• Non ci sono risultati.

Centro sociale A.13 n.67-68. Gli assistenti sociali nei paesi scandinavi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Centro sociale A.13 n.67-68. Gli assistenti sociali nei paesi scandinavi"

Copied!
198
0
0

Testo completo

(1)

67.68

“ Centro Sociale”

(2)

C e n tro S o cia le

Periodico bimestrale del Centro di Educazione Professionale per Assistenti Sociali (CEPAS) - Università di Roma

Comitato scientifico

A . Ardigò, Istituto di Sociologia, Università di Bologna - W. Baker, Center for Community Stu- dies, University o f Saskatchewan — G. Balandier, Sorbonne, Ecole Pratique des Hautes Etudes, Paris - R. Bauer, Società Umanitaria Milano - L. Benevolo, Facoltà di Architettura, Università di Venezia — M. Berry, International Federation of Settlements, New York — F. Botte, FAO, Roma — G. Calogero, Istituto di Filosofia, Università di Roma — M. Calogero Comandinì, CEPAS, Roma - V. Casaro, Ministero Pubblica Istruzione, Roma - G. Cigliano, Istituto Sviluppo Edilizia Sociale, Roma - E. Clunies-Ross, Institute of Education, University o f London - II. Desroche, Sor­ bonne, Ecole Pratique des Hautes Etudes, Paris — J. Dumazedier, Centre National de la Recherche Scientifique, Paris - A . Dunham, School of Social Work (Emeritus), University of Michigan - ili. Fichera, Fondazione « A. Olivetti » , Roma - E. Hytten, Stockholm University - F. Lombardi, Istituto di Filosofia, Università di Roma — E. Lopes Cardozo, State University o f Utrecht — A . Meister, Sorbonne, Ecole Pratique des Hautes Etudes, Paris — L. Miniclier, International Cooperation Administration, Washington — G. Molino, Amministrazione Attività Assistenziali Italiane e Internazionali, Roma - G. Motta, Fondazione « A. Olivetti » , Ivrea — R. Nisbet, Dept. of Sociology, University o f California - C. Pellizzi, Istituto di Sociologia, Università di Firenze — E. Pusic, Faculty of Law, University of Zagreb — L. Quaroni, Facoltà di Architettura, Uni­ versità di Roma - M. G. Ross, University of Toronto - M. Rossi-Doria, Osservatorio di Eco­ nomia Agraria, Università di Napoli — U. Serafini, Presidenza Consiglio Comuni d’ Europa, Roma — M. Smith, London Council of Social Service — J. Spencer, Dept. of Social Work, University of Bristol - A . Todisco, Fondazione « A . O livetti», Ivrea - A . Visalberghi, Istituto di Filosofia, Università di Roma — P. Volponi, Direzione Servizi Sociali Società Olivetti, Ivrea — E. de

Vries, Institute of Social Studies (Emeritus), The Hague — A . Zucconi, CEPAS, Roma.

Comitato di redazione

Adele Antonangeli Marino — Teresa Ciolfi Ossicini — Egisto Fatarella — Giuliana Milana Lisa — Velelia Massaccesi.

D ire tto re resp o n sa b ile: A n n a M a r ia Levi - D ire zio n e, red azion e, a m m in istrazion e: piazza C a valieri di M a lta , 2 - R om a - tei. 5 7 3 .4 5 5

Abbonamento a 6 numeri annui L. 3.000 — estero L. 4.000 ($ 6,50) — un numero L. 650; arretrati il doppio — sped. in abbonamento postale gruppo IV — c.c. postale n. 1/20100 —

Prezzo di questo fascico lo L . 1 .300.

(3)

C en tro S o cia le

scienze sociali - servizio sociale - educazione degli adulti

sviluppo di comunità

anno X III, n. 67-68, 1966

Som m ario

A . Zucconi I I I In trod u zion e

E. Hytten Gli assistenti sociali nei paesi scandinavi 1 I . G li assisten ti so ciali in Svezia

Notizie generali — La politica sociale — Gli « operatori sociali » — Gli assistenti sociali o « socionomi » . Premessa terminologica — La formazione professionale — La situazione di lavoro.

3 8 ' I I . G li a ssisten ti sociali in N orvegia

Notizie generali — Il lavoro sociale — Gli assistenti sociali. Premessa terminologica — La situazione di lavoro — La formazione profes­ sionale — Il ruolo professionale.

6 2 I I I . G li assisten ti sociali in D an im arca

Notizie generali — La politica sociale — Gli assistenti sociali — I settori di lavoro — La formazione professionale — La situazione economica e il ruolo professionale.

A. Z. 78 Ricordo di Rigo Innocenti 81 R ecen sion i

G. Ceriani Sebregondi, Sullo sviluppo della società moderna (A. Paci); F. Perroux, L'economia del X X secolo (G. Panizzi); A. B. Hollin- ghead e F. C. Redlich, Classi sociali e malattie mentali (F. Ferra- rotti); H. Marcuse, Ragione e rivoluzione (F. Ferrarotti).

107 E stra tti e segn alazioni

A cura di Elisa Calzavara, Teresa Cioljì Ossicini, Patrizia Del Vecchio, Marcella Giordano, Giuliana Milana Lisa, Oscar Mussoni, Mario Zucconi.

17 3 D ocu m en ti

(4)
(5)

Introduzione

1. I paesi scandinavi, come è noto, sono i paesi del mondo occidentale ove vige il più completo e sperimentato sistema di sicurezza sociale e nes­ suno dubita che questo sistema possa essere minimamente scalfito dalle recenti sconfitte elettorali che la socialdemocrazia ha subito in questi paesi.

« Le recenti sconfitte elettorali, leggiamo in un’intervista concessa in questi giorni dal vice presidente del partito laborista norvegese a un grande settimanale italiano, sono troppo contemporanee per essere spiegate solo con motivi locali, rivelano in noi un momento di stanchezza, di con­ fusione e sbandamento. Ma questo non vuol dire che la nostra battaglia sia finita. Nuovi campi di azione sono infatti a portata di mano, solo che si abbia la fantasia e la spregiudicatezza di vederli. Il più importante è quello di batterci per assicurare a tutti una vita più piena, più umana, che non restringa l'uomo al ritmo forzato del lavoro e del riposo ». Le interviste con altri leaders norvegesi, danesi, svedesi riecheggiano le stesse « aspirazioni umanistiche » e l’ovvia considerazione che la « sicurezza sociale non basta ».

Nel nostro paese, dove i sistemi di sicurezza sociale dei paesi scandinavi sono in parte ignoti, in parte aprioristicamente giudicati come non trasfe­ ribili, questa considerazione che « la sicurezza sociale non basta » viene raccolta con un certo compiacimento, da quanti sono propensi ad immagi­ nare le cose disfatte prima ancora di averle fatte.

Mi ricordo a questo proposito come solo dieci anni fa un gruppo di persone molte autorevoli sul piano dell’azione sociale in Italia, in visita alle istituzioni sociali danesi, reprimeva l’ammirazione che destavano queste isti­ tuzioni, svalutandole con l’argomento che da noi, comunque, queste cose non servivano, perché il senso della famiglia in Italia e cosi forte da vietare di affidare i vecchi alle case di riposo, i bambini agli asili nido o i minorati alle cure di un istituto.

Sono passati dieci anni solamente da allora e in questi dieci anni abbiamo assistito a una corsa sfrenata ai ricoveri in collegio e nelle case di riposo e alla ricerca ansiosa e troppo spesso infruttuosa di istituti di

(6)

ricoverai specializzati. Quelle stesse autorevoli persone oggi, e per fortuna, si battono perché il Piano quinquennale passi e con esso il capitolo dedicato alla sicurezza sociale.

Questo nostro atteggiamento ipercritico di fronte alle cose da fare, la troppo fervida immaginazione che ci porta a vedere già fatte o addi­ rittura disfatte le cose che sono ancora da fare, la presunzione di poter abbreviare i processi e bruciare le tappe (una volta presa la decisione di agire), tutto questo ci consiglia un’attenta considerazione delle esperienze fatte da altri paesi.

