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CAPITOLO IV
Le coproduzioni europee in materia d’armamenti
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Internazionalizzazione delle imprese e sviluppo delle
coproduzioni
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Lo sviluppo delle coproduzioni a livello europeo in materia di armamenti è legato principalmente sia alla presenza della Nato, sia allo sviluppo, nel tempo, di varie forme di collaborazione intergovernative. La Nato è la principale sede internazionale di coordinamento della produzione e dell’acquisizione di armamenti. Al suo interno esiste un organismo, il Cnad (Conferenza dei direttori nazionali degli armamenti, dipendente dal Consiglio Atlantico e al quale partecipano i direttori nazionali degli armamenti dei Paesi membri), con il compito di promuovere la cooperazione nella ricerca e nello sviluppo degli equipaggiamenti per la difesa, al fine di razionalizzare l’impiego delle risorse disponibili e rendere interoperabili i materiali. Sempre all’interno della Nato esiste la Namso (Nato management systems organization), un’agenzia che si occupa di fornire assistenza organizzativa ai Paesi membri che vogliono sviluppare programmi comuni di manutenzione e approvvigionamento del proprio materiale militare. Una sede di confronto a livello parlamentare e governativo delle politiche estere e di difesa dei Paesi membri, attiva nel settore della produzione ed acquisizione di armamenti, è stata l’UEO (Unione europea occidentale), confluita all’interno dell’Unione Europea nel 2011. Lo Iepg, trasformatosi poi nello WEAG (a sua volta cessato di esistere nel 2006, con la creazione dell’Agenzia europea per gli armamenti), è stato un gruppo intergovernativo a carattere informale, costituito nel 1976 a Roma con il proposito di riequilibrare
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l’interscambio nel campo degli armamenti tra Usa ed Europa. Questo gruppo ha svolto un’intensa attività di coordinamento tecnico ed industriale tra le varie industrie dei Paesi membri. Lo Iepg era composto da: una conferenza dei ministri o dei sottosegretari di Stato, una conferenza dei direttori nazionali degli armamenti, e l’Edig, il Gruppo europeo di industrie per la difesa, organismo consultivo rappresentante le industrie nazionali degli armamenti. Questo gruppo ha promosso diversi programmi internazionali di ricerca e sviluppo e varie proposte di eliminazione del protezionismo in materia di armamenti, di armonizzazione delle politiche industriali, e ricerca in campo militare; tali proposte hanno portato, in particolare, all’approvazione di un Action Plan nel 1988, che ha rappresentato il primo documento internazionale di rilievo nell’ottica della realizzazione di un mercato unico europeo degli armamenti. L’Action Plan stabiliva infatti una serie di impegni per i Paesi dell’Iepg consistenti, tra le altre cose, nell’istituzione di programmi comuni di ricerca e nell’aumento dell’informazione sui programmi nazionali, in modo da incentivare la concorrenza su scala europea. Tuttavia a dare avvio ad un processo politico ed industriale, potenzialmente in grado di trasformare il ruolo e modificare il peso della produzione europea di armamenti su scala mondiale, furono la comunicazione della Commissione europea del 4 Dicembre 1997, relativa alla strategia dell’Unione in materia di industria della Difesa (preceduta il 22 luglio 1997 dalla dichiarazione dell’UEO in materia di cooperazione europea nel settore degli armamenti, nell’ambito del Gruppo Armamenti dell’Europa Occidentale) e la dichiarazione congiunta franco-tedesco-britannica del 9 dicembre 1997, che riguardava la ristrutturazione delle industrie aerospaziali ed elettroniche militari. Quest’ultimo documento, condiviso da Italia, Svezia e Spagna nei sui principi generali, ha portato alla formazione di un gruppo di Stati, titolare di più del 90% delle esportazioni d’armi dell’UE. E’ così iniziato un percorso di ridefinizione e ristrutturazione dell’industria militare europea, incentrato su nuove forme di cooperazione –
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coproduzioni, società miste1 (join ventures), consorzi, ecc.- nell’ambito di programmi multinazionali per la realizzazione di armamenti e la fornitura di servizi associati. I primi passi in tal senso sono stati compiuti con la lettera d’intenti del 1998, un documento che portò nel 2000 all’accordo quadro di Farnborough; questa intesa annovera tra i suoi obiettivi quello di avvicinare, semplificare, ridurre le procedure nazionali di controllo sui trasferimenti e sull’esportazione di prodotti, tecnologie e servizi militari messi a punto in cooperazione tra gli Stati parte. Occorre porre i riflettori sul momento in cui questo percorso ha avuto inizio: nel periodo 1996-98, quando prese avvio il consolidamento delle principali industrie a produzione militare europee, che ha portato all’attuale assetto oligopolistico del mercato, dominato per fatturato e dimensioni da tre grandi gruppi: EADS ( risultato di acquisizioni e fusioni tra varie imprese di diversi Paesi europei2), BAE Systems (con l’assorbimento da parte della British Aerospace di aziende tedesche, svedesi, australiane e statunitensi) e Thales (gruppo che integra imprese francesi, inglesi, canadesi, australiane, statunitensi, olandesi, sudcoreane, sudafricane). Questo processo di ristrutturazione dell’industria europea degli armamenti sta procedendo senza una messa a punto della politica estera e di sicurezza comune dei Paesi membri dell’UE, in poche parole i più importanti produttori di armamenti hanno accelerato le dinamiche finalizzate alla costruzione di una base militar-industriale, che dovrebbe essere preposta ad un politica estera e di sicurezza di cui si avverte il bisogno, ma che non è ancora stata definita. Un’ulteriore accelerazione al processo di concentrazione ed integrazione transnazionale dell’industria europea lo si ha con la creazione delle società transnazionali per la difesa (STD), previste nell’accordo quadro. L’intesa precisa cosa debba intendersi per STD, ovvero un ente aziendale, industriale, o di altra natura giuridica, formato da elementi delle industrie per la difesa di due o più parti, o con
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Si può definire mista una società in cui due aziende si ripartiscono tra loro in parti approssimativamente uguali il capitale di una sussidiaria.
