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a Gino e a Rosetta.

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Academic year: 2021

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Sommario

1. Introduzione ... 3

1.1. Epidemiologia ... 3

1.2. Fattori predittivi ... 6

1.3. Classificazione in base ai profili genici del carcinoma mammario ... 9

2. Trattamento della malattia metastatica... 14

2.1. Chemioterapia ... 20

3. Farmaci agenti sui microtubuli ... 25

3.1. Alcaloidi della vinca ... 26

3.2. Taxani ... 26

4. Eribulina ... 28

4.1. Meccanismo d’azione ... 28

4.2. Farmacocinetica ... 30

4.3. Posologia ... 31

5. Studi di fase su eribulina ... 33

5.1. Studi di fase I ... 33

5.2. Studi di fase II ... 35

5.3. Studi di fase III ... 39

6. Direzioni future ... 44

7. Studio retrospettivo multicentrico osservazionale ... 47

7.1. Pazienti e metodi ... 47 7.2. Analisi statistiche... 48 8. Risultati ... 49 9. Discussione... 57 BIBLIOGRAFIA ... 63 APPENDICE I ... 72 APPENDICE II ... 80 GLOSSARIO ... 82 RINGRAZIAMENTI. ... 83

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1. Introduzione

1.1. Epidemiologia

Il carcinoma della mammella è la neoplasia più frequente nella popolazione femminile dei Paesi industrializzati ed è la prima causa di morte nelle donne, al primo posto ance in diverse età della vita, rappresenta il 29% delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni.

Considerando le frequenze nelle varie fasce d’età, i tumori della mammella rappresentano il tumore più frequentemente diagnosticato tra le donne sia nella fascia d’età 0-49 anni (41%), sia nella fascia d’età 50-69 anni (35%), sia in quella più anziana >70 anni (21%). [1]

L’incidenza del carcinoma della mammella presenta un’ampia variabilità geografica: quasi 10 volte più frequente nelle popolazioni ricche dell’Occidente rispetto alle aree del terzo Mondo e in particolar modo nelle aree urbane e nelle classi sociali a più alto tenore di vita. [2]

In Italia, il tasso d’incidenza standardizzato di tumore della mammella nelle donne è 114/100.000/anno e il tasso di mortalità standardizzato è

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24/100.000/anno. Le differenze tra macro-aree osservate nel periodo 2007-2011, che confermano una maggiore incidenza al Nord (118,5 casi/100.000 abitanti) rispetto al Centro (103,5 casi/100.000 abitanti) e al Sud-Isole (94,4 casi/100.000 abitanti), esprimono la somma dei diversi fattori in gioco, dalla diversa diffusione dello screening mammografico alle disomogeneità nella presenza dei fattori di rischio. [1] La stima d’incidenza negli Stati Uniti è di circa 242.000 nuovi casi/anno, mentre in Italia è di 48.000 nuovi casi/anno. Il rischio di ammalarsi di carcinoma della mammella aumenta con l’aumentare dell’età, con una probabilità di sviluppo di cancro al seno del 2.3% fino all’età 49 anni (1 su 43 donne), del 5.4% nella fascia di età 50-69 anni (1 su 18 donne) e del 4.5% nella fascia di età 70-84 (1 su 22 donne). Questa correlazione con l’età potrebbe essere legata al continuo e progressivo stimolo proliferativo endocrino che subisce l’epitelio mammario nel corso degli anni unito al progressivo danneggiamento del DNA e all’accumularsi di alterazioni epigenetiche con alterazione dell’equilibrio di espressione tra oncogeni e geni soppressori. [1]

Negli ultimi vent’anni si è andato incontro a un’importante transizione epidemiologica, di fronte ad un netto incremento della morbilità, si è parallelamente assistito a una drastica riduzione della mortalità, soprattutto nei Paesi occidentali, negli Stati Uniti e in Australia. Questa dissociazione incidenza/mortalità può essere interpretata sia come un’espressione epidemiologica della diagnosi precoce (screening) che del progresso dei trattamenti adiuvanti e palliativi. Nonostante gli avanzamenti nel campo della diagnosi precoce e dei trattamenti adiuvanti abbiano sensibilmente migliorato la prognosi di questa malattia, il 10-30% delle pazienti con assenza di interessamento linfonodale alla diagnosi e fino al 70% delle pazienti con linfonodi positivi alla diagnosi svilupperanno metastasi a distanza, mentre in circa il 7% dei casi la paziente si presenta in

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stadio avanzato di malattia già al momento della diagnosi. Il carcinoma mammario metastatico rimane ad oggi una malattia non guaribile con una sopravvivenza mediana di 24-48 mesi, variabile in relazione alla sede, estensione e aggressività biologica della malattia, fatta eccezione di casi sporadici (circa il 2-3%) in cui le pazienti raggiungono lunghe sopravvivenze [3] [4] [5]. Contestualmente, gli obiettivi principali del trattamento medico risultano essere il prolungamento della sopravvivenza libera da progressione, il controllo dei sintomi, il miglioramento della qualità di vita e, laddove possibile, della sopravvivenza globale. In tale scenario è evidente come la scelta del clinico debba conformarsi sul singolo caso e su un’attenta valutazione del rapporto tra beneficio e tossicità del trattamento. Risulta fondamentale lo sforzo di ridurre al minimo le tossicità correlate ai trattamenti e individualizzare il più possibile la terapia, contestualizzandola alle caratteristiche della neoplasia (livello di espressione dei recettori ormonali e di HER2 sul tumore primitivo o se disponibile sulle metastasi, sede ed estensione della malattia, aggressività biologica, intervallo libero da malattia) e della paziente (età, performance status, comorbidità, precedenti trattamenti effettuati, disponibilità delle terapie ed accessibilità alle stesse, desideri ed aspettative della paziente). [6]

Ne deriva che le problematiche d’inquadramento prognostico e di programmazione terapeutica sono complesse e richiedono un approccio integrato che si avvalga delle competenze diagnostiche, chirurgiche, mediche e radioterapiche. I trattamenti loco-regionali e sistemici devono, infatti, essere somministrati in modo ottimale, in quanto l’inadeguatezza, anche solo per aspetti marginali, della terapia erogata può tradursi in uno svantaggio di sopravvivenza per la paziente.

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1.2. Fattori prognostici e predittivi

I fattori prognostici sono correlati alla prognosi della paziente (alla sopravvivenza) mentre i fattori predittivi alla eventuale efficacia di un trattamento antitumorale.

Esistono fattori validati che si sono dimostrati essere importanti dal punto di vista prognostico28 ed utili nella scelta del tipo di trattamento quali:

- dimensioni del tumore. È difficile definire un valore soglia al di sotto o al di sopra del quale il tumore possa essere considerato a cattiva o a buona prognosi, fatta eccezione per i tumori molto piccoli. Tuttavia, anche nei tumori pT1a e pT1b la valutazione del rischio non può prescindere dal considerare gli altri parametri prognostici, quali lo stato dei linfonodi ascellari, i fattori biologici (Ki-67, stato dei recettori ormonali, stato di HER2, grading) e l’età della paziente. - stato dei linfonodi ascellari. Dovrebbe essere valutato insieme agli

altri fattori prognostici. L’impatto della presenza delle cellule tumorali isolate (ITC) o di micrometastasi nel linfonodo sentinella sulla prognosi non sembra essere rilevante [7] [8] [9], a differenza di quanto riportato nello studio MIRROR32, retrospettivo e di coorte, in cui la presenza di ITC o di micrometastasi nei linfonodi regionali risultava associata, in assenza di terapie adiuvanti, ad una peggiore sopravvivenza libera da malattia) [10]

- grado istologico. Un grado istologico elevato (G3) è considerato un fattore prognostico sfavorevole. Più difficile è la valutazione di un grado istologico intermedio (G2): analizzando il profilo genico (97 geni) del grado istologico intermedio (test non ancora disponibile per

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un uso routinario) si è visto che spesso il G2 viene riclassificato come G3 o G1. [11]

- attività proliferativa. Misurata con il Ki-67 labeling index (percentuale di nuclei di cellule tumorali che si colorano con l’anticorpo per la proteina Ki-67 codificata dal gene KI67), è oggi un fattore prognostico riconosciuto. I tumori con Ki-67≥20% sono da considerare a elevata attività proliferativa, anche se non è ancora possibile definire un valore soglia unico al di sotto o al di sopra del quale il tumore possa essere definito a bassa o ad elevata attività proliferativa, al fine di predire l’efficacia della chemioterapia o della ormonoterapia.

- tipo istologico. Tra i diversi istotipi sono considerati a prognosi favorevole i tumori tubulari, mucinosi e papillari. Inoltre i tumori midollari, apocrini e adenocistici, spesso “tripli negativi”, in assenza d’interessamento linfonodale e di altri segni di aumentato rischio metastatico hanno una prognosi favorevole.