Con lo scopo di portare un contributo modesto, ma serio a questa neces­ saria informazione, pubblichiamo il presente studio sugli assistenti sociali nei paesi scandinavi, studio che fa parte di una serie di monografìe sugli assistenti sociali nei vari paesi europei, nel quadro di una ricerca promossa dal CEPAS e finanziata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche.

La documentazione relativa a questi paesi, se non altro per ragioni di lingua, è meno accessibile di quella inglese, francese o tedesca.

Solo uno studioso scandinavo, impegnato nell’azione sociale e profondo conoscitore della situazione italiana, come nel caso del prof. Hytten, poteva rispondere all’esigenza di fornire un’opportuna documentazione sull’ar­ gomento.

Come il lettore potrà constatare, è stato fatto per quanto riguarda la lingua un attento sforzo per risolvere varie questioni terminologiche. Il lettore poi, che abbia presente quel poco che è stato pubblicato in italiano sui servizi 'sociali scandinavi, ci renderà atto di questo sforzo, che, comunque sia riuscito, è stato qui tentato per la prima volta.

2, Una delle ragioni importanti che ci consigliano la pubblicazione di questo studio, è che il servizio sociale nei paesi scandinavi (« servizio sociale » inteso qui come attività professionale degli assistenti sociali) è stato meno esposto alle influenze americane, di quanto non sia il servizio sociale in Italia e negli altri paesi europei. Questa attività professionale nei paesi scandinavi è cresciuta con lo sviluppo dei servizi sociali e questi con l’avanzare delle riforme sociali, in una crescita naturale perfettamente coerente alle linee di sviluppo del paese. In Italia, e in larga misura in altri paesi europei, l’influenza americana, concentrando l’attenzione sui metodi del servizio sociale, ha fatto spesso perdere di vista i servìzi sociali e tanto più le riforme, per cui ci troviamo spesso a parlare di inserimento del servizio sociale in un dove che non c’è.

(7)

di questa iniziale distorsione. Così avviene che 1’« impara l’arte e mettila da parte » è in molti casi purtroppo l’avviso dei migliori assistenti sociali, mentre i peggiori tentano di applicare quest’arte nei contesti più insensati.

Un esempio di come il servizio sociale nei paesi scandinavi si sia tenuto al riparo da questa influenza e sia rimasto aderente alle linee di sviluppo proprie del paese, è dato dal fatto molto significativo che invano cerche­ remmo nelle pagine che seguono, dedicate ai programmi delle scuole di servizio sociale, insegnamenti come quello del « servizio sociale di comunità » o l’insegnamento di « amministrazione dei servizi sociali », o quello di « ricerca sociale » intesi come metodi propri dell’attività professionale degli assistenti sociali.

Sembra in sostanza che in quei paesi l’ insegnamento dei metodi si esaurisca con il easework e il groupvjork e questa limitazione ha una sua rigorosa e interessante coerenza.

Si pensi per esempio all’insegnamento di « servizio sociale di comunità ». Si intersecano in questo insegnamento tre piani diversi :

— quello dell’area geografica-amministrativa in cui opera il servizio sociale: chi sono e dove stanno, in sostanza, i destinatari del servizio;

— quello squisitamente metodologico che concentra l’attenzione sul processo di partecipazione; si può parlare di organizzazione e di sviluppo di comunità solo dove l’attività professionale è diretta a promuovere o a facilitare questo processo e sappia tirarsi indietro quando un certo grado di partecipazione è raggiunto ;

— quello che assorbe l’educazione degli adulti e si identifica con gli scopi e i metodi dell’educazione degli adulti.

Se pensiamo ai destinatari del servizio, alla dimensione nella quale questo tipo di lavoro sociale si muove, dobbiamo tener presente che nei paesi scandinavi, soprattutto in Svezia e in Norvegia, i due terzi degli assistenti sociali lavorano nelle amministrazioni comunali e la « comunità » coincide con il Comune ; ove i comuni sono troppo piccoli, è in atto un processo di ridimensionamento delle circoscrizioni amministrative allo scopo di asso­ ciare i piccoli comuni perché possano gestire insieme i servizi sociali. In questo contesto è ragionevole che nei programmi delle scuole di servizio sociale scandinave si parli piuttosto di discipline come « economia e pianifi­ cazione comunale».

Se poi pensiamo al lavoro sociale di comunità, inteso come processo, bisogna considerare che in questi paesi non è concepibile che gli interessati non siano coinvolti in un lavoro diretto alla risoluzione dei loro problemi e non pare comprensibile considerare un metodo ad hoc quello che nella letteratura americana passa per organizzazione e sviluppo di comunità.

(8)

l’edu-cazione degli adulti », non dobbiamo dimenticare che i paesi scandinavi hanno scoperto cento anni fa il rapporto che esiste tra istruzione di base e sviluppo economico e si sono per questo debitamente attrezzati; assai prima degli Stati Uniti e quindi dei paesi europei che al modello degli Stati Uniti si riferiscono', i paesi scandinavi hanno creato a latere del servizio sociale quelle istituzioni per l’educazione degli adulti che restano tuttora esemplari.

Quanto all’ « amministrazione dei servizi sociali » e alla « ricerca applicata al lavoro sociale » è necessario tener presente la struttura delle scuole di servizio sociale scandinavo per capirne l’esclusione. Bisogna tener presente in particolare la Svezia, che in qualche modo rappresenta la punta più avanzata del sistema. In Svezia ci si può iscrivere ad una scuola di servizio sociale potendo in seguito optare per uno dei tre diversi indirizzi : sociale, amministrativo e teorico. A i tre indirizzi corrisponde rispettivamente [’adesione del 65%, del 29% e del 6% sul totale degli iscritti alle scuole di servizio sociale. Il corso di base comune a tutti e tre gli indirizzi prevede una robusta conoscenza delle strutture amministrative e dei metodi di amministrazione.

In altre parole, in paesi in cui il lavoro degli assistenti sociali è deci­ samente integrato nel sistema amministrativo del paese (si pensi che per esempio in Norvegia gli assistenti sociali sono per l’87% dei pubblici funzionari), è chiaro che l’amministrazione dei servizi sociali non può essere considerata una disciplina e tanto meno un metodo a sé.

Né può essere considerata un metodo a sé la ricerca applicata al servizio sociale quando le scuole prevedono già nel loro programma di studio che ci sia tra gli iscritti gente interessata a svolgere il lavoro diretto, gente interessata a svolgere il lavoro amministrativo, e gente infine interessata più che all’azione alla teoria e alla ricerca.

Ci pare di capire che una tale impostazione possa prevenire i conflitti, da noi tradizionali, tra chi amministra il servizio e chi opera il servizio e renda immuni gli assistenti sociali da due pericoli estremi: quello di sentirsi un’élite di persone iniziate che precorrono le riforme (quando non decidono addirittura di disinteressarsene come avviene in tanti ambienti del servizio sociale americano) o quello di sentirsi un gruppo marginale addetto a gruppi marginali, perpetuamente occupato nella stiva a chiudere le falle che continuamente si riaprono.

(9)

apprezzerà il fatto che l’autore abbia sentito la necessità di premettere alla descrizione relativa al servizio sociale di ciascun paese una breve nota che riassume i fatti salienti e attuali della politica sociale.

Questo stretto legame con le strutture amministrative, con i servizi, con la legislazione sociale, con la politica sembra del tutto soddisfacente e valido per l’uso interno. Ci si pone giustamente la preoccupazione che assistenti sociali così « inseriti », non sono esportabili, per esempio nei

paesi del terzo mondo ai quali i paesi scandinavi guardano con la curiosità, la generosità e l’innocenza di chi non ha un passato di potenza coloniale. La consapevolezza di questa limitazione traspare neU’improwisato e recente ricorso alla formazione americana in materia di community development per gli operatori sociali che desiderano lavorare nei paesi in via di sviluppo.

In generale ci pare di dover sottolineare che la costante abitudine di riferirsi alla società e alle sue responsabilità più che ai meccanismi psico­ logici dell’individuo, differenzi nettamente il servizio sociale dei paesi scandinavi da quello americano o da quanti hanno subito l’influenza ame­ ricana. Nei modi di attuazione possiamo anche dire che troviamo lo stesso pragmatismo americano, ma operante in un contesto così ricco e coerente, da renderlo irriconoscibile.