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impianti ubicati nell’ambito dei territori di due o più parti. L’integrazione e la ristrutturazione delineate dall’accordo, poggiano le loro basi su di una “deregulation” che ostacola la trasparenza sul commercio internazionale di armamenti, il semplice concetto di impresa produttrice di armamenti scompare in un labirinto di produzioni su licenza, join-ventures, coproduzioni e cooperazioni strategiche3. Il percorso tracciato si conclude, per adesso, con la creazione dell’Agenzia europea per la difesa, la quale ha il compito di indicare qualsiasi misura in grado di potenziare la base industriale e tecnologica del settore della difesa.
L’Italia partecipa a diverse coproduzioni a livello internazionale in materia di armamenti, è parte di: programmi per la realizzazione di sistemi d’arma in comune con altri Paesi membri della Nato, programmi di cooperazione Europa-Usa in ambito Nato, coproduzioni multilaterali europee non decise in ambito Nato, nonostante la similarità della procedura (è il caso del programma Mrca Tornado e dell’Efa), coproduzioni bilaterali in ambito Nato, coproduzioni bilaterali con Paesi non appartenenti alla Nato. Tutti questi modelli di collaborazione, nonostante le diverse modalità di attuazione, presentano comunque i seguenti tratti comuni: l’individuazione di un interesse comune tra le Forze Armate e le imprese militari di diversi Paesi allo sviluppo e alla produzione di un nuovo sistema d’arma; l’adesione ad un programma comune attraverso la redazione di appositi accordi internazionali (Memorandum of understanding), e individuazione delle caratteristiche del prodotto e delle quote di partecipazione al progetto dei diversi Paesi; l’eventuale costituzione di consorzi e agenzie internazionali per la gestione comune del programma; la suddivisione dei programmi in diverse fasi relative alla ricerca, allo sviluppo e alla produzione, individuandone i costi4.
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C. Wrigley, The Arms industry, Campaign against Arms Trade, 2001, citato in G.Burrows, The no-non
sense guide to the Arms trade, Oxford, 2002, pp.21-22.
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M. De Cecco e M.Pianta, Amministrazione militare e spesa per gli armamenti in Europa, Bologna, 1992, pp.110-111.
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La scelta di molti Paesi, tra cui l’Italia, di orientarsi verso le coproduzioni internazionali in materia di armamenti è legata a vari fattori: si vogliono contenere i costi di sviluppo dei nuovi sistemi d’arma che rendono impossibile la progettazione e produzione nazionale, attraverso la realizzazione di economie di scala che riducano i costi unitari; si può acquisire tecnologia disponibile esclusivamente all’estero; aumentano le possibilità di esportare all’estero grazie allo sforzo congiunto di più Paesi produttori, rinsaldando rapporti politici ed economici tra paesi alleati. Inoltre, proprio gli scambi intrasocietari delle STD sono in grado di limitare i costi correlati alle transazioni, applicando prezzi di trasferimento interni, in modo da consentire la ridistribuzione del profitto e privilegiare la STD più forte. Se questi possono essere i vantaggi di una coproduzione internazionale, non possono, d’altro canto, esser taciuti i diversi svantaggi. Queste coproduzioni sono molto spesso estremamente costose; distribuire tra più Paesi le fasi di ricerca, sviluppo e produzione di un sistema d’arma comporta vari costi aggiuntivi, dovuti alla divisione del lavoro tra imprese di diversi Paesi secondo criteri più politici che economici o tecnici, con la conseguente crescita spropositata dei costi. Le coproduzioni hanno spesso tempi molto lunghi di realizzazione, a causa delle difficoltà di coordinamento tra le imprese, e quando si tratta di grandi sistemi d’arma sono anche molto complesse, si cerca infatti di unificare le esigenze dei vari Paesi e realizzare un prodotto di livello superiore, con il conseguente aumento dell’inefficienza in fase di progettazione. L’internazionalizzazione inoltre comporta un aumento spropositato dei costi di supervisione e controllo, poiché le procedure volte a permettere la trasparenza sulle attività effettuate vengono conteggiate dalle imprese come costi, e quindi, come un intralcio allo sviluppo di una politica commerciale. A completamento del panorama di vantaggi e svantaggi delle coproduzioni non può non esser considerata la limitazione che esse pongono, sul piano politico e militare, all’indipendenza nazionale, legando le scelte strategiche ed
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industriali di ciascun Paese a quelle degli altri, in modo inscindibile. Tuttavia, data l’impossibilità di analizzare in modo generale e astratto se maggiori possano essere i vantaggi o gli svantaggi delle collaborazioni europee in materia di grandi sistemi d’arma, analizzeremo due casi concreti, il progetto Mrca Tornado ed il progetto Eurofighter Typhoon, che rappresentano le due più importanti forme di coproduzione a livello europeo, al fine di valutarne la competitività, l’efficacia da un punto di vista industriale e tecnologico, il costo opportunità per l’insieme dell’economia. Bisognerà dunque valutare l’efficienza e la convenienza dell’acquisizione di armamenti italiani rispetto al possibile acquisto di sistemi d’arma analoghi venduti sui mercati internazionali; si pone l’alternativa tra continuare a sostenere l’industria militare italiana, privilegiandola nell’acquisto di armamenti rispetto alle soluzioni più economiche offerte da produttori stranieri, o accelerare fenomeni di integrazione su scala europea dei processi di produzione e acquisizione di armamenti. Poi occorrerà indagare sull’efficacia della domanda militare come strumento di politica industriale e tecnologica, considerata la debolezza strutturale dell’industria bellica italiana sul piano internazionale e la ridotta dimensione di questo settore rispetto al sistema produttivo del Paese. Ed infine, si renderà necessaria una valutazione dei costi opportunità, per l’economia nel suo insieme, nel dedicare risorse alla produzione di armamenti, poiché una concentrazione di risorse e forza lavoro, nella realizzazione e nell’acquisto di grandi sistemi d’arma, sottrarrà inevitabilmente queste risorse ad eventuali usi alternativi ai quali potevano essere destinate.
2-Il programma Mrca Tornado.
