigore l’1 gennaio 201215.
Venendo alle modifiche regolamentari introdotte nella disciplina dei rischi di mercato, che riguardano prevalentemente l’approccio dei modelli interni, ossia i requisiti per le banche che hanno un modello interno per la misurazione dei rischi di mercato validato dall’autorità di vigilanza, appare evidente come esse tendano ad incrementare i requisiti patrimoniali a fronte delle esposizioni collegate al portafoglio di negoziazione o a carto-larizzazioni complesse, che sono state fonti di ingenti perdite per molti intermediari du-rante la crisi.
Schematizzando i contenuti della riforma, occorre innanzitutto distinguere le modifiche all’approccio standard da quelle ai modelli interni.
2.2.1.1 Le modifiche all’approccio standard
Il documento finale16, pubblicato dal Comitato di Basilea nel febbraio 2011, prevede tre modifiche per le banche che adottano l’approccio standard.
1) Innanzitutto, viene aggiunta la definizione di “portafoglio di negoziazione di correlazione” (Correlation Trading Portfolio). Quest’ultimo viene definito come un sotto-portafoglio del portafoglio di negoziazione ai fini di vigilanza, compo-sto da posizioni verso cartolarizzazioni e in derivati nth-to-default che soddisfa-no i seguenti criteri:
i sottostanti sono prodotti single name scambiati in un mercato liquido sia nella domanda che nell’offerta;
non sono ricartolarizzazioni o opzioni su tranche di cartolarizzazioni né qualunque altro derivato avente come sottostante esposizioni verso
15
Come si dirà tra breve, il 17 dicembre 2013 Banca d’Italia ha emanato la Circolare n. 285, entrata in vigore l’1 gennaio 2014, al fine di rendere operative anche in Italia le novità regolamentari previste dal nuovo assetto normativo di Basilea 3.
16 Basel Committee on Banking Supervision, “Revision to the Basel II market risk framework. Updated as
8
larizzazioni il cui pay-off non sia proporzionale ai pagamenti della tranche sottostante.
Il requisito patrimoniale per il rischio specifico relativo al “portafoglio di nego-ziazione di correlazione” è pari al maggiore tra i seguenti due valori:
8% delle posizioni ponderate nette lunghe appartenenti al portafoglio di negoziazione di correlazione;
8% delle posizioni ponderate nette corte appartenenti al portafoglio di negoziazione di correlazione.
2) Per le cartolarizzazioni e per le ricartolarizzazioni non presenti nel Correlation Trading Portfolio, il calcolo del requisito patrimoniale per il rischio specifico viene effettuato secondo il framework delle cartolarizzazioni del banking book, con nuove griglie di ponderazioni particolarmente severe nel caso di esposizioni connesse a operazioni di ricartolarizzazione (ad esempio, CDO) per meglio ri-flettere il rischio insito in questi prodotti. Entrando più nel dettaglio, vengono in-trodotti due nuovi requisiti relativi al rischio specifico delle esposizioni connesse a operazioni di securitization e re-securitization, collegati al rating: uno relativo all’approccio standard e l’altro relativo all’approccio basato sui rating interni (come indicato nelle Tabelle 1 e 2). Si noti che per le tranche con rating molto bassi o prive di rating è prevista la deduzione diretta dal capitale.
Tabella 1: Nuovo requisito relativo al rischio specifico nell’approccio standard.
9
Tabella 2: Nuovo requisito relativo al rischio specifico nell’approccio basato sui rating interni.
Fonte: BCBS, “Revision to the Basel II market risk framework”, July 2009.
3) Infine, il requisito patrimoniale relativo al rischio specifico delle posizioni azio- narie (equity) sarà sempre pari all’8% e non verrà più ridotto al 4 % nel caso di posizioni in portafogli liquidi e ben diversificati,come invece era previsto nella normativa precedente.
2.2.1.2 Le modifiche all’approccio dei modelli interni
Le novità regolamentari previste da “Basilea 2.5” riguardano, come si è già detto, so-prattutto l’approccio dei modelli interni. In particolare, là dove l’intermediario ricorre agli internal model ai fini della compliance di vigilanza, esso dovrà tenere conto fon-damentalmente di tre novità:
10
1) Stressed VaR (SVaR): un requisito patrimoniale aggiuntivo basato sul valore a ri-schio in condizioni di stress acuto, calcolato considerando un periodo ininterrot-to di un anno di tensioni finanziarie rilevanti;
2) Incremental Risk Charge (IRC): un requisito addizionale per il rischio specifico delle posizioni presenti nel trading book, da applicare alle banche con modello interno validato per il calcolo del rischio specifico;
3) All Price Risk (APR) o Comprehensive Risk Measurement (CRM) : un requisito incrementale per le posizioni detenute nel “correlation trading portafolio”. Queste misure mirano ad eliminare l’incentivo alle operazioni di arbitraggio regolamen-tare fra banking book e trading book e ad imporre una dotazione patrimoniale che tenga opportunamente conto del rischio di liquidità delle posizioni, specie di quelle caratteriz-zate da una rischiosità creditizia. In altre parole, l’intento delle nuove misure è quello di rimuovere i fattori che più di altri hanno manifestato la propria valenza negativa durante il recente financial turmoil.
2.3 I rischi di mercato nel nuovo framework previsto dalla Circolare
Banca d’Italia n. 285/2013
La primavera 2013 ha visto la progressiva realizzazione di uno dei più attesi progetti comunitari di riforma delle regole dirette a rafforzare i requisiti patrimoniali e la vigi-lanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento dell’Unione Euro-pea. Il nuovo pacchetto normativo, noto come “CRD IV Package”, è costituito da due provvedimenti, che sono stati pubblicati il 27 giugno 2013 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea:
la Direttiva 2013/36/UE (Capital Requirements Directive 4 - CRD 4), che do-vrà essere recepita nei singoli ordinamenti nazionali e che contiene disposizioni in materia di: autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, libertà di stabi-limento e libera prestazione dei servizi, cooperazione fra autorità di vigilanza, processo di controllo prudenziale, metodologie per la determinazione delle ri-serve di capitale (buffer), disciplina delle sanzioni amministrative, regole su go-verno societario e remunerazioni;
il Regolamento (UE) n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation – CRR), che avendo diretta efficacia non richiede il recepimento da parte degli Stati membri e che definisce le norme in materia di fondi propri, requisiti
patrimonia-11
li minimi, rischio di liquidità, leva finanziaria (leverage), informativa al pubbli-co.