- invasione vascolare peritumorale. Definita come presenza di chiari segni d’invasione in almeno dieci campi microscopici, non è universalmente accettata come fattore prognostico, ma in diversi studi è stata riportata essere predittiva di una peggiore sopravvivenza libera da riprese e sopravvivenza globale nelle pazienti N- e con altri fattori di rischio quali il grado istologico, le dimensioni del tumore e lo stato dei recettori ormonali. [12] [13] L’invasione dei vasi accanto ai margini su istologia post-chirurgica impone, in accordo con tutte le linee-guida, il reintervento, fino a completa negativizzazione del margine stesso.

- espressione dei recettori ormonali estrogenici e progestinici. È importante definire lo stato sia dei recettori estrogenici che progestinici, e, riportare la percentuale delle cellule positive che deve

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essere valutata come una variabile quantitativa continua. Le nuove

raccomandazioni dell’ASCO per la determinazione

immunoistochimica dei recettori ormonali (ER e PgR) considerano positivi i tumori con almeno 1% di cellule positive. [14] Esiste una relazione tra i livelli di recettori e i benefici ottenuti con i trattamenti ormonali, sia nella malattia metastatica che nel setting adiuvante e neoadiuvante. Pertanto i tumori con livelli elevati di recettori sono quelli che hanno una maggiore probabilità di beneficiare della terapia ormonale, nonostante molti altri fattori possano influenzare l’ormonoresponsività dei tumori, tra cui lo stato di HER2, il grado istologico e il Ki-67.

- stato di HER2. La sovraespressione di HER2 (Human Epidermal growth factor Receptor–2; erbB2/neu) all’immunoistochimica o l’amplificazione genica di HER2, presenti in circa il 15%-20% dei carcinomi mammari, rappresentano un consolidato fattore prognostico e un fattore predittivo di risposta ai farmaci anti-HER2 (ad esempio, trastuzumab, lapatinib, pertuzumab) e verosimilmente di resistenza al tamoxifene. [15] Lo stato tumorale di HER2 è determinato utilizzando il metodo immunoistochimico (IHC), che valuta l’eventuale sovraespressione del recettore HER2, e l’ibridazione in situ mediante fluorescenza (FISH), che misura l’amplificazione del gene. I tumori sono stati classificati come HER2-positivi con una colorazione all’IHC di tipo 3+ e/o nel caso di amplificazione genica alla FISH. Casi equivoci all’IHC sono quelli con una positività di 2+ per i quali è importante l’amplificazione genica, per escludere fenomeni di aneuploidia. Valori di 1+ sono da considerarsi assolutamente negativi. La definizione dei cut-off di positività per HER2 è stata riconsiderata dalle raccomandazioni

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dell’ASCO con modificazione delle percentuali di positività dal 10% al 30% per lo score 3+. Nonostante questo cambiamento nella definizione dei cut-off di positività di HER2, la selezione delle pazienti da avviare a trattamenti adiuvanti con trastuzumab deve essere eseguita definendo lo stato di HER2 secondo quanto effettuato negli studi clinici (cut-off 10%). [2]

1.3. Classificazione in base ai profili genici del

carcinoma mammario

Visti questi fattori si può definire che il tumore della mammella è una malattia eterogenea e pazienti con tumori apparentemente simili per caratteristiche clinicopatologiche possono presentare un decorso clinico diverso. In seguito alle indagini di biologia molecolare sul profilo genico [16] dei carcinomi della mammella sono stati individuati quattro sottotipi di carcinomi invasivi:

1. “luminal A”: neoplasie con espressione dei recettori ormonali, a prognosi favorevole;

2. “luminal B”: neoplasie che, pur possedendo l’espressione dei recettori ormonali, hanno un rischio di recidiva elevato, a causa della spinta proliferativa elevata e del corredo di espressione dei geni di proliferazione altamente espressi che li accompagna;

3. “HER2”: presenza di espressione di HER2;

4. “basal like”: neoplasie caratterizzate dalla assenza di espressione dei recettori ormonali e di HER2, e, da una aumentata espressione delle citocheratine (mioepiteliali) basali (CK 5/6 e CK 17).

Negli anni è stata evidenziata un’eterogeneità, all’interno di tali sottogruppi, che aumenta con l’aumentare delle conoscenze.

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Recentemente è stato, ad esempio, identificato un altro sottogruppo di neoplasie con assenza di espressione dei recettori ormonali e di HER2, ma con markers di cellule staminali, bassa espressione di claudine (proteine di giunzione cellulo-cellulari) e infiltrati linfocitari, definito “claudin low” e caratterizzato da cattiva prognosi. [17] [18]

Inoltre, un’analisi dell’espressione genica di 587 carcinomi mammari triplo negativi ha permesso di identificare ben sei differenti sottotipi contraddistinti da una diversa biologia molecolare e da un diverso comportamento clinico: basal like 1 e 2 (BL1 e BL2), immunomodulatory (IM), mesenchymal (M), mesenchymal stem-like (MSL) e luminal androgen

receptor (LAR) [19]. La creazione di linee cellulari derivanti di ciascun

sottotipo ha poi permesso di mostrare una diversa sensibilità agli agenti chemioterapici e alle terapie target [19].

Nella pratica clinica, grazie ad una valutazione immunoistochimica che valuta lo stato dei recettori ormonali, del Ki67 e di HER2, possono essere identificati dei sottogruppi fenotipici di carcinoma mammario che presentano una buona corrispondenza con i sottogruppi classificati in base ai profili di espressione genica [20]. Tali sottogruppi, che hanno una rilevanza clinica e implicazioni terapeutiche importanti anche a livello di terapia adiuvante, sono:

1. luminal A: recettori ormonali positivi, HER2-negativo e bassa attività proliferativa (di cui fanno parte molto frequentemente alcuni istotipi specifici quali carcinoma tubulare, carcinoma lobulare tipo classico); 2. a) luminal B/HER2 negativi: recettori ormonali positivi,

HER2-negativo ed alta attività proliferativa;

b) luminal B/HER2 positivi: recettori ormonali positivi, HER2 sovraespresso o amplificato, qualsiasi valore di attività proliferativa;

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3. HER2 positivi (non luminal): HER2 sovraespresso o amplificato ed entrambi i recettori ormonali negativi;

4. tripli negativi: assenza di espressione dei recettori ormonali e negatività di HER2.

La corrispondenza tra il fenotipo “triplo negativo” individuato su base immunoistochimica e il sottogruppo intrinseco “basal like” individuato su base genica, esiste solo nell’80% circa dei casi, a dimostrazione ulteriore dell’estrema eterogeneità presente all’interno di questi sottogruppi. All’interno del sottogruppo “triplo negativo” sono compresi alcuni istotipi speciali come il midollare tipico e l’adenoido-cistico, a basso rischio di ripresa.

Analisi retrospettive hanno associato i quattro sottotipi a differenze in sopravvivenza libera da malattia, sedi di ripresa di malattia e sopravvivenza globale. [21]

Per definire con maggiore precisione la prognosi e selezionare il miglior trattamento per la singola paziente si stanno studiando profili genici con un numero più limitato di geni e alcuni di questi test, valutati prevalentemente in studi retrospettivi, sono già in uso in alcuni Paesi. Tutti questi test, tuttavia, necessitano ancora di essere validate su base prospettica.

A questo scopo al momento ci sono tre studi prospettici randomizzati su ampia casistica, due pubblicati e uno in corso, che confrontano i profili genici con i criteri standard nel selezionare le pazienti con carcinoma mammario recettori ormonali positivo ed HER2-negativo che possano beneficiare di un trattamento chemioterapico adiuvante in aggiunta alla terapia ormonale. I primi due studi americani, il TAILORx e il RxPONDER, valutano il test Oncotype Dx che analizza l’espressione di 21 geni su tessuto paraffinato (molecole di RNA con la metodica RT-PCR) e classifica i tumori con recettori ormonali positivi in base ad un “recurrence score” in tre

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gruppi. Nel TAILORx vengono arruolate pazienti con linfonodi ascellari negativi [22], mentre nello studio RxPONDER (in corso, iniziato nel 2011) pazienti con 1-3 linfonodi ascellari positivi. Nel TAILORx, delle 10.253 donne idonee arruolate, 1626 donne (15,9%) che hanno avuto un recurrence score da 0 a 10 sono state designate a ricevere la sola terapia endocrina senza chemioterapia. A 5 anni, in questa popolazione di pazienti, il tasso di sopravvivenza libera da malattia invasiva è stato del 93,8% (95% CI, 92,4-94,9), il tasso di malattia libera da recidiva nel carcinoma della mammella in un sito a distanza è stato del 99,3% (95% CI, 98,7-99,6), il tasso di malattia libera da recidiva nel carcinoma della mammella in un sito loco-regionale o a distanza è stata del 98,7% (95% CI, 97,9-99,2), e il tasso di sopravvivenza globale è stato del 98,0% (95% CI, 97,1-98,6). [23]

