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Capitolo 7 I nostri Casi Clinici

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Academic year: 2021

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I nostri Casi Clinici

I casi clinici analizzati in questo lavoro sono stati selezionati tra tutti i cani, afferiti presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa, nel periodo gennaio 2001-gennaio 2007, che hanno riportato una diagnosi di frattura del radio e dell’ulna.

Tutti i 16 soggetti, diversi per razza ed età, ed appartenenti ad entrambi i sessi, sono stati sottoposti ad accurata raccolta dei dati riguardanti il segnalamento, l’esame obiettivo generale e particolare, e il tipo di trattamento, conservativo o chirurgico, cui sono stati sottoposti.

Il metodo di trattamento delle lesioni è stato scelto di volta in volta sulla base dei parametri meccanici, biologici e clinici rilevati al momento della visita. Per ogni soggetto è stato eseguito un attento follow-up dal momento della dimissione dalla nostra struttura fino alla completa risoluzione della patologia, con esame clinico e valutazioni radiografiche nelle due proiezioni standard. Inizialmente i controlli sono stati effettuati a cadenza settimanale nell’immediato periodo postoperatorio; successivamente, anche in funzione della valutazione clinica di ciascun soggetto, sono stati eseguiti a intervalli di tempo progressivamente maggiori.

A consolidamento avvenuto, alcuni soggetti sono stati sottoposti a intervento per la rimozione del mezzo di osteosintesi, mentre per altri questo non è stato possibile a causa del rifiuto da parte dei proprietari.

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CASO N. 1

Il soggetto, un cane meticcio di taglia media, maschio è stato presentato presso la nostra struttura con zoppia di 4° grado a carico dell’arto anteriore sinistro.

Dopo un’attenta valutazione clinica e radiologica, è stata diagnosticata una frattura spiroide dell’epifisi distale del radio. Il soggetto è stato immediatamente sottoposto a intervento di osteosintesi con viti.

Durante l’intervento chirurgico non si sono presentate complicazioni ed il controllo radiografico postoperatorio ha evidenziato una ricostruzione anatomica della frattura.

Il decorso postoperatorio è proseguito senza apparenti complicazioni, se non la presenza di un’abrasione cutanea provocata dall’applicazione del bendaggio contenitivo, che è stata trattata tempestivamente e non ha creato disagi per l’animale.

Dai controlli effettuati durante il periodo di osservazione, si è constatato che la frattura si è consolidata in breve tempo mediante cicatrizzazione diretta senza formazione di callo osseo, grazie alla perfetta ricostruzione anatomica.

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La rapida consolidazione è stata probabilmente favorita anche dalla localizzazione epifisaria della frattura, data l’elevata vascolarizzazione di questo distretto osseo.

La rimozione delle viti è avvenuta a quattro mesi dall’intervento e il soggetto ha ripreso la normale deambulazione.

CASO N. 2

Il soggetto, un cane meticcio di piccola taglia di 1 anno d’età, maschio, è pervenuto alla nostra attenzione in seguito a trauma (investimento da moto falciatrice). A un’attenta visita clinica sono emerse ferite cutanee multiple, di cui una a carico dell’arto anteriore sinistro (3° medio) con esposizione di porzioni ossee. All’esame radiografico è stata evidenziata la presenza di due fratture: una a livello del calcaneo e una frattura obliqua corta a livello di radio e ulna sinistri.

Il soggetto è stato trattato con bendaggio contenitivo, affinché le sue condizioni cliniche si stabilizzassero prima dell’intervento chirurgico effettuato due giorni dopo il trauma.

Per questo tipo di frattura è stata scelta un’osteosintesi con fissatore esterno con applicazione di stecca e bendaggio contenitivo per l’immediato postoperatorio.

Nonostante la piccola taglia dell’animale, la natura esposta della frattura e l’impegno organico nella riparazione delle diverse lesioni procuratesi, la consolidazione è avvenuta in circa tre mesi, al termine dei quali si è proceduto alla rimozione dell’impianto di sintesi. La giovane età dell’animale ha sicuramente contribuito alla veloce risoluzione delle lesioni.