La Direttiva ed il Regolamento recepiscono gli accordi di Basilea 3 del Comitato di Ba-silea per la vigilanza bancaria, che sono stati avallati dai paesi del G20 riunitisi nell’ottobre 201017, e abrogano le precedenti Direttive in materia (2006/48/CE e 2006/49/CE).
Per quanto concerne la nuova disciplina dei requisiti di capitale sui rischi di mercato prevista dal Regolamento n. 575/2013, questa ricalca, in linea di principio, lo schema prudenziale previsto da Basilea 2, inglobando le novità regolamentari adottate dal Co-mitato nel luglio 2009 (Basilea 2.5). Anche la nuova disciplina, dunque, riconosce agli intermediari finanziari la possibilità di adottare una metodologia standardizzata o un ap-proccio basato su modelli interni per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte delle posizioni detenute nel trading book.
Tuttavia, una differenza sostanziale rispetto al passato è il fatto che la nuova disciplina prevede che la copertura dei rischi di mercato avvenga attraverso “fondi propri”, definiti dal Regolamento come “la somma del capitale di classe 1 e del capitale di classe 2”. Al pari di tutti gli altri rischi, dunque, anche i rischi di mercato possono essere coperti so-lamente da capitale di classe 1 (Tier 1) e da capitale di classe 2 (Tier 2) e non più anche da capitale di classe 3 (Tier 3) come era invece previsto dalla normativa precedente18.
2.3.1 L’approccio standard
La normativa identifica e disciplina il trattamento dei seguenti rischi: rischio di posizio-ne e rischio di concentrazioposizio-ne, con riferimento al portafoglio di posizio-negoziazioposizio-ne ai fini di vigilanza19, rischio di regolamento, rischio di cambio e rischio di posizione su merci, con riferimento all’intero bilancio della banca.
La metodologia standardizzata permette di calcolare il requisito patrimoniale comples-sivo sulla base del cosiddetto “approccio a blocchi” (building-block approach), secondo il quale il requisito complessivo viene ottenuto come somma dei requisiti di capitale a
17
Basel Committee on Banking Supervision, “The Basel Committee’s response to the financial crisis:
re-port to the G20”, Bank for International Settlement, October 2010.
18
In Basilea 3, il capitale di classe 3 (Tier 3), che secondo la disciplina precedente era costituito da passi-vità subordinate da utilizzare esclusivamente a copertura dei rischi di mercato, viene di fatto eliminato. 19
“Il portafoglio di negoziazione ai fini di vigilanza è l’insieme delle posizioni in strumenti finanziari e su merci detenute da un ente per la negoziazione o per la copertura del rischio inerente a posizioni detenu-te ai fini di negoziazione” (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio).
12
fronte dei rischi precedentemente indicati. Nel prosieguo vengono presentati, in maniera sintetica, i requisiti patrimoniali che la normativa richiede per ciascun rischio suddetto.
2.3.1.1 Requisiti in materia di fondi propri per il rischio di posizione
“Il rischio di posizione esprime il rischio che deriva dall’oscillazione del prezzo dei va-lori mobiliari per fattori attinenti all’andamento dei mercati ed alla situazione della so-cietà emittente” (Banca d’Italia, Circolare n. 285, dicembre 2013).
Dalla definizione si intuisce chiaramente che il rischio di posizione comprende due di-stinti elementi:
a) il rischio generico, che si riferisce al rischio di perdite causate da un andamento sfavorevole dei prezzi della generalità degli strumenti finanziari negoziati; b) il rischio specifico, che consiste nel rischio di perdite causate da una sfavorevole
variazione del prezzo degli strumenti finanziari negoziati dovuta a fattori con-nessi con la situazione dell’emittente.
L’intermediario è chiamato a calcolare separatamente il requisito in materia di fondi propri per il rischio generico e per il rischio specifico.
Il rischio di posizione e i correlati requisiti patrimoniali sono determinati distintamente per: gli strumenti di debito, gli strumenti di capitale ed i certificati di partecipazione a organismi di investimento collettivo (OIC).
Rischio di posizione su strumenti di debito
Ai fini del calcolo dei requisiti in materia di fondi propri per il rischio generico su stru-menti di debito, le banche possono utilizzare due distinte metodologie20:
Metodo basato sulla scadenza: il requisito patrimoniale è determinato sulla base di un sistema di misurazione del rischio di tasso d’interesse che prevede il calco-lo della posizione netta relativa a ciascuna emissione e la successiva distribuzio-ne in fasce temporali di vita residua;
Metodo della duration: il requisito patrimoniale è determinato in base all’utilizzo della duration modificata quale mezzo per cogliere le ponderazioni prudenziali tarate sulla base di shock di tasso, definiti dall’autorità di vigilanza per scadenze.
20
Per ulteriori approfondimenti si veda il “Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del
13
Il requisito per il rischio specifico è differenziato in base alla tipologia di posizioni in strumenti di debito:
strumenti di debito non inerenti a cartolarizzazioni; strumenti inerenti a cartolarizzazioni;
strumenti appartenenti al portafoglio di negoziazione di correlazione.
Per quanto riguarda il requisito in materia di fondi propri per strumenti di debito non i-nerenti a cartolarizzazioni, la banca imputa le sue posizioni nette in ciascuno strumento (somma delle posizioni a debito e a credito) alle categorie appropriate della tabella 3, in funzione dell’emittente o dell’obbligato, della valutazione interna o esterna del merito di credito e della durata residua, e quindi le moltiplica per le ponderazioni indicate in tale tabella.
Tabella 3
Fonte: “Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio”.