Il terzo studio, pubblicato in Europa, il MINDACT, utilizza invece il test

MammaPrint che analizza 70 geni su tessuto fresco congelato (DNA

microarray) e classifica i tumori in basso ed alto rischio di ripresa. [24] In quest’ultimo studio vengono attualmente arruolate anche pazienti con interessamento di 1-3 linfonodi ascellari. In questo studio randomizzato di fase 3 sono state arruolate 6693 donne con carcinoma mammario in stadio precoce e determinato il loro rischio genomico (utilizzando il MammaPrint) e il loro rischio clinico. Le donne a basso rischio clinico e genomico non hanno ricevuto la chemioterapia, mentre quelle ad alto rischio clinico e genomico hanno ricevuto tale terapia. Nelle pazienti con risultati discordanti di rischio, sono stati utilizzati per determinare l'uso della chemioterapia o il rischio genomico o il rischio clinico. L'obiettivo primario è stato quello di valutare se, tra i pazienti con caratteristiche cliniche ad alto rischio e un profilo di espressione genica a basso rischio che non hanno ricevuto la chemioterapia, il limite inferiore dell'intervallo di confidenza al 95% per il tasso di sopravvivenza a 5 anni senza metastasi a distanza

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potrebbe essere del 92% (cioè, il confine inferiorità) o superiore. Un totale di 1550 pazienti (23,2%) sono state ritenute ad alto rischio clinico e basso rischio genomico. A 5 anni, il tasso di sopravvivenza senza metastasi a distanza in questo gruppo è stato del 94,7% (95% CI, 92,5-96,2) tra quelle non sottoposti a chemioterapia. La differenza assoluta nella percentuale di sopravvivenza tra queste pazienti e quelle che hanno ricevuto la chemioterapia è stato di 1,5 punti percentuali, con tasso inferiore in quelle senza chemioterapia. Simili tassi di sopravvivenza senza metastasi a distanza sono stati segnalati nel sottogruppo di pazienti che avevano recettori estrogeni positivi, HER2-negativo, e una malattia con linfonodi negativi o positivi. [25]

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2. Trattamento della malattia

metastatica

Il trattamento della neoplasia della mammella è di tipo multidisciplinare, coinvolgendo vari specialisti, quali chirurgo, oncologo e radioterapista. La scelta della terapia più adatta si basa sull'attenta analisi dei fattori prognostici e predittivi, il quale studio è sempre in evoluzione.

Dopo aver documentato una ripresa della malattia è opportuno eseguire una ristadiazione che va effettuata con esame obiettivo, esami ematobiochimici, Rx torace, ecografia addome, scintigrafia ossea (con valutazione radiologica delle sedi di accumulo, specie se in sedi “critiche”) (Fig. 1). Reperti dubbi devono essere confermati con TC torace, TC o RM addome. Le evidenze di un’utilità clinica della PET-TC per definire la strategia terapeutica sono limitate. Tale esame può essere utilizzato nel caso in cui i risultati delle indagini standard siano equivoci. Nel caso di

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malattia HER2-positiva, è bene considerare l’elevato rischio di metastatizzazione cerebrale occulta, che raggiunge il 20%. Tuttavia l’uso di RM cerebrale per una diagnosi precoce di lesioni occulte non è al momento supportata da evidenze solide.

Fig. 1: Carcinoma mammario metastatico. «Linee guida AIOM-Neoplasia della mammella» 2015 (Fonte: www.aiom.it)

Nota a - Considerare i seguenti fattori (uno o più): metastasi singola, incompatibilità tra andamento clinico e caratteristiche biologiche del tumore iniziale, assetto biologico del tumore primitivo, trattamenti oncologici successivi ed andamento clinico durante terapia, sede metastatica e possibilità di accesso, condizioni generali della paziente.

In merito alla utilità clinica della biopsia della lesione metastatica, Foukakis et al [26] in un simposio hanno valutato diversi studi retrospettivi e due studi prospettici ed hanno esaminato le differenze dello stato dei recettori tra tumori primari e le metastasi corrispondenti in un totale di 1773 pazienti (per ER) e 2845 pazienti (per HER2). Ci sono cambiamenti nello stato di ER e di HER2 in questi studi con un range che va dal 14,5% al 40% e dallo 0% al 37,5%, rispettivamente. Nei due studi prospettici, una diagnosi diversa è stata ottenuta nel 3% e il 9% dei casi, e la biopsia ha portato ad una modifica del trattamento in circa uno su sette pazienti. [27] [28] [29] [30] [31] [32] La variazione è stata osservata in entrambe le direzioni (da positivi a negativi

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e da negativi a positivi), ed ha portato a modifiche dell’atteggiamento terapeutico in circa il 15% dei casi. Il reale beneficio di tali modifiche del trattamento, seppure ragionevole, non è stato valutato con studi ad hoc. Per definire i possibili obiettivi del trattamento della malattia metastatica e per la scelta del trattamento sistemico, devono essere considerate le caratteristiche cliniche e biologiche della malattia unitamente allo stato e alle preferenze della paziente. In base alle caratteristiche cliniche e biologiche (Tab.1), la malattia metastatica può essere suddivisa in situazioni a rischio basso (malattia indolente) ed a rischio intermedio/alto (malattia aggressiva).

Tab. 1: Parametri utilizzabili per la definizione di malattia indolente e malattia aggressiva. «Linee guida AIOM-Neoplasia della mammella» 2015 (Fonte: www.aiom.it)

Nella malattia indolente tutte le caratteristiche sottoelencate devono essere presenti:

- lungo intervallo libero da malattia (>24 mesi dal termine della terapia adiuvante);

- precedente risposta a ormonoterapia per la malattia metastatica se recettori estrogenici positivi;

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- numero limitato di lesioni metastatiche (come metastasi polmonari di piccolo volume e di numero limitato o interessamento epatico limitato e comunque inferiore al 30%).

Nella definizione di malattia aggressiva è sufficiente una delle seguenti caratteristiche:

- breve intervallo libero da malattia (comparsa di metastasi durante la terapia adiuvante, o entro 12 mesi dal termine)

- non risposta a ormonoterapia per la malattia metastatica

- metastasi viscerali con crisi viscerale1 (spreading diffuso nell’organo

coinvolto)

- presenza di elevato numero di metastasi in organi multipli.

La scelta della terapia sistemica verrà effettuata sia tenendo conto di queste caratteristiche sia tenendo conto delle caratteristiche biologiche, in particolare dello stato dei due fattori predittivi validati (cioè lo stato recettoriale ormonale e l’aumentata espressione di HER2) (Figg. 2-5). Quando disponibile, l’attività proliferativa (Ki67) della metastasi è un parametro aggiuntivo potenzialmente utile per valutare l’opportunità di utilizzare una prima linea con chemioterapia piuttosto che con ormonoterapia nei tumori con recettori estrogenici positivi.

Le preferenze della paziente devono comunque sempre essere indagate prima di definire compiutamente la strategia terapeutica.

É importante ricordare che, seppure nella maggior parte dei casi il trattamento della malattia metastatica debba essere considerato essenzialmente palliativo, in un numero limitato di pazienti (2-3%), è

1 Il termine “crisi viscerale” è utilizzato dagli anglosassoni. Essa rappresenta la presentazione più grave di

una malattia “aggressiva”, che per la rapidità e la entità di diffusione determina sintomi clinici specifici e significativi, e mette la paziente a rischio di morte imminente, come nel caso di linfangite polmonare diffusa, di insufficienza epatica o respiratoria, o di meningiosi neoplastica. Tale situazione dovrebbe essere distinta dai quadri sintomatici minori (come febbre e sudorazioni o come sintomi legati ad esempio a versamento pleurico), che possono essere agevolmente controllati con procedure specifiche o con terapie sintomatiche.

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possibile ottenere lunghe sopravvivenze. É pertanto necessario riconoscere i quadri di malattia oligometastatica, in cui può essere appropriato adottare strategie di trattamento aggressivo ed integrato (terapia sistemica e terapia locale o loco-regionale). Tale evenienza deve essere considerata soprattutto nei casi di recidive singole comparse dopo lungo intervallo libero.