Con la legge promozionale 38/1977, per garantire l’ammodernamento dei mezzi dell’aeronautica militare italiana, venne previsto, tra i diversi programmi, lo sviluppo di “moderni velivoli a livello europeo per il
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necessario rinnovo della linea di volo”. Già da dieci anni erano stati avviati dei contatti a livello internazionale, da parte del Ministero della Difesa, per la coproduzione con altri Paesi Nato, che avevano fatto parte in passato del consorzio F.104, di un velivolo da combattimento multiruolo denominato Mrca (Multi Role Combat Aircraft). Il programma Mrca ha avuto ufficialmente inizio nel 1969, dopo la firma di un accordo ( MoU- Memorandum of understanding ) fra Italia, Gran Bretagna e Germania Federale, nel quale venivano uniformate le esigenze operative delle Forze aeree dei tre Paesi. Si prevedeva in particolare la produzione congiunta di 809 velivoli, di cui 100 sarebbero andati all’Aeronautica militare italiana, per sostituire, secondo il programma presentato alle Camere nel Novembre del 1977, in quattro gruppi di volo dell’AM, gli obsoleti F.104 e G.91, destinati ad operazioni “di ricognizione, interdizione e appoggio alle forze di superficie”. La partecipazione dell’Italia a tale programma equivaleva al 12%. Dal momento del primo MoU fino alla legge che finanziava tale progetto, l’Italia ha sottoscritto altri dieci MoU riguardanti l’intero processo di definizione del programma, dallo studio di fattibilità, alla produzione vera e propria. Dai dati ricavati analizzando l’evoluzione di questo programma si deduce che l’Amministrazione della Difesa aveva già speso alcune centinaia di miliardi di lire per il programma Mrca prima che un’apposita legge finanziasse l’acquisto dei 100 velivoli previsti5. La fase di produzione è iniziata nel 1976 ed è stata divisa in sette lotti. Nel tempo sono state prodotte tre versioni di questo velivolo ( IDS, ECR, ADV), con differenti funzioni ed ancora in forze in alcuni stormi degli Stati partecipanti al progetto, aggiornate nel 2002 nei loro sistemi di navigazione, comunicazione e radar, e ammodernate nel 2013, con una spesa di 108.3 milioni di euro, al fine di garantire una vita operativa fino al 2020-20256.
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Camera dei deputati, servizio studi, 1982.
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Il programma Mrca, rinominato “Tornado” nel 1972, è stato caratterizzato dalla particolare procedura delle coproduzioni internazionali attuata nell’ambito della NATO: i tre Paesi interessati hanno costituito una specifica agenzia incaricata della gestione dell’intero processo di acquisizione, la Nammo ( Nato Multirole Combat Aircraft Management Organization), la quale ha svolto le sue attività tramite un’altra agenzia Nato che curava i rapporti con le ditte produttrici del velivolo, la Namma (Nato Mrca Multirole Agency). La procedura che ha portato alla creazione del velivolo si è sviluppata su due livelli, uno politico e l’altro manageriale7
. A livello politico sono stati sottoscritti i MoU, classificabili come accordi internazionali in forma semplificata, che in Italia entrano in vigore senza necessità della ratifica parlamentare, poiché operano all’interno di convenzioni internazionali ( nel caso specifico il Trattato dell’Atlantico del Nord); prima dell’approvazione della legge promozionale i MoU venivano sottoposti al controllo del Consiglio Superiore della Difesa e del Consiglio di Stato, successivamente al Comitato istituito dalla legge promozionale dell’Aeronautica. A livello manageriale, invece, l’attività contrattuale si è interamente svolta tra la Namma, con sede a Monaco, e la società Panavia, un’impresa con sede nella ex Germania federale, costituita dalle imprese capocommessa dei tre Paesi che partecipavano al programma per la realizzazione del sistema: la BAC (successivamente BAE) inglese, la FIAT (poi Aeritaria e successivamente divenuta Alenia), la tedesca MBB. La partecipazione delle tre imprese al consorzio Panavia – Aeritalia 15%, British Aerospace 42,5%, MBB 42,5% - rispecchia la percentuale di velivoli acquistati dai singoli governi sul totale della produzione e, di conseguenza, la spesa da essi sostenuta per il programma.
Il Tornado nasce da un progetto di collaborazione trinazionale sulla base del quale sono state uniformate le specifiche tecniche e il ruolo principale dell’aereo, l’iter decisionale e contrattuale e le strutture
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produttive. Ciò ha prodotto vantaggi e svantaggi che sono rilevabili in relazione a: esigenze della Difesa, esigenze di controllo parlamentare sull’acquisizione di armamenti, tempi di realizzazione, costi del programma, modalità contrattuali e di pagamento, ricadute economiche e tecnologiche sull’industria aeronautica italiana. Il Tornado ha incrementato notevolmente il potenziale offensivo dell’Aeronautica Militare italiana, infatti, se prima della sua produzione, erano possibili essenzialmente due tipi di “missioni” (difesa dello spazio aereo e appoggio tattico a forze terrestri e marittime) e per di più con limitata autonomia, con questo velivolo è stato possibile trasportare quattro tonnellate di armamento con possibilità di rifornimento in volo. Queste potenzialità suscitarono diverse critiche nei confronti di un programma che avrebbe dovuto puntare ad un ammodernamento e non ad un rafforzamento delle capacità di bombardamento offensivo convenzionale e nucleare. Il Ministero della difesa si giustificò evidenziando le caratteristiche multiruolo del Tornado, ma in realtà si adeguò alle specifiche indicate dai partner europei, che necessitavano di un caccia-bombardiere a lungo raggio, con capacità secondarie di interdizione e contro-aviazione. Era un ruolo assolutamente nuovo per l’Aeronautica militare italiana: l’attacco in profondità ad obiettivi strategici situati in territorio nemico. La collaborazione in ambito Nato e la creazione dell’agenzia Namma hanno introdotto per la prima volta l’Italia nell’ambito di uno dei maggiori programmi aeronautici internazionali. Venne affidato a questa agenzia il compito di committente, nonché l’impegno di definire gli aspetti tecnici del programma, trattare con le industrie, stipulare i contratti di acquisizione ed effettuare controlli di qualità. Ciò ha escluso ogni forma di controllo diretto dei Paesi sul programma: in Italia infatti, il comitato previsto dalla legge promozionale aeronautica non poté controllare nessun atto concluso dalla Namma con la società tedesca Panavia. Tuttavia il sistema va anche valutato in termini di efficienza e convenienza per l’amministrazione della Difesa, ed i vantaggi prospettati furono
