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CAP.1 - L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA DEL SISTEMA BANCARIO 1.1 Introduzione

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CAP.1 - L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA DEL SISTEMA BANCARIO 1.1 Introduzione

Il settore bancario italiano è da tempo al centro di un diffuso e profondo processo di ristrutturazione e definizione delle strategie di crescita dei suoi principali operatori. Numerose variabili esogene condizionano l'attuale operato delle imprese bancarie, prime tra tutte le normative di adeguamento alla legislazione dell'Unione Europea e la maggiore concorrenza nazionale e internazionale che gli operatori devono affrontare. Tale influenza si manifesta soprattutto nell'intenso processo di acquisizioni e di fusioni che coinvolge piccoli e grandi istituti, evoluzione che trae forza anche dalla vasta rete di alleanze strategiche e finanziarie che i principali istituti hanno da tempo tessuto tra di loro o con gli operatori minori. In queste iniziative di crescita esterna hanno giocato un ruolo importante anche gli operatori esteri, tanto in sede di maggiore presenza all'estero delle nostre imprese bancarie, quanto con riferimento alla penetrazione internazionale nei nostri mercati.

Le tappe principali di questo lungo percorso, avviato da più di un ventennio, sono state la riforma della normativa di settore, con l’adozione dei due Testi Unici della banca e della finanza, le privatizzazioni, un intenso processo di consolidamento e la progressiva apertura all’estero del sistema.

Si è consolidato il concetto di banca universale1, segnando il superamento dei limiti della specializzazione operativa, istituzionale e temporale.

1 Una banca può decidere di organizzarsi secondo il modello di banca universale o di gruppo bancario, come indicato

nel Testo Unico. Una banca universale svolge direttamente tutte le attività che ha deciso di intraprendere. Tali attività che una banca universale può svolgere, definite dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, sono: la raccolta di depositi o di altri fonti con obbligo di restituzione, le operazioni di prestito, il leasing finanziario, i servizi di pagamento, emissione e gestione di mezzi di pagamento, il rilascio di garanzie e di impegni di firma, le operazioni per proprio conto o per conto della clientela in strumenti di mercato monetario, cambi, valori mobiliari, strumenti finanziari e azioni, le partecipazioni alle emissioni di titoli e prestazioni di servizi connessi, la consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria e di strategia industriale, i servizi di intermediazione finanziaria del tipo money broking, la gestione e consulenza nella gestione di patrimoni, custodia e amministrazione di valori mobiliari, le informazioni commerciali, le cassette di sicurezza e altre attività secondarie.

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1.2. Le tappe normative

1.2.1 Dall’unificazione del paese alla crisi bancaria del 1892

Nello spazio di poche generazioni, una grande rivoluzione mutò il volto dell’Inghilterra e poi di buona parte del mondo. Un fenomeno memorabile e portentoso che portò a dei mutamenti profondi: la rivoluzione industriale, infatti, che “…trasformò l’uomo da agricoltore-pastore in manipolatore di macchine azionate da energia inanimata2”.

Compiuto il suo ciclo in Inghilterra, la rivoluzione industriale si estese verso la metà dell’ottocento a Belgio, Francia, Germania, Svizzera e Stati Uniti. Solo nel 1900 essa era penetrata in Svezia, Italia, Russia, Giappone e Argentina, con un processo di crescita economico diverso a seconda delle condizioni di tempo, spazio e luogo3.

Cruciale è stato questo periodo storico per il cambiamento e lo sviluppo economico in Italia, e decisiva è stata l’impronta del sistema bancario. Il contributo delle banche per costruire le basi di un concreto meccanismo di sviluppo, attraverso il finanziamento dell’innovazione, è stato fondamentale.

In Italia, dopo l’unificazione del paese nel 1861, si rende ancor più urgente il problema di attenuare una situazione di grave ritardo economico rispetto alle altre nazioni europee più progredite.

L’attività bancaria, in questo periodo, non era disciplinata da nessuna legislazione speciale, ma assoggettata alle norme di diritto comune, come qualunque altra impresa. Viene presa in considerazione dal Codice di Commercio del 1882, che qualifica come atti di commercio le operazioni di banca e come commercianti coloro che vi si dedicano per professione abituale. Nessuna forma di controllo era prevista, se non quella di depositare una situazione mensile secondo le modalità previste dall’autorità governativa. L’attività bancaria era concepita come qualsiasi altra attività commerciale o industriale, in un clima di assoluta deregolamentazione e assenza di controlli. Da qui nascono le prime “segmentazioni” del mercato, i diversi orientamenti operativi, le specifiche iniziative imprenditoriali che sfrutteranno i meccanismi del risparmio e del credito vedendo in essi un punto di appoggio fondamentale per le basi della nuova realtà industriale.

In questi anni nascono e si sviluppano una serie di strutture creditizie “specializzate” nell’erogazione di particolari tipi di credito: gli istituti di credito fondiario, agrario, il Consorzio di credito per le opere pubbliche e l’Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità

Dalla formulazione dello Stato unitario e fino ai primi decenni del XIX secolo, l’attività bancaria si svolse, sostanzialmente, senza vincoli e in un regime di completa autonomia operativa.

2 Cipolla 1975. 3 Villari 1975.

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Questo portò ad un sistema molto frammentato, costituito da un grande numero di istituti, molti dei quali con una struttura patrimoniale debole e con un’inopportuna asincronia temporale tra impieghi e finanziamenti.

1.2.2 Dalla nascita della Banca d’Italia alla legge bancaria del 1926

Nel 1893 esplode la crisi bancaria e viene costituita la Banca d’Italia4, ed è in questo periodo che può essere fatta risalire la nascita del modello della banca mista e la necessità di adottare un regime normativo speciale per le imprese bancarie.

La Banca d’Italia, infatti, nasce come società per azioni, con una naturale vocazione al profitto, con lo scopo di perseguire obiettivi di interesse collettivo. I compiti di cui l’istituzione si sente investita sono quelli di “supremo regolatore del credito e di avveduto moderatore della circolazione5”. Tali compiti si concretizzano nel governo della circolazione monetaria, nella politica di smobilizzo delle vecchie partite, nell’amministrazione delle facilitazioni a carico del bilancio dello Stato, nonché nella gestione dell’attività aziendale in senso stretto.

La Banca d’Italia cerca in ogni modo di creare un clima di distensione tra le aziende di credito, favorendo intese e accordi tra le stesse.

Il conflitto mondiale, però, spezza gli equilibri che avevano consentito all’Italia e al resto del mondo un periodo relativamente lungo di stabilità monetaria. L’Italia viene colpita da un fenomeno di crescita generalizzata dei prezzi e dall’inflazione. Alcune grandi banche vanno sempre più ingigantendosi, con un giro d’affari articolato in ogni direzione e non c’è iniziativa, impresa o speculazione in cui esse non siano in qualche modo presenti.

4La Convenzione per la formazione della Banca d'Italia ed il suo Statuto sono stati approvati a Firenze, che al tempo era

la Capitale del Regno, il 23 ottobre 1865 (atti n. 2585). Il medesimo giorno la Banca Nazionale assumeva l'onere di servizio di Tesoreria dello Stato (atti n. 2586). La Banca d'Italia viene istituita con la legge n. 449 del 10 agosto 1893, dalla fusione di quattro banche: la Banca Nazionale del Regno d’Italia (già Banca Nazionale degli Stati Sardi), la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio d’Italia e dalla liquidazione della Banca Romana in seguito al c.d. scandalo della Banca Romana. Con una serie complessa di fusioni fra queste banche, si forma quella che diventerà l'attuale Banca d'Italia. Artefici dell'operazione sono alcune famiglie di banchieri, soci storici: Bombrini, Diavolo, Bastogi, Balduino. La moneta del Regno aveva pochissime riserve auree; con l'annessione del sud avrebbe ricostituito una massa di riserve tale da poter emettere molta nuova moneta, con la politica di non tenere una piena convertibilità fra l'oro e la moneta dello stato piemontese. Infatti, il Banco di Napoli e il Banco delle due Sicilie disponevano di una quantità ingente di riserve auree da incamerare. Nel 1926 la Banca d'Italia ottiene l'esclusiva sull'emissione della moneta (viene così abrogato il Regio Decreto del 28 aprile 1910, n. 204, che aveva confermato la prerogativa anche al Banco di Napoli ed al Banco di Sicilia).

Nel 1928 la Banca viene riorganizzata. Al Direttore Generale viene affiancato un Governatore, dotato di poteri maggiori.

