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Inquadramento del ruolo del Presidente della Repubblica nell’ambito della disciplina costituzionale e lettura dell’attuale fase istituzionale CAPITOLO I

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CAPITOLO I

Inquadramento del ruolo del Presidente della Repubblica nell’ambito della disciplina costituzionale e lettura dell’attuale fase istituzionale

1. Esposizione dell’interrogativo di fondo che muove la nostra indagine: il Presidente della Repubblica è effettivamente titolare di un indirizzo politico costituzionale? Il Presidente della Repubblica rappresenta la figura di vertice dell’intero regime istituzionale italiano sebbene, nei sistemi parlamentari, il Capo dello Stato sia un organo di non facile definizione.

Secondo un’importante corrente della dottrina, dalla lettura del testo costituzionale emerge la volontà di delinearlo come un organo neutro e neutrale1, di garanzia, super partes; un ruolo quindi assolutamente esterno al circuito dell’indirizzo politico. Ciò rappresenta una scelta di opportunità valutata in relazione al fatto che la forma di governo parlamentare è nata attraverso una lenta evoluzione dal ceppo della monarchia costituzionale e che proprio da questo modello doveva andare differenziandosi. Nello Statuto Albertino al re solo apparteneva il potere esecutivo, oltre alle attribuzioni incidenti sulla funzione giurisdizionale, l’esercizio del potere legislativo insieme alle Camere e poteri fondamentali in ordine alla formazione e al funzionamento degli organi costituzionali. A contrario oggi il Presidente della Repubblica viene configurato, sulla scia delle tesi di B. Constant, come un organo

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La dottrina del potere neutro, alla quale molti dei nostri costituenti si sono ispirati, è sviluppata da Benjamin Constant. Nella fase più avanzata della sua riflessione, chiusa la fase del suo pensiero più radicale, Constant individua cinque poteri pubblici: il potere esecutivo, il potere dell’assemblea ereditaria, il potere rappresentativo dell’assemblea elettiva, il potere giudiziario e il potere regale. Quest’ultimo, in virtù del carattere sacro della monarchia, è superiore ed equidistante dagli altri. Nel quadro della monarchia costituzionale è un potere neutro, dal pensatore ricostruito a partire dal modello della Corona inglese. Attraverso tale caratterizzazione egli mantiene in vita una figura nevralgica della storia, quella del Capo dello Stato, abbandonata nella fase precedente del suo pensiero. Cfr. B. CONSTANT, Riflessioni sulle costituzioni e sulle garanzie (1814), Roma, 1999, pp. 47 e ss.

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posto al di fuori della tripartizione dei poteri teorizzata da Montesquieu. Sebbene comunque la razionalizzazione del parlamentarismo operata dalla Costituzione italiana abbia previsto una figura di Presidente della Repubblica spogliata di quelle attribuzioni di potere proprie dei regimi previgenti, non per questo egli deve apparire come “l'evanescente personaggio, il motivo di pura decorazione, il maestro di cerimonie che si volle vedere in altre costituzioni ... Il Capo dello Stato non governa; la responsabilità dei suoi atti è assunta dal Primo Ministro e dai Ministri che li controfirmano; ma le attribuzioni che gli sono specificamente conferite dalla Costituzione, e tutte le altre che rientrano nei suoi compiti generali, gli danno infinite occasioni di esercitare la missione di equilibrio e di coordinamento che è propriamente sua”2.

In contrapposizione a tale tesi, concepita all’indomani dell’approvazione della Costituzione da Serio Galeotti e Giuseppe Guarino3, si pone la teoria sviluppata negli anni ’50 da Paolo Barile. Egli ritiene che, in vero, il Presidente della Repubblica sia chiamato a compartecipare alla realizzazione dell’indirizzo politico. “L’unità nazionale può non coincidere fisiologicamente, con gli orientamenti di partiti delle forze politiche e soprattutto di quelle della maggioranza. Così Barile, pur partendo da una necessaria premessa di imparzialità presidenziale, interpreta l’unità nazionale non come valore da preservare, ma, piuttosto, come obiettivo da raggiungere, come un insieme di fini costituzionali che devono essere attuati; compito essenziale del Capo dello Stato è quello “di controllare l’indirizzo di maggioranza ed eventualmente di correggerlo per allinearlo all’attuazione dei fini costituzionali”4. Pertanto il

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Dalla relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione, Meuccio Ruini, che accompagna il Progetto della Costituzione della Repubblica italiana in merito all’art.87

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scriveva Guarino, “il Presidente della Repubblica si pone come un quarto potere soggettivamente autonomo”, estraneo alla funzione di governo. Giacché indipendente dalle parti e dagli altri poteri, è anche al di sopra delle parti e degli altri poteri. Egli è il capo dello Stato e a lui sono conferite le attribuzioni che richiedono la presenza dello Stato nella sua maestà ed unità. Ed ogni volta che l’ordinamento ha bisogno di una scelta o di un comportamento indipendente, si ricorre di nuovo al presidente, la cui intera figura è costruita per l’imparzialità”. Cfr. G. GUARINO, Il Presidente della

Repubblica italiana. Note preliminari, in Riv. trim. dir.ubbl., 1951, 965

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P. BARILE, I poteri del Presidente della Repubblica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, 308-309; Ciò significa, secondo O.CHESSA, che alla concezione dei principi costituzionali adottata dalle forze di

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Presidente, in questa interpretazione, diviene contitolare (unitamente alla Corte Costituzionale) della funzione di indirizzo politico costituzionale, entità diversa e contrapposta al contingente indirizzo politico di maggioranza”5. Questa teoria, sebbene minoritaria, ha suscitato negli ultimi anni un rinnovato consenso riaccendendo un dibattito dal quale discendono complessi interrogativi: presupponendo la veridicità di queste posizioni come potremmo definire l’indirizzo politico costituzionale e in cosa esso andrebbe differenziandosi dall’indirizzo politico generale? in che modo concretamente il Presidente potrebbe dargli attuazione pur rimanendo nei ranghi della neutralità connaturata al suo ruolo istituzionale?