Per gli strumenti rappresentanti posizioni verso la cartolarizzazione all’interno del por-tafoglio di negoziazione, la banca deve ponderare come segue le sue posizioni nette:
per le posizioni verso la cartolarizzazione che sarebbero soggette al metodo standardizzato per il rischio di credito all’esterno del portafoglio di negoziazione della stessa banca, l’8% della ponderazione del rischio risultante dall’applicazione del metodo standardizzato;
14
per le posizioni verso la cartolarizzazione che sarebbero soggette al metodo ba-sato sui rating interni all’esterno del portafoglio di negoziazione della stessa banca, l’8% della ponderazione del rischio risultante dall’applicazione del meto-do basato sui rating interni.
Infine, per gli strumenti appartenenti al portafoglio di negoziazione di correlazione, il requisito in materia di fondi propri a fronte del rischio specifico è pari al maggiore dei seguenti importi:
il requisito totale in materia di fondi propri per il rischio specifico che si applica solo alle posizioni lunghe nette del portafoglio di negoziazione di correlazione; il requisito totale in materia di fondi propri per il rischio specifico che si applica
solo alle posizioni corte nette del portafoglio di negoziazione di correlazione.
Rischio di posizione su strumenti di capitale
Il requisito patrimoniale per il rischio di posizione su titoli di capitale è dato dalla som-ma di due requisiti:
il requisito in materia di fondi propri per il rischio generico è pari alla posizione netta generale della banca moltiplicata per il coefficiente dell’8%;
il requisito in materia di fondi propri per il rischio specifico è pari alla posizione lorda generale della banca moltiplicata per il coefficiente dell’8%.
La posizione generale lorda è data dalla somma, in valore assoluto, delle posizioni nette lunghe e delle posizioni nette corte. La posizione generale netta è data dalla differenza, in valore assoluto, fra le posizioni nette lunghe e le posizioni nette corte, calcolate “mercato per mercato”, cioè distintamente per ciascun Paese nel quale risultano nego-ziati i singoli titoli detenuti dalle banche.
Requisiti in materia di fondi propri per gli OIC
Le posizioni in quote di OIC sono soggette ad un requisito in materia di fondi propri per il rischio di posizione, sia specifico che generico, del 32%.
Se la banca è al corrente degli investimenti sottostanti dell’OIC su base giornaliera, può prendere direttamente in considerazione tali investimenti sottostanti per calcolare i re-quisiti in materia di fondi propri per il rischio di posizione sia generico che specifico. Se, invece, la banca non è al corrente degli investimenti sottostanti dell’OIC su base
15
giornaliera, può calcolare i requisiti in materia di fondi propri per il rischio di posizione, sia generico che specifico, ipotizzando che l’OIC investa in primo luogo nelle classi di attività soggette al requisito in materia di fondi propri più elevato per il rischio di posi-zione e continui successivamente ad investire in ordine discendente finché non sia rag-giunto il limite massimo complessivo per gli investimenti (metodi specifici). In tal caso, il requisito ottenuto non può comunque superare il 32% del valore corrente delle quote medesime.
2.3.1.2 Requisiti in materia di fondi propri per il rischio di cambio
Il rischio di cambio rappresenta il rischio di subire perdite per effetto di avverse varia-zioni dei corsi delle valute estere su tutte le posivaria-zioni detenute dalla banca.
Il requisito in materia di fondi propri per il rischio di cambio è pari alla somma della “posizione netta aperta in cambi e in oro” moltiplicata per il coefficiente dell’8%. La “posizione netta aperta in cambi e in oro ” è calcolata come la somma dei seguenti elementi (positivi o negativi):
a) la posizione netta a pronti (ossia tutti gli elementi dell’attivo meno tutti gli ele-menti del passivo compresi i ratei di interesse maturati nella valuta in questione e, per l’oro, la posizione netta a pronti in oro);
b) la posizione netta a termine, ossia tutti gli importi da ricevere meno tutti gli im-porti da versare nell’ambito di operazioni a termine su valute e oro, compresi i futures su valuta e oro e il capitale di swaps su valuta non inclusi nella posizione a pronti;
c) garanzie irrevocabili e strumenti analoghi di cui è certa l’escussione e che risul-teranno presumibilmente irrecuperabili;
d) l’equivalente netto delta o su base delta del portafoglio totale delle opzioni in va-luta estera e in oro;
e) il valore di mercato di altre opzioni.
Sono escluse dalla seguente disciplina le banche la cui “posizione netta aperta in cambi e in oro” è contenuta entro il 2% del totale dei fondi propri della banca.
2.3.1.3 Requisiti in materia di fondi propri per il rischio di posizione in merci
Le banche sono tenute a calcolare un apposito requisito in materia di fondi propri anche a fronte del rischio di eventuali perdite sulle posizioni in merci. Rientrano nel calcolo di tale requisito tutte le attività e le passività, in bilancio e fuori bilancio, su merci. La
ban-16
ca può calcolare tale requisito con il metodo basato sulle fasce di scadenza, con il meto-do semplificato o con il metometo-do basato sulle fasce di scadenza ampliato.
Secondo il metodo basato sulle fasce di scadenza, le posizioni assunte su ogni merce devono essere ripartite in sette fasce di scadenza (Tabella 4). All’interno di ogni fascia è possibile compensare posizioni lunghe e corte, ma applicando alla porzione compensata un requisito patrimoniale dell’1,5% (tasso di spread). E’ inoltre consentita la compensa-zione tra fasce diverse, soggetta a un requisito dello 0,6%. Il saldo netto residuo (non compensato) è infine assoggettato a un requisito patrimoniale del 15%.
Tabella 4
In base al metodo semplificato, il requisito patrimoniale è dato, per ogni merce, dal 15% della posizione netta (posizioni lunghe meno posizioni corte), moltiplicata per il prezzo a pronti di tale merce, più il 3% della posizione lorda (posizioni lunghe più posizioni corte), moltiplicata per il prezzo a pronti di tale merce.
Infine, in base al metodo basato sulle fasce di scadenza ampliato, le banche possono utilizzare i coefficienti minimi di spread, di riporto e secchi riportati nella successiva ta-bella 5 (anziché quelli indicati nella tata-bella 4) a condizione che la banca:
effettui operazioni su merci di notevole entità;
abbia un portafoglio di merci adeguatamente diversificato;
non sia ancora in grado di usare modelli interni per il calcolo del requisito in ma-teria di fondi propri a fronte del rischio di posizione in merci.