La Banca d'Italia nasce 1936. In quell'anno diventa istituto di diritto pubblico (articolo 3 della legge bancaria del 1936 ovvero il regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 marzo 1938, n. 141, e successive modificazioni e integrazioni). Le viene assegnato il compito di vigilare sulle banche italiane e ottiene la conferma del potere di emissione della moneta. Nel 1948 viene conferito al Governatore il compito di regolare l'offerta di moneta e decidere il tasso di sconto, in base al D.P.R. n. 482 del 19 aprile (articolo 25, comma 4).

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Sul finire della guerra esplode il fenomeno delle scalate, sia nel mondo dell’industria che in quello bancario. Si crea, così, una situazione di rischio, di confusione e di disdicevoli intrecci nell’azionariato di tutte le banche miste.

La debolezza di tale sistema non tardò a manifestarsi con il fallimento della Banca Italiana di Sconto nel 1921. Quest’ultima, infatti, fondata alla fine del 1914, grazie all’iniziativa di un gruppo di finanzieri italiani e francesi, si sviluppò a ritmi frenetici, aprendo un elevato numero di filiali ovunque, in Italia e all’estero. Questo veloce sviluppo determinò una forte eterogeneità, sia nell’organizzazione che nella qualità e mentalità del personale. La Banca Italiana di Sconto, data la specificità del periodo in cui si trovò ad iniziare la sua attività, non poté fare a meno di legarsi ad aziende fortemente impegnate nelle lavorazioni per le commesse di guerra (come, ad esempio, l’Ansaldo di Genova). L’irreversibilità della crisi emerse proprio nei primi mesi del 1921, quando i depositanti, allarmati per le voci che circolavano sulla situazione della banca, cominciarono a ritirare i propri depositi. Il fenomeno assunse proporzioni drammatiche e la banca si trovò costretta a chiudere.

La caduta della Banca Italiana di Sconto ebbe gravi ripercussioni su tutto il sistema economico, e, di conseguenza, si rese necessario un intervento normativo volto a tutelare gli interessi dei risparmiatori e a conferire maggiore stabilità al sistema, imponendo alle aziende di credito una serie di controlli, di obblighi e di divieti.

Nel 1926, furono emanati alcuni decreti per l’introduzione di una preventiva autorizzazione ministeriale per l’esercizio dell’attività bancaria, il riconoscimento ai depositanti di una posizione privilegiata, l’imposizione di un coefficiente patrimoniale minimo, nel senso di un rapporto minimo da rispettare tra mezzi propri e passività, la fissazione di un limite alla concentrazione degli impieghi, l’introduzione di forme di garanzia per determinate categorie di depositi, l’attribuzione di funzioni di vigilanza a organi governanti o alla Banca d’Italia. La legge bancaria del 1926 viene emanata con l’obiettivo generale del risanamento di un mercato bancario ormai troppo affollato, disordinato e soggetto a crisi frequenti. Lo scopo di tutelare il risparmio e il normale funzionamento degli intermediari finanziari a vantaggio delle imprese e dello sviluppo dell’economia nazionale presenta certo anche un inconveniente: quello di attutire gli effetti della concorrenza.

1.2.3 Verso la riforma bancaria del 1936

Con la crisi mondiale del ’29, il sistema bancario italiano, fortemente legato al comparto industriale, venne a trovarsi in gravi difficoltà. Le principali banche miste italiane, che controllavano direttamente o indirettamente gran parte dei pacchetti azionari delle imprese in crisi, videro ingigantirsi i propri immobilizzi, trovandosi di fronte ad una situazione patrimoniale

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ulteriormente appesantita, che li avrebbe portati al loro dissesto. Lo Stato fu costretto ad intervenire nell’economia istituendo enti finanziari pubblici destinati a fornire alle imprese i capitali a medio e a lungo termine e a rilevare i pacchetti azionari di aziende che erano posseduti da alcune banche. Nacquero così l’IMI, l’Istituto Mobiliare Italiano, sorto nel 1931, che ebbe lo scopo di concedere mutui e di assumere partecipazioni azionarie e l’IRI, Istituto per la ricostruzione industriale, costituito nel 1933, che attraverso il denaro pubblico acquistava parte del pacchetto azionario di grandi banche e di potenti industrie.

La riforma bancaria del ’36, movendo dal principio fondamentale secondo cui “la raccolta del risparmio fra il pubblico e l’esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico”, poggiava su alcuni punti fondamentali, quali l’istituzione di un organismo statale avente funzioni di alta vigilanza e di direzione politica dell’attività creditizia; l’affermazione del principio della separazione tra banca e industria e l’introduzione della specializzazione temporale ed operativa degli enti creditizi.

Le banche, infatti, dovevano specializzarsi in un determinato settore temporale del credito (a breve fino a 18 mesi; a medio da 18 a 60 mesi; a lungo oltre i 5 anni) ed, in pratica, la maggior parte delle banche ordinarie poteva concedere solo finanziamenti a breve termine.

Insieme a questo, furono introdotti altri principi come:

• L’alta vigilanza e la direzione politica dell’attività creditizia venivano attribuite al CICR (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio), istituito nel 1947 con lo scopo di supervisionare l’operato della Banca d’Italia nella concessione dell’apertura di nuovi sportelli;

• La Banca d’Italia veniva confermata come l’unico istituto d’emissione del Paese;

• Veniva introdotto il principio di separazione banca – industria limitando la possibilità delle banche di assumere partecipazioni azionarie, in particolare nei confronti delle imprese commerciali.

Con la legge bancaria, infatti, si ribadiva una divisione del lavoro bancario che teneva conto degli aspetti funzionali e di quelli dimensionali, assegnando i vari ruoli in relazione alla natura giuridica. Ciò segnava il passaggio dal modello della banca mista a quello della banca pura, caratterizzato da una stretta correlazione tra le forme della raccolta e la durata delle operazioni di impiego.

La legge bancaria del ‘36, sia pure con i vari interventi di adeguamento succedutisi nel corso del tempo, creò l’impianto normativo portante del sistema creditizio italiano, conservando vigore per quasi cinquanta anni. Tale legge intendeva realizzare una piena tutela del risparmio in via

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indiretta, vigilando cioè sul suo impiego in forma creditizia, allo scopo di ridare fiducia al sistema bancario e favorire così l’accumulazione del risparmio.

E’ importante sottolineare che la legge bancaria indicava solamente i criteri generali di intervento in relazione agli obiettivi da raggiungere, rimettendo ai singoli atti amministrativi emanati dalle autorità la loro concreta attuazione. Si è parlato dunque di “disciplina elastica” del settore del credito in quanto essa permetteva in ogni momento l’adeguamento della normativa alle mutevoli esigenze del settore.

La legge bancaria lasciava, dunque, ampi spazi di intervento alle autorità creditizie nella direzione del comparto bancario italiano, che diventava progressivamente un settore caratterizzato dalla costante presenza dello Stato, sia sotto il profilo soggettivo, dal momento che la quasi totalità degli intermediari era direttamente o indirettamente in mano pubblica, sia sotto il profilo normativo, visti i pregnanti poteri delle autorità.

Il sistema delineato dalla legge bancaria risultava pertanto accentrato e improntato su un’ottica fortemente dirigistica. Caduto il regime fascista, si assiste a un “ridimensionamento dell’intervento pubblico”, che punterà soprattutto sugli elementi tecnici piuttosto che su quelli politici.

1.2.4 Dal 1936 ai primi anni ottanta

Dopo il 1947, il governo del sistema creditizio assume un assetto stabile i cui pilastri sono costituiti da:

• Il Comitato Interministeriale, presieduto dal Ministro del Tesoro.

• La Banca d’Italia, la banca delle banche. Non eroga finanziamenti se non a imprese bancarie, salvaguarda le riserve ufficiali e controlla il valore della moneta nazionale nei confronti delle valute estere, esercita la funzione di vigilanza sulle aziende di credito.

• Il Ministro per il Tesoro, influenza la liquidità del sistema attraverso l’emissione dei titoli del debito pubblico.

• Il Governatore della Banca d’Italia, provvede all’amministrazione generale della Banca deliberando la creazione e l’emissione dei biglietti, fissando le condizioni per le operazioni della Banca e procedendo alla nomina del Comitato.

Nel periodo che va dal dopoguerra fino alla fine degli anni settanta non si assiste a modifiche di rilievo dell’ordinamento bancario. Il sistema bancario attraverso un periodo di stabilità e il monopolio dell’intermediazione detenuto dalle banche risulta protetto dalle possibili aggressioni dall’esterno mediante una barriera all’ingresso eretta dalle autorità creditizie che non rilasciano

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autorizzazioni alla costituzione di nuove aziende di credito. Tale protezione si traduce anche in una politica volta a contenere al minimo la presenza di banche estere sul mercato nazionale, sottraendo il mercato agli stimoli concorrenziali che avrebbero portato benefici sul piano dell’efficienza microeconomica e sull’allocazione delle risorse finanziarie.