Nello svolgimento della nostra indagine cercheremo di comprendere se, nell’assetto odierno, il Presidente abbia posto in essere comportamenti che concretizzano il presunto indirizzo politico costituzionale, quanto meno influenzando l’esercizio dei poteri di indirizzo da parte di altri organi o se invece la sua azione sia stata diretta a facilitare e coadiuvare l’azione delle istituzioni ad esso espressamente preposte. Onde evitare un rischio nel quale si incorre con frequenza nelle analisi di diritto costituzionale, cioè di rendere tale diritto la “scienza della legittimazione dell’esistente” cercheremo di analizzare gli sviluppi e le innovazioni del ruolo presidenziale sempre a partire dalla analisi giuridica delle norme che regolano i suoi poteri. Risulta infatti necessario constatare, accanto alla intrinseca flessibilità della Costituzione, la presenza di “un corpo di regole stabili che, proprio perché sottratto alla negoziazione e immune alle logiche politiche contingenti, garantisca la coesione delle parti e la continuità del processo di integrazione ( il costituzionalismo come

maggioranza potrà opporne una propria. Ma se è così, allora anche il PdR oltre ad essere titolare di una funzione di indirizzo politico costituzionale sarà altresì titolare di un indirizzo politico presidenziale, esattamente speculare a quello di maggioranza. Se l’indirizzo di maggioranza non è altro che una tra le diverse modalità di attuazione dei fini costituzionali, lo stesso potrà dirsi per l’indirizzo presidenziale, soprattutto nella misura in cui è teso a correggere il primo. Cfr O.CHESSA, Il ruolo presidenziale e la

distinzione tra funzioni di garanzia e funzioni d’indirizzo politico, in http://www.dirittoestoria.it

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F.FURLAN, Presidente della Repubblica e politiche di sicurezza internazionale tra diarchia e

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limite del potere e la democrazia come complesso di regole del gioco indisponibili)”6.

2. Norme dedicate

La nostra Costituzione disciplina la figura del Presidente della Repubblica nel titolo II della parte I, artt 83 e ss. dedicando all’organo una serie di articoli che ne dettano le caratteristiche: è definito Capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale ( art 87.1. Cost. ), attributo che deriva dall’ampio consenso richiesto per la sua elezione. E’ necessario infatti che il Parlamento, riunito in seduta comune e integrato dai delegati regionali eletti dai rispettivi consigli ( tre per ogni regione ad eccezione della Valle d’Aosta che ne ha uno solo), si esprima a scrutinio segreto individuando il Presidente con una maggioranza dei 2/3 o, dal terzo scrutinio, con il voto favorevole della metà più uno degli aventi diritto al voto. Il Presidente, “quale rappresentante dell’unità nazionale, può farsi carico di spronare le istituzioni, le forze politiche e l’intera comunità sociale, affinché tutti agiscano concordemente e lealmente in vista dei comuni obiettivi e nell’alveo dei legittimi procedimenti costituzionali. Tale delicato compito è svolto dal Capo dello Stato attraverso un complesso di strumenti, formali e informali, tra cui spicca il potere di messaggio alle camere, ma anche il meno solenne (sebbene talvolta ancor più efficace) potere di esternazione, che consente al Presidente di rivolgersi alla nazione”7.

Al Presidente della Repubblica sono conferiti importanti poteri tra i quali rilevano in particolare la nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri ( art 92 Cost. ), l’indizione delle elezioni delle nuove Camere e la determinazione della prima riunione ( art 87.3 Cost ), lo scioglimento anticipato di una o di entrambe le Camere ( art 88 Cost. ), il rinvio delle legge con messaggio motivato ( artt. 73 e 74 Cost. ), l’emanazione degli atti governativi aventi valore di legge ( art 87.5 Cost. ),

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G PITRUZZELLA, Commentario alla Costituzione, art 92- 93, 16

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F. GIUFFRE’, I.A. NICOTRA, Il Presidente della Repubblica. Frammenti di un settennato, Torino, 2012, 7

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l’autorizzazione di disegni di legge di iniziativa governativa ( art 87.4 Cost ) , lo scioglimento dei Consigli Regionali che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni della legge ( art 126 Cost ), l’attribuzione della grazia, la commutazione della pena ( art 87.11 Cost ) e la nomina di cinque senatori a vita ( art 59.2. Cost. ) e di un terzo dei giudici costituzionali ( art 135 Cost. ). Talvolta i poteri presidenziali assumono una funzione di garanzia del corretto funzionamento del sistema attraverso la posizione riconosciuta al Presidente nell’ambito di organi collegiali di rilevanza costituzionale quali il Consiglio Supremo della Magistratura ( artt 87.10 e 104 Cost. ) e il Consiglio Supremo di Difesa ( art. 87 Cost. ). Tutti gli atti presidenziali devono essere controfirmati dal Governo: ciò detta un controllo sull’operato del Presidente che ne limita i poteri e al tempo stesso si pone a fondamento della irresponsabilità politica che caratterizza il Capo dello Stato ( art 89 Cost ).