Al livello del focolaio di frattura si nota la presenza di sinostosi, indice di una forte reazione di riparazione.

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Figura 7.2: Aspetto radiografico del consolidamento con sinostosi.

CASO N. 3

Questo paziente, un cane Saluky femmina di 6,5 anni di età, è stato condotto a poche ore dal trauma alla nostra attenzione. Esso presentava all’esame clinico-radiologico una frattura comminuta del 3° distale del radio, scomposta ed esposta.

Data la natura della frattura, in accordo con i proprietari, si è ricorsi ad una riduzione incruenta con bendaggio e stecca che, valutata radiograficamente, ha confermato un buon allineamento dei capi di frattura.

Il soggetto è stato rivalutato radiograficamente a distanza di una settimana evidenziando il mantenimento di una corretta riduzione.

Tale procedura è stata ripetuta a cadenza di 15 giorni circa fino all’evidenziazione della callogenesi.

La frattura è giunta a consolidamento nell’arco di 2,5 mesi evidenziando però un errato allineamento imputabile alla non perfetta riduzione anatomica ottenibile con questa tecnica. Non sono stati possibili ulteriori controlli sulla ripresa di una corretta deambulazione del cane, in quanto perso al follow-up.

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Figura 7. 3: Aspetto radiografico dell'avvenuto consolidamento con errato allineamento.

Trattandosi di un cane di grossa mole e di una frattura comminuta che non poteva essere ricostruita anatomicamente, la scelta di un trattamento incruento della frattura si è rivelata corretta. È importante, però, ottenere e mantenere, durante tutto il periodo di riparazione della frattura, il giusto allineamento dei capi onde evitare difetti di allineamento.

Il consolidamento avvenuto con incompleto ripristino della morfologia scheletrica può decorrere senza alcun disturbo ed essere “compensato” dall’animale. Oltrepassati però certi limiti intervengono alterazioni funzionali della deambulazione che possono procurare sofferenza dell’articolazione radio-carpica.

CASO N. 4

Il cane, un Fox terrier maschio di 1 anno di età, si è presentato alla visita con trauma da investimento intercorso poche ore prima.

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Dagli accertamenti clinico-radiologici effettuati è emersa una frattura obliqua del 3° distale a carico di radio e ulna sinistra.

A causa dello stato di shock in cui si trovava il soggetto al momento della visita si è preceduto ad una stabilizzazione delle condizioni cliniche, l’intervento di osteosintesi è stato rimandato di qualche giorno provvedendo ad una temporanea stabilizzazione della frattura con bendaggi contenitivi. L’intervento ha visto l’impiego di una placca da osteosintesi in acciaio di 2mm di spessore, con 7 fori, che è stata fissata soltanto con 6 viti, in quanto il quarto foro prossimale risultava in corrispondenza del focolaio di frattura. Dagli accertamenti clinici e radiologici effettuati durante il periodo di osservazione non si sono evidenziate alterazioni nel processo riparativo; la consolidazione si è, infatti, completata in circa tre mesi evidenziando una riparazione diretta a livello del radio, mentre l’ulna si è stabilizzata per callogenesi (fig. 7.4).

Figura 7. 4: Apetto radiografico del consolidamento della frattura.

La rimozione della placca è stata eseguita dopo circa due settimane dalla diagnosi radiologica di consolidamento.

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Nel corso delle visite cliniche successive si è potuta apprezzare una ripresa della corretta deambulazione del soggetto.

La possibile complicazione che ci saremmo aspettati in questo soggetto era il cedimento o la rottura della placca dovuto al posizionamento non ottimale, per il quale il punto di minor resistenza del mezzo di osteosintesi si è venuto a trovare in corrispondenza della rima di frattura stessa.