Fig. 2: Carcinoma mammario metastatico. «Linee guida AIOM-Neoplasia della mammella» 2015 (Fonte: www.aiom.it)

Gli obiettivi generali del trattamento della malattia metastatica sono rappresentati dal:

 Prolungare la sopravvivenza,

 Ridurre o ritardare la comparsa dei sintomi,

 Migliorare la qualità della vita,

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Fig. 3: Carcinoma mammario metastatico. «Linee guida AIOM-Neoplasia della mammella» 2015 (Fonte: www.aiom.it)

Nelle pazienti con tumori ormonosensibili ed HER2-negativi, in assenza di malattia aggressiva e soprattutto di crisi viscerale la ormonoterapia deve essere considerata la prima opzione di trattamento. La terapia ormonale è infatti in grado di fornire sopravvivenze simili a quelle ottenute con chemioterapia, con un minor numero di effetti collaterali e con una migliore qualità di vita. Il trattamento ormonale dovrebbe essere proseguito (anche con linee di terapia successive) fino a quando è possibile considerare la malattia ormonosensibile.

Fig. 4: Carcinoma mammario metastatico HER2+. «Linee guida AIOM-Neoplasia della mammella» 2015 (Fonte: www.aiom.it)

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Fig. 5: Carcinoma mammario metastatico ER-positivo e Triplo negativo. «Linee guida AIOM-Neoplasia della mammella» 2015 (Fonte: www.aiom.it)

Nei tumori HER2-positivi, il trattamento con combinazioni di agenti anti-HER2 deve essere considerato di prima scelta, per lo più in associazione a chemioterapia. Nei tumori con co-espressione dei recettori ormonali, anche una combinazione di un agente anti-HER2 (lapatinib o trastuzumab) con inibitori delle aromatasi, in post-menopausa, può essere una opzione terapeutica in casi selezionati (paziente anziana, controindicazioni alla chemioterapia).

Nei tumori senza espressione di HER2 e di recettori ormonali, la chemioterapia appare al momento l’unica opzione di trattamento. [1]

2.1. Chemioterapia

L’utilizzo della chemioterapia (Figg. 4, 5) in I linea deve essere considerato in presenza di una malattia con recettori ormonali negativi, oppure in caso di malattia aggressiva (breve recidiva in corso di terapia adiuvante, metastasi viscerali multiple o sintomatiche o “life threatening”). Nei tumori

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con sovraespressione di HER2, la chemioterapia deve essere combinata con agenti anti-HER2. L’associazione di chemioterapia con agenti antiangiogenetici è una opzione possibile in pazienti con carcinoma mammario HER2-negativo, seppure le evidenze disponibili non siano univoche e non abbiano mostrato effetti significativi sul prolungamento della sopravvivenza.

Non esistono evidenze solide che supportino la preferenza per uno specifico regime di trattamento. Nella scelta devono essere considerati i farmaci eventualmente utilizzati in fase adiuvante, e l’intervallo libero da malattia. Nel caso quest’ultimo sia superiore a 12 mesi, è possibile considerare anche un rechallenge con lo stesso farmaco. Intervalli inferiori indicano più verosimilmente una resistenza, e suggeriscono la scelta di farmaci alternativi.

Al momento non appare risolto il quesito se sia preferibile una terapia di combinazione oppure sequenziale, né la definizione della durata ottimale del trattamento. [33] I regimi di combinazione sono da considerare in presenza di una malattia aggressiva allorché sia necessaria una rapida riduzione della massa tumorale, mentre una monochemioterapia può rappresentare il trattamento di scelta nella malattia indolente, nelle pazienti anziane (>70 anni), nelle pazienti con riserva midollare ridotta a causa di metastasi ossee multiple e/o pregressa RT palliativa o nei casi in cui sia necessario limitare gli effetti collaterali a causa delle comorbidità. La durata ottimale del trattamento chemioterapico di prima linea non è stata adeguatamente definita. Una recente metanalisi su oltre 2.200 pazienti trattate in 11 studi randomizzati ha evidenziato che il trattamento più prolungato si associa ad un vantaggio in tempo a progressione (hazard ratio [HR]=0.64), con un miglioramento tuttavia marginale in sopravvivenza (HR=0.91). [34]

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Il trattamento deve mirare ad ottenere un controllo il più possibile duraturo della malattia, mantenendo però una qualità di vita accettabile. Pertanto, una volta ottenuta una stabilizzazione della malattia con chemioterapia, potrebbe essere considerata la possibilità di sospendere il trattamento chemioterapico e di utilizzare terapie meno tossiche: ormonoterapia nei tumori con RE+, trastuzumab in monoterapia nei casi HER2-positivo. Il ruolo di bevacizumab come mantenimento non è stato sufficientemente analizzato.

Non vi sono evidenze solide sul reale beneficio della prosecuzione della chemioterapia oltre 3-4 linee di trattamento, sebbene tale pratica sia frequente. Il fallimento di 3 linee consecutive di chemioterapia, senza evidenze intermedie di risposta clinica, dovrebbe indurre a considerare l’avvio di una best supportive care. Una chemioterapia di combinazione oppure una monochemioterapia devono essere considerate opzioni ugualmente valide. La scelta fra le due strategie deve dipendere da una valutazione degli obiettivi a breve e lungo termine del trattamento e dalle caratteristiche e preferenze della paziente.

POLICHEMIOTERAPIA

La polichemioterapia è più attiva della monochemioterapia [35], anche se un aumento delle risposte obiettive e del tempo a progressione determina raramente un beneficio in sopravvivenza, in particolare quando è prevedibile una lunga sopravvivenza post-progressione. Una recente metanalisi di 43 studi randomizzati che utilizzavano anche nuovi farmaci ha dimostrato che la polichemioterapia rispetto alla monoterapia aumenta significativamente la percentuale di risposte obiettive ed il tempo di progressione (TTP= time to progression), con un aumento del 12% della OS. [36] Questa revisione non fornisce però informazioni sull’efficacia della terapia di combinazione verso la sequenza di singoli agenti.

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I regimi più frequentemente utilizzati sono, in base ai pregressi trattamenti: - nelle pazienti non pretrattate con antracicline: CAF/FAC, FEC, A/ED

(doxorubicina/epirubicina docetaxel); A/ET

(doxorubicina/epirubicina e paclitaxel);

- nelle pazienti pretrattate con antracicline: docetaxel/capecitabina o paclitaxel gemcitabina (questi ultimi due regimi sono approvati per le pazienti pretrattate con antracicline), docetaxel/gemcitabina, CMF;

- nelle pazienti pretrattate con antracicline e/o taxani:

vinorelbina/capecitabina, doxorubicine liposomiali/ciclofosfamide. MONOCHEMIOTERAPIA

La monoterapia è preferibile in casi in cui il performance status (PS) sia ridotto e nelle pazienti anziane. Per paclitaxel e nab-paclitaxel il trattamento settimanale è risultato più attivo e meno tossico del trattamento con docetaxel ogni tre settimane. La scelta del trattamento deve considerare anche i farmaci somministrati in fase adiuvanti, le dosi raggiunte e la durata dell’intervallo libero. Nelle pazienti che hanno già ricevuto taxani ed antracicline e nelle quali non sia prevedibile un rechallenge, le più ampie evidenze di efficacia riguardano capecitabina e vinorelbina. [37]

Farmaci considerati molto attivi sono:

 Antracicline: adriamicina, epirubicina, doxorubicina liposomiale

 Taxani: paclitaxel, docetaxel, Nab-paclitaxel

 Alcaloidi della vinca: vinorelbina

 Fluoropirimidine orali: capecitabina

 Eribulina

Farmaci considerati moderatamente attivi sono:

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 Fluorouracile

 Metotrexate

 Mitoxantrone

 Mitomicina C

 Cisplatino (maggiore attività è stata osservata in tumori insorti in donne con mutazione di BRCA1)

 Carboplatino

 Gemcitabina

 Ifosfamide

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3. Farmaci agenti sui microtubuli

Gli agenti chemioterapici che agiscono sui microtubuli hanno dimostrato attività contro diversi tumori, incluso il carcinoma della mammella. I microtubuli formano una parte integrante di molti processi intracellulari, inclusa la manutenzione della struttura cellulare, il trasporto di componenti intracellulari, la comunicazione cellulare, e la mitosi. [38] Queste strutture sono filamenti tubolari composte di eterodimeri di α-tubulina e di β-tubulina, che formano polimeri altamente dinamici. Lo sfruttamento della loro importanza fondamentale nella mitosi e nella divisione cellulare ha portato allo sviluppo di alcuni dei più efficaci farmaci chemioterapici sistemici, con i taxani e gli alcaloidi della vinca. In generale, questi farmaci esercitano il loro effetto antineoplastico sulla dinamica dei microtubuli, i taxani agiscono come stabilizzanti dei microtubuli mentre gli alcaloidi della vinca come destabilizzanti.

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3.1. Alcaloidi della vinca

Gli alcaloidi della vinca (ad esempio, vincristina, vinblastina, vinorelbina, vinflunina) sono stati la prima classe di farmaci microtubuli-targeting, isolati oltre 50 anni fa da foglie di pervinca (Fig. 6). Questi agenti sono pensati per agire legandosi alla β-tubulina e inibendo la polimerizzazione dei microtubuli. Sono attualmente in uso clinico in una vasta gamma di carcinomi incluso il carcinoma del polmone, il linfoma (Hodgkin e non-Hodgkin), la leucemia, i tumori a cellule germinali, e il carcinoma della mammella.