3. Flessibilità dell’istituto

Dall’elencazione delle principali attribuzioni presidenziali emergono i contorni di una figura distinta e autonoma dal Governo, dotata di poteri propri di controllo, garanzia, influenza e intermediazione politica che, anche se al di fuori della tradizionale tripartizione dei poteri, interferisce, in virtù delle sue attribuzioni, con tutti e tre i poteri; ciò che manca è però una determinazione chiara del ruolo complessivo del Presidente della Repubblica. All’interno dei sistemi parlamentari il Capo dello Stato può assumere ruoli politico istituzionali alquanto differenti che oscillano tra la funzione di garanzia costituzionale e quella governante, di decisore politico di ultima istanza. Tutto questo può avvenire senza alcuna modificazione esteriore del testo costituzionale: esso sembra aver lasciato un ampio margine di movimento tra questi due estremi; i poteri del Capo dello Stato sono spesso definiti “a fisarmonica” perché possono espandersi o ridursi a seconda dei mutevoli equilibri della forma di governo e del sistema politico: è dal concreto andamento della vita politica, di là delle previsioni costituzionali, che emerge la consistenza del ruolo presidenziale. Tecnicamente tale duplicità di posizioni si rende possibile mediante le convenzioni

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costituzionali, ovvero regole di comportamento, seguite dagli organi costituzionali nei loro rapporti reciproci, fondate esclusivamente sull’accordo tacito, e comunque non formalizzato, dei soggetti interessati, che proprio per tale caratteristica risultano idonee a integrare la disciplina costituzionale valorizzando, grazie alla loro mutevole natura, le variazioni storico- istituzionali nelle quali la Costituzione si deve calare. “Queste regole o riempiono di sostanza diverse regole costituzionali scritte che continuano ad essere osservate solo per la forma ( ad esempio l’art 92: il Presidente del Consiglio formalmente propone, nella realtà presenta, una lista dei ministri proposta da altri); oppure restringono in parte o in tutto il fascio di possibili comportamenti che la norma costituzionale consente ( ad esempio il procedimento di nomina del Governo: la Costituzione lascia al Presidente della Repubblica e agli altri interessati il potere di configurare come ritengono più opportuno il procedimento di formazione del Governo, e si limita a fissare come inderogabili due momenti, quello della nomina e quello della fiducia); oppure disciplinano comportamenti dei soggetti costituzionali ulteriori rispetto a quelli già disciplinati dal diritto: tali comportamenti presuppongono l’esistenza di un soggetto giuridicamente disciplinato a cui riannodarsi, ma di per sè non sono oggetto di regole giuridiche (ad es. la regola delle dimissioni del Governo dopo l’elezione del Capo dello Stato e il rifiuto costante di tali dimissioni da parte di quest’ultimo); le convenzioni costituzionali infine sono di un quarto tipo, e cioè regole sulla cui base i soggetti politici attribuiscono un significato politico specifico ad atti giuridici che come tali continuano a produrre gli effetti giuridici loro propri (tale la regola per cui il voto contrario su una proposta di legge governativa o sul bilancio comporta normalmente le dimissioni del Governo)”8. Si comprende così come, pur entro immutati argini formali, i medesimi istituti possano assumere connotati e significati anche molto diversi.

Nel contesto odierno si avverte con forza come la crisi di legittimazione del sistema politico e dei rapporti tra i partiti stessi e l’esigenza di riforme istituzionali compiute abbiano inevitabilmente condotto ad un ampliamento degli spazi proprio degli organi

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di garanzia costituzionale. A ciò deve aggiungersi la rilevante influenza dell’Unione Europea e dell’andamento del mercati sulle decisioni politiche interne al sistema.

4. Crollo dei partiti politici e diffusione del fenomeno dell’anti- politica Innanzitutto la crisi dei partiti.

Prima di interrogarci circa lo stato attuale dei partiti appare opportuno concentrare l’attenzione sui processi del sistema nei quali essi sono coinvolti.

Il ruolo più importante tradizionalmente attribuito ai partiti è quello della strutturazione del voto. I partiti sono gli attori del voto, in quanto partecipano alle elezioni e le campagne elettorali hanno visto scomparire, salvo rare eccezioni, candidati 'indipendenti'. “Ciò nonostante, quello che conta non è tanto che i voti vadano ai partiti e ai loro candidati, ma che il partito sia l'elemento principale di orientamento delle opinioni rispetto ad altre potenziali agenzie. Gli studi sul comportamento elettorale hanno mostrato che in tutti i paesi occidentali una larga parte dell'elettorato ha sviluppato profondi legami di identificazione con i partiti e vota per essi indipendentemente da altre considerazioni, quali la preferenza per un candidato o personalità politica o la rilevanza personale di uno specifico problema... Tuttavia la personalità individuale dei candidati gioca un ruolo importante soprattutto se il sistema elettorale - come in Francia e Gran Bretagna, negli Stati Uniti (e di recente in Italia) - prevede circoscrizioni uninominali”9. Da ciò la conseguenza che i partiti, avendo il controllo del processo elettorale, esercitano un monopolio sul reclutamento del personale politico che occupa posizioni rappresentative: ai partiti spetta la decisione ultima sulla stabilità e sulla formazione della maggioranza e del Governo che di quest’ultima costituisce espressione in virtù del ruolo che il diritto assegna loro anche in funzione del contrappeso costituzionale che essi svolgono nel confronti dei poteri presidenziali. I partiti hanno inoltre l’importante ruolo di

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aggregare, in politiche e programmi generali, gli interessi e le domande che emergono dalla società in modo che tali posizioni programmatiche influiscano sull’azione dei governi.

I partiti non sono però entità a sé stanti, in quanto sono chiamati ad operare all’interno del sistema partitico, cioè di un complesso sistema di interazioni competitive e, proprio perché troppo presi dalla gestione del gioco politico, spesso non riescono a intravvedere orizzonti comuni neppure difronte a tematiche di ingente gravità. La parola partito, dal latino <partiri>, significa dividere, separare; conformemente a quanto emerge dall’etimologia, i partiti sono nella loro essenza espressione di parte ma questa loro caratteristica non deve scadere nella semplice negazione delle posizioni altrui. La “rissosità endemica”, alla quale i partiti ci stanno abituando, “determina serie conseguenze negative, tanto per la gestione delle istituzioni, quanto per il grado di legittimazione funzionale degli stessi partiti”10. Questo tema è stato spesso affrontato dal Presidente Napolitano preoccupato delle dannose conseguenze che l’atteggiamento litigioso dei partiti rischia di comportare. Tra queste in particolare il disincanto dei cittadini, delusi da una politica che appare nella sua negatività, come un mero gioco utilitaristico volto a realizzare interessi individuali piuttosto che il vero bene collettivo. Ciò si radicalizza nel tanto discusso fenomeno dell’antipolitica che “significa insofferenza e delegittimazione verso il presente assetto della politica, e soprattutto verso i politici e i partiti. Questa antipolitica nasce dallo sdegno morale per gli scandali e la corruzione che coinvolgono i politici; dalla rabbia e dalla protesta per le promesse non mantenute dalla politica, e per l'ingiustizia con cui la politica calpesta i diritti dei cittadini; dall'idea qualunquistica che non vi sia differenza fra i partiti, che siano tutti uguali; e che con un po' d'onestà personale e di buon senso ogni problema verrebbe risolto.” Questo pur comprensibile sentimento “si basa sull'idea che ci si possa sottrarre ai problemi che sempre ineriscono alla politica, appunto; ha in sé l'insofferenza per le istituzioni, per la complessità, per la dialettica, per il dissenso. L'antipolitica, quindi, è