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essenzialmente tre: l’autonomia delle Forze armate nazionali nel giudizio finale sui risultati tecnici e sul costo del programma al momento della decisione finale sull’acquisto, la maggior speditezza delle procedure di diritto privato messe in atto fra l’agenzia e il consorzio Panavia, i vantaggi in termini di costo e affidabilità dei velivoli dalla scala di produzione ottenibile in una coproduzione internazionale. I rapporti contrattuali hanno seguito una rigorosa divisione del lavoro fra le tre industrie nazionali, in base non alle rispettive capacità produttive, ma alla percentuale di lavoro spettante a ciascuna di esse. Tale sistema ha privato l’amministrazione della Difesa di un controllo diretto sulle attività di sviluppo e produzione e l’ha impegnata, fin dal momento della firma dei diversi MoU, al pagamento di oneri non definibili o quantificabili preventivamente. I costi e i tempi di realizzazione del programma Tornado sono risultati sistematicamente sottostimati: la prima causa la si può ricondurre proprio alle caratteristiche tecnologiche del prodotto, poiché andava sviluppata ex novo la cellula aeronautica e del processore; la seconda invece ad una mancata razionalizzazione del sistema produttivo. La previsione di costo nominale unitario si è impennata da 17 ad oltre 75 miliardi delle vecchie lire, dal 1979 al 1990, con un aumento di oltre il 300% in termini nominali e di quasi il 50% in termini reali8. Da non sottovalutare, nello studio dell’aumento dei costi unitari del velivolo Tornado, sono anche la svalutazione della lira in quel periodo rispetto al marco tedesco e la decisione della Namma di acquistare una quantità di scorte e ricambi corrispondente alle esigenze dei tre governi per circa dieci anni di vita operativa del velivolo stesso9. Per quanto attiene ai tempi di realizzazione, il programma sarebbe dovuto terminare, come previsto dalla l.38/1977, dopo 12 anni dall’inizio della produzione. In realtà, all’inizio del 1989 il programma venne considerato, dal Ministero della Difesa, realizzato all’80% ed il termine finale venne
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Dati ricavati dall’analisi degli Stati di previsione del Ministero della Difesa, anni 1979-1990.
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Commissione parlamentare di inchiesta e di studio sulle commesse di armi e mezzi ad uso militare e sugli approvvigionamenti, 1983, vol. I, p.421.
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spostato al 199710. In fin dei conti nessuno è in grado di conoscere il costo reale del programma Tornado, perché i sistemi di acquisizione e di pagamento hanno comportato un’enorme confusione sui costi del programma. Le aeronautiche militari dei vari Paesi inoltre hanno acquistato congiuntamente solo piattaforme e parti di ricambio, e, pur avendo definito un programma comune di addestramento, hanno acquistato singolarmente sia le apparecchiature relative alle particolari versioni del Tornado, sia l’armamento. Per tale motivo ogni Paese ha dovuto affrontare, oltre ai pagamenti diretti alla Namma, una serie di acquisti interni ed esteri per approntare le basi aeree dove sarebbero stati schierati i velivoli, tutti effettuati attraverso un numero esorbitante di piccoli contratti riconducibili con difficoltà al programma principale. Come modalità di pagamento dei costi sostenuti dall’Agenzia, si è usato il metodo delle “anticipazioni” da parte dei diversi governi, commisurate ai costi previsti per le diverse fasi del programma stesso, questi ultimi sono stati poi costantemente ritoccati in base allo stato d’avanzamento dei lavori. Date le diverse valute con cui è stata finanziata la fase di produzione (lire italiane per il lavoro svolto in Italia, marchi tedeschi per quello svolto da Panavia, dollari per equipaggiamenti acquistati negli Stati uniti), venne creato un sistema di cambi concordati, legati alle oscillazioni del mercato monetario. I rapporti tra imprese commissionarie e Namma hanno avuto, per quel che attiene ai pagamenti, la seguente regolamentazione: rimborso mensile, con presentazione della fattura, dei costi diretti, per attrezzature e strumentazioni; l’utile industriale pagato annualmente e corrispondente al 30% dei costi sostenuti; gli investimenti per i macchinari di produzione, finanziati dalla ditta, rimborsati in base al prezzo della fornitura.
Hanno partecipato al programma Tornado quasi tutte le principali imprese aeronautiche nazionali, con una divisione dei compiti non legata tanto a considerazioni economiche, quanto piuttosto a decisioni
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politiche della Difesa. Le imprese italiane non sono state coinvolte nella produzione delle componenti più sofisticate del sistema d’arma, ciò nonostante, questo progetto ha rappresentato un momento di confronto internazionale e dei suoi effetti hanno risentito il sistema delle imprese, la struttura finanziaria e il livello tecnologico. L’Aeritalia (oggi Alenia), dell’allora Iri-Finmeccanica, capocommessa del Tornado, è divenuta in Italia la leader del settore aeronautico e ha rafforzato i suoi rapporti di collaborazione con le diverse imprese private che avevano partecipato al programma, acquistando rilevanti partecipazioni aeronautiche in alcune di esse (Aermacchi, Piaggio, ecc). Questa attività le ha permesso di impegnarsi successivamente in altri due programmi internazionali: l’Am-x e l’Efa. Con lo sforzo produttivo causato dal programma Tornado, si è creata una forte dipendenza delle imprese aeronautiche nei confronti dei grandi programmi militari, ma ciò non ha portato ad una razionalizzazione del settore aeronautico italiano, data la concorrenza, con il gruppo Aeritalia, del gruppo pubblico Agusta, impegnato prevalentemente nella produzione di elicotteri, ma con significative produzioni di velivoli ad ala fissa. Sul piano tecnologico non vi sono tuttavia stati grandi miglioramenti, perché dietro le imprese principali sono rimaste una miriade di piccole imprese di nicchia, senza una propria autonomia commerciale. Proprio nel settore dei motori aeronautici si constatò infatti come nessuna impresa italiana abbia avuto le potenzialità per costruire un propulsore in modo autonomo, avendo optato piuttosto per una produzione su licenza estera. Infine, la scelta di Aeritalia di far parte della collaborazione per la creazione del Tornado non è stata estesa alle sue attività civili, nelle quali, in collaborazione con le grandi imprese americane Boeing e Mc Donnell Douglas, realizza parti marginali degli aerei americani. Da questo elemento emerge una mancanza di politica industriale sul settore in grado di garantire alle imprese italiane una partecipazione più qualificata alle collaborazioni internazionali, almeno in ambito europeo, favorendo la
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diversificazione delle produzioni aeronautiche italiane verso il settore civile.