Fig. 6: I siti di legame degli agenti chemioterapici diretti verso i microtubuli.

3.2. Taxani

Tra i taxani, il primo ad essere stato studiato è il paclitaxel, un agente derivato dalla corteccia dell'albero tasso del Pacifico (Fig. 6). Successivamente, altri taxani, come il docetaxel, e più recentemente il cabazitaxel, sono stati sintetizzati e sono ora utilizzati anche nella pratica clinica. Questi farmaci hanno mostrato attività in una vasta gamma di tumori solidi, inclusi i carcinomi della mammella, del polmone, dello

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stomaco, della vescica e dell'ovaio, così come i tumori delle cellule germinali.

La maggior parte degli agenti microtubuli-targeting hanno tossicità simili, quali la mielosoppressione, la neuropatia periferica, la nausea e la stanchezza. Inoltre il docetaxel e il paclitaxel, hanno problemi legati alla solubilità per cui essi richiedono l'uso di solventi come il polisorbato 80 per il docetaxel e Cremophor® EL per il paclitaxel, che sono riconosciuti essere causa di reazioni di ipersensibilità.

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4. Eribulina

Eribulina mesilato (Halaven®) è un farmaco inibitore dinamico non taxano dei microtubuli, appartenente alla classe degli agenti antineoplastici delle alicondrine. È un analogo sintetico strutturalmente semplificato del macrolide alicondrina B, un prodotto naturale isolato dalla spugna marina

Halichondria okadai.

4.1. Meccanismo d’azione

Eribulina lega i filamenti di tubulina a livello di un sito diverso da quello di tutti gli altri farmaci che interferiscono con la tubulina (taxani, epotiloni e alcaloidi della vinca) e possiede un meccanismo d’azione assai peculiare. A differenza degli altri farmaci anti-tubulina, infatti, eribulina blocca la crescita e la polimerizzazione dei microtubuli e favorisce la formazione di aggregati tubulinici non funzionali all’interno delle cellule tumorali, senza tuttavia inibire la fase di accorciamento dei microtubuli, né interferire con la loro depolimerizzazione. Eribulina ha un unico meccanismo di azione, con

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un sito di legame per la tubulina che sembra essere diverso da quello del taxano e della vinca siti sul polo positivo dei microtubuli (Fig. 7). In ultima analisi, causa l'arresto del ciclo cellulare G2-M e la morte cellulare mediante apoptosi dopo blocco mitotico prolungato (Fig. 6). [39]

Fig. 7: Meccanismo di azione di Eribulina mesilato. «Induction of morphological and biochemical apoptosis following prolonged mitotic blockage by halichondrin B macrocyclic ketone analog E7389» (Fonte: Cancer Res 2004)

L'eribulina ha dimostrato un'attività preclinica contro un certo numero di linee cellulari tumorali umane e xenotrapianti [40], con un ampio indice terapeutico, che lo ha reso interessante per lo sviluppo clinico. Una notevole attività è stata osservata in linee cellulari del carcinoma della mammella, in cui il setting con eribulina era più potente rispetto a vinblastina o paclitaxel. Inoltre, l'eribulina ha dimostrato un'attività marcata in linee cellulari del carcinoma ovarico resistente al paclitaxel. [41]

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4.2. Farmacocinetica

La farmacocinetica dell’eribulina è caratterizzata da una fase di distribuzione rapida, seguita da una fase di eliminazione prolungata, con un’emivita terminale media di circa 40 ore. Ha un elevato volume di distribuzione (intervallo delle medie da 43 a 114 l/m2). L’eribulina si lega

debolmente alle proteine plasmatiche. Il legame alle proteine plasmatiche di eribulina (100-1000 ng/ml) è compreso tra il 49% e il 65% nel plasma umano.

L’eribulina ha una bassa clearance (intervallo delle medie da 1.16 a 2.42 l/h/m2). Non si osserva un accumulo significativo di eribulina con la

somministrazione settimanale. Le proprietà farmacocinetiche non sono dipendenti dalla dose o dal tempo, nell’intervallo di dosi di eribulina compreso tra 0.22 e 3.53 mg/m2.

L’eribulina viene eliminata principalmente per escrezione biliare. Non è nota al momento la proteina di trasporto coinvolta nell’escrezione. Gli studi preclinici in vitro indicano che l’eribulina viene trasportata dalla Pgp. Tuttavia, è stato dimostrato che, a concentrazioni rilevanti dal punto di vista clinico, l’eribulina non è un inibitore della Pgp in vitro. Inoltre, in vivo, la somministrazione concomitante di ketoconazolo, un inibitore della Pgp, non ha alcun effetto sull’esposizioneall’eribulina (AUC e Cmax). Gli studi in vitro hanno anche indicato che l’eribulina non è un substrato per il trasportatore di cationi organici 1 (OCT1).

Dopo la somministrazione di 14C-eribulina ai pazienti, circa l’82% della dose

è stata eliminata nelle feci e il 9% nell’urina, indicando che la clearance renale non è una via di eliminazione significativa per l’eribulina.

L’eribulina immodificata ha rappresentato la maggior parte della radioattività totale nelle feci e nell’urina.

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INSUFFICIENZA EPATICA

Uno studio ha valutato la farmacocinetica di eribulina in pazienti con lieve (Child-Pugh A; n=7) e moderata (Child-Pugh B; n=4) insufficienza epatica, dovuta a metastasi epatiche. Rispetto a pazienti con funzione epatica normale (n=6), l’esposizione all’eribulina è aumentata di 1,8 volte e di 3 volte rispettivamente in pazienti con lieve e moderata insufficienza epatica. La somministrazione di Halaven® a una dose di 0.97 mg/m2 a pazienti con

lieve insufficienza epatica, e di 0.62 mg/m2 a pazienti con moderata

insufficienza epatica, ha comportato un leggero aumento dell’esposizione all’eribulina rispetto ad una dose di 1.23 mg/m2 in pazienti con funzione

epatica normale. Halaven® non è stato studiato in pazienti con grave insufficienza epatica (Child-Pugh C). Non esistono studi in pazienti con insufficienza epatica dovuta a cirrosi.

INSUFFICIENZA RENALE

I dati in pazienti con diverso grado di compromissione della funzione renale hanno dimostrato che l’esposizione di eribulina in pazienti con compromissione renale da lieve a moderata (clearance della creatinina da ≥40 a 80 ml/min.) è aumentata in alcuni pazienti, rispetto ai pazienti con funzione renale normale. L’esposizione media in pazienti con grave insufficienza è risultata aumentata del 75% (clearance della creatinina <40 ng/min., n=4).

4.3. Posologia

La dose raccomandata di eribulina come soluzione pronta per l’uso è 1.23 mg/m2, da somministrare per via endovenosa nell’arco di 2-5 minuti, i giorni

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Nello studio cardine EMBRACE, nella relativa pubblicazione e in alcuni altri paesi, ad es. negli Stati Uniti e in Svizzera, la dose raccomandata si basa sulla forma in sale (eribulina mesilato).

I pazienti potrebbero manifestare nausea o vomito. Deve essere considerata la profilassi antiemetica, comprendente corticosteroidi.

La somministrazione di Halaven® deve essere rinviata il giorno 1 o il giorno 8 per uno qualsiasi dei motivi seguenti:

- Conta assoluta dei neutrofili (ANC) <1 x 109 /l

- Conta piastrinica <75 x 109 /l

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5. Studi di fase su eribulina

5.1. Studi di fase I

Diversi sono gli studi riportati di fase I con eribulina utilizzata con una serie di differenti regimi di dosaggio e di frequenze (Tab. 2). [42] [43] [44] [45] [46]

Tab. 2: Studi di fase I su Eribulina mesilato. «Eribulin for the treatment of metastatic breast cancer: an update on its safety and efficacy» (Fonte: Int J Womens Health 2015)

Due studi hanno utilizzato un programma settimanale, in cui il trattamento è stato somministrato nei giorni 1, 8 e 15 di un ciclo di 28 giorni. [42] [43] Questi studi hanno suggerito che la dose massima tollerata di eribulina è stata 1.0 e 1.4 mg/m2, rispettivamente. [42] [43] Una simile dose massima

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ogni settimana nei giorni 1 e 8 di un ciclo di 21 giorni. [44] Quando il trattamento è stato somministrato una volta ogni 21 giorni, la dose massima tollerata è stata di 2 mg/m2. [45]

Coerentemente a questi studi, la neutropenia è stata la tossicità dose-limitante più comune. Nello studio di Goel et al che ha usato la somministrazione settimanale, la neutropenia (grado 3 o 4) è stata vista in cinque pazienti, stabilendo che è la principale DLT (dose-limiting toxicity), in quanto alla dose di 1.4 mg/m2 due pazienti hanno presentato la

neutropenia di grado 4 e altri tre pazienti hanno presentato la neutropenia di grado 3 prima della somministrazione di Eribulina nel giorno 15 del primo ciclo. [43] Nello studio di Mukohara et al. [44] la neutropenia di grado 3/4 è stata osservata in due su sei pazienti a cui è stata somministrata la dose di 1.4 mg/ml2 di eribulina e in tutti e tre i pazienti a cui è stata somministrata

la dose di 2 mg/m2. Al livello più alto di dose, testata da Tan et al in un ciclo

di 21 giorni (4 mg/m2), tutti e tre i pazienti hanno sviluppato la neutropenia

febbrile. [45] In questo studio, la dose di 2 mg/m2 è stata stabilita come la

dose massima tollerata e la neutropenia febbrile è stata registrata in una sola paziente (14%).