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in realtà essa stessa politica: una politica semplicistica, e potenzialmente autoritaria, sbrigativa, decisionistica e tecnocratica. L'antipolitica diventa insomma politica populistica, molto efficace e intensa.” 11. Se il fenomeno dell’antipolitica può essere considerato superficiale e per molti aspetti criticabile è innegabile che esso debba portare ad una attenta riflessione sull’evidente inaridimento del sistema dei partiti e sulla diffusione della sfiducia nelle istituzioni. “Molte sono le evidenze di questo fenomeno: il rilevante astensionismo nelle consultazioni elettorali e referendarie; l’emergere di movimenti politici ispirati alla forte critica nei confronti dei politici già presenti nelle istituzioni, come il Movimento Cinque Stelle guidato da Grillo; la diffusa pubblicistica sulla cosiddetta < casta> e sui privilegi affermatisi a livello personale o, in senso quasi corporativo, a favore di alcuni gruppi o forze sociali; e le manifestazioni pubbliche in cui si esprimono- talora accompagnandole con atti di violenza- opinioni genericamente antiparlamentaristiche o, peggio ancora, denigratorie nei confronti delle istituzioni rappresentative” 12. Alla luce di tutto questo il Presidente ha spesso auspicato, non una drastica distruzione dell’assetto vigente, quanto piuttosto un auto- rinnovamento dei partiti che permetta ad essi di ritrovare una via di dialogo con la popolazione: “ E’ mia convinzione che non manchino al nostro paese le forze per superare le prove di questa fase storica e di questo cruciale momento. E’ però necessario porre mano a quel rinnovamento della vita istituzionale, politica e civile, in assenza del quale la comunità nazionale, in tutte le sue parti, sarebbe esposta a crisi gravi. La condizione del successo è in un concorso di volontà, che non può, non deve mancare. Un concorso di volontà più forte di tutte le ragioni di divisione, pur nello svolgimento di una libera dialettica politica e sociale”13. Un passaggio fondamentale e spesso invocato dal Presidente sarebbe certamente l’attuazione dell’art 49 della Cost. relativamente all’organizzazione dei partiti politici, che appare oggi più che mai necessaria per dare una stabile disciplina democratica ai fondamentali strumenti di articolazione della volontà politica dei cittadini. Vi è poi

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C. GALLI, Antipolitica, in Repubblica, 2012

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V. LIPPOLIS, G.M. SALERNO, La repubblica del Presidente. Il settennato di Giorgio Napolitano, Bologna, 2013, 158

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l’importante questione dei finanziamenti. Sul tema è stata approvata la legge 96 del 2012: essa ha ridotto i finanziamenti previsti dalle leggi previgenti, fissando limiti massimi alla contribuzione pubblica, ha accentuato i controlli, limitato le spese elettorali dei candidati, imposto la pubblicazione nei siti internet dei partiti dei rispettivi bilanci e vincolato la contribuzione pubblica alla sola ‘attività politica’. Nonostante questi miglioramenti difficilmente possiamo affermare che la suddetta legge abbia posto in essere una riforma effettivamente compiuta e risolutiva del problema del finanziamento. Infatti “è rimasto fermo il finanziamento pubblico concesso a titolo di <rimborso> delle spese elettorali ( che, in verità, non è erogato a posteriori e in ragione delle spese effettivamente sostenute), così mantenendo quella soluzione introdotta per superare- o meglio, per aggirare- l’esito del referendum popolare del 1993 contrario al finanziamento pubblico dell’attività politica. E’ stato aggiunto un ulteriore cofinanziamento pubblico proporzionato al finanziamento che i partiti ottengono da soggetti privati, così parzialmente compensando la ricordata riduzione dei finanziamenti pubblici. E’ stato istituito un nuovo organismo di controllo- la commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici- che però non appare provvisto degli strumenti operativi necessari per svolgere con piena effettività le tante funzioni affidategli (di vigilanza, di controllo e sanzionatorie)”14.

5. Trasformazione del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario

La scarsa incisività dei partiti odierni non dipende però unicamente dalle problematiche esposte; la crisi di rappresentatività discende, più che da ogni altro fattore, dalle disfunzioni del meccanismo attraverso cui i voti espressi dagli elettori si trasformano in seggi: la legge elettorale. Vicende di scottante attualità raccontano di una legge nata attraverso un procedimento di formazione anomalo, criticata e disconosciuta da ogni espressione politica, ma mai riformata, fino al punto da rendere

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necessario l’intervento della Corte Costituzionale su un tema così delicato e così ontologicamente politico. Nel domandarsi quali siano le funzioni delle elezioni in un sistema democratico si possono dare molte risposte: l’esigenza di legittimazione di coloro che saranno chiamati nel concreto a prendere decisioni proprio in quanto rappresentanti della volontà degli elettori, l’occasione per esprimere idee e opinioni, lo strumento per esercitare il controllo sui governanti. Nessuna di queste essenziali funzioni sembra essere stata pienamente realizzata dalla legge 270 del 2005.