3-Il programma Eurofighter Typhoon.
Nel 1979 Inghilterra e Germania iniziarono a lavorare sul programma ECF (European Combat Fighter) per definire il progetto di un nuovo caccia da superiorità aerea che fosse in grado di rappresentare la risposta europea ai caccia americani e di affrontare con successo i caccia sovietici. Nel 1980 al programma si unì anche la Francia, ma appena un anno dopo abbandonò il programma e il suo posto fu preso dall'Italia. Nel frattempo, nel 1983, ci fu un altro tentativo di allargare la cooperazione internazionale europea infatti la Francia ritornò nel programma, e si unì anche la Spagna; l'ACA diventava F/EFA: Future European Fighter Aircraft. Tuttavia ancora una volta il progetto fallì: la Francia voleva il controllo del 50 % del programma, ed esigeva un caccia abbastanza leggero da poter essere imbarcato sulle sue portaerei, requisito che invece non interessava a nessuno degli altri partner. Nel 1985 il programma F/EFA veniva cancellato, ma subito resuscitato con il nome EFA: i partecipanti erano Inghilterra, Germania, Italia e, dal 1986, la Spagna, riuniti nel consorzio industriale Eurofighter. La Francia, invece, decise definitivamente di sviluppare un proprio caccia (il Rafale). Il Programma EFA/Eurofighter 2000 (European Fighter
Aircraft, poi European Fighter) nasce dunque per giungere alla
produzione di un velivolo da combattimento (denominato Typhoon) dotato del massimo numero di elementi comuni e di capacità operativa corrispondenti ai requisiti stabiliti dalle quattro Nazioni partecipanti. Tale velivolo monoposto supersonico è destinato alla difesa aerea, con il compito primario di contrasto delle forze aeree e con una capacità secondaria di svolgere anche missioni di attacco al suolo. L’Eurofighter
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Typhoon rappresenta allo stato attuale il più vasto programma industriale nel settore europeo della difesa, nonché l’esempio più avanzato di integrazione industriale in un unico programma comune. Il programma è frutto della cooperazione tra gli Stati sopracitati, avviata in base al Memorandum of Understanding generale sottoscritto nel 1986. Secondo tale intesa, si prevedeva la realizzazione del progetto con una suddivisione in cinque fasi successive: definizione, sviluppo, industrializzazione, produzione in serie e supporto logistico. Sono stati posti in essere, di conseguenza, i Memorandum n. 2 e 3, che prevedevano le modalità relative alle fasi, rispettivamente, di definizione del Programma e di sviluppo del velivolo e del motore. Con l'accordo firmato il 10 novembre 1988, i quattro partners europei hanno dato inizio alla fase di sviluppo e sperimentazione del velivolo. La previsione iniziale stimava una produzione di 765 unità, delle quali 165 in dotazione all'Italia, ma già nel 1992, mentre era ancora in corso la fase di sviluppo, la presa d’atto da parte dei Paesi partecipanti di ritardi rispetto alle previsioni iniziali ha indotto radicali mutamenti nella struttura e nella sequenza temporale del Programma. Questa presa di coscienza veniva inevitabilmente ad incidere sulle necessità di difesa militare dei Paesi della NATO, e di conseguenza sulle caratteristiche stesse dell’aereo da combattimento oggetto del Programma EFA. I Ministri della Difesa dei vari Stati manifestarono inoltre una diffusa preoccupazione in ordine all’impegno finanziario richiesto, in relazione alla situazione di bilancio evolutasi in senso poco favorevole per tutti i Paesi partecipanti. Si decise pertanto di procedere alla revisione dei piani di realizzazione, prendendo nel contempo misure per contenere al massimo i costi, e prevedendo uno slittamento dei tempi della fase di produzione, sia pure differenziato secondo le specifiche esigenze di ogni Paese. Il costo del singolo velivolo venne così ridotto da 111 a 101 miliardi di lire, mentre gli ordinativi vennero ridotti dai 765 velivoli iniziali a 620, con un conseguente adeguamento delle quote di partecipazione nazionale. Nonostante tali aggiustamenti, tuttavia,
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l’andamento del Programma ha continuato ad essere caratterizzato da notevoli ritardi rispetto alle previsioni: la produzione di serie è iniziata nel 1998 e le prime consegne alle Forze Aeree sono iniziate nel 2003. Il programma di produzione prevedeva, entro il 2014, la consegna di 620 velivoli: 232 per la Gran Bretagna, 180 per la Germania, 121 per l’Italia e 87 per la Spagna. Le consegne sono state articolate in tre tranche: dal 2003 al 2007, in base al contratto siglato nel settembre 1998, si sarebbero dovute produrre 148 unità da ripartire in proporzione alla partecipazione al programma ai quattro Paesi partecipanti; dal 2007 al 2012 si prevedeva la produzione di 236 unità, in base al contratto siglato sempre tra gli Stati e le imprese fornitrici nel dicembre 2004; dal 2012 al 2017, ulteriori 236 velivoli, ma sulla base di un contratto non ancora perfezionato. Allo stato attuale, tuttavia, sono stati consegnati ai quattro Paesi solo i 148 velivoli della prima tranche, sono iniziate da poco le consegne di quelli appartenenti alla seconda e non ci sono certezze nemmeno sul fatto che si proceda con la Tranche 3, la cui cancellazione causerebbe la fine prematura del programma e di qualsiasi altra possibilità d’esportazione; inoltre, un elemento da tenere in considerazione è l’impennata del costo unitario, che, superato il momento di crisi negli anni ’90, attualmente si aggira tra gli 80 e i 110 milioni di euro (cifra pagata, ad esempio, dall’Austria per l’acquisto dei suoi Eurofighter). Le 96 unità che l’Italia prevede di acquistare in totale, a fronte delle 121 previste inizialmente11, sono destinate alla sostituzione dell’intercettore F-104, in dotazione alla nostra Aeronautica. Il ritardo nella produzione degli Eurofighter ha determinato però la necessità, per la Difesa, di provvedere nel frattempo all’acquisizione in leasing dagli Stati Uniti di 34 caccia intercettori, con ulteriori spese che sono ricadute, inevitabilmente, nel costo totale del programma; quest’ultimo contratto prevede infatti la fornitura di diverse migliaia di ore di volo nel periodo 2004-2010, per la temporanea
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Dati raccolti su: Camera dei deputati, Servizio Studi-Dipartimento Difesa, Documentazione e ricerche n.163 “Eurofighter Typhoon Stato d’attuazione del programma”, Roma, 5 Ottobre 2010.