1.3. L’evoluzione verso il nuovo ordinamento bancario

Un’importante cambiamento che caratterizza questo periodo è rappresentato, senza dubbio, dall’emergere di prodotti e intermediari finanziari diversi. Si tratta di un fenomeno che può effettivamente insidiare la posizione di rendita della banca e che costituisce un fattore di sollecitazione per la medesima a ricercare linee d’azione più efficienti e più congruenti con la logica imprenditoriale. Un altro stimolo per le banche italiane ad attenersi a criteri di maggiore efficienza proviene dall’esigenza, che le aziende di credito cominciano ad avvertire, di mettere a disposizione dei datori e dei prenditori di fondi, cioè di risparmiatori e imprese, un più ampio e interessante ventaglio di prodotti finanziari.

Già a partire dagli anni ’80 si iniziò a mettere in discussione il principio della separatezza, contrapponendovi il principio di una libertà di fondo nelle manifestazioni di un comportamento imprenditoriale vincolato soltanto da un insieme di norme nate dall’esperienza del concetto di gestione sana e prudente. L’ordinamento nato con la legge bancaria del 1936 e la massiccia presenza della banca pubblica nel nostro paese, che sono stati i cardini del regime di separatezza, sembrano ormai fattori in contrasto sotto diversi profili con una serie di esigenze, di mutamenti e di prospettive proprie del nuovo quadro ambientale.

Le prospettive del mercato integrato europeo lasciano capire che la banca in grado di affrontare con un minimo di efficacia qualunque possibile versione del futuro deve avere doti di dimensione e di organizzazione tali da renderla competitiva oltre i confini nazionali. Nasce, così, l’idea del gruppo polifunzionale come soluzione adatta a consentire agli enti creditizi di diversificare la gamma dei servizi prestati.

1.3.1 Le Direttive Europee in materia bancaria e creditizia e la situazione italiana

Nell’ottica di completamento del mercato comune, la Comunità Europea diede il primo vero impulso all’ammodernamento della legislazione bancaria dei Paesi membri attraverso l’emanazione di due importantissime direttive. L’obiettivo era quello di armonizzare i sistemi legislativi dei vari stati aderenti alla Comunità al fine di costituire un unico mercato dei capitali. Si rendeva però

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necessaria l’eliminazione delle differenze più sensibili tra le legislazioni nazionali per favorire l’integrazione dei diversi sistemi bancari, ampliando in tal modo il mercato di riferimento. Tutto questo avrebbe fornito agli operatori nuove opportunità di sviluppo e aumentato l’efficienza complessiva del sistema bancario grazie al maggior livello di competitività introdotto nel settore.

Considerate appunto le rilevanti differenze normative dei diversi Stati, il legislatore comunitario abbandonò sin dall’inizio l’idea dell’“armonizzazione totale”, che avrebbe comportato la sostituzione integrale delle norme nazionali con quelle comunitarie, optando per il criterio alternativo della “armonizzazione minima”, il quale prevedeva che la legislazione comunitaria facesse da cornice alla norme di diritto interno, fissandone i contenuti minimi essenziali.

L’ambizioso progetto di creare un mercato interno, comune a tutti gli Stati aderenti, è stato definito come “uno spazio senza frontiere nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”.

È evidente l’ampia portata di tale concetto, e le conseguenze sono state ovviamente di notevoli dimensioni, soprattutto per il sistema bancario italiano, il quale, alle soglie degli anni novanta presentava caratteristiche prevalentemente pubbliche, con bassa concentrazione, scarsa internazionalizzazione, inadeguatezza patrimoniale e ristretta capacità reddituale.

A questo scopo la Commissione Europea è intervenuta emanando alcune direttive in materia bancaria, al fine di armonizzare i sistemi legislativi dei vari stati aderenti alla Comunità per costituire un unico mercato dei capitali.

Si rendeva quindi necessaria l’eliminazione delle differenze tra i vari ordinamenti creditizi con lo scopo di offrire nuove opportunità di sviluppo e aumentare l’efficienza complessiva grazie al maggior grado di competitività.

Tale progetto è stato attuato per mezzo di due importanti direttive di coordinamento in materia bancaria e creditizia: la prima, n° 780, fu emanata il 12 dicembre 1977 e si occupava “del coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio”; la seconda direttiva, n° 646, fu emanata il 15 dicembre 1989 ed ha fissato notevoli elementi di novità, quali il riconoscimento del carattere d’impresa all’attività bancaria, nonché il principio di de-specializzazione del credito.

Il numero rilevante di provvedimenti normativi man mano cresciuti intorno all’originaria legge bancaria del ’36, nonché le numerose Direttive comunitarie e i relativi provvedimenti di adeguamento nel diritto interno, avevano creato, sin verso la metà degli anni ottanta, la radicata convinzione della necessità di una vasta opera di coordinamento di tutta la legislazione vigente.

Lo stesso Governatore della Banca d’Italia nel 1985 dichiarò “utile una aggiornata esposizione organica della legge bancaria”.

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I processi di integrazione e di unificazione dei mercati che ne sono derivati hanno “sconvolto” la tradizionale struttura delle imprese bancarie, le quali sono state per lunghissimo tempo “protette” dal loro assetto essenzialmente pubblicistico.

L’adesione dell’Italia al progetto di integrazione europea ha sancito l’avvio dei processi di privatizzazione e di concentrazione. Il percorso seguito è stato lungo e difficoltoso, specialmente per il mercato bancario italiano, il quale non era mai stato minacciato da pressioni competitive. Aprirsi verso l’Europa significava, infatti, eliminare le barriere ed esporsi ad un confronto con le imprese straniere.

In merito all’adozione di strumenti di vigilanza, assume particolare importanza in tale contesto, l’adozione di coefficienti patrimoniali minimi obbligatori, che ha consentito di legare l’operatività delle singole banche alla loro consistenza patrimoniale, anziché alla sussistenza di autorizzazioni allo svolgimento delle singole operazioni.La privatizzazione trasferisce ai privati il rischio d’impresa e consente di curare quelle inefficienze che hanno caratterizzato il sistema bancario italiano in termini di costi e di aumentare, in tal modo, la produttività.

L’evoluzione, però, non poteva trovare totale compimento in tali meccanismi e negli anni successivi il processo di concentrazione bancaria, che si è verificato nel nostro paese mediante la fusione di diversi istituti di credito, ha colmato in parte le differenze storicamente esistenti tra le banche italiane e quelle dei principali paesi europei.

Le operazioni di privatizzazione e di fusione hanno consentito agli istituti di credito di diventare più efficienti e di aumentare le proprie dimensioni per poter sostenere la concorrenza delle banche straniere, in particolare di quelle europee.

1.3.2 La legge Amato e la nascita delle Fondazioni Bancarie

La legge 30 luglio 1990 n.218, la cosiddetta "legge Amato", concernente le «disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli Istituti di credito di diritto pubblico», ha costituito un primo passo del processo di armonizzazione della legislazione bancaria italiana. Obiettivi della norma sono la trasformazione degli enti creditizi pubblici in società per azioni, la concentrazione, grazie ad agevolazioni fiscali, degli enti creditizi e l'organizzazione delle banche secondo il modulo del "gruppo polifunzionale"6.

La "legge Amato" comunque non toccava uno dei cardini della legge bancaria del '36, la specializzazione temporale dell'intermediazione bancaria, mantenendo la distinzione tra enti che raccolgono il risparmio a breve termine e a medio/lungo termine. Tale processo di ristrutturazione

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era volto rafforzare la struttura patrimoniale delle banche (rendendo possibile il ricorso al mercato per la provvista di capitale di rischio), favorire una gestione agile e trasparente e individuare con chiarezza doveri e responsabilità degli organi ad essa preposti, porre il necessario presupposto per la “privatizzazione” degli istituti pubblici e agevolare i processi di concentrazione delle banche, mediante operazioni di fusione tendenti a produrre dimensioni aziendali competitive a livello europeo.

Tale legge ha permesso alle banche italiane che erano istituti di credito di diritto pubblico ( Banco di Napoli, Monte dei Paschi di Siena, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Banco di Sicilia, Banco di Sardegna, Banca Nazionale del Lavoro) di trasformarsi da una parte in società per azioni e dall’altra di generare delle fondazioni a cui sono state trasferite tutte quelle attività non tipiche dell’impresa. La legge ha previsto per gli istituti bancari meridionali uno stanziamento di fondi in quanto la loro rivalutazione patrimoniale determinava un gap fra patrimonio contabile e patrimonio

liquido; tale rifinanziamento è avvenuto solo in parte con modalità temporali diverse da quelle programmate inizialmente. Le fondazioni generate dalla legge Amato, contrariamente alle previsioni, hanno assunto nel tempo un notevole rilievo e restano in termini relativi i principali azionisti di molte banche italiane.