3. C’è ancora una ragione per cui riteniamo opportuno pubblicare questo studio sugli assistenti sociali nei paesi scandinavi : questi paesi, come dicevamo all’inizio, sono quelli nei quali vige un pieno e collaudato sistema di sicurezza sociale.

In Italia siamo abituati a considerare l’attività professionale degli assi­ stenti sociali, come « riparatoria », « sostitutiva », « precorritrice », « col­ laterale », « complementare », « di collegamento » (cito un elenco di specifi­ cazioni estratte dai pochi tentativi fatti per « definire » la professione). Così non sappiamo prevedere che cosa sarà questa professione e se avrà ragione d’essere, quando tutto quello che manca intorno ci sarà. Così si è portati a pensare che l’attuazione piena di un sistema di sicurezza sociale debba eliminare la « mediazione » che il servizio sociale rappresenta e in sostanza debba esautorare la professione.

Al contrario, lo sviluppo che ha seguito la professione negli ultimi venti anni smentisce in pieno questa supposizione e serve a chiarire il ruolo degli assistenti sociali in un sistema di sicurezza sociale.

(10)

più equilibrata organizzazione sociale, in cui non c’è quasi bisogno di assistenti, perché ognuno è già assistito senza che essi abbiano bisogno di intervenire».

Citava infatti il caso della Danimarca e di un importante volume uscito in quegli anni a cura del Ministero danese degli affari sociali, « che descrive le istituzioni di assistenza sociale della Danimarca: vi si parla di tutto fuorché di scuole di preparazione per assistenti sociali, che evidentemente hanno colà non così grande importanza, proprio perché il minor bisogno di tutti i cittadini, risultante dal più largo e pieno funzionamento dei sistemi giuridieo-economiici di tutela della sicurezza individuale, rende meno necessario l’intervento di individui, i quali, movendo da una data situazione sociale, e senza proporsi immediatamente di modificarla, cer­ chino di creare il più possibile di solidarietà umane, atte a valersi delle possibilità sussistenti per rendere meno disagiato l’ambiente vitale di ognuno ».

Lo studio che qui presentiamo ci mostra come in questi venti anni di graduale attuazione del sistema di sicurezza sociale, la situazione sia total­ mente cambiata : gli assistenti sociali che parevano allora destinati a scom­ parire, sono diventati essenziali per realizzare i propositi e rendere operanti i servizi : quanto più i servizi sociali si qualificano e si, riscattano da ogni criterio di discrezionalità, entrando a far parte del sistema di sicurezza sociale, tanto più gli assistenti sociali escono dal limbo della « media­ zione » e diventano i più diretti operatori di questi servizi che coprono à tappeto 1 intera area del paese. Quanto più si affina la sensibilità del legislatore, tanto più « i bisogni » ai quali i servizi devono rispondere esigono una «risposta personale» ed escludono i «servizi di sportello».

I dati che l’autore ci fornisce sullo sviluppo delle scuole, sulla richiesta del mercato di lavoro, sulle previsioni del fabbisogno, sono di per sé elo­ quenti. In base a questi dati si è portati a concludere che solo in un sistema di sicurezza sociale la professione trova la sua collocazione precisa, la sua ragione d’essere e il suo ruolo.

Un’altra supposizione errata, quando si pensa all’attuazione di un sistema di sicurezza sociale, riguarda l’iniziativa privata nel campo dell’azione sociale; si pensa di solito che anche questa venga esautorata e non abbia più ragione d’essere. L’iniziativa privata invece, come vediamo nelle pagine che seguono (anche se l’autore ha potuto solo accennare al problema), non solo sopravvive all’attuazione del sistema, ma è portata a qualificarsi e direi a « purificarsi », e il welfare state tiene in grande considerazione l’iniziativa privata, la utilizza opportunamente e debitamente la sostiene e gratifica.

(11)

agli enti, trenta o quaranta mila che siano. Nel riferirci invece ai paesi scandinavi è bene tener presente che nell’iniziativa privata va compresa an­ che e direi soprattutto l’opera volontaria dei tanti singoli cittadini che fanno parte per esempio delle commissioni municipali, incaricate del dépistage delle persone in stato di bisogno materiale o morale, della protezione che queste persone esigono quando escono da un ospedale psichiatrico o da una prigione, del controllo della amministrazione dei servizi sociali e in generale dell’attuazione dei programmi al livello comunitario. L’assistente sociale è l’elemento tecnico di cui queste commissioni dispongono (di solito è segretario delle commissioni) ed è la persona che finisce per formare e qualche volta per trasformare la mentalità di questi volontari investiti di alte responsabilità.

A proposito di « mentalità » e perché non si creda che le cose in questi paesi sono più facili di quello che sono in realtà, c’è un passo curioso nel testo laddove si parla, del trattamento economico degli operatori sociali in Svezia. Fatta eccezione per gli assistenti sociali che godono di un tratta­ mento relativamente privilegiato, altri, educatori, infermieri, ecc., pare che siano tenuti un po’ a corto per motivi di principio. II lavoro sociale, scrive l'autore, « nato in forma di volontariato ispirato a princìpi umani­ tari, non riesce ancora ad effettuare il trapasso da una “ vocazione ” ad una professione percepita come tale dalla popolazione e dalle sue sfere politiche, che talvolta sembrano più che altro preoccupate di proteggere gli operatori dalle tentazioni del materialismo. E’ un fatto significativo che, tra tutte le categorie in questo settore, la meno privilegiata — talvolta in maniera scandalosa — è quella delle infermiere, il cui livello di pre­ parazione professionale è fuori questione, e il cui fabbisogno particolar­ mente alto. Ciò sta ad indicare che, indipendentemente dai giudizi sulla qualità professionale o sul fabbisogno di personale, giuocano ancora delle idee irrazionali intorno alla “ vocazione ” , la cui essenza verrebbe ad essere pregiudicata nel momento in cui la professione di infermiera o di educatore non richiedesse più un sacrificio personale ».

Tornando a quello che dicevamo sulle commissioni municipali, ci pare che il loro funzionamento andrebbe attentamente studiato : sul piano poli­ tico rappresentano una forma concreta e operante di partecipazione demo­ cratica e sono ristituzionalizzazione di quel lavoro dal basso, che da noi pare condannato invece a restare brado. Sul piano sociologico si può fare l’ipotesi che siano proprio queste e tante altre commissioni di questo tipo a impedire quel processo di burocratizzazione che i servizi sociali d o v r e i bero subire nei paesi della sicurezza sociale.

(12)

delle persone disinteressate non c’è e quindi non possiamo istituire niente di simile.

In questi ultimi venti anni ci sono state tante occasioni in Italia (com­ prese quelle degli stati di emergenza) e ci sono state tante esperienze (penso ai vari progetti di sviluppo comunitario), nelle quali la disponibilità del volontariato a tutti i livelli è emersa con molta chiarezza. Certo abbiamo anche capito che l’educazione civica non si insegna, ma vediamo che in qualche modo si impara. E il modo più sicuro è quello di amministrare qualche cosa, di essere investiti di qualche responsabilità per il bene comune.

Detto tutto questo, va chiarito che non pretendiamo, con la presentazione di questo studio, proporre un modello. Anche se l’autore, fedele al compito di dare una descrizione precisa e aggiornata dell’attività professionale degli assistenti sociali nei tre paesi, si astiene da giudizi e da valutazioni critiche, la documentazione presentata dà sufficiente materia alla riflessione e alla discussione, proprio perché lascia tanti interrogativi e presenta una situazione nel suo divenire, anche se colta nel migliore e più ampio contesto possibile.

Angela Zucconi

R ingraziamentì

Di particolare utilità per la raccolta dei dati, e per la valutazione di parecchi fenomeni poco chiari, sono state le conversazioni avute col signor Heinz Schiller, della Socialstyrelsen di Stoccolma, e le molte informazioni fom ite dai rettori delle tre principali scuole sociali scandinave: Hans Meijer, della Socialh6gslcolari di Stoccolma, Bernt H. Lund, della Norges

sosial- og kommunalskole di Oslo, e Vagn Holm, della Damnarks sociale hòjskole di Copenhagen.