17
Tabella 5
2.3.1.4 Requisiti in materia di fondi propri per il rischio di regolamento
Il rischio di regolamento deriva dal mancato regolamento delle transazioni in strumenti di debito, strumenti di capitale, derivati, valute estere e merci dopo la loro data di sca-denza.
Al fine di calcolare il requisito in materia di fondi propri per il rischio di regolamento, la banca deve moltiplicare la differenza tra il prezzo a termine contrattuale e il valore cor-rente degli strumenti finanziari, delle valute e delle merci – quando tale differenza, es-sendo positiva, comporti una perdita per l’intermediario finanziario – per i fattori di ponderazione differenziati per fasce temporali, così come indicato in Tabella 6:
Tabella 6
2.3.1.5 Requisiti in materia di fondi propri per il rischio di concentrazione
“Il rischio di concentrazione è il rischio derivante da esposizioni verso controparti, gruppi di controparti connesse e controparti del medesimo settore economico o che e-sercitano la stessa attività o appartenenti alla medesima area geografica” (Direttiva 2013/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio).
18
Il requisito in materia di fondi propri per il rischio di concentrazione si riferisce a quelle posizioni del portafoglio di negoziazione di vigilanza (grandi esposizioni) che determi-nano il superamento del “limite individuale di fido” (25% del patrimonio di vigilanza) ed è proporzionale all’esposizione in eccesso (calcolata come differenza tra il valore dell’esposizione totale verso il cliente e il 25% del patrimonio di vigilanza).
Qualora l’eccedenza non si sia protratta per più di dieci giorni, la copertura patrimoniale aggiuntiva è pari al doppio (200%) della copertura patrimoniale richiesta a fronte del ri-schio di posizione specifico, del riri-schio di regolamento e del riri-schio di controparte. Se l’eccedenza permane per più di dieci giorni, allora il requisito dovrà essere moltiplicato per un coefficiente che è tanto più elevato quanto maggiore è l’esposizione totale verso il cliente (Tabella 7). Per esempio, il coefficiente è pari al 200% se l’esposizione non supera il 40% del patrimonio della banca, sale al 500% se l’esposizione è compresa tra l’80% e il 100% del patrimonio, è pari al 900% per esposizioni superiori al 250% del patrimonio.
Tabella 7
2.3.2 L’approccio dei modelli interni
La disciplina consente agli intermediari bancari di calcolare i requisiti in materia di fon-di propri utilizzando un modello interno per i seguenti rischi:
rischio generico degli strumenti di debito; rischio specifico degli strumenti di debito; rischio generico degli strumenti di capitale; rischio specifico degli strumenti di capitale;
19
rischio di cambio;
rischio di posizione in merci.
L’impiego dei modelli interni è soggetto all’autorizzazione dell’autorità di vigilanza na-zionale, che verifica il rispetto di una serie di criteri di natura quantitativa e qualitativa. Per le categorie di rischio per le quali la banca non ha ricevuto l’autorizzazione ad uti-lizzare i modelli interni, i requisiti in materia di fondi propri devono essere calcolati con il metodo standard.
In particolare, sono fissati i seguenti requisiti quantitativi: il VaR deve essere stimato su base giornaliera;
il livello di confidenza utilizzato deve essere del 99%;
l’orizzonte di rischio (holding period) deve essere di almeno dieci giorni lavorativi;
il periodo storico di osservazione di almeno un anno, tranne nel caso in cui un periodo di osservazione più breve sia giustificato da un aumento improvviso e significativo della volatilità dei prezzi;
i dati relativi a volatilità e correlazioni devono essere aggiornati con una frequenza mensile21.
Ai requisiti quantitativi si affiancano i seguenti criteri qualitativi:
le banche devono disporre di un’unità autonoma di gestione del rischio, che pe-riodicamente effettui test retrospettivi fra le misure del rischio stimate e le effet-tive variazioni di valore del portafoglio;
il modello di misurazione del rischio deve essere integrato da regolari prove di stress, volte a simulare le perdite potenziali in situazioni di mercato estreme22; il modello deve essere regolarmente sottoposto a verifiche e controlli
concernen-ti la sua adeguatezza e il suo funzionamento;
il modello interno di misurazione del rischio deve essere strettamente integrato nel processo quotidiano di gestione del rischio;
21
In Basilea 2, i dati relativi a volatilità e correlazioni dovevano essere aggiornati con una frequenza al-meno trimestrale.
22 La costruzione degli scenari su cui si fondano le prove di stress è basata sulla replica di forti shock di mercato verificatisi in passato (a titolo di esempio, il crollo del mercato azionario del 1987, la crisi dello SME del 1992, la caduta dei corsi obbligazionari nel primo trimestre del 1994, la crisi valutaria russa dell’agosto 1998).
20
il modello deve comunque essere esplicitamente approvato dall’autorità di vigi-lanza nazionale, la quale verifica che esso sia concettualmente corretto, applicato con integrità e storicamente accurato nel prevedere le perdite.
Le banche che utilizzano i modelli interni soddisfano un requisito in materia di fondi propri dato dalla somma degli importi indicati nei 5 punti seguenti:
1) il maggiore tra:
a) la misura del VaR del giorno precedente;
b) la media delle misure del VaR giornaliero nei 60 giorni operativi prece-denti, moltiplicata per un fattore non inferiore a 3 eventualmente mag-giorato sulla base dei risultati dei test retrospettivi;
2) il maggiore tra:
a) l’ultima misura disponibile del “VaR in condizioni di stress”;
b) la media delle misure del “VaR in condizioni di stress” nei 60 giorni ope-rativi precedenti, moltiplicata per un fattore non inferiore a 3 eventual-mente maggiorato sulla base dei risultati dei test retrospettivi;
3) nei casi di utilizzo dell’IRC, il maggiore tra: a) l’ultima misura disponibile per l’IRC;
b) la media delle misure IRC relativa alle 12 settimane precedenti; 4) nei casi di utilizzo dell’APR, il maggiore tra:
a) l’ultima misura disponibile per l’APR;
b) la media delle misure APR relativa alle 12 settimane precedenti;
c) l’8% del requisito in materia di fondi propri al momento del calcolo della misura di rischio più recente di cui alla lettera a), per tutte le posizioni incorporate nel modello interno per il portafoglio di negoziazione di cor-relazione (APR floor);
5) il requisito patrimoniale relativo a posizioni verso cartolarizzazioni, ricartolariz- zazioni e in derivati del tipo nth-to-default, calcolato secondo la metodologia standardizzata per le posizioni non riconducibili nell’APR.