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sostituzione degli F-104 ritirati dall’attività operativa nel 2004. L’onere complessivo di spesa pubblica stimato per il programma era pari a 18,1 miliardi di euro fino al 2012, ma è impennato nel giro di un anno a 22 miliardi (comprensivi delle acquisizioni in leasing sopracitate)12. Il
costo complessivo della sola fase di industrializzazione è stato valutato in 1,123 miliardi di euro e la partecipazione finanziaria italiana ammonta a 217 milioni di euro ripartiti in nove anni, a partire dal 2003. La gestione del programma Eurofighter è affidata ad un’Agenzia governativa denominata NETMA (NATO Eurofighter and Tornado Managenent Agency), con sede a Monaco di Baviera, che rappresenta, per tutti e quattro i Paesi, l’unica interfaccia autorizzata a render note le loro esigenze ai produttori. Dopo la negoziazione con le industrie aeronautiche dei Paesi partecipanti, sono stati stipulati due contratti “quadro” (enabling contracts) con due consorzi operanti in regime di diritto tedesco (uno per lo sviluppo della cellula, degli equipaggiamenti e l’integrazione del sistema d’arma, l’altro per lo sviluppo del motore e relativi accessori), denominati rispettivamente Eurofighter Gmbh ed Eurojet. Il consorzio Eurofighter Gmbh, con sede a Monaco di Baviera, è costituito dalle quattro industrie nazionali: Alenia Aeronautica (19,5%), BAE Systems (37,5%), Germania (30%) e EADS-Spagna (13%), ed è responsabile del progetto, dello sviluppo e dell'assemblaggio finale del velivolo, della gestione del programma e del coordinamento delle attività dei sub-contraenti. Il consorzio Eurojet, responsabile dello sviluppo e della produzione del motore EJ-2000, è costituito da MTU Aero Engines (33%), Rolls-Royce (33%), Avio (21%) e ITP (Industria de Turbo Propulsores, 13%). Lo sforzo industriale delle aziende impegnate per l’Eurofighter è complessivamente stimato per un valore superiore a 86 miliardi di euro. Il progetto Eurofighter rappresenta per l'industria aerospaziale europea una spinta tecnologica e occupazionale in grado di offrire future garanzie di sviluppo ai partners: attualmente, la forza lavoro che
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coinvolge le quattro nazioni partners conta oltre 60.000 persone coinvolte nel programma, di cui 12.000 solo in Italia. La produzione del Typhoon, superiore a tre velivoli al mese, è sostenuta da un complesso di fornitori costituito da oltre 600 società, delle quali più di 200 italiane. In fase di “picco” della produzione, si stima che il Team Eurofighter possa dare lavoro a oltre 120.000 persone in Europa, di cui 24.000 in Italia.
Partecipano al programma alcune aziende del Gruppo Finmeccanica, all’interno del Consorzio Eurofighter Gmbh, e la Avio nel Consorzio Eurojet. “Alenia Aeronautica” è responsabile della costruzione di alcune parti del velivolo insieme a BAE Systems, della progettazione ed integrazione di alcuni sistemi di bordo, di tutto il sistema propulsivo, ed è, inoltre, responsabile dell'assemblaggio finale di tutti i velivoli per l'Aeronautica militare italiana e di quelli per i clienti export dei paesi di competenza. Con una partecipazione industriale di circa il 4%, “Aermacchi” ha un ruolo importante nel programma Eurofighter. In particolare, presso l'azienda sono stati progettati e sviluppati, e sono attualmente in produzione, diversi componenti della struttura e dei motori del caccia europeo; sempre presso la Aermacchi si è svolto un esteso programma di test in galleria del vento della nuova macchina. “Galileo Avionica” è Prime Contractor per il sistema passivo di ricerca, identificazione e puntamento dei bersagli del Typhoon, uno dei più avanzati tra i sistemi dell'aereo. Il programma rappresenta per Galileo Avionica una importante attività che coinvolge stabilimenti di Milano, Torino, Pomezia e Ronchi dei Legionari, per un totale di circa 600 addetti; l’azienda partecipa allo sviluppo e alla produzione di sottosistemi complessi nell'ambito dei consorzi Euroradar (per la progettazione e la realizzazione del sistema radar del velivolo), e EuroDass (per la progettazione e la realizzazione del sottosistema per la protezione del velivolo da minacce missilistiche). La “Marconi Selenia Communications” contribuisce al programma con la realizzazione della maggior parte degli equipaggiamenti di comunicazione e navigazione
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dell'aereo. Gli apparati prodotti dall’azienda italiana sono installati sui velivoli di tutte e quattro le nazioni partecipanti. Gli apparati “Sirio Panel” equipaggiano i velivoli di tutte e quattro le nazioni che partecipano al programma e rappresentano lo stato dell'arte nel campo dell'interfaccia uomo-macchina, prodotti interamente nello stabilimento di Arezzo. Avio partecipa alla produzione dell’innovativo motore realizzato dal Consorzio Eurojet ed è responsabile di diversi componenti essenziali del motore. L’impegno di Avio nel programma Eurofighter comprende altresì la guida del Consorzio DFZI, che realizza la trasmissione comando accessori per il velivolo e la partecipazione al Consorzio che produce l’Unità di Potenza Ausiliaria (APU).
4- Una valutazione complessiva dei programmi realizzati.