Tale legge delinea un sistema elettorale di tipo proporzionale, corretto da premio di maggioranza e soglie di sbarramento. Il premio di maggioranza conferisce 340 su 630 seggi alla Camera e il 55% dei seggi per ciascuna regione al Senato, al partito che ha preso anche un solo voto di più, secondo una formula di tipo plurality o di maggioranza relativa: non è quindi richiesto il raggiungimento di alcuna percentuale di voti, cosa alquanto anomala se si pensa che perfino la Legge Acerbo poneva una condizione di questo tipo. In entrambi i rami del Parlamento va configurandosi quindi un premio alquanto consistente che viene attribuito alla Camera a livello nazionale, al Senato a livello regionale. Ciò ha più volte creato una significativa differenza di rappresentanza dei partiti e delle coalizioni all’interno delle due Camere tanto da porre in discussione la stessa governabilità. Le soglie di sbarramento alla Camera sono del 10% per le coalizioni e del 4% per i partiti non coalizzati mentre al Senato sono rispettivamente il 20% e l’8%; i partiti coalizzati per accedere alla ripartizione dei seggi devono aver ottenuto almeno il 3% dei voti al Senato e il 2% alla Camera dove è previsto anche il ripescaggio del partito più votato. Non si possono indicare preferenze: i candidati vengono eletti in base all’ordine di presentazione in una lista decisa dal partito o dalla coalizione. Se a ciò si aggiunge che uno stesso candidato può presentarsi in più collegi, viene a crearsi un gioco articolato, monopolizzato dai partiti, che impedisce al cittadino di sapere con chiarezza a chi effettivamente destina il suo voto. E’ possibile votare unicamente il partito, indicando implicitamente anche la coalizione di governo e il leader ad esso collegati.

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sentenza della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2013. “La questione prende le mosse da un giudizio intentato nel 2009 dinanzi al Tribunale di Milano - proseguito poi presso la Corte di Appello - da un cittadino che si lamentava di aver subito un pregiudizio in occasione delle competizioni elettorali del 2006 e del 2008 in conseguenza sia della mancata previsione nella legge della possibilità di esprimere preferenze per i singoli candidati che delle modalità con le quali la stessa aveva disciplinato il premio di maggioranza. Sia in primo che in secondo grado le domande erano state dichiarate ammissibili ma poi rigettate nel merito, sostanzialmente in ragione della ritenuta manifesta infondatezza delle eccezioni di illegittimità costituzionale che erano state prospettate. La Corte di Cassazione ritiene ora di non condividere la predetta conclusione dei giudici di merito, considerando così superabile una consistente serie di ostacoli, di natura in senso lato processuale, attinenti alla verifica della conformità costituzionale della legislazione elettorale”15.“Le principali censure di legittimità costituzionale avanzate dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 12060/2013 insistono su due distinti profili, concernenti, da un lato, l’assegnazione del premio di maggioranza16 e, dall’altro, l’abolizione delle preferenze17. Secondo il giudice rimettente, le opzioni legislative

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F. DAL CANTO, La legge elettorale dinanzi alla Corte costituzionale: verso il superamento di una

zona franca? (nota a Corte di Cassazione, I Sez. civile, ord. n. 12060/2013), in

www.forumcostituzionale.it

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La Cassazione fonda la presente censura prevalentemente sui risultati pratici prodotti dal sistema elettorale nel corso delle ultime elezioni politiche, evidenziandone gli effetti disproporzionali. In particolare, sulla base dei rilevamenti riportati nell’ordinanza, il Movimento 5 Stelle a fronte di 8.689.458 voti ha ottenuto soltanto 109 seggi alla Camera, mentre il Partito Democratico a fronte di 8.644.523 voti, per effetto della manifesta irragionevolezza del premio di maggioranza introdotto dal la legge elettorale, ha raggiunto 297 seggi, nonostante abbia ottenuto 44.935 voti in meno. Ancora Sinistra Ecologia Libertà con 1.089.409 voti ha raggiunto la quota di 37 deputati, mentre a Scelta Civica vengono attribuiti soltanto 2 deputati in più nonostante abbia conseguito 2.824.065 voti e quindi più del doppio dei suffragi di SEL Infine, Centro Democratico con 167.072 voti ha raggiunto 6 seggi, mentre l’Unione di Centro, a fronte di 608.210 voti, ha ottenuto soltanto 8 seggi. Per effetto della manifesta irragionevolezza della legge elettorale all’UDC vengono cioè attribuiti soltanto 2 deputati in più non ostante abbia ottenuto più del triplo dei voti riportati dal Centro Democratico. Ancora più gravi sarebbero però le conseguenze riportate da Rivoluzione Civile, la quale, pur avendo conseguito 765.188 voti e dunque quasi il quintuplo dei voti in più del Centro Democratico, non ha ottenuto alcun seggio

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Valorizzando una chiave di lettura che vede nel principio della libertà del voto la garanzia di una manifestazione di volontà consapevole e non coartata da parte dei cittadini, la Corte di Cassazione ritiene quindi che i caratteri della “legge Calderoli” vulnerino la libera espressione del suffragio,

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poste alla base dell’attuale sistema elettorale costituirebbero il risultato di un bilanciamento irragionevole tra i valori coinvolti. Il principale vizio di legittimità dell’attuale legislazione elettorale si concreterebbe pertanto nell’irrazionalità delle sue previsioni qualificanti, che si sarebbe poi riverberata sull’intero meccanismo di conversione dei voti in seggi”18. Con la sentenza n. 1 del 2014 la Corte Costituzionale si è espressa in merito alla suddetta questione, con specifico riferimento alle criticità evidenziate dalla Corte di Cassazione superando le numerose perplessità espresse dalla dottrina circa l’opportunità di una pronuncia costituzionale in un ambito così ricco di implicazioni politiche. “Infatti, sebbene il giudizio su questa legge – da subito oggetto di pesanti critiche di costituzionalità– fosse certamente ritenuto, nella sostanza, auspicabile, esso poneva, da un punto di vista processuale, delicati problemi concernenti la rilevanza della questione e la stessa incidentalità del giudizio (le leggi elettorali essendo, in effetti, state tradizionalmente indicate come ‘zona franca’– o almeno ‘d’ombra’ – della giustizia costituzionale”19.

poiché circoscriverebbero irragionevolmente il margine di scelta degli elettori, che non essendo neppure messi in condizione di conoscere i candidati, non sarebbero nemmeno in grado di esprimere un voto realmente informato. Cfr. Corte di Cassazione ord. 12060/2013, punti 9 ss.