Tale disciplina si è mostrata di particolare importanza perché introduceva per la prima volta una regolamentazione puntuale in tema di vigilanza sui gruppi bancari: vengono, infatti, disciplinate, oltre le preesistenti disposizioni in tema di vigilanza informativa, la vigilanza regolamentare e la disciplina delle crisi dei gruppi bancari.

Un ulteriore elemento di rilievo che deriva dall’attuazione della disciplina riguarda il rapporto banca-industria, la legge Amato introduce un limite massimo del 15% alla partecipazione dell’industria nella banca, mentre rimane regolato in via amministrativa il caso opposto.

1.3.3 Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia

All’inizio degli anni novanta, di fronte alla prospettiva di recepimento della seconda Direttiva di coordinamento, la stratificazione delle norme di legge era tale da far ritenere che fosse ormai improrogabile la redazione di un testo unico, atto ad aggiornare, razionalizzare e restituire organicità alla legislazione creditizia.

La II Direttiva detta due principi fondamentali:

1. la banche di un paese membro possono liberamente operare negli altri paesi comunitari, sia direttamente sia attraverso una succursale, in base alla normativa del paese d’origine;

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2. la vigilanza sull’attività esercitata dalle banche di altri paesi comunitari è effettuata dalle Autorità di vigilanza del paese di origine degli intermediari, ad esclusione di quanto attiene ai controlli sulla liquidità riferibili alle singole politiche monetarie nazionali.

Le rilevanti innovazioni inducevano, quindi, il legislatore a delegare il governo all’emanazione di due decreti al fine di recepire la II Direttiva CEE in materia bancaria e di dettare un testo unico di tutte le disposizioni legislative.

Il Testo Unico però non ha solo coordinato e razionalizzato il precedente impianto normativo ma, in conformità con il contenuto della delega legislativa, ha introdotto rilevanti modifiche all’ordinamento esistente, adeguando la disciplina vigente alle prescrizioni della seconda Direttiva di coordinamento.

La delega conferita al Governo per l’attuazione della Direttiva non prevedeva quindi solo l’eliminazione degli ostacoli all’applicazione dei principi comunitari, ma aveva invece un contenuto positivo, prefigurando una riforma legislativa che permettesse anche alle banche italiane il concreto esercizio dell’attività bancaria in condizione di tendenziale parità con i concorrenti comunitari. Il decreto legislativo di recepimento di tale direttiva, il n. 481 del dicembre 1992, rimuoveva gli obblighi di specializzazione operativa che potevano agire a sfavore degli istituti di credito italiani. In particolare, si supera la distinzione tra banche ordinarie e istituti di credito speciale, categorie unificate nella nozione di ente creditizio; si ampliano le forme tecniche di provvista bancaria; si eliminano le riserve di attività previste per i vari settori (fondiario, agrario, industriale) e si allarga la possibilità a tutti gli enti creditizi di erogare crediti agevolati. Nel decreto di recepimento si delinea dunque una nuova forma di organizzazione alternativa a quella del gruppo polifunzionale, ossia la configurazione di banca universale o mista, ormai desueta in Italia da oltre 60 anni.

Il 1° gennaio 1993 (con legge italiana n° 481 del 14 dicembre 1992) entra in vigore l’Atto Unico Europeo, che sancisce:

a) il principio della libertà di movimento dei capitali, per il quale vengono a cadere le barriere ai trasferimenti finanziari nell’ambito comunitario;

b) il principio del mutuo riconoscimento, per cui ogni prodotto finanziario può essere offerto in qualsiasi paese e da parte di qualsiasi ente creditizio dell’Unione Europea;

c) il principio dell’home country control, secondo il quale ogni intermediario è tenuto ad obbedire alle regole del proprio paese d’origine.

Tale decreto è stato portatore di un principio fondamentale della nuova normativa bancaria ed ha permesso l’ingresso nell’ordinamento italiano della c.d. “banca universale”. Al fine di ampliare l’ambito di operatività degli enti creditizi il decreto legislativo non ha modificato la nozione di

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attività bancaria e di ente creditizio, ma ha previsto una serie più ampia di attività che tutte le banche, indistintamente, avrebbero potuto compiere.

Con il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, del 1°settembre 1993, si introducono un’importante serie di cambiamenti legislativi, soprattutto di fonte europea, che portano dei profondi mutamenti nel settore bancario italiano dai primi anni '90 ad oggi. Inizia un processo di de-specializzazione del sistema bancario, una vera e propria inversione di tendenza verso il modello di banca universale. Lo sviluppo dell’economia reale, sempre più aperta ai mercati internazionali, esige mercati finanziari più complessi, organizzati, concorrenziali ed efficienti. Si rende sempre più necessaria, a causa dell’aumento della concorrenza da parte delle banche estere, una progressiva liberalizzazione della normativa bancaria e di una riforma in grado di promuovere l’evoluzione del sistema creditizio e finanziario.

Il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (dl. n.385 01/09/1993) afferma i concetti di:

• Despecializzazione temporale, attraverso il superamento della distinzione fondata sulla scadenza delle operazioni di prestito, in base alla quale le cosiddette banche commerciali, che operavano a breve termine (18 mesi), si contrapponevano gli istituti di credito speciale, operanti nel settore a medio/lungo termine.

• Despecializzazione operativa: si concreta, insieme alla precedente, nella possibilità di erogare credito alle imprese a medio/lungo termine e conseguentemente di ampliare le forme tecniche di provvista con l’emissione di obbligazioni. Inoltre, il Testo Unico abilita le banche all’assunzione di partecipazioni in imprese industriali, superando la tradizionale separazione tra banca e industria imposta dalla legge bancaria del ’36. La nuova normativa consente di impostare legami più solidi e stretti tra banca e impresa, tanto dal punto di vista formale che sostanziale, legami che potrebbero anche favorire un maggior grado di controllo delle banche sui soggetti finanziati e quindi una riduzione del rischio dei finanziamenti, soprattutto nel caso di investimenti innovativi. potendo ora esercitare, “oltre all’attività

bancaria, ogni altra attività finanziaria… nonché attività connesse o strumentali”, le

banche possono operare nei più svariati settori, anche in quelli che in passato la legge riservava a particolari istituti. Esse possono così offrire una gamma di strumenti e di servizi finanziari assai più ampia che in passato, ponendosi in condizione di maggiore competitività a livello internazionale e organizzandosi, se lo ritengono opportuno, secondo il modello della banca universale.

• Despecializzazione istituzionale: si manifesta nella riduzione delle numerose categorie di intermediari a due: società per azioni e le cooperative per azioni a responsabilità limitata

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(queste ultime possono assumere la forma giuridica di banca popolare o di banca di credito cooperativo). Questo ha comportato la trasformazione delle banche pubbliche – la maggior parte degli attori del sistema bancario – in società per azioni, rimovendo anche i vincoli alle concentrazioni. Il passaggio si rendeva obbligato se si voleva affrontare la sfida del libero mercato in maniera efficiente e concorrenziale.

La banca risultante dal restyling normativo è la c.d. banca universale, che deve operare seguendo nuovi e diversi parametri patrimoniali nella logica della vigilanza prudenziale. La banca che esce dalla riforma è una banca che può operare, a seconda delle politiche aziendali, secondo i criteri della banca universale, del gruppo polifunzionale o della banca specializzata.

La maggiore novità è data dalla individuazione di un nuovo e più ampio ambito operativo per le banche. L’art. 10 del TU, infatti, statuisce: “ 1. La raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha carattere d’impresa. 2. L’esercizio dell’attività bancaria è riservata alle banche. 3 Le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché le attività connesse o strumentali. Sono salve le riserve di attività previste dalla legge.” Le banche, quindi, hanno la qualifica di impresa e, pertanto, sono poste in un libero mercato governato dal principio della concorrenza.

La riserva di attività bancaria in favore delle sole imprese a ciò autorizzate si pone come una dei pilastri portanti dell’intera nuova disciplina di settore e l’importanza di tale impostazione è confermata dalla disciplina normativa del c.d. abusivismo bancario7.

Il Testo Unico conferma il necessario legame, al fine di individuare l’attività bancaria, tra raccolta del risparmio e l’esercizio del credito. Le banche possono esercitare non solo l’attività bancaria c.d. tipica, ma anche tutte le attività finanziarie, connesse e strumentali (ciò non comporta un’apertura indiscriminata delle stesse dato che ci sono “le riserve di attività previste dalla legge”).