Le analisi farmacocinetiche hanno dato risultati simili in tutti gli studi, vale a dire, l'eribulina ha una rapida distribuzione, un ampio volume di distribuzione, una clearance da lenta a moderata, e una lenta eliminazione con una emivita terminale di 36-48 ore. La clearance renale di eribulina è 5%-10%, per cui la principale via di metabolismo è epatica. Per approfondire l'effetto dell'insufficienza epatica sulla tollerabilità dell'eribulina, uno studio di fase I è stato condotto in pazienti con lieve o moderata insufficienza epatica. I risultati di questo studio hanno dimostrato che l'eribulina può essere somministrato a dosi di 1.1 mg/m2 in pazienti con disfunzione

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di una clearance ritardata. [46] Alla luce di questi risultati e l'attività preclinica vista nelle linee cellulari del carcinoma della mammella, l'eribulina è stata portata ad un ulteriore sviluppo clinico, e il programma settimanale è stato utilizzato nella maggior parte degli studi a causa di risultati favorevoli sulla tossicità

5.2. Studi di fase II

La maggior parte di questi studi di fase II (Tab.3) hanno incluso pazienti che erano stati ampiamente pretrattati con chemioterapia. [47] [48] [49] [50] Inoltre, viste le potenziali preoccupazioni circa la neurotossicità degli agenti dei microtubuli, uno studio ha esaminato l'incidenza della neuropatia periferica come l'endpoint primario in un setting di trattamento di seconda linea. [50] Di seguito, ulteriori due studi hanno valutato l'attività dell'eribulina nel setting di prima linea per MBC. [51] [52]

Nello studio di Vahdat et al [47] i pazienti con MBC in progressione dopo chemioterapia con antracicline e taxani sono stati inizialmente trattati con eribulina alla dose di 1.4 mg/m2 nei giorni 1, 8 e 15 di un ciclo di 28 giorni.

Come risultato della frequente registrazione di neutropenia nel giorno 15 e successiva omissione di dose, il regime di trattamento è stato modificato a 1.4 mg/m2 nei giorni 1 e 8 ogni 21 giorni. Tra gli 87 pazienti inclusi nello

studio si è registrato un tasso di risposta obiettiva (ORR) del 11.5% (95% CI 5.7-20.1) e sono state tutte risposte parziali; nessuna risposta completa. Il tasso di beneficio clinico, definito come la risposta o la stabilizzazione della malattia per >6 mesi, è stato del 17.2% (95% CI 10.0-26.8). La durata mediana della risposta (DOR) è stata di 5.6 mesi, la sopravvivenza libera da progressione (PFS) è stata di 2.6 mesi e la sopravvivenza globale mediana è stata di 9 mesi. La tossicità più comune di grado 3/4 è stata la neutropenia

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che si è verificata in 66 (64%) pazienti. Altre tossicità registrate sono state l'alopecia, la leucopenia, e la stanchezza. È importante sottolineare che, la neuropatia di grado III è stata osservata in soli cinque (5%) pazienti.

Tab. 3: Studi di fase II su Eribulina mesilato nel carcinoma della mammella metastatico. «Eribulin for the treatment of metastatic breast cancer: an update on its safety and efficacy» (Fonte: Int J Womens Health 2015)

Lo studio multicentrico di Cortes et al [48] ha arruolato 299 pazienti fortemente pretrattati, con una mediana di quattro (range 1-6) regimi chemioterapici effettuati. Il trattamento consisteva di eribulina 1.4 mg/m2

nei giorni 1 e 8 di un ciclo di 21 giorni. L'ORR è stata del 9.3% (95% CI 6.1-13.4), e il tasso di beneficio clinico è stato del 17.1% (95% CI 12.8-22.1). La DOR mediana è stata di 4.1 mesi, la PFS mediana è stata di 2.6 mesi e la sopravvivenza globale mediana è stata di 10.4 mesi. Ancora una volta, la neutropenia è stata la tossicità dominante di grado 3/4 (54%) registrata, anche se i casi di neutropenia febbrile sono stati pochi (5.5%). La neuropatia periferica di grado 3 è stata osservata nel 6.9% dei pazienti, ma la maggior parte dei pazienti con neuropatia pre-esistente (78%) non ha subito un peggioramento dei sintomi. Nel complesso, la neuropatia sensoriale si è verificata in 78 pazienti (26.8%).

Un terzo studio, in una popolazione giapponese, è stato riportato da Aogi et al. [49] Questo gruppo di 81 pazienti è stato precedentemente trattato

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con chemioterapia a base di antracicline e taxani, con una media di tre (range 1-5) regimi precedenti per la malattia metastatica. L'eribulina è stata somministrata alla dose di 1.4 mg/m2 nei giorni 1 e 8 di un ciclo di 21 giorni.

In questo studio, è stata osservata una ORR di 21.3% (95% CI 12.9-31.8), con un tasso di beneficio clinico di 27.5% (95% CI 18.1-38.6). La DOR mediana è stata di 3.9 mesi, la PFS mediana di 3.7 mesi e la sopravvivenza globale mediana di 11.1 mesi. La neutropenia di grado 3/4 è stata osservata in 77 pazienti (95.1%), e la neutropenia febbrile in 11 (13.6%). Tossicità supplementari sono state osservate con frequenze simili a quelle degli altri studi, con la neuropatia sensoriale registrata in 19 pazienti complessivi (23.5%), di cui di grado 3 in tre pazienti (3.7%).

Due studi sono stati recentemente segnalati con eribulina nel trattamento di MBC di prima linea. Nello studio di McIntyre et al [51] sono stati reclutati 56 pazienti di cui il 79% aveva malattia con recettori per gli estrogeni positivi e l’84% aveva metastasi epatiche o polmonari. Questo studio ha mostrato un ORR di 28,6% (95% CI 17.3-42.2) con un tasso di beneficio clinico del 51.8% (95% CI 38.0-65.3). La DOR mediana in questo studio è stata di 5.8 mesi ed la PFS mediana è stata di 6.8 mesi. In particolare, 33 pazienti (59%) in questo studio hanno ricevuto un'antraciclina e/o un taxano come terapia adiuvante. La neutropenia di grado 3 o superiore è stata registrata in 32 pazienti (50%) e la neuropatia di grado 3 in 11 pazienti (20%). Il tasso apparentemente più alto di neuropatia osservato in questo studio potrebbe essere stato il risultato di precedenti agenti antimicrotubuli, o di durata maggiore della terapia rispetto a studi con successive linee di trattamento. Come notato, la chemioterapia è spesso combinata con la target-therapy per i pazienti con tumori che iperesprimono HER2. Pertanto, la combinazione di eribulina con opportuni agenti anti-HER2 è di rilevante interesse per la ricerca. Wilks e al. [52] hanno recentemente riportato i

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risultati di uno studio di eribulina in combinazione con l'anticorpo monoclonale trastuzumab come terapia di prima linea per MBC HER2-positivo. Lo studio ha incluso 52 pazienti trattati con eribulina nei giorni 1 e 8 ogni 21 giorni, in combinazione con dosi standard di trastuzumab ogni 21 giorni. Quasi la metà (48%) dei pazienti aveva ricevuto precedentemente chemioterapia a base di antracicline o taxani nel setting adiuvante. Il numero mediano di cicli di eribulina somministrate per questo studio era di dieci. La ORR è stata di 71.2% (95% CI 56.9-82.9), e il tasso di beneficio clinico è stato dell'84.6% (95% CI 71.9-93.1). La DOR mediana è stata di 11.1 mesi e la PFS mediana è stata di 11.6 mesi. La tossicità di grado 3/4 è simile a studi precedenti, con neutropenia nel 26.9% e neuropatia nel38.5%. Complessivamente, la neuropatia periferica di qualsiasi grado è stata osservata in 31 pazienti (59.6%). Notoriamente la neuropatia è stata la tossicità più comune in questi studi di prima linea rispetto agli studi nei pazienti più pesantemente pretrattati. Una possibile spiegazione di questo è che ci può essere stata una maggiore esposizione al farmaco in questi studi di prima linea, con un numero medio di 7-10 cicli [51] [52] rispetto a una media di 4-5 cicli negli studi precedenti. [47] [48] [49]