(13)

I. G li assistenti sociali in Svezia

Notizie generali

Con un territorio nazionale di 450.000 chilometri quadrati, la Svezia è il quarto paese europeo in ordine di estensione; ha però una popolazione di sole 7.540.000 persone, e quindi una densità che può direi relativamente bassa (18 abitanti per kmq). Il 70% circa della popolazione vive in città e centri al di sopra dii 500 abitanti. Del territorio nazionale, il 9% sol­ tanto è coltivabile, il 54% è coperto da boschi, il resto è costituito da terreni montagnosi e incolti.

Fino al 1930 l’agricoltura occupava ancora più della metà della popola­ zione attiva. Oggi nella percentuale della popolazione attiva rappresenta il 12%, a cui corrisponde il 36% nell’industria e il 27% nel settore terziario.

Ordinamento amministrativo. Il potere esecutivo è esercitato dal Consiglio

dei ministri, nominato secondo il sistema parlamentare. I dicasteri sono undici, di cui uno per gli Affari sociali. V i è anche un ministro senza portafoglio, responsabile degli aiuti internazionali.

Il parlamento (Riksdagen) si compone di due Camere, la prima con 151 membri eletti dalle amministrazioni provinciali e la seconda con 232 rappresentanti eletti a suffragio universale ogni quattro anni. Del totale di 383 parlamentari, 192 appartengono attualmente al partito social- democratico, rimasto al governo praticamente senza interruzione dal 1932; 184 ai tre partiti « borghesi » [conservatori 65, centro (ex agrari) 52, liberali 67] ; e 7 rappresentano il partito comunista.

(14)

Un aspetto particolare del sistema amministrativo svedese, di grande importanza anche nel campo della politica sociale, è l’ampio raggio di auto­ nomia di cui godono sia le amministrazioni locali, che i vari enti pubblici a livello statale. Il Ministero degli Affari,sociali, per esempio, ha piuttosto il carattere di una segreteria del ministro, mentre chi amministra i programmi statali nel settore, è la « Direzione sociale », la quale — come una cinquantina di altre « direzioni » dei vari settori dell attività sta­ tale — è soprattutto un organo tecnico in cui le possibilità di condizio­ namento da parte del potere politico sono scarse.

A livello operativo, è molto accentuato il decentramento' amministrativo, lo stato promulga le leggi, fìssa le direttive generali della politica sociale, e partecipa alla copertura dei costi, ma è alle amministrazioni provinciali e comunali che spetta la realizzazione concreta delle iniziative pubbliche.

Economia, e finanze. Nel 1962, il prodotto1 nazionale lordo svedese rag­ giungeva 81.600 milioni di corone, pari a 9.792 miliardi di lire italiane. Di questa somma il 30% circa venne utilizzato per investimenti privati e pubblici.

Sempre nel 1962, il prodotto nazionale lordo era così suddiviso secondo le varie fonti produttive:

Industria e artigianato Edilizia Agricoltura e foreste Trasporti e commercio Servizi terziari 40% 9 8 22 21 Totale 100

Grandissima parte dell’economia nazionale è dominata dal settore privato: del numero totale di persone occupate nell’industria, ben il 90% lavora presso aziende private, il 4% presso cooperative, e il 6% soltanto presso imprese pubbliche, nazionali o locali.

Con un aumento stabile del prodotto nazionale lordo del 3,5% circa all’anno dopo l’ultima guerra, il salario medio orario nell’industria è salito da 2,05 corone (245 lire) nel 1946, a 7,40 corone (890 lire) nel 1962.

Nello stesso periodo, il costo medio della vita è salito dell’80%.

(15)

dall’incremento della voce « Affari sociali », che risulta oggi la più impor­ tante nel bilancio dello stato. Uno stralcio dal preventivo per l’anno 1964-65 vale ad illustrare il fenomeno:

Milioni di corone

Miliardi

di lire % del totale Totale 22.600 2.700

Agricoltura 600 72 2,6

Amministrazione 900 108 3,9

Difesa 3.800 456 16,7

Educazione 3.200 384 14,0

Affari sociali, sanitari e del lavoro 6.500 780 28,7

Le spese pubbliche vengono coperte per il 35% circa da imposte dirette e per il 45% circa da quelle indirette, compresa l’imposta di consumo del 6,4% su tutte le operazioni commerciali. Le imposte sul reddito individuale, prelevate sia dallo stato che dalle amministrazioni locali, vengono per lo più trattenute e versate direttamente dal datore di lavoro, e sono forte­ mente progressive. L’ultima inchiesta sulla distribuzione dei consumi privati, condotta nel 1958, denuncia un consumo medio .pro-capite pari a lire 725.000 annue, corrispondente a una somma di lire 1.880.000 per unità familiare, in cui il limite più basso, di 650.000 lire, riguarda pen­ sionati singoli. Per le unità familiari, troviamo una variazione da 1.525.000 lire per le famiglie contadine e 1.630.000 per quelle operaie a lire 3.650.000 in media per gli impiegati e funzionari (cifre riportate al potere d’acquisto della corona nel 1963) (1).

Sempre dalla stessa, inchiesta, risulta una distribuzione delle spese del bilancio familiare medio (di 16.000 di corone annue circa) del 30% per alimentazione, 14% per affitto e riscaldamento, 11% per vestiario, 10% per trasporti, 5% per spese mediche, sanitarie, ecc.

Istruzione 'pubblica,. Al livello elementare e medio è di responsabilità delle

(16)

da insegnanti ohe, di massima, dovrebbero avere una formazione universi­ taria. Al nono anno scolastico, gli allievi possono scegliere nell’ambito di nove corsi speciali: cinque preparatori di una ulteriore formazione media e universitaria, due pratici e tecnici, un corso commerciale e uno di economia domestica. Nel 1962-63, la frequenza totale a quest’ordine di scuole era di 837.000 allievi.

Nelle scuole medie e superiori (ginnasi), che sfociano nell’esame di maturità, sono offerti tre corsi: classico, scientifico e generale (orienta­ mento pratico). Vi sono pure scuole superiori tecniche e commerciali, in cui l’esame finale dà ugualmente diritto a proseguire negli studi univer­ sitari o in istituti superiori. Vanno anche ricordate le scuole popolari superiori (folkhdgskolor) — attualmente un centinaio con 12.000 allievi circa — che offrono dei corsi residenziali di 7-8 mesi a coloro che non hanno avuto occasione di frequentare le regolari scuole medie o superiori, il cui insegnamento è orientato soprattutto in direzione della formazione civica. La frequenza totale ai livelli medi e superiori (comprese le scuole di formazione professionale e quelle popolari) era di 296.000 allievi nel 1962-63.

Oltre all’insegnamento dell’inglese, obbligatorio a partire dal quarto anno della scuola dell’obbligo, il tedesco e il francese vengono introdotti a partire dagli ultimi anni per coloro che intendono proseguire gli studi presso i ginnasi.

Alle cinque università svedesi, attualmente in forte espansione, vanno aggiunti diversi istituti specializzati a livello universitario (tecnici, agrari, commerciali, artistici, ecc.), con una frequenza complessiva che si aggira intorno ai 50.000 studenti.

In seguito alla riforma dell’istruzione elementare, sono attualmente in corso parecchie iniziative in vista di modifiche radicali anche dell’inse­ gnamento medio-superiore e universitario, al fine di meglio adeguarlo alle esigenze di una società in rapida trasformazione. Di particolare importanza sono le iniziative atte ad eliminare ogni ostacolo economico al proseguimento nell’istruzione superiore. Mentre già l’insegnamento a tutti i livelli è gratuito, è ora in fase d’introduzione un sistema di prestiti statali a lunga scadenza agli studenti universitari, al quale si aggiungerà in seguito un regolare stipendio universitario.

Nel campo della formazione extra-scolastica vanno infine ricordati i numerosi corsi serali (soprattutto di lingue straniere, materie culturali e pratiche, ecc.) organizzati dalle varie associazioni popolari e dalle uni­ versità, e le molte trasmissioni didattiche della radio-TV statale.