Dallo studio comparato dei due programmi, di cui ovviamente non possono far parte i dettagli tecnici, data la diversità di ruolo dei due velivoli e delle rispettive esigenze per cui sono stati prodotti, emergono alcuni elementi utili al fine di analizzare: punti di debolezza e di forza che li hanno contraddistinti, miglioramenti apportati nel secondo in base alle mancanze constatate nel primo, eventuali proposte per ulteriori progressi in futuro; dopodiché, questi fattori da valutare, non potranno che essere alcuni dei potenziali elementi su cui basarsi per capire quanto una coproduzione a livello europeo in materia di armamenti possa ritenersi preferibile rispetto ad altre modalità di realizzazione di questo genere di prodotti. I punti di debolezza che hanno contraddistinto entrambi i programmi si sono basati essenzialmente sull’estrema difficoltà, se non impossibilità, nel fare delle previsioni il più possibili precise su costi e tempi di realizzazione, mantenendole invariate, se non per tutto l’iter di vita operativa del velivolo, quantomeno per la sua produzione. La creazione delle due rispettive Agenzie (Namma e Netma) ha portato infatti ad una scarsa trasparenza sui costi realmente
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sostenuti dai Paesi che hanno sottoscritto i Memorandum of understanding per partecipare alla produzione del Tornado e dell’Eurofighter; nel caso Mrca Tornado, in particolare, si è perso di vista il costo complessivo del programma ed impossibile risulta poter fare anche soltanto delle stime approssimative, in quanto l’unico dato certo, sulla base degli stati di previsione del Ministero della Difesa, appare l’impennata del costo unitario del velivolo. La ripartizione del lavoro ha seguito logiche errate se si ragiona nell’ottica dei benefici possibili di una coproduzione, perché, soprattutto con il primo programma, si è realizzata una suddivisione sulla base della percentuale di lavoro spettante alle imprese dei singoli Stati, piuttosto che sulle reali capacità produttive che essi avrebbero potuto mettere in campo. Il primo programma sarebbe dovuto terminare dopo dodici anni dall’inizio della realizzazione, ma paradossalmente si è ricorsi a spese di ammodernamento fino al 2013; invece, il secondo programma ha visto la consegna del primo velivolo quindici anni dopo l’accordo di inizio della realizzazione, con una drastica diminuzione dei velivoli richiesti dai singoli Stati parte e con il rischio che il lotto finale venga cancellato del tutto, a discapito dei vantaggi in termini economici che il suo completamento potrebbe produrre. I punti di forza che hanno contraddistinto i due programmi vanno letti alla luce di quel che si diceva in merito al bene pubblico puro della Difesa del territorio e della Sicurezza, esso va garantito sul piano del risultato piuttosto che su quello dei mezzi necessari per raggiungerlo; in quest’ambito allora si può constatare l’impressionante incremento tecnologico e potenziale che i due programmi hanno procurato al settore della Difesa, infatti con la loro realizzazione, dal punto di vista militare aeronautico, non solo si è rimasti al passo con l'evoluzione tecnologica su scala globale, ma ci si ritrova adesso con l’Eurofighter, così come in passato con il Tornado, a possedere dei velivoli che sono considerati l’avanguardia e l’eccellenza in termini di efficienza e competitività. L’Italia si è integrata in un sistema di imprese su scala europea con le quali sono stati stretti
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rapporti saldi e interdipendenze strutturali, che hanno portato ad un ammodernamento di un settore nazionale piuttosto debole ed inefficiente rispetto a quello degli altri Paesi ed all’impiego rilevante di forza lavoro sul territorio dell’Unione Europea oltre che statale. E’ proprio grazie a questi elementi che notevoli sono stati i passi avanti fatti tra un programma e l’altro dal punto di vista economico e di collaborazione tra imprese nella realizzazione dei velivoli. Nel secondo programma, successivo temporalmente al primo, tre Paesi sui quattro partecipanti in totale venivano dall’esperienza, come sottolineato in precedenza, di incapacità nella determinazione dei costi totali sostenuti; piuttosto che mantenere la previsione iniziale sul numero di velivoli da realizzare e sul loro prezzo, avendo dovuto affrontare periodi di crisi economica, si è collaborato per cercare di limitare la spesa pubblica e rapportarla per quanto possibile, e nel rispetto degli accordi, all’esigenza di Difesa e Sicurezza. Questa operazione ha portato sì ad una riduzione drastica della produzione durante la fase di difficoltà economica, ma ha consentito, in Italia, di limitare i danni, permettendo di sforare le previsioni del costo totale di tre miliardi di euro, non pochi ovviamente, ma preferibili rispetto alla voragine senza fondo dove sono andate dissipate le risorse pubbliche del programma Tornado. Il rafforzamento della collaborazione tra imprese ha permesso che quelle italiane, nel primo programma totalmente escluse dalle parti essenziali e dalla realizzazione del propulsore perché deboli dal punto di vista tecnologico e strutturale, partecipassero nel secondo alla produzione di componenti di tali settori, nonché all’assemblaggio finale del velivolo, assurgendo così ad un ruolo primario e non più di sfondo, come era stato in passato. Infine, un’analisi per quanto possibile completa, non può astenersi dal valutare cosa potrà essere migliorato in futuro, peccando tutt’ora di inefficienza in termini di costo, trasparenza o integrazione. Ebbene, di sicuro dovrebbe esser migliorato lo studio di fattibilità di programmi per grandi sistemi d’arma, che coinvolgono l’economia di più Paesi per periodi di tempo che possono superare