Analiticamente il requisito patrimoniale calcolato con il modello interno è determinato secondo la seguente formula:
21
dove:
Ct è il requisito patrimoniale al giorno t;
VaRt-1 è il valore a rischio calcolato secondo il modello interno per il portafoglio
detenuto al giorno t-1, mentre VaR rappresenta la media delle misure di VaR calcolate negli ultimi 60 giorni lavorativi;
sVaRτ è l’ultimo valore disponibile per il “VaR in condizioni di stress”, mentre
sVaRτ rappresenta la media delle misure di “ VaR in condizioni di stress”
calcolate negli ultimi 60 giorni lavorativi;
βc e βs rappresentano rispettivamente i fattori moltiplicativi per il VaR e quello
per il “VaR in condizioni di stress” pari a 3 eventualmente maggiorati in seguito alle risultanze dei test retrospettivi o da parte dell’autorità di vigilanza nazionale a fronte di inadeguatezze del modello;
IRCτ è il più recente valore disponibile dell’IRC, mentre IRC rappresenta la
media delle misure IRC calcolate nelle ultime 12 settimane;
APRτ è il più recente valore disponibile dell’APR sul portafoglio di negoziazione
di correlazione, mentre APR rappresenta la media delle misure APR calcolate nelle ultime 12 settimane;
APR Floor è il limite inferiore pari all’8% del requisito patrimoniale che si otterrebbe applicando la metodologia standardizzata sulle posizioni trattate con il metodo APR;
RC rappresenta il requisito patrimoniale relativo alle posizioni verso cartolarizzazioni, ricartolarizzazioni e in derivati del tipo nth-to-default calcolato secondo la metodologia standardizzata per le esposizioni non riconducibili nell’APR.
Nei paragrafi che seguono verranno analizzate singolarmente ed in maniera più appro-fondita le tre nuove misure (SVaR, IRC e APR), introdotte già da “Basilea 2.5”, relative all’utilizzo di modelli interni per la determinazione del requisito in materia di fondi pro-pri a fronte dei rischi di mercato.
22 2.3.2.1 Stressed Value at Risk (SVaR)
Lo Stressed VaR è un requisito patrimoniale addizionale che va calcolato almeno con frequenza settimanale e che viene misurato, analogamente a quanto già accade per il re-quisito patrimoniale cui sono soggette le banche con un modello interno validato, con un modello VaR decadale (cioè con holding period di 10 giorni lavorativi) con un livel-lo di confidenza del 99%, ma utilizzando come dati di input della stima una serie conti-nua di dati storici di un periodo di almeno dodici mesi di forte stress finanziario. Il peri-odo di stress utilizzato per la stima dello Stressed VaR è soggetto all’approvazione dell’organo di vigilanza.
A proposito del periodo di stress da utilizzare, il Comitato, a titolo di esempio, fa rife-rimento alle forti perdite che si sono registrate nel biennio 2007/2008, pur riconoscendo che debbano essere considerati altri periodi di stress a seconda della specificità del por-tafoglio della banca23. Infatti, Chen24 osserva che l’esperienza delle gravi perdite subite durante la crisi finanziaria del 2007/2008 potrebbe non rappresentare correttamente un periodo di notevole stress finanziario pertinente al portafoglio della banca dato che, ad esempio, alcune asset classes della zona euro hanno sperimentato durante la crisi una forte pressione al ribasso in momenti diversi rispetto a quanto accaduto in altre aree del mondo e all’interno della stessa zona euro.
Con l’aggiunta dello Stressed VaR, le banche, con un modello interno validato dall’autorità di vigilanza, dovranno in pratica rispettare su base giornaliera un requisito patrimoniale relativo ai rischi di mercato KMKT, rappresentato dalla somma delle se-guenti due componenti:
il requisito ante “Basilea 2.5”, ovvero il maggiore fra il VaR decadale al 99% di confidenza relativo al giorno precedente (VaR99%,10,t-1) e la media dei VaR relati-vi agli ultimi 60 giorni moltiplicata per un fattore scalare mc (che varia da 3 a 4 in funzione della qualità del modello VaR25);
il maggiore fra lo Stressed VaR decadale al 99% di confidenza relativo al giorno precedente (SVaR99%,10,t-1) e la media degli Stressed VaR relativa agli ultimi 60 giorni moltiplicata per un fattore scalare ms.
23
Anche se non esplicitamente, il Comitato di Basilea fa riferimento a periodi passati di forti shock di mercato che vengono utilizzati per la costruzione degli scenari su cui si fondano le prove di stress testing (a titolo di esempio, il crollo del mercato azionario del 1987, la crisi dello SME del 1992, la caduta dei corsi obbligazionari nel primo trimestre del 1994, la crisi valutaria russa dell’agosto 1998).
24
J. Chen, “Measuring market risk under Basel II, 2.5, and III: VaR, Stressed VaR, and Expected Shortfall”, working paper, Michigan State University – College of Law, 2013.
23
Inoltre, qualora il modello VaR della banca non colga adeguatamente il rischio specifi-co, è necessario aggiungere anche il requisito standard relativo al rischio specifico delle posizioni del portafoglio di negoziazione, KSR26.
Nel complesso, il nuovo requisito risulta dunque essere pari a:
E’ evidente che si tratta di un significativo incremento rispetto alla disciplina preceden-te, visto che il requisito non è dato dal maggiore tra il VaR riferito al periodo corrente e quello (Stressed VaR) relativo ad un periodo passato di forte volatilità, bensì dalla somma dei due. In pratica, considerato che molto probabilmente il periodo corrente ri-sulta meno problematico di quello scelto come base di riferimento per lo Stressed VaR, il requisito patrimoniale risulta almeno raddoppiato27.