Come detto, la neuropatia è una tossicità comune con gli agenti diretti verso i microtubuli. Dati preclinici suggeriscono che eribulina può causare meno il danneggiamento del trasporto assonale a causa della differenza nel sito di legame della tubulina rispetto ad altri agenti, [53] e in modelli di topo è stato osservato che eribulina non peggiora il preesistente danno neuronale causato da paclitaxel. [54] Alla luce di questi risultati interessanti, e l'osservazione che i tassi di neuropatia erano accettabili negli studi clinici di eribulina, la neuropatia è stata scelta come il fulcro di uno studio randomizzato di fase II recentemente riportato confrontando eribulina con ixabepilone. [50] Questo studio ha incluso pazienti che hanno ricevuto

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almeno una linea di chemioterapia per MBC, che erano stati precedentemente esposti a un agente taxano, e avevano avuto la neuropatia periferica di grado 0 o 1. In totale, 101 pazienti sono stati randomizzati al trattamento con eribulina o ixabepilone, e l'endpoint primario dello studio è stato il confronto dei gradi di neuropatia per gruppo di trattamento. Nessuna differenza statisticamente significativa è stata osservata nell'incidenza di neuropatia periferica per quelli trattati con eribulina (31.3%) rispetto all’ixabepilone (44.1%). Allo stesso modo, non vi era alcuna differenza statisticamente significativa nell'incidenza della neuropatia di grado 3/4 (9.8% contro il 20%), o nelle ORR (15.4% contro 5.8%) nei pazienti trattati con eribulina o ixabepilone. Tuttavia, c'è stato un tempo più lungo d’insorgenza della neuropatia nei pazienti trattati con eribulina (11.6 settimane contro 35.9 settimane) e un minor numero di pazienti ha interrotto l’eribulina a causa di una neuropatia (3.9% contro il 18%).

5.3. Studi di fase III

L'attività osservata in trials clinici di fase II ha richiesto ulteriori indagini su eribulina in studi di fase III. [55] Il primo studio riportato è stato EMBRACE (l’Eisai Metastatic Breast Cancer Study Assessing Physician’s Choice Versus E7389). [56] Questo studio multicentrico, randomizzato, open-label ha incluso 762 pazienti con MBC che hanno avuto progressione di malattia dopo il trattamento con chemioterapia a base di antracicline e taxani. I pazienti sono stati randomizzati 2:1 a ricevere eribulina 1.4 mg/m2 nei giorni

1 e 8 ogni 21 giorni, o un trattamento di scelta del medico curante (TPC). In questo studio, TPC è stata definita come qualsiasi chemioterapia ad agente singolo, trattamento ormonale o biologico, radioterapia o terapia di

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supporto. L'obiettivo primario dello studio era la sopravvivenza globale; endpoint secondari PFS, ORR, e DOR. La maggior parte delle pazienti avevano tumori con recettore estrogeno/progesterone positivo (64%) e HER2-negativi (74%). Inoltre, più della metà (51%) dei pazienti aveva tre o più siti di malattia metastatica. Il numero medio di regimi chemioterapici ricevuti è di quattro (range 1-7). Una grande proporzione di pazienti (73%) erano stati precedentemente trattati con capecitabina.

In totale, 508 pazienti sono stati trattati con eribulina mentre 254 hanno ricevuto la TPC. Il braccio TPC era costituito da una serie di terapie, con la maggior parte dei pazienti (96%) in trattamento con chemioterapia e il 4% con la terapia ormonale. Lo studio ha raggiunto il suo obiettivo primario con un miglioramento della sopravvivenza globale per i pazienti trattati con eribulina rispetto a TPC. La sopravvivenza globale mediana nei pazienti trattati con eribulina era di 13.1 mesi rispetto ai 10.6 mesi nel gruppo trattato con TPC (HR 0.81, 95% CI 0.66-0.99), una differenza che è risultata statisticamente significativa (p=0.041). Nonostante il miglioramento della sopravvivenza globale, la PFS mediana non è stata significativamente più lunga (p=0.137) con eribulina (3.7 mesi) che con TPC (2.2 mesi) nella revisione indipendente (HR 0.87, 95% CI 0.71-1.05). Le risposte obiettive sono state significativamente più frequenti nei pazienti trattati con eribulina rispetto a TPC (12% contro il 5%; p=0.002). C'erano tre risposte complete nel gruppo eribulina e 54 risposte parziali, rispetto a dieci risposte parziali nel gruppo TPC. Non c'era alcuna differenza significativa nella DOR. I tassi di tossicità generale sono risultati simili tra eribulina e TPC, e la maggior parte erano di grado 1/2. Gli eventi avversi di grado 3/4 che si sono verificati più frequentemente con eribulina e con TPC sono stati: neutropenia (45% contro 21%), leucopenia (14% contro 6%), e neuropatia periferica (9% contro 2%). Complessivamente, la neuropatia (ogni grado) è

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stata riportata da 174 (35%) e 40 (16%) pazienti trattati con eribulina e TPC, rispettivamente. Gli eventi avversi che hanno portato alla sospensione della terapia si sono verificati in 67 (13%) e 38 (15%) dei pazienti trattati con eribulina e TPC, rispettivamente, ma questi eventi avversi fatali si sono verificati in 4% versus 7%, rispettivamente.

Questo studio seppur dimostri un vantaggio per eribulina in OS in pazienti molto pretrattate ha dei limiti. Il numero relativamente piccolo di pazienti trattati con ogni agente chemioterapico nel gruppo TPC preclude un confronto diretto di questi trattamenti individuali con eribulina, e inoltre rende impossibile la raccolta dei dati sul mancato vantaggio in PFS e sulla qualità della vita di confronto.

L'uso di eribulina in una popolazione di pazienti più anziani è stata evidenziata da un'analisi dei dati di uno studio clinico riportata da Muss et al. [57] Questo studio ha incluso i dati raccolti per i pazienti provenienti da due studi di fase II [47] [48] così come lo studio EMBRACE di fase III. [56] I dati di tossicità e di efficacia sono stati confrontati tra i gruppi di pazienti definiti per età. L'analisi non ha mostrato alcuna differenza significativa negli endpoint né nei tassi di tossicità in base all'età della paziente, e ha convalidato eribulina come opzione nei pazienti di età superiore ai 70 anni. Purtroppo, questo studio non ha incluso uno strumento di valutazione geriatrica, ed è limitato dai criteri di ammissione rigorosi degli studi coinvolti.

Un altro studio di fase III, trial 301 [58], ha confrontato eribulina mesilato (data nella stessa pianificazione come EMBRACE) versus capecitabina (1250 mg/m2 per via orale due volte al giorno nei giorni 1-14 ogni 21 giorni) in

pazienti che avevano precedentemente ricevuto un trattamento con antracicline e taxani. In totale, 1102 pazienti sono stati arruolati, e randomizzati in un rapporto 1:1. Le pazienti incluse in questo studio

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avevano ricevuto due o meno (e un massimo di tre) precedenti regimi di chemioterapia per malattia avanzata. Lo studio ha utilizzato endpoints co-primari di sopravvivenza globale e PFS, e endpoints secondari tra cui la ORR, la qualità della vita, e la sopravvivenza globale a 1, 2, e 3 anni. Le caratteristiche delle pazienti erano ben bilanciate tra i due gruppi. La maggioranza (70%) delle pazienti aveva ricevuto il trattamento in studio come trattamento di prima o di seconda linea per la malattia metastatica, l'85% aveva metastasi viscerali, il 70% aveva una malattia HER2-negativo, e circa il 25% aveva una malattia triplo negativa.