L’ampliamento del campo di attività delle banche permette di sconfinare nell’ambito del settore mobiliare e comporta l’erosione della linea di demarcazione tra il settore bancario e parabancario. Ammettendo le banche a svolgere una serie di attività finanziarie si realizza una compenetrazione fra vari comparti – quello bancario, finanziario e assicurativo – della struttura finanziaria e “la banca diventa il centro di confluenza sia di attività diverse, bancarie e non bancarie,

7 La normativa bancaria e finanziaria punisce penalmente l’esercizio di attività bancaria o finanziaria in assenza di

autorizzazione o di iscrizione in appositi albi o elenchi. L’obiettivo di tali disposizioni è quello di prevenire il compimento di reati patrimoniali e l’utilizzo del sistema finanziario a scopi di riciclaggio, nonché di tutelare la fiducia del pubblico.

La Banca d’Italia segnala all’Autorità Giudiziaria e agli organi inquirenti i casi di sospetta attività abusiva; nella presente sezione è presente una lista di soggetti che operano in assenza delle necessarie autorizzazioni.

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sia di differenti discipline8”, in quanto le banche potranno svolgere le attività finanziarie secondo la disciplina propria delle stesse.

La conseguenza dell’operatività delle banche in vari comparti del mercato finanziario ha decretato l’ingresso nel nostro ordinamento del modello di banca c.d. “universale”, accendendo un dibattito sull’esatta qualificazione della banca che operasse in settori del mercato finanziario a lei non propri.

1.3.4 Dopo il Testo Unico

Negli anni successivi alla codifica del Testo Unico non sono avvenute modificazioni significative. I D.Lgs. 23 Luglio 1996, n. 415, e 4 agosto 1999, n. 342, hanno integrato, modificato, sostituito alcune delle disposizioni del Testo Unico in materia di raccolta del risparmio da parte di soggetti diversi delle banche, di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta delle banche, di crediti speciali, di contratti bancari, di vigilanza prudenziale; ma immutate sono rimaste le sue scelte fondamentali.

Negli ultimi anni, comunque, si sono verificate particolari vicende di notevole rilevanza:

o È proseguito il processo di privatizzazione sostanziale delle società bancarie nelle quali si erano trasformate le banche pubbliche. Il D.Lgs. 153/1999 ha dettato anche una nuova disciplina degli enti conferenti precisando che le fondazioni bancarie (o ex bancarie) sono persone giuridiche di diritto privato, senza fine di lucro, che perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico.

o Grande rilevanza hanno avuto sulla concreta disciplina e sui comportamenti delle banche le vicende che hanno interessato, sia nei fatti e sia nella sua disciplina, il mercato mobiliare. Lo sviluppo del mercato mobiliare e il suo nuovo ordinamento hanno assunto notevole rilevanza anche per il sistema bancario, sia per quanto riguarda la sua operatività sia per quanto concerne la struttura proprietaria. Sotto il primo profilo, è caduto il limite posto dalla legge 1/91, secondo la quale le banche non potevano negoziare sui mercati regolamentati titoli diversi da quelli emessi o garantiti dallo Stato. Viene rimosso tale limite, riconoscendo alle banche la possibilità di svolgere tutti i servizi di investimento che possono essere esercitati dalle altre imprese di investimento. Il nuovo ordinamento del mercato mobiliare ha poi coinvolto le banche, e soprattutto le grandi banche, come emittenti di valori mobiliari. La necessità di acquisire nuovi fondi propri ha spinto le banche verso la quotazione sui mercati regolamentati; il che ha comportato l’applicazione delle norme dettate dal Testo

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Unico per gli assetti proprietari delle società per azioni o cooperative quotate su un mercato regolamentato.

o La vigilanza sul sistema bancario rimane di competenza delle autorità dei Paesi membri e, quindi, per quanto concerne il nostro Paese, della Banca d’Italia. Il sistema europeo delle Banche centrali, infatti, ha soltanto il potere-dovere di contribuire “ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e alla stabilità del mercato finanziario”, mentre la Banca centrale europea9 può svolgere compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, eccettuate le imprese di assicurazione.

1.4 La vigilanza sugli enti creditizi

Il consolidarsi dell’orientamento delle autorità di vigilanza per i controlli prudenziali sull’attività bancaria ha rafforzato l’attenzione sugli aspetti organizzativi della “sana e prudente gestione”. L’obiettivo perseguito è stato quello di guidare le banche verso l’adozione e il mantenimento di sistemi di controllo interni “adeguati”.

9 La Banca centrale europea (BCE o European Central Bank - ECB - nella dizione inglese) è la Banca

centrale incaricata dell'attuazione della politica monetaria per i sedici paesi dell'Unione europea che hanno aderito all'euro e che formano la cosiddetta "Zona euro" o "area dell'euro". La BCE è stata istituita in base al Trattato sull’Unione Europea e allo "statuto del sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea", il 1° giugno 1998.

La Banca ha, inoltre, ai sensi del diritto pubblico internazionale, propria personalità giuridica autonoma. La sede della BCE è a Francoforte sul Meno in Germania, in Kaiserstraße.

Scopo principale della Banca centrale europea è quello di mantenere sotto controllo l'andamento dei prezzi mantenendo il potere di acquisto nell'area dell'euro; la BCE esercita, infatti, il controllo dell'inflazione nell'"area dell'euro" badando a contenere, tramite opportune politiche monetarie (controllando la base monetaria o fissando i tassi di interesse a breve), il tasso di inflazione di medio periodo a un livello inferiore (ma tuttavia prossimo) al 2%. Un ruolo analogo di contenimento dell'inflazione è svolto in America dalla Federal Reserve.

Il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) comprende, a norma dell'articolo 106 del Trattato sull'Unione europea (il Trattato di Maastricht), la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali dei 27 stati membri dell'Unione europea a prescindere dall'adozione della moneta unica; solo i governatori delle banche nazionali dei paesi appartenenti all'"eurozona", però, prendono parte al processo decisionale e attuativo della politica monetaria della BCE: il cosiddetto

eurosistema è infatti composto dalla BCE e dalle banche centrali nazionali dei paesi che hanno introdotto la moneta

unica; le banche centrali nazionali dei paesi al di fuori della "zona euro" sono invece abilitate a condurre una politica monetaria nazionale autonoma. Fintanto che vi saranno stati membri dell'Unione europea non appartenenti all'"area dell'euro" vi sarà l'inevitabile coesistenza tra eurosistema e SEBC (l'eurosistema non era stato previsto dai trattati in quanto, diversamente da quello che si è poi verificato, si dava per scontata la partecipazione di tutti i paesi dell'Unione europea alla moneta unica). Secondo l'articolo 105, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea, oltre all'obiettivo principale del mantenimento della stabilità dei prezzi il SEBC "sostiene le politiche economiche generali nella

Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità"agendo "in conformità del principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza".

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Le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia sui controlli interni hanno recepito le indicazioni, in materia, del Comitato di Basilea10 che ha fissato i requisiti di adeguatezza “minimali” del controllo interno raggruppandoli attorno ad alcuni profili essenziali:

a) L’ambiente di controllo; b) La valutazione dei rischi; c) Il controllo dei rischi;

d) La comunicazione e informazione; e) Il monitoraggio del sistema di controllo.

La Banca d’Italia ha adottato la definizione di “controllo interno” inteso non solo come “processo” ma anche come “struttura”, richiamando, in tal modo, l’attenzione sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo del “governo aziendale”11.

Seguendo le indicazioni del Comitato di Basilea, la Banca d’Italia ha disposto che il sistema dei controlli interni sia dotato della funzione di internal audit12 che, nella sua posizione di indipendenza, “valuta la funzionalità del complessivo sistema dei controlli interni” e “porta all’attenzione del consiglio di amministrazione e dell’alta direzione i possibili miglioramenti alle politiche di gestione dei rischi, agli strumenti di misurazione e alle procedure”.

1.4.1 La definizione della funzione di vigilanza

A seguito dell’introduzione del Testo Unico sul credito che ha comportato la fine della specializzazione tra banche di credito ordinario e banche di credito speciale, la vigilanza sul sistema bancario ha dovuto “armonizzare” le diverse disposizioni per giungere ad una disciplina regolamentare dell’attività bancaria. Tale processo giunge alla conclusione di un lungo avvicinamento della disciplina italiana alle regole che via via l’Unione Europea ha assunto come base di riferimento per i Paesi membri.

