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CONCLUSIONI Il nuovo impianto normativo della Legge Finanziaria 2008 ha rimosso, a partire

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CONCLUSIONI

Il nuovo impianto normativo della Legge Finanziaria 2008 ha rimosso, a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, la farraginosa, previgente disciplina, quale il pro rata patrimoniale e la thin

capitalization, ed è stata ben accolta da gran parte della dottrina.

Al contempo non sono state ritenute del tutto convincenti le ragioni circa le finalità economiche di un intervento limitativo della deducibilità degli interessi passivi dell’impresa, interessi che costituiscono un elemento fondante della sua gestione, quale remunerazione di uno dei fattori della produzione e cioè del capitale.

A sostegno della modifica, si è osservato, anche a livello governativo, che, mentre nell’economia interna, alla deduzione degli interessi corrisponde simmetricamente la loro tassazione in capo al finanziatore, in un economia globale, nella quale i finanziamenti possono provenire da qualunque paese, un’indiscriminata deduzione degli interessi può determinare notevoli distorsioni, per effetto della strumentale allocazione dei soggetti con più alto indebitamento in paesi in cui sia più alto il tasso di imposizione e quindi massimizzare il beneficio fiscale derivante dalla deduzione di interessi passivi. Per evitare tale effetto altri paesi della comunità europea hanno modificato le norme in modo tale da inibire soprattutto l’artificiosa allocazione dei debiti nell’ambito dei gruppi transnazionali ponendo una franchigia di deducibilità, che in alcuni paesi è notevolmente elevata.

La normativa italiana presenta una notevole rigidità per ciò che concerne la indiscriminata limitazione della deduzione degli interessi passivi, soprattutto per quanto riguarda le imprese residenti non facenti parte di gruppi internazionali e, in particolare, per le imprese di medie o ridotte dimensioni per le quali addirittura può essere più vantaggiosa la trasformazione in società di persone per le quali non operano, come è stato fatto notare, le anzidette limitazioni.

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68 Le obiezioni sono costituite dalla constatazione che il regime di ridotta deducibilità determina, per le imprese residenti, una potenziale doppia imposizione degli interessi e che l’effetto della disposizione può essere assai diverso in relazione alla struttura delle varie imprese, penalizzando gli investimenti finanziati con il debito, già disincentivati dalla eliminazione degli ammortamenti anticipati.

In sostanza, la disposizione, più che costituire un ostacolo alla sottocapitalizzazione delle imprese, è diretta ad evitare abusi in materia di finanziamento, specie esteri, e presenta correttivi solo nel cotesto della tassazione consolidata di gruppo, allargato alle società non residenti, e cioè in situazioni che non possono ricorrere per imprese medio piccole, nelle quali può mancare il gruppo di riferimento, avendo come unico correttivo quello della deducibilità in periodi successivi, senza limiti di tempo. E’ evidente che condizionando la deduzione all’entità degli interessi, si determina un risultato fiscale che risente dell’andamento dei mercati finanziari, sui quali l’impresa non ha alcun controllo, aggravando l’imposizione in momenti in cui i tassi aumentano con riduzione dell’utile civilistico.

Ne deriva che il nuovo regime penalizza le imprese a bassa redditività e non attenua, se non nel lungo periodo, la temporanea indeducibilità degli interessi, senza qualificarli come dividendi in capo al percettore.

Inevitabilmente il perdurare della crisi economico finanziaria che sta caratterizzando gli ultimi anni genera una conseguenza negativa sui bilanci delle società e più specificatamente l’incremento degli oneri finanziari causati dall’esposizione crescente verso le banche.

Autorevole dottrina sostiene che il nuovo dettato dell’art. 96, non differenziando in ragione della fonte dell’ indebitamento, tra debito riconducibile, direttamente o indirettamente, alla compagine sociale e debito riconducibile al sistema creditizio, né in ragione dell’impiego del medesimo, tra debito utilizzato per acquisire cespiti che generano proventi imponibili e cespiti che generano proventi non imponibili, recide ogni legame con logiche antielusive, e comunque

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69 con esigenze di tecnica tributaria, per servire unicamente interessi di matrice extrafiscale, di contenimento del grado di indebitamento della società.

Ritengo che sarebbe auspicabile un intervento normativo che attenui, in parte, la stretta fiscale sulla deducibilità degli interessi passivi, introdotta con la Finanziaria 2008 quando la crisi economico finanziaria internazionale non era così marcata e quando le esigenze di “cassa” non erano così necessarie.

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