(17)

lettori; nello stesso anno furono vendute 52,2 copie di giornali per 100 abitanti al giorno e stampati oltre 6.000 titoli di libri. Mentre il consumo relativo di giornali è il più alto del mondo, la Svezia è al quarto posto per il consumo pro-capite di libri (con la Norvegia al primo posto, 1 Inghilterra al dodicesimo e gli Stati Uniti al ventiseiesimo).

La politica sociale

« La politica sociale in Scandinavia si è sviluppata sotto l’influenza delle forze economiche e politiche dominanti neU’ultimo secolo. E’ quindi del tutto naturale che le riforme man mano introdotte non facessero parte di un piano globale, e che alcune tra di esse non possano considerarsi delle articolazioni di princìpi chiaramente definiti e generalmente accettati. Di solito, le iniziative avviate erano il risultato di un compromesso tra motivazioni ed interessi in conflitto tra di loro, e vennero giustificate con frasi come ” il diritto dei poveri” , ” i bisogni dell’umanità” , ” il diritto al lavoro” , ecc. Considerazioni del genere, basate sul concetto di diritto naturale, si trovarono dinanzi all’opposizione di interessi finanziari che tentarono di restringere la portata delle riforme, e spesso riuscirono a limitare sostanzialmente l’efficacia della legislazione in seguito varata ».

Questo brano, estratto da una recente ed autorevole relazione sulla politica sociale nei paesi scandinavi (2), indica un contesto storico che andrebbe sempre tenuto presente da chi vuole capire e valutare l’esperienza scandinava nel campo della previdenza e della assistenza sociale per i cit­ tadini. Non di rado, e specialmente da parte di osservatori stranieri, viene dato di sentire interpretazioni deH’ordinamento sociale scandinavo che, esagerando sia in senso positivo che negativo, sono ugualmente sbagliate per mancanza di una tale prospettiva storica. Qui come dovunque, la creazione di una, società migliore è un processo lento e sperimentale; lo «stato del benessere» non rappresenta affatto la perfezione, né d’altra parte si può dire che tutto è sbagliato per il fatto che molti problemi restano ancora da risolvere.

La Svezia, che per vari motivi occupa la posizione più avanzata dei paesi scandinavi in questo settore, può certo essere considerata una specie di società modello per quanto riguarda l’estensione e l’efficacia del sistema di sicurezza sociale.

(18)

servizi nel campo sociale è sempre stato, ed è ancora, meno lineare e più incerto. In mancanza non solo di piani e dei mezzi per realizzarli, ma spesso anche di una chiara motivazione politica nel campo sociale, si sono prodotti molti squilibri e lacune che ancora si stenta a superare.

Così, accanto ai problemi sociali per così dire « normali », perché inevi­ tabili (malattie e vecchiaia, infortuni, ecc.), ne sussistono degli altri meno facilmente tollerabili in quanto sono in gran parte causati da fattori che sarebbero controllabili tramite una politica sociale più saggia e previdente: l’alcolismo, la delinquenza minorile, la disgregazione delle famiglie e altri problemi causati dalla mancanza di abitazioni adeguate,

e soprattutto la carenza di strutture e risorse nel campo della terapia delle

malattie psichiche, degli alcolisti e dei minori disadattati.

Più che effetti « naturali » di un alto tenore materiale di vita — come si ritiene da parte di taluni — questi problemi rappresentano quindi delle deficienze, non del « sistema » come tale, ma di una insufficiente realiz­ zazione dei suoi scopi.

Negli ultimi anni, però, si notano delle tendenze verso un maggiore chiarimento1 dei princìpi fondamentali e delle grandi linee da seguire nel­

l’ulteriore sviluppo della politica sociale. Oltre allo sforzo di coordinare meglio le varie iniziative e di snellire i processi amministrativi, questa tendenza si manifesta in un’accentuazione dei trattamenti preventivi e di riabilitazione, e nel superamento delle lacune rimanenti in alcuni settori, in termini sia di persone che di risorse. Va notata anche la tendenza a tener sempre più presenti le esigenze di tipo' sociale nella formulazione della politica economica nazionale e regionale.

Legislazione e amministrazione sociale. Mentre 1 attività di governo si

limita, in genere, alla promozione delle leggi relative ai vari sistemi di previdenza ed assistenza sociale, la principale responsabilità operativa della politica sociale ricade sulle direzioni amministrative in primo luogo sulla Direzione sociale, Socialstyrelsen — e sulle amministrazioni provinciali e comunali.

Le leggi più importanti sono quelle degli aiuti sociali (Sodalh'jdlps-

lagen) del 1957 (in sostituzione della, legge « dell’assistenza ai poveri » ); la

(19)

dopo la più aspra battaglia politica del dopoguerra e a prezzo di una elezione politica straordinaria.

Il conflitto fu causato in parte dalle opinioni contrastanti a proposito della realizzazione pratica di un sistema organico di pensioni, ma soprattutto dalle preoccupazioni della destra borghese per quanto riguarda i criteri di gestione degli ingenti fondi che si sarebbero accumulati con i contributi obbligatori dei datori di lavoro.

In genere, quindi, la realizzazione pratica del sistema assistenziale e previdenziale è in mano alle autorità provinciali e comunali, attraverso apposite commissioni (namnder) per le questioni sociali ed assistenziali, per la protezione dell’infanzia, l’assistenza e il trattamento degli alcoli­ sti, ecc. Mentre le leggi nazionali contengono certe direttive generali per l’amministrazione delle varie prestazioni sociali, e quindi fissano un minimo obbligatorio a cui deve arrivare l’estensione dell’assistenza data dalle amministrazioni locali, queste ultime hanno la facoltà di aumentare la propria attività nel campo secondo i bisogni e le possibilità; facoltà che include quella di imporre delle tasse apposite. Pertanto le variazioni tra un comune e l’altro possono ovviamente essere rilevanti.

Le varie commissioni incaricate dalle amministrazioni locali di gestire i programmi sociali, sono in gran parte composte da operatori sociali volontari ; il numero di operatori fissi dipende soprattutto dalla grandezza del comune o della provincia. Il contributo volontario da parte di privati, oltre alla partecipazione alle varie commissioni, si esplica specialmente in attività di controllo e di consulenza a favore dei disadattati, degli alcolisti, delle madri nubili,, ecc.

In genere, è ormai insignificante l’apporto delle organizzazioni private nel campo dell’assistenza sociale diretta. Storicamente, però, il ruolo delle organizzazioni umanitarie di vario tipo — d’ispirazione religiosa o gene­

(20)

enti pubblici. D’altra parte, queste associazioni si proponevano la mobili­ tazione dell’opinione pubblica, l’informazione sulla natura dei vari mali della società al fine precipuo di creare un impegno morale e materiale per eliminarli, ed anche, a scadenza, più lunga, per ottenere i mezzi neces­ sari per alcune riforme radicali. Sembra anzi che questa prospettiva più lungimirante sia stata presente già dai primi tempi di questi movimenti popolari, cioè dal secolo scorso, se si considera la forte presenza a livello parlamentare dei rappresentanti delle varie organizzazioni di questo tipo. In seguito, e specialmente durante i primi decenni di questo secolo, la nuova legislazione nel campo sociale, il crescente apporto finanziario dello stato congiuntamente alla creazione di nuove strutture materiali ed istitu­ zionali, hanno portato ad una situazione in cui le organizzazioni private, ancora molto vivaci, raramente si occupano in via diretta dei problemi sociali, ma agiscono come strumenti d’informazione, di controllo', e come gruppi di pressione politica.