10 Il Comitato, costituito nel 1974 su iniziativa dei Governatori delle banche centrali del G10, ha sede presso la Banca

dei Regolamenti Internazionali ed è composto dai rappresentanti delle banche centrali e delle autorità di vigilanza dei paesi del G10, del Lussemburgo e della Spagna. Principale obiettivo del Comitato è rafforzare l’efficacia della vigilanza sulle banche che presentano una rilevante attività internazionale ed è perseguito attraverso lo scambio di informazioni e l’elaborazione di principi e regole prudenziali a uso delle banche e delle autorità di vigilanza.

11 Il Comitato di Basilea definisce il controllo interno come un processo posto in essere dal consiglio di

amministrazione, dall’alta direzione e da tutti i livelli del personale che opera in modo continuativo a tutti i livelli all’interno della banca e che persegue i seguenti principali obiettivi: 1) efficienza ed efficacia delle operazioni; 2) affidabilità e completezza dei rendiconti finanziari e di gestione; 3) conformità con le leggi e le regolamentazioni applicabili.

12 L’Internal Auditing è un'attività indipendente ed obiettiva di assurance e consulenza, finalizzata al miglioramento

dell'efficacia e dell’efficienza dell'organizzazione. Assiste l'organizzazione nel perseguimento dei propri obiettivi tramite un approccio professionale sistematico, che genera valore aggiunto in quanto finalizzato a valutare e migliorare i processi di controllo, di gestione dei rischi e di corporate governance.

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L’organo di vigilanza, dotato di altissima competenza tecnica, ha come obiettivo l’individuazione delle eventuali situazioni di debolezza degli intermediari, in modo da isolare gli operatori problematici e di risanarli o eliminarli prima che il pubblico percepisca lo stato di crisi. Inoltre, tale organo interviene in presenza di situazioni di monopolio (normativa antitrust per la prevenzione delle posizioni dominanti; forme di compensazione a favore dei soggetti deboli) e di asimmetria nell’informazione (il soggetto che dispone di minori informazioni non è in grado di valutare correttamente la prestazione oggetto della negoziazione – le politiche attivabili si fondano sull’imposizione di obblighi informativi).

La funzione di vigilanza è definibile “come un complesso di norme e di interventi delle autorità che hanno come obiettivo la stabilità e l’efficienza dei sistemi finanziari e dei singoli intermediari che li compongono”13. Le aree di intervento riguardano i controlli:

o Strutturali, rivolti alla definizione della struttura del sistema e al controllo delle eventuali modificazioni;

o Prudenziali, che mirano alla definizione del livello di rischiosità assumibile dalla singola banca attraverso la sua operatività quotidiana;

1.4.2 Finalità e compiti dell’internal audit

La normativa prevede che l’attività di revisione interna “deve essere svolta da una funzione indipendente volta da un lato a controllare, anche con verifiche in loco, la regolarità dell’operatività e l’andamento dei rischi, dall’altro a valutare la funzionalità del complessivo sistema dei controlli interni e a portare all’attenzione del consiglio di amministrazione e dell’alta direzione i possibili miglioramenti alle politiche di gestione dei rischi, agli strumenti di misurazione e alle procedure”. La revisione interna serve a fornire informazioni circa lo stato di efficienza ed efficacia dell’assetto e del funzionamento aziendale, esercitando un controllo indipendente.

Tale funzione, essendo centralizzata, può comportare significative economie di scala e di esperienza potendo beneficiare della visione integrata della rischiosità aziendale e del funzionamento del complessivo sistema dei controlli interni.

L’attività di revisione interna può essere vista anche nella prospettiva dei processi di miglioramento aziendale

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1.5 Gli accordi di Basilea 1.5.1. Il percorso verso Basilea

Sempre sul piano normativo, occorre inoltre segnalare come la legislazione comunitaria in materia di libertà di stabilimento, libera circolazione dei capitali e tutela della concorrenza, nell'eliminare molte barriere precedentemente imposte all'operatività in Italia di banche estere ed alle fusioni transfrontaliere, abbia radicalmente modificato il contesto territoriale entro il quale le banche italiane erano abituate ad operare, costringendole a guardare oltre i limiti del mercato domestico.

Un'ulteriore elemento di contesto è dato anche dall'attuazione degli Accordi di Basilea, i quali richiedono più attenti criteri di valutazione del merito di credito dei soggetti affidati. Tali Accordi, se costituiscono infatti, da un lato, uno strumento di tutela della stabilità micro e macroeconomica degli operatori bancari, pongono questi ultimi nella necessità di rivedere le procedure di valutazione e di ripensare le proprie politiche di affidamento, determinando al contempo il rischio di indurre un razionamento del credito, soprattutto a danno delle piccole e medie imprese.

Sul piano degli assetti proprietari, alla privatizzazione formale delle banche pubbliche ha fatto riscontro un progressivo processo di privatizzazione sostanziale, che ha portato una percentuale sempre più consistente dei pacchetti azionari delle banche nelle mani degli investitori privati, anche esteri, e del pubblico dei risparmiatori.

Il processo di privatizzazione appena richiamato, le spinte in favore di una maggiore apertura concorrenziale derivanti dalla legislazione comunitaria, l'integrazione monetaria realizzata con l'introduzione delle moneta unica europea, l'impetuosa globalizzazione che ha coinvolto in particolare i mercati finanziari mondiali, hanno indotto il settore bancario nazionale ad operare una complessiva revisione dei propri assetti, al fine di razionalizzare i modelli organizzativi, incrementare l'efficienza della gestione, ricondurre il livello dei costi a standard comparabili con quelli europei e modificare la struttura dei ricavi.

In tale prospettiva il sistema bancario italiano ha attraversato una fase di ristrutturazione, che ha consentito di realizzare una significativa riduzione dei costi di personale, accompagnata da una lunga serie di fusioni di banche, in molti casi operanti a livello locale, all'interno di gruppi di maggiori dimensioni.

Dal punto di vista industriale, le banche italiane hanno inoltre dovuto orientare diversamente i propri indirizzi imprenditoriali, tradizionalmente fondati sui ricavi derivanti dai margini di intermediazione, che si andavano progressivamente restringendo, in ragione della riduzione dei tassi

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indotta anche dall'introduzione dell'Euro e della concorrenza portata dalle banche estere operanti in Italia, puntando maggiormente a focalizzare le proprie fonti di ricavo sui servizi offerti alla clientela.

In quest'ultima ottica, i maggiori gruppi bancari italiani nati dalle molteplici aggregazioni sopra richiamate, seguendo la tendenza da tempo predominante a livello internazionale, hanno perseguito la scelta strategica di creare gruppi finanziari plurifunzionali14, in grado di fruire di una più vasta area di raccolta del risparmio, realizzare economie di scala nell'organizzazione interna, assicurare una migliore gestione degli impieghi, spuntare migliori condizioni nella raccolta di mezzi finanziari sui mercati dei capitali ed offrire alla clientela servizi finanziari integrati, diversificando i ricavi anche attraverso l'esercizio di attività diverse da quelle bancarie tradizionali.

1.5.2. Introduzione a Basilea

Il Comitato di Basilea nacque in seguito al fallimento di una banca tedesca (Bankhaus

Herstatt) che per il mancato regolamento di transazioni valutarie si trovò a causare grosse difficoltà

ai sistemi di pagamento e regolamento. L'intera vicenda ebbe implicazioni internazionali, con contraccolpi sui mercati interni delle altre nazioni.

Infatti, il 26/06/1974 la Bundesbank15 mise in liquidazione Bank Herstatt; di conseguenza, numerose banche che nel frattempo avevano effettuato dei pagamenti denominati in DEM alla Herstatt a Francoforte in cambio di USD a New York, a causa della differenza di fuso orario, non ricevettero il pagamento in USD dato che l'operatività della Herstatt era cessata nel mentre.

Al fine di migliorare la collaborazione internazionale e di evitare incidenti analoghi a quello di Herstatt i paesi cosiddetti G-10 formarono un comitato sotto gli auspici della Banca dei Regolamenti Internazionali situata a Basilea. Il comitato fu inizialmente chiamato "Comitato

Cooke", da Peter Cooke, un governatore della Banca d'Inghilterra, che era stato uno dei primi a

proporne la creazione e che fu il suo primo presidente.

E’ oggi composto dai rappresentanti delle Banche centrali (e dalle autorità responsabili della vigilanza sul sistema bancario, qualora queste competenze non siano assegnate alla Banca centrale) di Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e USA. Si riunisce regolarmente 4 volte l’anno e conta al suo interno quattro gruppi di lavoro. La Banca dei Regolamenti Internazionali, che ha sede a Basilea, svolge funzioni di

14 Per gruppo polifunzionale si intende un sistema coordinato di società specializzate in determinati servizi creditizi e

finanziari, diretto da una società capogruppo che si occupa della pianificazione strategica di tutto il gruppo.