Probabilmente l’obiettivo dello Stressed VaR, in un contesto in cui rimane centrale la finalità di aumentare i requisiti di capitale per il trading per dare un chiaro segnale di politica di vigilanza, è quello di ovviare alla “scarsa memoria” dei modelli VaR e quindi ridurre la prociclicità delle misure di rischio basate sul VaR giornaliero. E’ noto che le misure di VaR che registrano le migliori performance in termini di backtesting sono quelle più reattive ai cambiamenti di volatilità. Ciò tuttavia potrebbe determinare nei momenti di bassa volatilità un accumulo eccessivo di posizioni e un decumulo, magari accelerato, quando la volatilità aumenta, innescando vendite al fine di rimanere nei limi-ti e così rafforzando l’aumento della volalimi-tilità complessiva (herd behaviour). Lo Stres-sed VaR, basandosi su periodi anche lontani ed indipendenti da quello della finestra di osservazioni, consente di superare in parte tale problema, pur se con un aggravio di ca-pitale probabilmente eccessivo28.
26
Nel caso in cui la banca disponga, invece, di un modello interno VaR validato dall’organo di vigilanza anche per il rischio specifico, quest’ultima componente del requisito patrimoniale dovrà essere sostitui-ta dal nuovo Incremensostitui-tal Risk Charge (IRC), di cui si dirà tra breve.
27 A. Resti, A. Sironi, “La crisi finanziaria e Basiela 3: origini, finalità e struttura del nuovo quadro
regola-mentare”, working paper, Carefin 1/2011, Università Bocconi di Milano.
28 P. Nasi, “I rischi di mercato e il rischio di controparte: novità regolamentari e implicazioni gestionali”, in “Basilea 3. Gli impatti sulle banche”, a cura di F. Tutino, G. Birindelli, P. Ferretti, Egea, Milano, 2011.
24 2.3.2.2 Incremental Risk Charge (IRC)
Secondo il Regolamento (UE) n. 575/2013, gli intermediari bancari che utilizzano un modello interno per calcolare i requisiti in materia di fondi propri per il rischio specifico degli strumenti di debito si devono dotare anche di un modello interno per i rischi in-crementali di default e di migrazione (modello IRC) che rifletta i rischi di default e di migrazione delle loro posizioni del portafoglio di negoziazione.
In realtà, già nel luglio 200529, dunque prima dello scoppio della crisi, il Comitato di Basilea aveva introdotto un nuovo requisito a fronte delle posizioni detenute nel porta-foglio di trading, al fine di misurarne meglio il rischio specifico e più precisamente il rischio di default addizionale (o “incrementale”) rispetto a quello registrato dai modelli VaR interni delle banche. Questo nuovo requisito, definito “Incremental Default Risk Charge” (IDRC) mirava a fronteggiare meglio i crescenti rischi di credito insiti nei trading book, nella forma dei cosiddetti jump to default non colti dai modelli basati solo sugli andamenti dei credit spread, soprattutto per gli strumenti caratterizzati da scarsa liquidità.
Con Basilea 2.5, questo requisito addizionale è stato ampliato e rinominato più sempli-cemente “Incremental Risk Charge” (IRC). Infatti, dal luglio 2008 è stato richiesto, nei documenti di consultazione30, che l’IRC venisse modellato per ricomprendere le perdite derivanti non solo da passaggi a default ma anche da migrazioni tra classi di merito cre-ditizio, in combinazione con l’allargamento di credit spread e diminuzioni di liquidità. Tale misura ha trovato propria definizione nel luglio 2009 con il rilascio del documento denominato “Guidelines for computing capital for incremental risk in the trading book31” da parte del Comitato di Basilea. Altre correzioni sono state apportate dal do-cumento “Revisions to the Basel II market risk framework”, emesso sempre nel luglio 2009.
Una misura più completa e finale della misura IRC si ha, però, solo nel 2011 quando il Comitato pubblica le “Interpretive issues32” anche se si può ritenere che tale processo di evoluzione ed aggiustamento non sia ancora terminato. In tal senso, le linee guida
29
Basel Committee on Banking Supervision, “The Application of Basel II to Trading Activities and the
Treatment of Double Default Effects”, Bank for International Settlement, July 2005.
30
Basel Committee on Banking Supervision, “Guidelines for computing capital for incremental risk in the
trading book – consultative document”, Bank for International Settlement, July 2008.
31 Basel Committee on Banking Supervision, “Guidelines for computing capital for incremental risk in the
trading book – final version”, Bank for International Settlement, July 2009.
32 Basel Committee on Banking Supervision, “Interpretive issues with respect to the revisions to the
25
nate dall’EBA il 16 maggio 201233
sono un riferimento più stabile che può aiutare gli enti creditizi ad un perfezionamento dei propri modelli. Nel maggio 2012, anche il Comitato di Basilea è intervenuto con un proprio documento consultivo34 in un’ottica di monitoraggio e perfezionamento del modello IRC, segnalando eventuali punti di debo-lezza dei modelli e prossimi futuri sviluppi in tal senso35.
Il Regolamento (UE) n. 575/2013 specifica che il requisito di capitale che deriva dall’applicazione del modello IRC deve essere stimato almeno settimanalmente su dati di mercato aggiornati e con intervallo di confidenza al 99,9% su un orizzonte temporale di un anno: la modellizzazione deve tenere conto della correlazione tra eventi di default e di migrazione ed è possibile valutare la migrazione dei rating interni o esterni. Natu-ralmente l’IRC deve risultare coerente con la misura IRB sul credit risk applicata dalla banca e deve tenere in considerazione nel calcolo anche altri elementi funzionalmente collegati, quali gli effetti di liquidità, di concentrazione, di copertura e di eventuali op-zionalità. Infine, le banche possono autonomamente decidere se includere o meno nel modello IRC le componenti equity, ovvero i titoli di capitale quotati e i relativi strumen-ti derivastrumen-ti, ma tale possibilità deve essere valutata ed autorizzata espressamente dall’autorità di vigilanza nazionale.