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P.ZICCHITTU, L’incostituzionalità della legge elettorale ovvero quando il giudice comune

“confonde” Corte costituzionale e Parlamento. (Nota a Corte di Cassazione ordinanza n.12060/2013,

in www.associazionedeicostituzionalisti.it

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A.PERTICI, La Corte costituzionale dichiara l’incostituzionalità della legge elettorale tra attese e

sorprese (con qualche indicazione per il legislatore), 2, in www.forumcostituzionale.it; in questo

senso anche P.ZICCHITTU che afferma: “la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Prima Sezione civile della Corte di Cassazione rappresenta senza dubbio un significativo elemento di novità, poiché manifesta esplicitamente l’intenzione di supplire a una protratta inerzia legislativa, attraverso uno strumento alternativo rispetto alla negoziazione politica. L’ordinanza di rimessione promossa dalla Suprema Corte costituisce cioè il primo tentativo pienamente formalizzato di riformare la legge elettorale vigente, servendosi di uno strumento esclusivamente giurisdizionale per di più in un ambito usualmente ascritto alle cd. “zone franche” del giudizio di costituzionalità”. P.ZICCHITTU, op.cit., 2; vedi anche G.SERGES che afferma ”Tra le più immediate conseguenze di questa decisione, spicca, a mio avviso, in primo luogo, quella secondo cui, con questa storica decisione, si sarebbe ormai definitivamente rotto l’incantesimo intorno alla sindacabilità della legge elettorale. Sarebbe stata così definitivamente superata quella zona franca del sistema di giustizia costituzionale che, sottolineata in più occasioni come una inammissibile lacuna dell’intero sistema costituzionale, consentirebbe ora di sottoporre con relativa facilità le scelte parlamentari intorno alla legge politica’ per eccellenza, evitando il perpetuarsi di situazioni simili a quelle vissute dal sistema ad opera della legge 270 del 2005. Certo è difficile pensare che la Corte possa compiere in futuro un passo indietro e contraddire la netta presa di posizione in virtù della quale, smentendo molte motivate previsioni”. G.SERGES, Spunti

di giustizia costituzionale a margine della declaratoria di illegittimità della legge elettorale, 2, in

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“La Corte ha esaminato il profilo della ragionevolezza del premio di maggioranza nell’economia del sistema elettorale vigente per le due Camere, verificando il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti in gioco alla luce di un ‘test di proporzionalità’, allo scopo di accertare se le norme scrutinate recassero, tra quelle possibili alla luce degli obiettivi da perseguire, la soluzione ‘meno restrittiva dei diritti a confronto’ e “oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi’...In sostanza nel principio enucleato al punto 3 delle considerazioni in diritto della sentenza in esame la Corte non demonizza il premio di maggioranza, ma lo censura in quanto nell’economia della legislazione elettorale scrutinata esso funziona prescindendo dal peso delle preferenze espresse dagli elettori, premiando oltre misura la formazione che ottiene la maggioranza relativa dei voti con una sovrarappresentazione alla Camera (e solo eventualmente anche al Senato) e comprimendo oltre misura le altre formazioni, a prescindere dalla differenza tra i voti conseguiti20. La necessità di garantire una più efficace rappresentazione dell’orientamento del corpo elettorale trova conferma si pone a fondamento anche degli argomenti addotti dalla Corte per dichiarare l’incostituzionalità delle disposizioni che prevedono il solo voto di lista “perché escludono ogni facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti”21“in quanto la decisione ultima in proposito discende in definitiva dall’ordine di inserimento dei

intervento della Corte in una materia così delicata e fin ad oggi inesplorata, afferma: “Ma, a livello istituzionale, non si tratta di una forzatura eccessiva. In fondo i poteri di garanzia debbono anche avere il coraggio di osare quando si tratta di salvaguardare i valori fondamentali. Tutti coloro che lavorano a ridosso delle istituzioni sanno bene che “il potere è come l’acqua: occupa gli spazi che trova”. A.CELOTTO, Il potere è come l’acqua, in http://www.confronticostituzionali.eu

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“Pertanto, scrutinate sotto il profilo della ragionevolezza e alla luce del descritto test di proporzionalità, secondo la Corte le norme impugnate della legislazione elettorale sul premio di maggioranza, pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale qual è quello di assicurare la stabilità del governo del Paese e l’efficienza dei processi decisionali parlamentari, sono in contrasto con gli interessi e i valori costituzionalmente protetti, di cui agli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost., perché determinano “una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente”. R.DICKMANN, La Corte dichiara incostituzionale il

premio di maggioranza e il voto di lista e introduce un sistema elettorale proporzionale puro fondato su una preferenza (Prime osservazioni a Corte cost. 13 gennaio 2014, n. 1), 4, in www.federalismi.it

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candidati nella lista, che l’elettore è stato chiamato a votare sulla base delle legislazione dichiarata incostituzionale, ‘ordine di presentazione che è sostanzialmente deciso dai partiti’”22.