15 La Deutsche Bundesbank (traducibile con "Banca Federale Tedesca") è la banca centrale della Repubblica Federale

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segretariato. Il Comitato non ha autorità sopranazionale e le sue norme non hanno valore legale, ma rappresentano delle linee guida e delle raccomandazioni che ci si attende siano adottate dalle autorità di vigilanza nazionali. Il suo obiettivo principale è sempre stato quello di fare in modo che a livello internazionale venissero adottati standard uniformi ed efficaci di vigilanza sul sistema bancario.

Il Comitato di Basilea si propone di:

Rafforzare la sicurezza e l'affidabilità del sistema finanziario, stabilire degli standard minimi in materia di vigilanza prudenziale, Diffondere e promuovere delle migliori pratiche bancarie e di vigilanza,

Promuovere la cooperazione internazionale in materia di vigilanza prudenziale.

Non ha capacità regolamentare autonoma (anche se i paesi che vi aderiscono sono implicitamente vincolati agli accordi raggiunti e quelli che non aderiscono si adeguano a quello che di fatto diventa uno standard regolamentare), ha riguardo alle specificità regolamentari e legislative culturali lasciando discreti margini circa le modalità con le quali un paese può recepire un accordo, ha per obiettivo il miglioramento della collaborazione internazionale al fine di garantire la stabilità monetaria e dei mercati finanziari.

Nel tempo ha assolto alle sue funzioni occupandosi di:

definire i ruoli dei regolatori nelle questioni soggette a legislazioni differenti

assicurare che le banche internazionali vengano sottoposte per intero alla regolamentazione promuovere requisiti patrimoniali uniformi per uniformare le condizioni competitive degli istituti creditizi

Il Comitato opera mediante: linee guida, standard, raccomandazioni e accordi.

Inoltre, il Comitato ha un ruolo di forum informale per lo scambio di informazioni sull’evoluzione della regolamentazione e delle pratiche di sorveglianza nel settore finanziario.

1.5.3. Gli accordi di Basilea

Gli Accordi di Basilea sono linee guida in materia di requisiti patrimoniali delle banche, redatte dal Comitato di Basilea, costituito dagli enti regolatori del G10 (composto attualmente da undici paesi) più il Lussemburgo allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria.

Gli accordi (assieme alle linee guida, agli standard e alle raccomandazioni) sono una particolare forma operativa attraverso cui il Comitato agisce e sono stabiliti nell'aspettativa che le singole autorità nazionali possano redigere disposizioni operative che tengano conto delle realtà dei singoli stati. Infatti il Comitato, pur non avendo capacità regolamentare autonoma, riesce a conferire

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efficacia all'attività svolta, in quanto i paesi che vi aderiscono sono implicitamente vincolati e quelli che non aderiscono si adeguano a quello che, di fatto, diventa uno standard regolamentare. In questo modo il Comitato incoraggia la convergenza verso approcci e standard comuni.

Essendo centrale la solidità patrimoniale degli istituti di credito, diviene priorità dell'ente regolatore concentrarsi sul rischio. Questo approccio introduce alle principali innovazioni del settore creditizio in questi ultimi vent'anni: sviluppo di una nuova cultura sui rischi, standardizzazione delle tecniche ed individuazione delle best practices, appostamenti in funzione dell'esposizione corretta per il rischio.

1.5.4. Motivazioni storiche dell'accordo

A partire dagli anni novanta numerosi istituti di credito hanno sofferto degli effetti di una gestione poco prudente del credito: questo ha reso evidente che esistevano alcune pesanti tare all'interno del quadro normativo grazie a cui le banche valutavano i rischi delle aziende cui accettavano di aprire un credito. Era, in altri termini, diventato obsoleto il modo di valutare se l'impresa che chiedeva un credito sarebbe stata in grado di ripagarlo, entro quando e quanto reddito avrebbe generato. L'accordo esistente sull'argomento, il Basilea I risultò incentrato su una visione semplificata dell'attività bancaria e della rischiosità delle aziende.

Inizialmente, la principale preoccupazione dei partecipanti al Gruppo Basilea II fu la salvaguardia della stabilità del settore bancario, perno attorno al quale ruotano le economie mondiali: la logica del nuovo accordo ruota intorno all'idea che le banche non debbano assumere rischi eccessivi e debbano tutelarsi da quelli che si prendono.

Basilea II ha come intento manifesto quello di assicurare una stabilità al sistema bancario, stabilità in funzione del sistema economico che oggi ha continua necessità di capitali per investire in ricerca e sviluppo. Ha inoltre lo scopo di generare un legame del tutto diverso tra banca e impresa, fondato su fiducia reciproca, informazioni reali, da aggiornarsi continuamente, vincolate alla effettiva capacità di produrre reddito in prospettiva di una crescita futura, e non solo degli obiettivi a breve termine.

L'atteggiamento che le banche dovranno adottare va in direzione di una maggiore responsabilità, sia nei confronti delle aziende, sia nei confronti dei risparmiatori. Il sistema economico italiano, in particolare, ha bisogno di una maggiore intersezione tra banche, imprese e risparmiatori per dischiudere molte potenzialità.

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Basilea II imponeva un limite al livello di rischiosità dei prestiti, e al di sotto di una certa soglia di rischio non poneva restrizioni alla quantità di denaro che un istituto di credito poteva erogare.

In Europa sono rimasti in vigore altre normative che ponevano un limite assoluto alla quantità di denaro che una banca poteva prestare, al di là del profilo di rischio degli investimenti, quali la riserva frazionaria e un rapporto fra crediti erogati e patrimonio di vigilanza.

Negli Stati Uniti, nel 1988 fu approvata una legge che abrogava il Glass-Steagall Act16, e in particolare la separazione fra banca commerciale e banca d'investimenti. Seguì una concentrazione nel settore che portò a un oligopolio di grandi istituti come Citigroup, o l'AIG o la Bank of America.

Su pressione dell'Unione Europea, il 28 aprile 2004 le cinque maggiori banche del settore si riunirono - con l'ausilio dell'allora capo della Goldman-Sachs e futuro Segretario del Tesoro Hank Paulson - e lanciarono una proposta al capo della SEC17 di allora, William Donaldson (nominato da George Bush), ex banchiere d'investimento. Le banche proposero di accettare nuove norme che impedissero loro di intraprendere iniziative troppo rischiose, se avessero ottenuto in cambio la rimozione di qualsiasi limite alla quantità di prestiti che volessero effettuare. Donaldson diede il suo assenso alla proposta, e le nuove norme furono sufficienti a far sì che l'Unione Europea ritirasse la minaccia di imporre proprie regole alle operazioni estere delle banche statunitensi, secondo il principio dell' home country control.

1.5.5. Il primo Accordo di Basilea - 1988

16 The Banking Act of 1933 was a law that established the Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) in the United

States and introduced banking reforms, some of which were designed to control speculation. It is most commonly known as the Glass–Steagall Act, after its legislative sponsors, Carter Glass and Henry B. Steagall. Some provisions of the Act, such as Regulation Q, which allowed the Federal Reserve to regulate interest rates in savings accounts, were repealed by the Depository Institutions Deregulation and Monetary Control Act of 1980. Provisions that prohibit a bank holding company from owning other financial companies were repealed on November 12, 1999, by the Gramm-Leach-Bliley Act. The repeal of the Glass–Steagall Act of 1933 effectively removed the separation that previously existed between Wall Street investment banks and depository banks and has been blamed by some for exacerbating the damage caused by the collapse of the subprime mortgage market that led to the Financial crisis of 2007-2010. The potential to make enormous profits trading mortage-backed securities with artificially high ratingsencouraged banks to take on otherwise intolerable risk in the form of bad loans. The ease with which people were obtaining home loans drove an artificial housing boom that exacerbated the inevitable return to earth.

17 La Securities and Exchange Commission (Commissione per i Titoli e gli Scambi) è l'ente governativo statunitense

preposto alla vigilanza della borsa valori, analogo all'italiana Consob.

L'agenzia fu fondata dal presidente Franklin Delano Roosevelt nel 1934, all'indomani della crisi del 1929 nell'ambito del New Deal. Il primo presidente della commissione fu Joseph P. Kennedy, padre di John Fitzgerald Kennedy.

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I requisiti di capitalizzazione delle banche sono stati definiti nel 1988 con l'Accordo sul Capitale Minimo delle Banche, noto anche come Accordo di Basilea, elaborato dal Comitato di Basilea, l'organismo rappresentativo delle principali banche centrali. Ad esso hanno aderito, fino ad oggi, gli enti regolatori di oltre 100 paesi.