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anche i venti anni, come il caso Tornado insegna. La criticità di questa apparente soluzione però sta proprio nella durata di questi progetti, infatti estremamente difficile, se non impossibile, risulta prevedere i cicli economici che l’economia europea e nazionale si ritroverà a dover affrontare in un arco temporale così esteso, i quali inevitabilmente influiranno su produzione e costi dei vari programmi. Di sicuro, però, qualunque siano le fasi economiche da attraversare, andrà potenziata la scarsa trasparenza che contraddistingue questi settori; una trasparenza così tanto invocata dall’opinione pubblica da aver portato, durante la realizzazione del programma Tornado, ad esempio, all’indagine di una Commissione d’Inchiesta parlamentare al fine di ottenere una delucidazione, da parte dei dicasteri competenti, sui costi riguardanti l’intero programma. Si comprende quanto difficile sia calcolare il costo complessivo del programma dalla semplice constatazione evidenziata nel precedente capitolo, in base alla quale molto spesso anche le singole operazioni finanziarie risultano impossibili da ricondurre non solo ad un programma, inteso nel suo complesso, ma anche alla specifica impresa che ha richiesto il credito all’istituto finanziario. Infine l’esperienza di queste due coproduzioni ha mostrato i passi avanti che le imprese italiane, meno efficienti rispetto alle altre concorrenti, hanno compiuto nel tempo. La collaborazione europea si è intensificata notevolmente nel secondo progetto, grazie all’evoluzione della normativa europea in materia di commercio di armamenti, che ha reso possibile una maggiore integrazione delle industrie del settore all’interno del mercato unico e gli anni Novanta del ventesimo secolo, da questo punto di vista, hanno rappresentato il pilastro portante di un cambiamento ancora in divenire. Inevitabilmente l’evoluzione della normativa statale e dell’Unione europea, riguardante non soltanto il commercio internazionale di armamenti, come analizzato nei primi due capitoli, ma anche la libera circolazione di persone, mezzi e capitali, ha inciso notevolmente su questa integrazione ed in modo positivo, sostituendo ad una rigida divisione dei ruoli e delle competenze, preso atto dell’impossibilità
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strutturale delle imprese italiane di produrre in proprio unità fondamentali dei sistemi d’arma quali ad esempio i propulsori, una più intensa e profonda collaborazione che permettesse di unire esperti di imprese di diverse nazioni allo scopo di garantire il meglio sul mercato in termini tecnologici e di efficienza. Proprio su questa integrazione, su questo intreccio di rapporti tra imprese venutosi a creare grazie a questi due programmi di realizzazione di grandi sistemi d’arma bisognerà indagare per cercare di capire se una coproduzione a livello europeo in materia di armamenti possa esser ritenuta preferibile ad una produzione in proprio o all’acquisto di un prodotto finito. Peccherebbe di tracotanza chi, al contrario, proponesse una soluzione agile e a portata di mano, generalizzando da questi due casi concreti appena analizzati. Come precisato in precedenza infatti, ogni programma che riguardi la produzione di grandi sistemi d’arma è a sé stante, ha proprie efficienze ed inefficienze derivate dalle problematiche che si trova a dover affrontare durante le varie fasi che ne caratterizzano la realizzazione, di conseguenza l’unica soluzione sarebbe analizzare ogni programma per poi tracciare un quadro globale; si capisce che uno studio del genere rischierebbe di impegnare enormi risorse con l’alta probabilità di non arrivare ad una valida conclusione. Rimanendo, dunque, ben saldi sul nostro punto d’osservazione, due sono le valutazioni da compiere per tentare di trovare il bandolo della matassa, ovvero cosa avrebbero comportato le due soluzioni alternative, da un lato la produzione in proprio di una tipologia di velivolo simile a quelli studiati, dall’altro l’acquisto di questi prodotti finiti, da Paese esterno alla coproduzione. La prima valutazione è più semplice da compiere perché minori sono gli interessi che entrano in gioco e che lo Stato deve bilanciare per poter prendere una decisione, infatti, proprio come ribadito in precedenza, se si volesse produrre in Italia un velivolo dello stesso calibro tecnologico dell’Eurofighter Typhoon o del Mrca Tornado, questo non sarebbe possibile, in quanto la logistica, la dimensione e i mezzi delle aziende aeronautiche italiane non sono comparabili con le altre imprese europee
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del settore, e non sarebbero quindi in grado di realizzare un sistema d’arma talmente complesso in piena autonomia. Da ciò si deduce che uno Stato che voglia mantenersi al passo con l’evoluzione tecnologica europea o globale, e che, come nel nostro caso, non ha le potenzialità per riuscirci con i propri mezzi, opterà inevitabilmente per una coproduzione con altri Paesi, in grado di garantire maggior efficienza ad un sistema d’arma comune e quindi maggiore garanzia di sicurezza e difesa del territorio contro eventuali aggressioni esterne. Maggiori criticità comporta invece la seconda valutazione, a causa dei vari elementi che andrebbero presi in considerazione. E’ chiaro che la scelta non può basarsi sulla semplice, eventuale, differenza in termini di costo di un programma in coproduzione da un lato e un acquisto del prodotto finito dall’altro. Perché se acquistando il prodotto finito, si prevede una spesa certa da parte dell’Amministrazione statale, corrispondente al prezzo dei velivoli, ricambi, manutenzione, logistica ed ammodernamento, con una coproduzione si crea un indotto di dimensioni notevoli che ruota attorno al sistema d’arma da realizzare. Integrando il sistema imprese, oltre ad abbattere i costi di produzione del sistema d’arma con diverse strategie di volta in volta studiate dai vari Paesi (moneta comune, licenza globale di progetto, sfruttamento delle economie di scala, libera circolazione di capitali e mezzi, ecc.), si accrescono professionalità e competenza sul campo, mettendo a disposizione di tutti i partner le conoscenze acquisite durante la realizzazione; aumenta il potenziale tecnologico di un Paese grazie allo sfruttamento di capacità produttive condivise da industrie militari di altri Paesi più competitivi; si aprono le frontiere a numerose nuove possibilità di lavoro altamente qualificato nel proprio Paese o all’estero (soprattutto in momenti di stagnazione economica, come quello che l’Europa ed il nostro Paese si ritrovano a vivere da diversi anni); si rafforzano i legami di interdipendenza non solo fra imprese del settore, ma anche fra gli Stati che fanno parte del programma, i quali si ritrovano a dover dialogare e mettere in atto strategie di difesa comuni
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per poter poi produrre dei sistemi d’arma che rappresentino le caratteristiche tecniche desiderate da tutti. Certo non è detto che questi fattori debbano sussistere congiuntamente in ogni coproduzione o che rappresentino la totalità delle variabili possibili da valutare, ma di sicuro la loro grande varietà non permette, a chi analizza un caso concreto, di farne una soluzione generale, applicabile a tutti gli altri casi in cui si ponga il dubbio in questione. Sarà necessaria ogni volta una valutazione nel caso di specie che porti ad affermare la predominanza degli interessi coinvolti in una coproduzione, piuttosto che l’eventuale acquisto del sistema d’arma finito.