Ma, quale legislazione elettorale residua a seguito della pronuncia in esame? come la Corte si preoccupa di precisare nel punto 6 delle considerazioni in diritto si configura un modello proporzionale puro, “caratterizzato dalla possibilità per gli elettori di esprimere una preferenza per l’elezione della Camera e una per l’elezione del Senato, con le soglie di sbarramento previste per le coalizioni di liste e le liste unitarie, e tutte le modalità vigenti per l’indicazione dei collegamenti in coalizione e il deposito dei programmi elettorali, nel quale è dichiarato il nome e cognome della persona indicata come capo della forza politica o della coalizione e aspirante premier”23. Tale legislazione risulta quindi direttamente applicabile al fine di scongiurare il rischio di un ordinamento privo di una legge costituzionalmente necessaria, come la legge lettorale, e quello di “paralizzare il potere di scioglimento del Presidente della Repubblica previsto dall’art. 88 Cost”24. Tale precisazione non esime certamente il legislatore dall’intervenire nel merito ad una questione così delicata ed intrinsecamente politica per mezzo di una legislazione conforme alle indicazioni della sentenza.

Al di là degli aspetti tecnici della legge elettorale e delle sue vicende giudiziarie, ciò che maggiormente coinvolge la nostra analisi risulta il fatto che “indubbiamente la sfera d’influenza del Presidente della Repubblica si è, nonostante le aspettative25, notevolmente ampliata con il passaggio dal parlamentarismo compromissorio a

22 R.DICKMANN, op.cit., 6 23 R.DICKMANN, op.cit., 8 24

Corte cost., 24 gennaio 2012, n. 13, spec. punto 5.1 in diritto, ed ulteriore giur. cost. ivi cit., in gran parte indicata nello stesso punto 6 in diritto della sent. n. 1 del 2014, in commento

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Pensiamo ad Enrico Cheli il quale rispetto all’appena iniziata XIII legislatura si domandava quale ruolo potesse spettare al Presidente della Repubblica in una democrazia maggioritaria che, come la nostra, stava andando a regime ma rimaneva pur sempre retta da una forma di Governo parlamentare.Egli rispondeva affermando nettamente che i poteri del Presidente erano destinati a ridurre in loro tasso di politicità e a ritirarsi entro i confini di un controllo diretto garantire soltanto le condizioni che consentono alla maggioranza di governare. Cfr. E.CHELI, Il Presidente della

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quello a vocazione maggioritaria, nonostante sembrasse al contrario doversi ridurre a una più indefinita attività di moral suasion, volta a contenere, nello spazio di un’attesa democrazia dell’alternanza, con l’esercizio di poteri garanzia e di controllo, il maggior peso ottenuto dalla maggioranza attraverso il nuovo sistema elettorale. Ciò ha, non a caso, alimentato un dibattito su supposte fuoriuscite dai limiti costituzionali del ruolo, sulla trasformazione “di fatto” della nostra forma di governo, sulla necessità per il paese di una riforma in tal senso, sul ruolo del Presidente della Repubblica e del Presidente del consiglio, discussioni che hanno accompagnato, in campo giuridico, i dibattiti politologici sulla personalizzazione della politica. Questa evoluzione ha indotto parte della dottrina a evocare l’idea che fu di Esposito26, del Presidente della Repubblica come supremo reggitore dello Stato nei periodi di crisi”27. Secondo questa tesi, innanzi alla crisi del sistema politico l’espansione dei poteri del Presidente è giustificata, anzi necessaria. È il prodotto del suo farsi garante della continuità statale se non proprio delle stesse istituzioni democratiche”

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Esposito condiziona la legittimità dei poteri straordinari del Capo dello Stato al verificarsi di un presupposto oggettivo certo e incontestabile, cioè la materiale impossibilità di funzionamento degli altri organi costituzionali, in particolare del Parlamento e del Governo che gode della fiducia del Parlamento. Stante questo presupposto Esposito ammette uno slittamento delle competenze di questi organi in capo al Presidente della Repubblica al quale resta comunque preclusa la possibilità di adottare decisioni contrarie alla Costituzione. Il Capo dello Stato nel momento in cui deve sostituirsi a Parlamento e Governo può compiere unicamente gli atti di competenza di tali organi. Questa ultima conclusione per la verità è incerta sia perchè Esposito non ha mai affermato questo punto in maniera esplicita sia perchè non valuta il fatto che il Parlamento è investito legittimamente del potere di revisione costituzionale. Si potrebbe così affermare che anche il Presidente, in situazioni di gravi crisi, potrebbe esercitare il medesimo potere. In tal modo tornerebbe ad affiorare la tesi classica del Capo dello Stato che in momenti di crisi può adottare tutti i provvedimenti necessari a ristabilire la normalità. In definitiva il tentativo di Esposito di legittimare i poteri eccezionali del capo dello Stato è solo apparentemente più garantista di tutti gli altri tentativi che pretendono di regolare il anticipo quello che invece per sua diretta natura non sopporta regole pre costituite. Certo è che,di fatto, il Capo dello Stato, proprio in quanto preposto alla funzione di garante dell’unità e continuità dello stato, si trova nella posizione più idonea ad acquisire potei extra ordinem nel caso di crisi generale dello Stato ma non è possibili far rientrare all’interno della trattazione giuridica poteri e libertà ulteriori rispetto a quelli regolarti dalla Costituzione. La pretesa di fondare preventivamente la legittimità di futuri comportamenti contrari all’ordine esistente è autocontraddittoria.

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A. MASTROPAOLO, Il dualismo rimosso. La funzione del Presidente della Repubblica nella

forma di governo parlamentare italiana, in Rivista AIC, 4/2013, 4,

http://www.associazionedeicostituzionalisti.it secondo l’autore la tesi di Esposito “innanzi alla crisi del sistema politico l’espansione dei poteri del Presidente è giustificata, anzi necessaria. È il prodotto del suo farsi garante della continuità statale se non proprio delle stesse istituzioni democratiche”. Tale affermazione non appare però pienamente condivisibile alla luce delle criticità evidenziate nella nota precedente.

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Oltre al problema elettorale, che emerge in tutta la sua gravità, molte sono le riforme costituzionali che necessitano di una definizione urgente ma che appaiono congelate dalla sterilità delle attuali legislature. Pensiamo per esempio al confuso procedimento prima di soppressione e poi di riordino delle province o all’avvertita esigenza di attenuare i difetti della Riforma del titolo V della Costituzione che si è tentato di realizzare con l’introduzione del d.l. 174 del 2012 volto a contrastare gli abusi e le illegalità commessi nell’impiego delle risorse finanziarie nell’ambito degli enti territoriali, ma ampiamente riscritto e alleggerito in sede di conversione.