Quest’evenienza non si è verificata grazie anche al corretto management postoperatorio del paziente da parte dei proprietari, che hanno saputo attuare un adeguato contenimento del soggetto e nello stesso tempo intraprendere un’adeguata fisioterapia.

CASO N. 5

Il cane, un Barboncino femmina di 1,5 anni, è stato sottoposto alla nostra attenzione in seguito a tre interventi chirurgici di risoluzione di una frattura del 3° distale di radio e ulna destri esitati in pseudoartrosi.

Dopo attenta valutazione delle condizioni cliniche del soggetto, è stato effettuato un nuovo intervento di osteosintesi con placca previa ricruentazione dei monconi ossei.

Dai controlli radiologici postoperatori si è evidenziato un corretto riallineamento dei capi ossei. L’arto è stato immobilizzato con fasciatura rigida e il soggetto è stato dimesso e rivalutato dopo una settimana.

A questo primo controllo è stata rilevata la presenza di una piccola (1 cm circa) area di necrosi cutanea a livello antero-mediale. Tale lesione è stata periodicamente trattata mediante curettage e disinfezione fino alla sua completa risoluzione.

Alle visite cliniche condotte, è emersa una difficoltà del soggetto nel caricare il peso sull’arto trattato; tutti i controlli radiografici effettuati regolarmente

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fino al quarto mese dall’intervento, hanno, infatti, confermato la mancata formazione di callo osseo riparativo, nonostante la stabilità della placca. L’ultimo controllo clinico-radiologico condotto sul paziente a distanza di 5,5 mesi dall’intervento ha messo in evidenza una diastasi e sclerosi dei monconi.

Figura 7.5: Aspetto radiografico di diastasi e sclerosi dei monconi.

Il soggetto è stato trattato con bendaggio con piede libero allo scopo di stimolare il carico sull’arto, ed è stata consigliata magnetoterapia.

Ulteriori controlli non sono stati eseguiti in quanto il soggetto è stato perso al follow-up.

CASO N. 6

Il cane, un Dobermann Pincher maschio di circa 2 anni d’età, si è presentato presso la clinica con anamnesi di trauma da investimento con frattura bilaterale di radio e ulna.

Sottoposto a interventi di osteosintesi in altra sede, ha riportato complicazioni a carico dell’arto destro esitate in pseudoartrosi.

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L’intervento da noi attuato ha visto l’impiego di una placca da osteosintesi in acciaio di 1,5mm di spessore, previa ricruentazione dei capi ossei; l’esame radiologico ha confermato il corretto allineamento dei monconi e l’arto è stato contenuto con fasciatura rigida. Sono stati, inoltre, prescritti anabolizzanti per stimolare la callogenesi.

Dopo circa 2 settimane dall’intervento le lastre effettuate hanno evidenziato una mobilizzazione della placca; questa è stata monitorata per circa due mesi fin quando la sua completa perdita di stabilità e fissità ha indotto i chirurghi ad una revisione dell’intervento con applicazione di una nuova placca di maggior spessore (3mm) previa ricruentazione dei capi.

Il decorso postoperatorio ha presentato problematiche quali: disoressia e algia sull’arto operato che si sono risolte dopo 15 giorni dall’intervento.

A distanza di 45 giorni dal secondo intervento, è stata osservata mobilizzazione delle due viti distali di cui una, due settimane dopo, ha determinato una fessurazione della cute sovrastante con sua esteriorizzazione. Questo episodio ci ha spinto a intraprendere la rimozione del mezzo di sintesi in toto. Il soggetto è stato rivalutato nel mese successivo con gravi difficoltà di appoggio sull’arto trattato; l’ulteriore controllo radiografico ha permesso di formulare la diagnosi di pseudoartrosi atrofica con lisi del moncone distale e diastasi dei monconi ossei.

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Figura 7.6: Aspetto radiografico della pseudoatrosi atrofica. CASO N. 7

Il paziente, cane Barbone nano femmina di 5 anni d’età, si è presentato alla nostra attenzione in seguito a intervento di osteosintesi mediante fissatore esterno di una frattura del 3° distale di radio e ulna destri esitato in pseudoartrosi.