Un esempio piuttosto significativo può essere quel fenomeno tipicamente scandinavo che è il movimento degli « astensionisti », organizzato in un grande numero di leghe ed associazioni antialcoliche. D’ispirazione mista, religiosa e sociale (anche questo un fenomeno tipico dell’ultima metà dell’ottocento : il forte impegno sociale e politico delle varie sette prote­ stanti, la loro particolare capacità organizzativa, ecc.), il loro scopo prin­ cipale era la lotta contro' l’abuso dell’alcool. Con poche eccezioni, l’elemento comune- per ogni aderente era quello di astenersi dalle bevande alcoliche, mentre vi erano parecchie proposte contrastanti riguardo ai mezzi per combatterne l’abuso corrente. L’orientamento generale, per molto tempo rimase quello di usare lo strumento politico, ma le cattive esperienze del proibizionismo americano e norvegese durante gli anni ’20 consiglia­ rono invece un sistema molto rigido di razionamento in base a libretti personali, validi presso gli spacci pubblici delle bevande alcoliche. Neanche questo sistema, però, si dimostrò abbastanza efficace, e fu quindi abolito a metà degli anni ’50. Durante e dopo questa esperienza, la tendenza generale dei movimenti popolari, contro l’abuso dell’alcool è stata quella di rinunziare gradualmente all’idea che il problema si potesse risolvere per via d’interventi e riforme pubbliche. Il loro potere politico è ancora notevole, ma sono in pochi ormai a credere in soluzioni definitive del problema su questo piano.

La politica sociale in cifre. Può essere utile riportare alcuni dati sin­

(21)

malattie garantisce il ricovero praticamente gratuito, il rimborso di due terzi delle spese mediche e farmaceutiche, l’indennità giornaliera di degen­ za, ecc. Ugualmente obbligatoria è l’assicurazione contro gli infortuni, la disoccupazione, ecc. Le pensioni di vecchiaia sono composte dalla pensione di base erogata a tutti i cittadini (attualmente pari a lire 450.000 annue pro-capite) più una integrazione che garantisce, a partire dal 67° anno, un reddito totale pari ai due terzi del salario raggiunto nei quindici « anni migliori » della precedente attività lavorativa. Molto estese sono inoltre le attività nel settore della protezione delle famiglie e dei bambini, sia in forma di assistenza ai casi di bisogno, sia pure attraverso i vari normali contributi alle gestanti, ad ogni minore fino ai sedici anni, ecc. La voce « assistenza sociale generale » copre le varie attività in favore dei poveri o disadattati, delle famiglie incomplete o disgregate, ecc. Va inoltre rilevato che una parte importante dell’aiuto pubblico si svolge in forma di prestiti senza interessi, contributi per la casa, refezioni scolastiche, ecc.

Nel 1963 un numero totale di 270.000 persone circa riceveva varie forme di aiuti da parte degli enti pubblici, e cioè 36 per ogni mille abitanti. I ricoveri per gli anziani, in numero di 1.336, disponevano di 45.000 posti, occupati al 93%. Nello stesso periodo, 3.400 assistenti familiari impiegate a pieno tempo dalle amministrazioni comunali, assistevano regolarmente 27.000 anziani soli.

Nello stesso anno, le commissioni locali per la protezione dell’infanzia si occupavano in sede preventiva di 22.000 bambini e ordinavano varie forme d’intervento pubblico in 32.000 casi, pari cioè al 13 per mille della popolazione sotto i 21 anni. I casi di abuso dell’alcool, in numero di 42.500 (8,2 per mille della popolazione adulta) motivavano gli interventi previsti dalla legislazione da parte delle apposite commissioni locali, e 9.000 alcolisti si trovavano ricoverati negli istituti appositi.

Nel campo sanitario, può essere notato un totale di 120.000 posti-letto negli ospedali (pari al 16 per mille degli abitanti), e una media per 10.000 abitanti di 9,8 medici, 29,2 infermiere e 7 dentisti. Nelle vaste zone rurali con popolazione molto sparsa, la cura medica è affidata a 500 medici condotti con l’aiuto di 1.500 infermiere di zona.

(22)

Per quanto riguarda le spese puramente assicurative, le tabelle che seguono ne danno la rappresentazione suddivisa nei cinque settori prin­ cipali del sistema assicurativo obbligatorio e la distribuzione percentuale degli oneri rispetto ai contribuenti:

Distribuzione delle spese assicurative nei cinque settori

Malattie

Infortuni sul lavoro Disoccupazione Pensioni di base Pensioni integrative Totali in milioni di corone 1.873 175 151 3.700 2.100 Milioni di lire 224.760 21.000 18.120 444.000 252.000 Totale 7.999 960.880

Distribuzione percentuale degli oneri

Ammiri. Dat. di Assicu­ Inte­

Stato locali lavoro rati ressi Totale

% % % % % %

Malattie 20,4 30,9 47,1 1,6 100

Infortuni sul lavoro 3,0 70,1 — 26,9 100

Disoccupazione 41,7 — — 45,7 12,6 100

Pensioni di base 52,9 12,8 — 32,7 1,6 100

Pensioni integrative — — 84,6 5,6 9,8 100

La politica sociale e l’opinione pubblica. Può essere opportuno accennare

(23)

dell’attuale politica sociale dello stato. Probabilmente non si porrebbero in forse quelli che in sostanza ispirano la redistribuzione del reddito (pensioni, assicurazioni, ecc.), col fine di garantire un minimo di sicurezza a tutti.

Anche se, al di fuori degli schieramenti politici, si leva qualche voce che, in nome dell’individualismo e della libertà (concepita in un certo modo) si oppone alle implicazioni paternalistiche presenti in questa parte del sistema, si tratta in realtà di voci isolate che raramente trovano una espressione politica, giacché da molto tempo i partiti sono concordi nel rispettare i princìpi generali della politica sociale in atto.

Il punto nevralgico è un altro, e cioè quella parte della politica sociale che riguarda la protezione, l’assistenza o il trattamento di determinati gruppi come i disadattati e delinquenti minorili, le madri nubili, e particolar­ mente gli alcolisti. Riguardo a queste categorie, la politica ufficiale (se non sempre l’atteggiamento degli operatori o amministratori direttamente implicati) si è orientata sempre di più in direzione antimoralistica, terapeutica, di riadattamento e recupero. Ma è lecito affermare, in termini generali, che a questa politica, sostenuta soprattutto dagli intellettuali e da una parte del mondo politico, si oppone più o meno esplicitamente una notevole parte della popolazione. Un atteggiamento comune, riscontrato più o meno in tutti i ceti sociali, è ancora quello delle facili soluzioni punitive basato sul moralismo puritano: l’alcolismo o la delinquenza minorile non sarebbero che manifestazioni di un carattere debole e andrebbero corretti con la forza; invece lo stato non farebbe che viziare i trasgressori a spese dei benpensanti, ecc.

Con l’andar del tempo, ci sono certamente buone possibilità che i pro­ blemi qui indicati possano scomparire gradualmente. Fino ad un certo punto, si tratta di un problema di generazioni : la politica sociale svedese nella sua forma attuale è sempre un fatto relativamente nuovo; quindi niente di strano che l’opinione pubblica non ne abbia ancora assimilato che i lati più vantaggiosi. Vi sono anche delle vie istituzionali per cui si dovrebbe gradualmente creare nel pubblico una concezione più razionale della problematica sociale, come ad esempio il rafforzamento del ruolo dell’azione civica nelle attività sociali ed assistenziali a livello comunale.

Gli « operatori sociali »

Non esiste in Svezia una voce che copra tutta la gamma delle professioni diversamente impegnate nella realizzazione del sistema di sicurezza sociale, un termine generico come « operatore sociale » o « travailleur social ».

(24)

qualsiasi forma organizzativa o associativa che metta in comunicazione tra di loro le varie figure professionali impegnate nell’azione sociale. Questo fatto sembra essere un riflesso di un fenomeno già indicato, cioè lo spiccato empirismo con cui idee umanitarie vagamente concepite sono state tradotte, a poco a poco e per via di molti compromessi, in politica sociale. Lo svi­ luppo, per molti versi impressionante, delle risorse finanziarie e degli ordi­ namenti amministrativi del sistema di sicurezza sociale, non è stato accom­ pagnato da un corrispondente progresso riguardo alla posizione economica e di status del personale predisposto all’attuazione di questo sistema. Rispetto agli interventi amministrativi e finanziari in vieta di un successivo miglioramento delle condizioni sociali della popolazione, è sempre consi­ derevole il ritardo a livello di problemi del personale: sia in materia di reclutamento e di possibilità formative che di autonomia operativa, di situazione salariale e sindacale, ecc.