6. Influenza dell’Unione Europea e dell’andamento del mercati sulle decisioni politiche interne al sistema

Un tema che infine non ammette di essere trascurato è quello della crescente influenza dell’Unione Europea e dell’andamento dei mercati sull’asseto interno. “L’attuale Unione Europea trae le proprie origini dalla nota Dichiarazione resa il 9 maggio 1950 dall’allora ministro degli esteri francese, Robert Schuman, di “mettere l’intera produzione del carbone e dell’acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei... La cosiddetta “proposta Schuman” incontrò il favore di Italia, Lussemburgo, Belgio e Paesi Bassi, tanto che tali Stati, unitamente alla Francia e alla Germania, giunsero ben presto alla negoziazione del trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, CECA, 1951”28. Ebbe così inizio l’ardimentoso progetto che seppe trasformare l’Europa da terreno di atroci scontri a luogo di incontro e sviluppo. La Comunità Europea ha quindi il grande merito, troppo spesso dimenticato, di aver portato una pace stabile e duratura nel continente europeo da oltre sessant’anni. Il progetto di questa comunità è andato negli anni allargandosi a nuovi paesi accrescendo in maniera prorompente la propria forza. Nel momento il cui uno stato diventa parte dell’ordinamento dell’Unione, esso accetta e si impegna alla

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contemporanea applicazione, all’interno del proprio ordinamento, del diritto di derivazione statale e di quello europeo. Quest’ultimo, lungi dal limitarsi a dettare una mera collaborazione economica, si ramifica ormai in tutti gli ambiti della vita sociale e rappresenta una buona percentuale del diritto vigente. In Italia il processo che ha portato al pieno riconoscimento della supremazia del diritto comunitario è stato lungo e articolato; molto spesso il nostro Paese ha sottovalutato i vincoli e gli imperativi europei e per questo è stato oggetto di numerosi ricorsi per infrazione. L’adesione al progetto comunitario sembra richiedere oggi uno sforzo ulteriore, una volontà forte e coesa nel vedere l’Unione Europea non più soltanto come un attore importante del gioco economico ma anche, e soprattutto, come un soggetto di politica internazionale. In questo senso “il settennato di Napolitano è stato caratterizzato da una vera e propria politica europea del Presidente che ha avuto sullo sfondo un comune riferimento ideale che è stato ripetuto senza infingimenti e in numerose occasioni all’intera opinione pubblica sia interna che estera: L’europa è il futuro dell’Italia e l’Italia non può rinunciare al disegno europeo... (Il Presidente ) ha chiesto in varie occasioni di resistere alle pressioni nazionalistiche o a ritorni al passato, ovvero alle chiusure nazionali o spinte centrifughe che contraddicessero il senso progressivo del processo di integrazione europea. Ha considerato necessarie <ulteriori cessioni di sovranità> e <una più stringente integrazione sul piano economico, fiscale e bancario> (nel discorso tenuto nell’assemblea nazionale della Repubblica di Slovenia il 10 luglio 2012)”29. Non solo parole, quelle del Presidente, che si è fatto carico in prima persona di rappresentare l’Italia di fronte agli altri membri dell’Unione, dando al Paese una credibilità che difficilmente sarebbe stata garantita in momenti di particolare instabilità istituzionale e adoperando i propri poteri, specialmente nelle vicende di insediamento del Governo Monti, al fine di indirizzare l’assetto italiano su binari che permettessero una salvaguardia delle posizioni europee e un concreto rispetto degli obblighi che da esse derivano.

Quando nel 2006 venne eletto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, le

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elezioni si connotarono per una notevole complessità a causa del contesto politico e istituzionale particolarmente delicato e soprattutto per il fatto che Napolitano rappresentava una figura eccentrica rispetto al suo predecessore. “Al contrario di Ciampi egli era un uomo di partito il cui impegno politico era stato caratterizzato non solo dallo svolgimento di importanti incarichi istituzionali, ma anche da una significativa attività di dirigente del PCI, anche se non si mancò di sottolineare la sua distanza dalla consueta iconografia comunista oltre che la sua indole defilata. Si può forse dire addirittura che per la prima volta nella storia repubblicana, tenuto conto della convention ad excludendum che aveva colpito per decenni il suo partito, fu eletto Presidente un uomo che non aveva tutti “i numeri” per essere il presidente di tutti”30. Nonostante tali premesse Napolitano si è fatto portatore di una costante opera di conservazione dell’unità nazionale oltre che di mediazione e garanzia attiva. A tal fine ha posto in essere con frequente intensità interventi inerenti ai più diversi temi del dibattito politico e istituzionale: “la conseguenza è stata quella di porre l’organo presidenziale al centro dell’attenzione generale, quale interlocutore privilegiato delle istanze proventi sia dagli organi di vertice sia dal Paese e quale soggetto compartecipe, alla pari degli altri soggetti titolari dell’indirizzo politico, delle scelte legate alla sua determinazione ed attuazione; se non, addirittura, quale soggetto portatore di un autonomo “indirizzo”, intorno al quale aggregare il consenso oltre che delle forze politiche ed istituzionali, della più ampia base sociale”31. Proprio al fine di definire le connotazioni di tali vicende si propone nella seguente trattazione un’analisi dei poteri presidenziali che esercitano una maggiore influenza nella determinazione dell’indirizzo politico per cercare di comprendere se e su quali presupposti sia ancora possibile riconoscere nel Presidente della Repubblica un garante neutro e super partes del nostro ordinamento.

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A. MASTROPAOLO, op.cit, 36

31

M.C.GRISOLIA, Alla ricerca di un nuovo ruolo del Capo dello Stato nel sistema maggioritario, http://www.associazionedeicostituzionalisti.it

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