Figura 7.7: Aspetto radiografico al momento della visita clinica presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria.

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L’intervento intrapreso per il trattamento di questa complicazione è stato un’osteosintesi con placca a T previa ricruentazione dei margini di frattura, associata ad innesto di osso spongioso prelevato dall’ala iliaca ipsilaterale. Il controllo Rx postoperatorio ha confermato il corretto allineamento dei capi ossei.

Il soggetto è stato periodicamente sottoposto a controlli che non hanno evidenziato insorgenza di complicazioni. Il completo consolidamento è stato raggiunto circa 7 mesi dopo l’intervento.

La placca è stata rimossa e il soggetto, attualmente, presenta una corretta deambulazione sull’arto trattato.

Come risulta evidente dai casi clinici sopra esposti, le pseudoartrosi di radio e ulna si presentano con maggior frequenza nei cani di razza piccola probabilmente a causa dell’instabilità meccanica della frattura, della scarsità della vascolarizzazione metafisaria in confronto a quella dei cani di grossa taglia, e della limitatezza dei tessuti molli circostanti a supplire la vascolarizzazione extraossea (Welch et al, 1997; Johnson & Hulse, 2004c). Si deve inoltre aggiungere, che la gestione postoperatoria nei cani di piccola taglia risulta spesso più problematica per il temperamento irrequieto che presentano spesso questi soggetti, per il difficile contenimento e per la maggiore difficoltà nell’applicazione dei bendaggi.

I tre casi sopra esposti erano appartenenti a razze di taglia piccola e tutti avevano già subito interventi chirurgici presso altre sedi, esitati in non unioni. In particolare, il caso n. 5 fa riflettere sull’importanza che riveste la vascolarizzazione ossea nella consolidazione delle fratture. Il soggetto, infatti, era stato sottoposto a tre interventi di stabilizzazione della frattura, che probabilmente avevano già compromesso in modo significativo l’apporto vascolare regionale, oltre ad aver determinato perdita di sostanza ossea.

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Nei giorni successivi all’intervento si è, inoltre, evidenziata la presenza di un’area di necrosi cutanea dovuta ad un probabile deficit vascolare. Durante i controlli radiografici postoperatori, non si sono mai apprezzati tentativi di formazione di callo osseo, finché, a distanza di 5 mesi dall’intervento, le radiografie hanno evidenziato sclerosi e diastasi dei monconi di frattura, diffuso riassorbimento osseo e nessuna formazione di callo, tipici della pseudoartrosi atrofica.

In questo caso, sembra proprio il deficit vascolare ad aver determinato il fallimento della sintesi, in quanto la riduzione della frattura è apparsa stabile durante tutti i controlli.

Il caso n. 6 presenta caratteristiche simili al precedente, in quanto anch’esso trattato ripetutamente con esiti di pseudoartrosi. Il trattamento da noi eseguito è stato il medesimo, con ricruentazione dei capi e osteosintesi con placca, che, dopo 2 mesi è andata incontro a mobilizzazione per cui si è dovuti ricorrere alla sua rimozione, determinando anche in questo caso una pseudoartrosi atrofica.

Come nel paziente precedente, ciò è imputabile alla scarsa vascolarizzazione regionale ed al piccolo diametro delle ossa, che offre una ridotta superficie di contatto tra i monconi. Entrambi i fattori hanno sicuramente svolto un ruolo importante nell’eziopatogenesi della pseudoatrosi.

Queste due fratture erano localizzate a livello del 3° distale di radio e ulna che rappresenta il sito più comune di unioni ritardate e pseudoartrosi (Jackson & Pacchiana, 2004).

Nel caso n. 7, invece, l’osteosintesi con placca associata ad innesto di osso spongioso ha portato a consolidazione della frattura. La placca utilizzata in questo caso era una placca a T in grado di offrire maggiore stabilità.