L’utilizzo del modello interno IRC ha come obiettivo quello di risolvere le criticità e-merse durante la crisi in merito alla copertura del rischio di mercato su posizioni colle-gate ai crediti. In sintesi, tali criticità sono riconducibili a tre fattori:
la separazione e l’incoerenza tra i requisiti per le posizioni di trading book e di banking book, per cui si verificava una sorta di “regulatory capital arbitrage”36
;
la prociclicità delle misure: nei momenti sfavorevoli per il mercato, i rating si riducono conducendo ad un requisito maggiore e quindi aggravando la situazio-ne, poiché le banche devono raccogliere maggiori capitali o tagliare i propri portafogli di investimenti. Inoltre nei momenti di crisi vi è una sottostima del VaR dovuto al fatto che il calcolo viene effettuato con dati di mercato più favo-revoli, riferiti a periodi precedenti;
33
European Banking Authority, “Guidelines on the Incrememntal Default and Migration Risk Charge
(IRC)”, May 2012.
34
Basel Committee on Banking Supervision, “Fundamental review of the trading book – consultative
document”, Bank for International Settlement, May 2012.
35 Nell’ottobre 2013, il Comitato di Basilea è intervenuto nuovamente sull’argomento con un secondo documento di consultazione. Per maggiori approfondimenti si rimanda al paragrafo 2.5.
36 Y. Van der Stel, “The incremental risk model: an assessment of alternative inputs and assumptions in a
26 un terzo elemento attiene ai rischi non valutati dal precedente set normativo, ovvero i rischi di default e di credit migration, per i quali non erano previsti buffer di capitale corrispondenti.
Oltre a queste criticità, si deve aggiungere il fatto che, prima della crisi, il Comitato di Basilea non aveva mai disciplinato pienamente il rischio di liquidità, elemento che nel corso delle turbolenze finanziarie è stato decisivo, in quanto la cartolarizzazione delle attività ha portato al prosciugamento della liquidità nei mercati finanziari e alla presenza di strumenti poco trasparenti a causa della deregolamentazione precedente. In tal senso, il modello IRC prevede misure ad hoc sugli orizzonti di liquidità da fissare per le diver-se posizioni, dando una soluzione al problema appena posto.
In particolare, l’orizzonte di liquidità è teso a rappresentare il tempo necessario per ven-dere la posizione o coprire i rischi connessi all’IRC in un mercato in condizioni di stress. Gli orizzonti dovranno essere maggiori per posizioni più rischiose (ad esempio, non-investment grade) e più concentrate a livello di emittente e per categoria di prodot-to. Viene data, quindi, la possibilità di calcolare l’IRC assegnando a ogni strumento un diverso orizzonte di liquidità, tanto minore quanto più liquido è lo strumento negoziato, ipotizzando che partendo da questo specifico orizzonte temporale, una posizione possa essere continuamente rinegoziata al fine di mantenere un livello costante di rischio (co-stant level of risk)37. Unica imposizione prevista è che per nessuna posizione possa esse-re adottato un orizzonte di liquidità inferioesse-re a tesse-re mesi. Per il esse-resto, la singola banca è libera di scegliere l’orizzonte specifico di ogni strumento e di trasformare quest’ultimo in un orizzonte temporale di un anno rispettando il principio del livello costante di ri-schio.
Infine, le banche che applicano il modello sull’Incremental Risk Charge devono calco-lare un requisito patrimoniale dato dal maggiore tra:
l’ultima misura disponibile per l’IRC;
la media delle misure IRC relativa alle 12 settimane precedenti.
Tali banche devono valutare il proprio modello in vista della validazione e poiché le pratiche di backtesting risulterebbero essere poco significative, esse possono ricorrere a stress test, analisi di sensitivity o analisi di scenario per verificare la tenuta e la stabilità dei risultati.
37 A. Resti, A. Sironi, “La crisi finanziaria e Basiela 3: origini, finalità e struttura del nuovo quadro
27 2.3.2.3 All Price Risk (APR)
Oltre alle due misure analizzate sopra, il Comitato dispone che una banca può incorpo-rare il suo correlation trading portfolio in un modello sviluppato internamente, caratte-rizzato da un intervallo di confidenza del 99,9% su un orizzonte temporale di un anno. Tale modello ha l’obiettivo di catturare adeguatamente non solo il rischio di default in-crementale e di migrazione tra classi di merito creditizi, ma tutti i rischi di prezzo (per questo si parla di modello All Price Risk, APR, o anche di Comprehensive Risk Measu-re, CRM). In particolare il modello APR deve coprire anche i rischi:
cumulativi risultanti da default multipli nel caso di prodotti soggetti a tranching, ivi compreso l’ordinamento degli eventi di default;
di credit sperad, comprendendo i rischi gamma e cross-gamma;
di volatilità delle correlazioni implicite, inclusa l’interrelazione tra spread e cor-relazioni;
di base, ivi incluso quello tra:
i. lo spread di un indice e quello dei singoli nomi che lo compongono; ii. la correlazione implicita di un indice e quello dei portafogli bespoke; di volatilità dei tassi di recupero nella misura in cui essi influenzano i prezzi
del-le singodel-le tranches;
connessi alle strategie di copertura utilizzate (coperture dinamiche, minor effica-cia e costo di ribilaneffica-ciamento delle coperture).
La banca che decide di applicare il modello dell’APR deve:
disporre di un ammontare sufficiente di dati di mercato tale da assicurare che i rischi delle esposizioni siano compresi nell’APR;
dimostrare attraverso prove retrospettive oppure altri opportuni strumenti che la propria misura di rischio è in grado di spiegare le variazioni storiche dei prezzi delle esposizioni;
essere in grado di identificare e separare le posizioni che possono essere incluse nell’APR dalle altre assunte nel portafoglio di negoziazione a fini di vigilanza. Il requisito patrimoniale risultante dall’approccio APR dovrà essere pari al maggiore tra:
l’ultima misura disponibile dell’APR;
28
l’8% del requisito patrimoniale per il rischio specifico risultante dall’applicazione della metodologia standardizzata (APR floor).
Il modello dell’APR è periodicamente sottoposto ad un insieme predefinito di prove di stress riguardanti i tassi di default, i tassi di recupero, i credit spread e le correlazioni. Esse sono effettuate con frequenza almeno settimanale e i relativi risultati devono essere comunicati al supervisor nazionale con frequenza almeno trimestrale. Qualora i risultati delle prove di stress indichino una sottostima dei rischi da parte del modello interno, es-si sono tempestivamente comunicati al supervisor nazionale, il quale può disporre un requisito aggiuntivo.