La situazione relativamente: poco vantaggiosa di queste figure professio­ nali, che ovviamente non fa che aggravare ulteriormente i problemi del reclutamento di elementi idonei alle varie categorie, deriva in parte dalla mancanza di coordinamento e programmazione già menzionato: in parte anche dal persistere di vecchie concezioni sentimentali intorno al lavoro sociale in genere. Nato in forma di volontariato ispirato a princìpi umani­ tari, non riesce ancora ad effettuare il trapasso da una « vocazione » ad una professione percepita come tale dalla popolazione e dalle sue sfere politiche, che talvolta sembrano più che altro preoccupate di proteggere gli operatori dalle tentazioni del materialismo. E’ un fatto significativo che, tra tutte le categorie in questo settore, la meno privilegiata — talvolta in maniera scandalosa — è quella delle infermiere, il cui livello di pre­ parazione professionale è fuori questione, e il cui fabbisogno particolar­ mente alto. Ciò sta ad indicare che, indipendentemente dai giudizi sulla qualità professionale o sul fabbisogno di personale, giuocano ancora delle idee irrazionali intorno alla « vocazione », la cui essenza verrebbe ad essere pregiudicata nel momento in cui la professione di infermiera o di educatore non richiedesse più un sacrificio personale.

Quindi, accanto alle concezioni di tipo tradizionale sulla problematica sociale di cui si è parlato poc’anzi, persistono largamente delle idee superate sulla « vocazione » e il ruolo di questo tipo di personale. Tutto ciò contribuisce a rendere più difficile, specialmente a livello operativo, il lavoro di alcune delle figure professionali più esposte alla critica dell’opi­ nione pubblica, che sono poi quelle che più avrebbero bisogno di compren­ sione e collaborazione da parte del pubblico e dei funzionari ; è il caso ad esempio, di chi tratta gli alcolisti o i minori delinquenti.

(25)

la più privilegiata è quella degli assistenti sociali diplomati dalle scuole di servizio sociale, i « socionomi », i quali possono contare sul prestigio sociale, su condizioni economiche e sindacali soddisfacenti, ed in genere anche su una possibilità di partecipazione a livello politico di cui parleremo in seguito.

Gli assistenti sociali o « socionomi » . Premessa terminologica

Il tentativo di descrivere la situazione di lavoro della categoria degli assistenti sociali in Svezia comporta certe difficoltà terminologiche. Il titolo che rilasciano le scuole di servizio sociale in Svezia è quello, recen­ temente coniato, di socionom che, con qualche perplessità, tradurremo con la voce «assistente sociale».

La perplessità è dovuta al fatto che l’attività del socionom copre un area più vasta di quella comunemente coperta dall’assistente sociale e il diploma consente l’accesso anche a carriere diverse da quelle proprie del lavoro sociale. La ragione essenziale per cui ci siamo decisi a tradurre il termine con quello di assistente sociale, è che le scuole di servizio sociale svedesi, sul piano internazionale, vengono riconosciute a tutti gli effetti scuole di formazione di assistenti sociali.

Nella gerarchia propria della professione di assistente sociale in Svezia troveremo, a livelli più alti o più bassi, altre particolari denominazioni che lasceremo invece nella lingua originale.

Mentre la voce socionom può essere usata per legge soltanto per i diplomati, queste altre denominazioni sono riferite anche a persone non in possesso del titolo rilasciato dalle scuole di servizio sociale, anche se la tendenza è quella di affidare sempre più ai diplomati le posizioni di lavoro alle quali queste denominazioni si riferiscono.

Così troviamo al più alto grado della gerarchia professionale il social-

sysslomcm, cui fanno capo tutti i servizi e le attività dei comuni di una

certa grandezza. Anche se molti sono in possesso del diploma delle scuole di servizio sociale, hanno ossia il titolo di socionom, ci pare opportuno lasciare il termine in svedese.

Sempre nei comuni più grandi troviamo nel campo sociale, nel settore della previdenza o in determinati settori dell assistenza, altre cariche direttive con proprie designazioni. I dati che abbiamo si riferiscono al 1958 e in quest’anno, su 172 dirigenti, 71 erano in possesso del diploma. Data la tendenza, si può presumere che oggi la percentuale sia assai più elevata.

(26)

socia-linspektòrer censiti nel 1958, 34 erano in possesso del diploma di assistente

sociale. Anche queste designazioni verranno lasciate nella voce originale. A livelli più bassi della gerarchia, troviamo il socialkurator che tra­ durremo secondo i casi con assistente sociale di fabbrica, scolastico, ospe­

daliero, psichiatrico, familiare, ece., perché di fatto è un assistente sociale

che ha una competenza limitata a un determinato settore, svolge il lavoro diretto con i clienti, di solito nell’ambito di una determinata istituzione; in generale svolge limitatissimi compiti di carattere amministrativo, lavora in équipe con medici, psichiatri o altri, ha di solito una preparazione particolare per il trattamento dei casi individuali. Il 94% dei kuratorer sono ormai diplomati dalle scuole di servizio sociale e per tale motivo ci pare opportuno tradurre il termine svedese in italiano.

Pure a questo livello troviamo la figura del socìalassistent che è invece un generico con compiti misti: compiti a contatto diretto con il cliente (ma non per il trattamento di casi) e compiti di carattere amministrativo. Sempre secondo i dati del 1958, soltanto il 50% dei sodalassistenter aveva il diploma di scuola di servizio sociale. Il socialassvstent lo incon­ triamo in tutte le amministrazioni comunali e provinciali ove funge da segretario nelle varie commissioni municipali preposte agli affari sociali. Più piccolo è il comune, più vasto è il suo compito a diretto contatto dei clienti, ma sempre limitato al lavoro di consulenza, di informazione e mai di trattamento. Più grande invece è il comune, più vasti sono i suoi compiti di carattere amministrativo. Non ci pare opportuno tradurre questa voce, perché ovviamente genera equivoci con la voce « assistente sociale » che traduce invece socionom e kurator.

La formazione professionale

Le scuole di servizio sociale. Con una sola eccezione di scarsa importanza, la formazione professionale degli assistenti sociali è ormai affidata alle quattro «Scuole superiori di lavoro sociale», diventate enti statali alcuni anni fa. La storia di queste scuole risale al 1920, anno in cui fu creato l’Istituto sociale di Stoccolma. Dapprima ente privato, l’Istituto venne finanziato soprattutto dalle amministrazioni locali interessate, e in seguito dallo stato, in misura sempre crescente. Dopo la guerra, nacquero le altre scuole (a Göteborg, Lund ed Umeà); esiste il progetto per l’istituzione di una quinta scuola nella parte centrale del paese.

(27)

coordinamento dell’insegnamento nelle varie scuole, e ad elevarne il livello fino a quello universitario ; per vari motivi, però, si decise di evitare il passo decisivo della integrazione nel sistema universitario. Quindi, il pro­ blema dei rapporti tra scuole di servizio sociale ed università (che si trovano dislocate nelle stesse città) è stato risolto in modo empirico: vi è un certo scambio di personale insegnante, e il diploma delle scuole viene in genere riconosciuto come titolo per proseguire in alcuni tipi di studi superiori presso le università.

L’organo superiore delle scuole è la cosiddetta « commissione di col­ laborazione », composta dei quattro rettori e di alcuni membri nominati dal governo. Ad essa spetta il compito di coordinare le attività dei diversi istituti in modo che ¿’insegnamento sia dovunque dello stesso livello, ed anche di decidere collegialmente sull’ammissione di nuovi allievi: le domande vanno presentate alla commissione e non alle singole scuole. Nei vari istituti, vi è un consiglio presieduto dal rettore e composto da rappresentanti dello stato e degli enti pubblici interessati alla forma­ zione degli assistenti sociali, e un consiglio dei docenti che si occupa dei programmi, affiancato da una commissione per l’ insegnamento in cui sono rappresentati anche gli allievi.