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CASO N. 8

Il paziente, cane Siberian Husky, maschio, di 7 anni d’età, è stato condotto alla nostra attenzione in seguito ad aggressione da parte di altri cani, durante la quale ha riportato una frattura obliqua corta, esposta e dislocata dell’epifisi distale di radio e ulna destri.

Il giorno successivo al trauma l’arto è stato trattato mediante applicazione di fissatore esterno. Le radiografie postoperatorie hanno confermato la corretta riduzione della frattura. L’arto è stato contenuto mediante bendaggi protettivi per tutto il periodo di osservazione.

Ai controlli radiografici effettuati circa un mese dall’intervento, la frattura si mostrava già in avanzato stato di guarigione. Dopo circa una settimana, però, i proprietari hanno riferito un trauma sul mezzo di osteosintesi (il cane ha fatto un salto sbattendo la zampa); il controllo rx-grafico successivo ha messo in evidenza una leggera rarefazione ossea attorno alla fisches distale, motivo per il quale è stata effettuata la rimozione della barra laterale del fissatore esterno allo scopo di dinamizzare l’impianto.

La rimozione completa del mezzo di sintesi è stata effettuata a poco più di 2 mesi dall’intervento quando, in seguito a controllo radiografico, si è constatato il consolidamento della frattura nonostante la presenza di rarefazione ossea e lisi attorno all’ultima fisches distale.

Il controllo radiografico successivo (dopo un mese) ha confermato il consolidamento della frattura e la persistenza della rarefazione ossea a livello dell’epifisi distale del radio e dell’ulna.

A circa 8 mesi di distanza, il soggetto si è prestato nuovamente alla visita clinica per la presenza di zoppia, prevalentemente a caldo. Durante il controllo si è evidenziata divergenza della regione carpica e dolorabilità alla palpazione dell’arto. Il controllo radiologico ha rivelato un’importante rarefazione ossea a livello della metaepifisi distale di radio e ulna, delle ossa

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carpali e delle metaepifisi prossimali delle ossa metacarpali. È stata così intrapresa una terapia medica.

In questo caso clinico, è importante rilevare come le fratture del radio e dell’ulna spesso esitino in deformità in valgismo e tendano a ruotare verso l’esterno, a causa della perdita di tono del gruppo dei muscoli flessori (Brinker et al, 1996b).

La rarefazione ossea può essere derivata dal dolore all’arto e sua conseguente sottrazione al carico, con successivo riassorbimento di tessuto osseo.

Questo quadro potrebbe essere anche compatibile con una “malattia da frattura”.

Figura 7. 8: Aspetto radiografico di rarefazione ossea. CASO N. 9

Il cane, un Breton maschio di 9 mesi, era già stato sottoposto alla nostra attenzione per esiti di frattura del gomito con conseguente grave artropatia degenerativa.

Dopo circa 2 mesi da tale diagnosi, il soggetto, durante una passeggiata ha riportato sul medesimo arto, una frattura obliqua corta a livello del 3° distale del radio con sospetta infrazione dell’ulna.

L’opzione terapeutica scelta per il trattamento di tale frattura, visto anche l’importante quadro di artrosi a livello del gomito è stata di riduzione e stabilizzazione mini-invasiva mediante sistema Epibloc.

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Il controllo radiografico postoperatorio ha rilevato una buona riduzione della frattura ma con fuoriuscita dei fili di Kirschner dalle corticali del radio.

Il decorso postoperatorio non ha presentato particolari problemi: si è notata una progressiva formazione di callo osseo a unire i capi di frattura e un graduale carico dell’arto interessato.

A due mesi dall’applicazione del mezzo di sintesi si è così arrivati alla rimozione dello stesso.

Dopo un anno e cinque mesi dalla rimozione, è stato possibile effettuare una nuova visita clinica e radiologica all’animale durante la quale si è constatata la persistenza di una zoppia di 1°-2° grado imputabile all’artropatia degenerativa del gomito, mentre la frattura del radio e dell’ulna era andata incontro a rimaneggiamento.