Nel caso delle banche operanti in uno degli Stati membri dell'Unione europea, l'obbligatorietà delle indicazioni del Comitato di Basilea sul capitale minimo discende anche dal loro recepimento da parte del legislatore comunitario nelle direttive sulle imprese bancarie, assicurative e finanziarie. Questo Accordo è stato, infatti, recepito nella Direttiva 647/1989.

Esso contiene la prima definizione e la prima misura (standard) del capitale minimo bancario accettate a livello internazionale. L'assunto di fondo è che a ciascuna operazione di prestito deve corrispondere una quota di capitale regolamentare da detenere a scopo precauzionale (cd. onere di capitale). Il capitale obbligatorio si determina confrontando l'entità del capitale o patrimonio di vigilanza 18 (detto anche capitale elidibile) e l'ammontare delle attività bancarie

impiegate nella concessione di prestiti (banking book) ponderato per il rischio di credito (ossia di mancato o tardivo rimborso da parte dei debitori).

L’accordo differenziava i coefficienti di ponderazione che dovevano essere applicati alle singole attività in base a tre fattori: natura della controparte, rischio paese e presenza di garanzie.

Per un gruppo bancario, il patrimonio di vigilanza deve essere pari ad almeno l'8% delle attività creditizie ponderate per il rischio di credito (Coefficiente di solvibilità19). L'Accordo di Basilea

18 Il patrimonio di vigilanza non coincide con il patrimonio netto dell’azienda bancaria ma comprende anche poste di

natura non propriamente patrimoniale. E’ formato da un patrimonio di base (capitale versato, riserve, strumenti innovativi di capitale, utile di esercizio, deducendo le azioni proprie, l’avviamento, le immobilizzazioni immateriali, le perdite registrate in esercizi precedenti e in quello in corso, le rettifiche di valore calcolate sul portafoglio di negoziazione a fini di corso, le rettifiche di valore calcolate sul portafoglio di negoziazione a fini di vigilanza) e da un patrimonio supplementare (riserve di rivalutazione, strumenti innovativi di capitale non imputabili nel patrimonio di base, strumenti ibridi di patrimonializzazione, passività subordinate, plusvalenze nette su partecipazioni, oltre ad altri elementi positivi di importanza secondaria, deducendo le minusvalenze nette su partecipazioni ed altri elementi negativi. Sono stati introdotti dei filtri prudenziali sia al patrimonio di base che a quello supplementare per tenere conto dei criteri di valutazione introdotti dai nuovi principi contabili IAS/IFRS.

19 Il coefficiente di solvibilità (solvency ratio) è una misura sintetica del grado di patrimonializzazione di un

intermediario bancario o finanziario. È calcolato come rapporto percentuale tra il "patrimonio di vigilanza" dell'intermediario e il totale delle "attività ponderate per il rischio" (risk weighted activities, RWA) che si trovano nel bilancio dell'intermediario stesso a una certa data. Il patrimonio di vigilanza (numeratore del rapporto) è un aggregato contabile che può discostarsi significativamente dal patrimonio netto nella sua accezione civilistica: ad esempio, oltre che capitale di rischio (principalmente capitale apportato da soci e utili accantonati) accoglie anche capitale di debito (cioè fondi che sono apportati da non soci, che sono remunerati in misura più o meno predefinita contrattualmente e che non permangono in via indefinita nella disponibilità dell'intermediario). Da esso sono inoltre dedotte alcune componenti dell'attivo, come l'avviamento. Le attività ponderate per il rischio (denominatore del rapporto) sono le attività dell'intermediario (crediti a clientela, titoli obbligazionari o di stato, crediti nei confronti di altre banche eccetera) e gli impegni che questo ha assunto verso altri soggetti (ad esempio l'impegno contrattuale ad erogare una somma ad un cliente al verificarsi di un certo evento). Le attività vengono ponderate in funzione della diversa solvibilità delle controparti dell'intermediario, ossia della attitudine a rispettare il proprio impegno contrattuale. Lo schema di ponderazione delle attività è stato profondamente modificato e reso articolato con gli accordi che vanno sotto il nome di Basilea 2. Nell'approccio più semplice, alle attività viene assegnata una ponderazione variabile tra 0% e 150% a seconda del rating di cui gode la controparte dell'intermediario; la ponderazione è del 75% per i crediti al dettaglio

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obbligava le banche ad accantonare l'8% del capitale erogato, non investibile in attività creditizia tipica, né in attività para-assicurative, né in operazioni finanziarie sui mercati mobiliari, al fine di garantire solidità e fiducia nel sistema creditizio. Col passare del tempo, anche se ha permesso di uniformare gli schemi di vigilanza prudenziale dei paesi industrializzati, l'Accordo si è rivelato inadatto a fronteggiare le nuove sfide poste in essere dalle nuove tecnologie di comunicazione, prodotti finanziari, mercati bancari e dalle tecniche di gestione dei rischi (risk management20). I coefficienti di ponderazione distinguevano il rischio in base a soli tre parametri, non effettuando alcuna ulteriore distinzione di rischio all’interno di una stessa categoria. Basilea I, inoltre, non differenziava la copertura patrimoniale in base alla scadenza dell’esposizione, né considerava i possibili effetti di diversificazione del rischio di un portafoglio prestiti. Un ulteriore limite era rappresentato dal fatto che erano imposte coperture minime patrimoniali a fronte del solo rischio di credito e del rischio di mercato. In realtà, l’attività bancaria è esposta ad altri fattori di rischio. In particolar modo, non vengono presi in considerazione i rischi derivanti dalle operazioni sui mercati immobiliari e non sono accuratamente misurati i rischi di credito, che vengono piuttosto sottostimati. La principale conseguenza di ciò è stata l'arbitraggio21, ossia una certa elusione del

vincolo di capitale minimo imposto nel 1988. In pratica, a fronte del rispetto apparente della formula di Basilea I, il management bancario era incentivato a:

1. concedere i tradizionali prestiti alle controparti relativamente più rischiose;

2. intraprendere operazioni finanziarie innovative sempre più sofisticate e con un basso o nullo onere di capitale corrispondente.

(praticamente tutti i crediti verso famiglie e piccole imprese), del 100% per i crediti verso altre controparti prive di rating, del 35% per i mutui erogati per l'acquisto di immobili destinati ad essere abitati o dati in locazione dal mutuatario. Il livello minimo del coefficiente di solvibilità che deve essere rispettato dagli intermediari è dell'8%.

20 La gestione del rischio (risk management) è il processo mediante il quale si misura o si stima il rischio e

successivamente si sviluppano delle strategie per governarlo. Di regola, le strategie impiegate includono il trasferimento del rischio a terze parti, l'evitare il rischio, il ridurre l'effetto negativo ed infine l'accettare in parte o totalmente le conseguenze di un particolare rischio. La gestione del rischio tradizionale si focalizza sui rischi derivanti da cause fisiche o legali come ad esempio, disastri naturali, incendi, morti e processi penali. La gestione del rischio finanziario, invece, focalizza sui rischi governabili usando strumenti di trade finanziario. Occorre notare che recentemente il

concetto di rischio tende ad ampliarsi in "rischio/opportunita'", dove insieme ad impatti negativi (minacce) sono associati anche potenziali impatti positivi (opportunita') da perseguire. Questa apertura e' spinta dal significato della parola rischio in Inglese (risk) meno precisa e rigida rispetto alla traduzione rischio in Italiano.

21 In economia e in finanza, un arbitraggio è un'operazione che consiste nell'acquistare un bene o un'attività finanziaria su un mercato rivendendolo su un altro mercato, sfruttando le differenze di prezzo al fine di ottenere un profitto. L'operazione è possibile se il ricavo che si ottiene supera i costi per il trasferimento del bene trattato da un mercato all'altro. L'intera operazione deve essere senza alcun rischio per l'operatore. L'arbitraggio si differenzia dalla speculazione per il fatto che, mentre il primo è un modo di lucrare sulle differenze di prezzo presenti in luoghi diversi la seconda opera sulle differenze di prezzo di uno stesso bene in tempi diversi: mentre la speculazione ricerca il lucro giocando sul fattore "tempo" (vendita successiva all'acquisto e viceversa), l'arbitraggio lo ricerca nel fattore "spazio" (acquisto e vendita su due mercati diversi).

Figura

Figura 1. 1 – Struttura del sistema: banche e sportelli operanti in Italia
Figura 1. 3 Banche e sportelli operanti in Italia: l’evoluzione nell’ultimo decennio

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