I docenti sono nominati dal governo in base a criteri che si fanno sempre più simili a quelli in uso nel sistema universitario. Le scuole non hanno ancora avuto l’assegnazione di vere cattedre d insegnamento, per cui il corpo insegnante è per lo più composto da liberi docenti, oppure da assistenti e docenti universitari. Un notevole aumento del numero degli incarichi fissi è stato un altro risultato delle recenti riform e: fino a pochi anni fa, gran parte dell’insegnamento era affidato a incaricati temporanei, e specialmente a funzionari degli enti pubblici nel settore sociale. Altra novità è l’istituzione di un certo numero di « consulenti di studio » ai quali spetta il collegamento con le istituzioni in cui gli allievi fanno il loro tirocinio, e la supervisione del tirocinio medesimo.

La ricettività delle scuole è stata notevolmente aumentata durante 1 ultimo decennio, e ulteriori allargamenti sono attualmente in programma (anche se, come noteremo in seguito, è difficile che si riesca a soddisfare la domanda prevista dal mercato di lavoro degli assistenti sociali). Nel 1963 vi era un totale di 1.250 allievi frequentanti le quattro scuole, e un totale di 480 nuovi iscritti per l’anno accademico seguente: 150 alla scuola più grande, a Stoccolma ; 120 a quelle di Göteborg e di Lund, e 90 alla scuola di Umeà di recente istituzione. Il corpo insegnante consisteva, nel 1963, ancora soltanto di 18 docenti fissi presso le quattro scuole, mentre il programma prevede una cinquantina di incarichi permanenti entro il 1967.

(28)

stipendi 295 milioni, spese di gestione 60 milioni circa, attrezzature

15 milioni, ecc.). Una misura dell’estensione delle riforme in corso è data dalle previsioni di bilancio per gli anni, seguenti : 450 milioni di lire per il 1964-65, 530 per il 1966-67, ecc. Calcolando un aumento della capienza delle scuole fino a 1.750 allievi entro questo periodo, il costo annuo per studente dovrebbe quindi aumentare dalle 275.000 lire ad una media di

300.000 lire circa.

L'insegnamento. A parte le riforme sopra menzionate, l’aspetto più impor­

tante della recente riorganizzazione delle scuole è dato dalla durata dei corsi, prolungata a tre anni e mezzo ; è stato, però, abolito il « pre-tiro- cinio » prima richiesto per l’iscrizione. Le proposte di abolire i tre indi­ rizzi di formazione — sociale, amministrativo, teorico — in favore di un corso unico non furono accettate, e fu deciso di ricorrere a un sistema misto in cui i corsi specializzati sono preceduti da un « corso di base » di orientamento generale, uguale per tutti gli studenti.

A questo proposito, osserva la commissione incaricata di proporre delle riforme, vi erano due esigenze più o meno opposte da soddisfare: da un lato occorreva salvaguardare il carattere formativo generale dell’inse­ gnamento, dando agli studenti una visione sufficientemente larga e com­ pleta dei contesti sociali-politici-culturali in cui si svolge il lavoro al quale sono destinati ; dall’altro lato, l’esigenza di una specializzazione sempre maggiore, e soprattutto l’aumentata complessità dei problemi sociali richiedevano un approfondimento in campo amministrativo e sociale. Di qui l’abolizione dei pre-tirocini, non più ritenuti validi come esperienza formativa e come prova dell’idoneità dei candidati, e il conseguente pro­ lungamento di un anno dei corsi nelle scuole.

Sempre in vista di una migliore utilizzazione del tempo disponibile, fu anche introdotto un sistema più rigido (con la possibilità di concedere, però, delle variazioni in casi speciali) nel rapporto insegnamento pratico-inse­ gnamento teorico. Secondo questo sistema, i tirocini pratici — che durano complessivamente 12 mesi — vanno divisi in tre periodi distinti, inter­ calati con i periodi di studio teorico: due periodi di cinque mesi e un periodo di tirocini estivi di due mesi. Mentre l’ultimo periodo può essere compiuto a scelta dell’allievo nel secondo o nel terzo periodo estivo, la distribuzione teorico-pratica viene così stabilita (limitatamente agli indi­ rizzi sociale e amministrativo ; per quello teorico non sono previsti tirocini) :

1* 4“KO Studi teorici

2° Corso di base 0

6° Tirocinio 3* Tirocinio

(29)

Come in precedenza, non è prevista nessuna tesi finale per il conseguimento del diploma di assistente sociale, ma, come vedremo in seguito, la stesura di tesine su problemi particolari, e altre esercitazioni individuali, fanno parte di parecchi corsi speciali.

Prima di procedere alla descrizione più particolareggiata del corso di base e dei vari corsi successivi, può essere opportuno dare un quadro d’ insieme del sistema d’insegnamento, e dei requisiti richiesti per ottenere il diploma in uno dei tre indirizzi. In sintesi, uno studente — supe­ rato il corso di base e compiuto il primo periodo di tirocinio —■ deve scegliere l’ indirizzo che intende seguire nei successivi studi teorici secondo regole che fissano un minimo di « punti », richiesti per ciascuno dei tre indirizzi, e che stabiliscono in quali materie si possa ottenere un punteggio valido e in quale combinazione di punti. Non vi è quindi nessuna divisione degli studenti in gruppi secondo i tre indirizzi; lo studente sceglie le lezioni e le esercitazioni che portano alla combinazione di punti da lui desiderata. Alla fine di ogni corso di lezioni, si può presentare per un esame parziale nella materia in questione, superato il quale, il risultato viene tradotto in punteggio in un apposito libretto personale. (L ’esame finale quindi non esiste, e il conferimento del diploma è una pura formalità per chi ha raccolto il punteggio previsto per una determinata combinazione di materie).

Il corso di base comprende le sette materie seguenti, tutte obbligatorie: diritto pubblico, con particolare riguardo al diritto amministrativo, scienze politiche, economia e politica sociale, statistica, sociologia, psicologia, amministrazione sociale e comunale. Con eccezione dell’ultima materia, che viene studiata per l’intero anno del corso di base, le altre vengono combinate in gruppi di due materie, ognuno dei quali si prolunga per un periodo di due-tre mesi.

Le materie teoriche («m aterie d’esame») consistono ognuna in un corso generale obbligatorio, oltre a diversi corsi speciali dei quali se ne sceglie almeno uno. In genere, si calcola un minimo di mezzo semestre di studio per un punto in una determinata materia, un altro semestre per due punti, e un totale di due semestri e mezzo per il voto più alto, tre punti. Le materie teoriche sono sette, parzialmente coincidenti con quelle del corso di base: diritto pubblico e amministrativo; scienze poli­ tiche; economia e politica sociale; economia e pianificazione comunale; sociologia; psicologia; metodologia del lavoro sociale.

Il corso di base ha lo scopo di assicurare agli allievi un orientamento

Riferimenti

Documenti correlati

riottosità degli Abruzzesi, anche in epoca recente, ad accettare le novità della civiltà meccanica e le idee e i costumi ad essa adeguati, sono da spiegare

Se rispetto agli enti assistenziali locali l’assistente sociale svolge un’azione di assistenza tecnica, rispetto agli enti nazionali si profila una serie di

I dati statistici nudi, ri­ guardanti la delinquenza giovanile e il delitto, sono difficilmente utilizzabili sen­ za complesse elaborazioni : mancano infatti i

Riconosciuta la necessità della in­ tegrazione continua dell’indagine ur­ banistica e di quella sociale, ricono­ sciuta anzi l’inscindibilità di questi momenti di

Da quel momento, infatti, prende­ ranno corpo due filoni più o meno paralleli di attività teatrale : popolare l’uno, legato a forme minori e subalterne di

Anche gli psicologi, nonostante, è il caso di dirlo?, la loro psicologia, si sono dimostrati allievi di notevole levatura, impersonando ottimamente, e con

La Bibliografia inizia con un pri­ mo gruppo di scritti su « storia e sociologia del servizio sociale»; la seconda parte è dedicata alla « teo­ ria del servizio

Evidentemente, dice l’au­ tore dell’articolo, questa ten­ denza non ha vere fonda- menta: tanto la ricerca ap­ plicata che la pura hanno lo stesso rapporto con