Questo mezzo di osteosintesi, applicato con tecnica minivasiva, ha potuto risolvere una frattura in un arto già compromesso.

Questa tecnica di fissazione non è però adatta per tutti i cani, in quanto è necessaria una restrizione dell’attività fisica, al fine di non comprometterne la stabilità.

I proprietari giocano, inoltre, un ruolo determinante nel controllo e gestione del proprio animale.

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Figura 7.9: aspetto radiografico della frattura, preoperatorio (sinistra), con Epibloc (destra).

CASO N. 10

Il soggetto, un Pastore Tedesco maschio di circa 2 anni d’età, si è presentato presso la nostra struttura per esiti di investimento da parte di un auto.

Dalla nostra indagine clinico-diagnostica è emersa la presenza di una frattura trasversa, scomposta ed esposta di radio e ulna.

Il trattamento chirurgico ha visto la stabilizzazione di entrambe le ossa dell’avambraccio con chiodo centromidollare per l’ulna, con placca per il radio. L’rx postoperatorio ha confermato il corretto allineamento dei monconi.

Nel controllo radiografico effettuato a tre settimane dall’intervento sono emersi i segni di una presunta osteomielite, probabilmente conseguente all’esposizione della frattura; infatti, sulla cute vicina al focolaio di frattura è stata notata la presenza di una fistola trattata con terapia antibiotica ad ampio spettro.

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Dopo un mese è stato effettuato un ulteriore controllo radiografico che ha rivelato, nonostante la persistente presenza di qualche segno di osteomielite, l’avanzamento dello stato di guarigione della frattura.

Nel mese successivo è stata apprezzata la consolidazione della frattura del radio nonchè la fuoriuscita a livello della corticale mediale dell’ulna della punta dell’infibulo; si è così proceduto con la rimozione dei mezzi di sintesi. In questo caso clinico, la presenza di infezione non ha impedito la guarigione della frattura.

La stabilizzazione del radio è in genere sufficiente per fornire adeguata stabilità anche all’ulna, però in questo caso, visto che si trattava di un cane di grossa taglia, la stabilizzazione di entrambe le ossa dell’avambraccio era necessaria per stabilire una fissazione rigida.

CASO 11: Il soggetto, cane Breton femmina di 7,5 anni, è stato sottoposto ad

esame clinico per zoppia dell’arto anteriore sinistro in seguito ad investimento automobilistico.

L’esame radiografico condotto ha evidenziato una frattura obliqua corta, dislocata del 3° distale di radio e ulna, che è stata trattata, a distanza di 4 giorni dal trauma, mediante osteosintesi con placca DCP, posizionata sulla faccia mediale del radio. Il controllo rx ha confermato la corretta esecuzione della tecnica.

Nell’immediato postoperatorio, però, si è presentata una tumefazione a carico dell’arto e un’infezione della ferita chirurgica che abbiamo risolto nell’arco di circa 1 mese con disinfezione e terapia antibiotica.

I controlli radiografici successivi denotano una insufficiente formazione di callo osseo, che esita in una mobilizzazione della placca a distanza di 2 mesi dall’intervento. La frattura non ha mai evidenziato segni di consolidamento ed

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Figura 7.10: aspetto radiografico di pseudoartrosi ipertrofica.

Analizzando in modo critico l’intervento chirurgico, si evince un non perfetto posizionamento della placca, poiché una vite è stata applicata in corrispondenza del focolaio di frattura.

A seguito della mobilizzazione del mezzo di sintesi, è stata eseguita la rimozione dello stesso, durante la quale è stato evidenziato un mancato trofismo a carico della cute cicatrizzata per seconda intenzione.

La causa responsabile dell’insorgenza della pseudoatrosi è in questo caso un’inadeguata stabilizzazione della frattura; la placca era stata posizionata correttamente ma la vite sul focolaio di frattura può aver ostacolato il processo di consolidazione.