2.4 Prime valutazioni d’impatto sui requisiti patrimoniali
Le innovazioni sopra analizzate avranno notevole rilevanza soprattutto per le grandi banche attive nei mercati internazionali, innalzando in particolare i requisiti patrimoniali derivanti dai modelli interni. Le banche più colpite sono quelle con ampi portafogli in-vestiti in re-securitization o attive nel trading e che si avvalgono di modelli interni per la misurazione dei rischi di mercato.
Nel marzo 2014, il Comitato di Basilea ha pubblicato in uno studio una stima del poten-ziale impatto dei nuovi requisiti patrimoniali sui rischi di mercato38. Questo studio (quantitative impact study o QIS) è stato condotto su un campione di 227 banche, di cui 102 banche del Gruppo 1 e 125 banche del Gruppo 239. I risultati dello studio si basano sui dati al 30 giugno 2013 ed ipotizzano che il “pacchetto” finale di Basilea 3 sia stato completamente implementato.
I principali risultati, riportati in Tabella 10, si riferiscono alle banche del Gruppo 140 ed indicano che l’introduzione dei nuovi requisiti avrà effetti particolarmente rilevanti. Co-sì, ad esempio, il requisito complessivo relativo ai rischi di mercato aumenterà in media del 100% e questo aumento contribuirà a un incremento medio dei complessivi requisiti di primo pilastro pari al 6,1%. L’aumento sarà principalmente determinato dai nuovi re-quisiti relativi a Stressed VaR (+ 11,8%), Incremental Risk Charge (+ 9,5%) e a All Price Risk (+ 7,6). Minore impatto avranno invece le variazioni relative ai requisiti
38
Basel Committee on Banking Supervision, “Results of the Basel III monitoring exercise as of 30 June”, Bank for International Settlement, March 2014.
39
Le banche del Gruppo 1 sono quelle che hanno un Tier 1 maggiore a 3 miliardi di euro e sono attive su scala internazionale. Tutte le altre banche sono considerate banche del Gruppo 2.
40 Secondo il Comitato, l’introduzione dei nuovi requisiti per i rischi di mercato avrà una minore influen-za sugli RWA complessivi delle banche del Gruppo 2.
29
trimoniali per le posizioni relative a cartolarizzazioni e derivati nth-to-default (+ 5,3%) non comprese nel portafoglio di negoziazione di correlazione.
Tabella 10
Fonte: Basel Committee on Banking Supervision, “Results of the Basel III monitoring exercise as of 30
June”, Bank for International Settlement, March 2014.
La proposta regolamentare di Basilea 3 comporta, dunque, un aggravio notevole dei re-quisiti patrimoniali per i rischi di mercato. Tale irrigidimento regolamentare trova piena giustificazione a fronte delle gravi perdite che le maggiori banche internazionali hanno subito nei propri trading book durante la crisi finanziaria del 2007.
Tuttavia, specialmente lo Stressed VaR, determina un appiattimento delle differenze tra i modelli di stima, riducendo ulteriormente l’interesse da parte degli intermediari ad a-dottare modelli VaR complessi ai fini regolamentari. In molti si chiedono chi avrà lo stimolo, o meglio la convenienza, a sviluppare al proprio interno tecniche di risk management a fronte di una vigilanza così fortemente opprimente. C’è chi, come Bur-chi41, sostiene che: “la carenza dell’incentivo a sviluppare ed adottare modelli sofistica-ti per il calcolo del VaR in ambito regolamentare non comporta, tuttavia, un valido mo-tivo di abbandono di tali modelli in ambito gestionale, in quanto la disponibilità di
41
A. Burchi, “Modelli VaR e il requisito di capitale per il rischio di mercato”, Banca impresa società, 2011, Vol. 30, Fasc. 1, Pagg. 75-103.
30
formazioni di qualità costituisce un presupposto indispensabile per una efficace attività di investimento”.
Le norme di vigilanza prudenziale non premiano, dunque, la capacità di produrre stime di rischio accurate rischiando di generare una dicotomia del risk manager: modelli sem-plici per il requisito patrimoniale, modelli sofisticati per l’operatività.
2.5 Verso una nuova riforma del trading book
Nell’ottobre 2013, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha rilasciato il docu-mento consultivo “Fundamental review of the trading book: A revisited market risk framework”. Questo rappresenta il secondo documento di consultazione su questo ar-gomento, il primo era stato rilasciato dallo stesso Comitato nel maggio 2012.
Il documento di consultazione del maggio 2012 stabilisce una serie di misure specifiche per migliorare i requisiti patrimoniali del portafoglio di negoziazione. Le proposte pre-sentate riflettono l’obiettivo generale del Comitato di progettare un nuovo framework normativo che affronti le carenze nella misurazione dei rischi di mercato attraverso mo-delli interni o approccio standard. Il secondo documento di consultazione fornisce mag-giori dettagli sulle impostazioni introdotte nel maggio 2012 ed individua le seguenti “key areas”:
The trading book/banking book boundary
Il Comitato di Basilea ritiene che la definizione del confine regolamentare tra trading book e banking book sia una fonte di debolezza dell’attuale regime regolamentare, so-prattutto alla luce dei numerosi arbitraggi regolamentari che si sono verificati durante la crisi finanziaria del 2007.
Per far fronte a queste problematiche, il Comitato, pur conservando la distinzione tra portafoglio bancario e portafoglio di negoziazione, cerca di migliorare tale distinzione soprattutto al fine di limitare quella che è la convenienza degli arbitraggi regolamentari. In base alla nuova definizione, il Comitato indica, a titolo di esempio, alcuni strumenti che devono essere inseriti nel portafoglio bancario o in quello di negoziazione al fine di contribuire allo sviluppo di una comprensione comune, tra le autorità di vigilanza, sui tipi di strumenti che in genere devono essere inclusi nei due libri contabili. Il Comitato ha inoltre stabilito che le banche dovrebbero rendere disponibile alle autorità di vigilan-za una serie di documenti al fine di valutare tutte le posizioni di negoziazione. Ciò