Purtroppo, lo studio non ha soddisfatto nessuno dei suoi endpoint co-primari. C'è stata una tendenza al miglioramento della sopravvivenza globale per i pazienti trattati con eribulina (15.9 rispetto a 14.5 mesi), con un HR favorevole di 0.88 (95% CI 0.77-1.01); senza il raggiungimento di una significatività statistica (p=0.056). Inoltre, la PFS è risultata simile in entrambi i bracci a 4.1 e 4.2 mesi (HR 0.98, 95% CI 0.86-1.11; p=0.736). La sopravvivenza a 1, 2, e 3 anni era numericamente superiore nel gruppo eribulina, ma questa differenza non era statisticamente significativa. I tassi di risposta nella revisione indipendente erano simili tra i due gruppi: l'ORR è stata dell'11% e del 12% nei pazienti trattati con eribulina e capecitabina, rispettivamente. Nelle analisi dei sottogruppi prespecificati, c'era un beneficio osservato per eribulina nei pazienti con malattia HER2-negativo (HR 0.84, 95% CI 0.72-0.98), malattia ER-negativo (HR 0.78, 95% CI 0.64-0.96), e la malattia triplo negativo (HR 0.70, 95% CI 0.55-0.91). I profili di tossicità sono quelli più comuni per questi agenti, ovvero la neutropenia per eribulina (grado 3/4 in 46%) e la sindrome mani-piedi per capecitabina (45% ogni grado, 14% di grado 3/4). La neuropatia (ogni grado) è stata osservata nel 13% dei pazienti trattati con eribulina (di grado 3/4 nel 4% dei pazienti). I risultati sulla qualità della vita come misurato dalla European Organisation

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for Research and Treatment of Cancer QLQ-C30 and QLQ-BR23 sono stati presentati separatamente. [59] Questi dati dimostrano che i pazienti trattati con eribulina hanno avuto un miglioramento di 6,5 punti sulla qualità della vita complessiva (p=0,048) e un miglioramento di 15,3 punti sulle funzioni cognitive (p<0.001) rispetto a capecitabina. Mentre i pazienti trattati con capecitabina hanno avuto un miglioramento di 3,3 punti nelle funzioni emotive (p=0.033) rispetto ad eribulina.

Lo studio 301 è considerato uno studio negativo, perché non ha raggiunto gli endpoint specificati. Tuttavia, l'efficacia di eribulina è stata almeno simile a quella di capecitabina con un profilo di tossicità diversa, che può essere preferibile per alcuni pazienti (Tab. 4). Inoltre, i pazienti trattati con eribulina hanno avuto dei punteggi migliori sulla qualità della vita riferita dalla paziente. L'analisi per sottogruppi suggerisce ulteriori studi nelle popolazioni HER2-negativo e triplo-negativo in quanto vi era un prolungamento statisticamente significativo nella sopravvivenza, ma questi risultati non possono essere usati per guidare le decisioni cliniche al di fuori di un setting di studio.

Tab. 4: Tossicità specifiche riportate dagli studi di Fase III su Eribulina. «Eribulin for the treatment of metastatic breast cancer: an update on its safety and efficacy» (Fonte: Int J Womens Health 2015)

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6. Direzioni future

Ci sono diversi studi in corso che stanno valutando eribulina nel carcinoma della mammella (Tab. 5).

Uno studio di fase II che confronta paclitaxel versus eribulina nel trattamento in combinazione con bevacizumab di prima linea e seconda linea, rispettivamente, del MBC HER2-negativo sta attualmente reclutando pazienti in centri oncologici negli Stati Uniti. [60] Per il MBC HER2-positivo, uno studio di Fase II di eribulina in combinazione con trastuzumab e pertuzumab è attualmente in corso per valutarne l’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità. [61]

Fino ad oggi, i dati non sono disponibili per quanto riguarda la sicurezza e l'efficacia di eribulina in combinazione con altri agenti, e non vi è attuale interesse nella terapia combinata con nuovi agenti [62] [63] [64], nonché con terapie esistenti. [65] [66] [61] [67] [68] [69] [70] [60] I recenti dati preclinici hanno suggerito un'attività sinergica tra eribulina e S-1, [71] e gli studi clinici di questo regime è probabile che proseguano. I primi dati provenienti da uno studio di Fase I sulla terapia combinata sono stati riportati, usando trastuzumab in uno studio giapponese di 12 pazienti con MBC [72] e cisplatino in uno studio americano di 36 pazienti con tumori

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solidi avanzati. [73] Entrambi gli studi hanno riportato una sicurezza sugli approcci combinati, senza la necessità di riduzione dell'intensità della dose di eribulina.

Tab. 5: Studi in corso su Eribulina nel carcinoma della mammella. «Eribulin for the treatment of metastatic breast cancer: an update on its safety and efficacy» (Fonte: Int J Womens Health 2015)

Ad oggi, non vi sono dati pubblicati su eribulina nel carcinoma della mammella in stadio precoce, ma gli studi sono in corso valutando l'utilizzo di questo agente nel setting neoadiuvante, prima di un intervento

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chirurgico per malattia localizzata, e nel setting postoperatorio adiuvante (Tab. 5). [74, 75, 76, 77] Sebbene la terapia diretta a biomarker è sempre più comune e ricercata nella terapia del carcinoma della mammella, nessun biomarker predittivo per la risposta a eribulina è stato identificato fino ad oggi. Uno degli studi neoadiuvante in corso [74] si sta dedicando alle identificazione di potenziali biomarkers di beneficio terapeutico da eribulina. In futuro, i risultati di questo studio potrebbero aiutare a definire una sottopopolazione di MBC, che ha maggiori probabilità di trarre beneficio da questo agente.

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7. Studio retrospettivo

multicentrico osservazionale

L’eribulina è ora largamente impiegata al di fuori di trials clinici in Italia, come terza o ulteriore linea di trattamento.

Su queste basi abbiamo effettuato uno studio retrospettivo multicentrico osservazionale su pazienti con carcinoma della mammella avanzato pretrattati con ≥2 linee di chemioterapia per malattia metastatica, in modo da valutare l’attività e la tollerabilità di eribulina in una popolazione di pazienti “real world”.

7.1. Pazienti e metodi

Il nostro studio analizza pazienti arruolati in 11 centri oncologici italiani con carcinoma della mammella avanzato e metastatico, tutti pretrattati con antracicline e taxani, e con 2 o più precedenti linee chemioterapiche per malattia avanzata. I criteri d’inclusione erano: PS (ECOG) ≤2, un’aspettativa di vita di più di 12 settimane, e funzioni organiche e ematologiche adeguate. Eribulina era somministrata alla dose di 1.4 mg/m2 in 2-5 minuti per via

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endovenosa nei giorni 1 e 8, con cicli ripetuti ogni 3 settimane, fino a progressione di malattia, tossicità grave o rifiuto della paziente.

Gli eventi avversi sono stati valutati secondo il National Cancer institute Common Terminology Criteria for Adverse Events (NCI-CTCAE, version 4), e l’attività del trattamento è stata valutata in base ai criteri convenzionali RECIST ogni 3 settimane o in qualsiasi momento indicato dalla valutazione clinica. Tutti i pazienti hanno fornito un consenso informato scritto, e i comitati etici delle istituzioni coinvolte hanno approvato questa analisi retrospettiva.

7.2. Analisi statistiche

È stata effettuata una valutazione retrospettiva dei dati clinici e di trattamento per tutti i pazienti, e i dati sono stati inseriti in un database anonimo per la raccolta.

Il tasso di risposta obiettiva è stato riportato con un intervallo di confidenza del 95%. Le associazioni sono state analizzate con il Chi-square test o Fisher exact test, quando appropriato. Il livello di significatività è stato fissato a

p≤0.05. La sopravvivenza globale (OS) e la sopravvivenza libera da

progressione (PFS) sono state calcolate con il Kaplan-Meier product-limit method. La PFS è stata calcolata come il tempo dalla data di inizio della terapia con eribulina alla data di progressione o alla data dell’ultimo follow-up. La OS è stata calcolata come il tempo dalla data d’inizio della terapia con eribulina alla data del decesso o dell’ultimo contatto. Il software SPSS è stato usato per tutte le valutazioni statistiche (SPSS versione 21.0, SPSS Inc., Chicago, Illinois, USA).

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8. Risultati

Da Marzo 2012 a Agosto 2013, 133 pazienti con carcinoma della mammella avanzato e pretrattato sono stati trattati in 11 centri oncologici italiani. La popolazione dello studio comprende tutti i pazienti che hanno ricevuto almeno un ciclo di eribulina. Le caratteristiche principali delle paziente sono riportate nella tabella 6.

L’età media era di 62 anni, il performance status (PS) ECOG medio era di 1, 112 pazienti (84%) avevano tumori primari con recettori estrogenici (ER) e/o progestinici (PgR) positivi, HER2 era iperespresso o era amplificato in 28 (21.1%) dei tumori iniziali; il sottotipo triplo negativo in 14 pazienti (10.5%). La maggioranza dei pazienti arruolati aveva una malattia viscerale (80.5%), e oltre l’80% dei pazienti aveva siti metastatici multipli, con un numero mediano di 2 siti. Il 77% dei pazienti totali e l’83% dei pazienti con tumore con recettori ormonali positivi hanno ricevuto un trattamento endocrino adiuvante. Il 70% di tutti i pazienti e il 90% dei pazienti con tumore con recettori ormonali positivi hanno ricevuto uno o più (fino a 5) trattamenti endocrini per malattia avanzata, con un numero mediano di 2. Il 15% e il

Riferimenti

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