CASO 12

Il paziente, un Rottweiler femmina di poco più di un anno, si è presentato alla visita per una frattura obliqua corta, dislocata del 3° medio di radio e ulna, riportata in seguito a trauma da investimento.

Dopo accurati controlli clinici e la conferma radiografica della presenza della frattura, il cane è stato sottoposto ad intervento di osteosintesi con placca

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DCP di 3 mm di spessore, a 7 fori. Anche in questo caso l’indagine rx postoperatoria ha mostrato il corretto allineamento dei capi di frattura. L’arto è stato contenuto con fasciatura rigida.

Il decorso operatorio è stato regolare, ma a circa un mese dall’intervento, il soggetto ha iniziato a presentare segni di zoppia che all’esame clinico è risultata imputabile alla rottura della placca con netta dislocazione dei monconi di frattura.

Il soggetto, infatti, non è stato sottoposto da parte dei proprietari ad alcuna restrizione dell’attività fisica, per cui la stecca ha ceduto e la placca, sotto sollecitazione, si è rotta nel punto di minor resistenza: a livello del focolaio di frattura.

La placca, comunque, offriva di per sé una buona tenuta all’osso sottostante, in quanto le due parti rotte sono rimaste adese ai capi ossei dislocati, senza subire mobilizzazione.

È stata così necessaria una nuova osteosintesi con placca DCP da 3mm e 10 fori.

Nel controllo radiografico eseguito ad un mese dal secondo intervento si è potuta apprezzare la formazione di callo osseo.

A tre mesi dall’intervento si è avuta una buona formazione di callo osseo, seppur con presenza di una zona di lisi ossea a livello della 4° e della 5° vite (in senso prossimo-distale), che ha portato alla rimozione delle stesse qualche giorno più tardi.

In questo modo, inoltre, è stato possibile effettuare una dinamizzazione del mezzo di sintesi.

A distanza di 5 mesi il soggetto presentava una deambulazione regolare. La radiografia di controllo ha mostrato che la zona di perdita di sostanza, in seguito alla rimozione delle due viti, si stava colmando. La frattura dell’ulna appariva chiusa, ed è stata evidenziata la presenza di sinostosi tra radio e ulna

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Dopo un periodo di 9 mesi dall’intervento, la frattura è consolidata e si è proceduto con la rimozione della placca.

In questo caso clinico, si sono registrati tempi di consolidamento allungati per la complicazione intercorsa che ha comportato un secondo intervento chirurgico.

Nella scelta del mezzo di osteosintesi uno dei fattori da considerare è il temperamento dell’animale, per cui in caso di soggetti irruenti bisogna applicare delle placche da osteosintesi di lunghezza maggiore rispetto a quella necessaria alla semplice stabilizzazione della frattura.

CASO 13

Il soggetto, un Bracco Italiano maschio di 5 anni, è stato condotto alla nostra attenzione per una frattura trasversa, dislocata, del 3° medio di radio e ulna sinistri, avvenuta circa due mesi prima e trattata in modo incruento presso altra sede.

Il trattamento effettuato è stato un’osteosintesi con placca DCP previa asportazione della notevole reazione periostale e ricruentazione dei monconi ossei.

Dopo circa 20 giorni dall’intervento, si è potuto apprezzare una buona formazione di callo; il controllo radiografico del mese successivo ha evidenziato un prosecuzione della guarigione ossea e il controllo clinico ha mostrato una corretta deambulazione del paziente.

Ad un ulteriore controllo clinico e radiografico a distanza di 6 mesi si è potuto apprezzare l‘avvenuta consolidazione della frattura e una rarefazione ossea a livello del focolaio di frattura imputabile alla eccessiva persistenza del mezzo di osteosintesi. I proprietari, infatti, hanno rifiutato la rimozione della placca che ha, probabilmente, provocato un’osteopenia da “stress protection”.

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CASO 14

Il soggetto, cane American Stafford Shire Terrier femmina di 1,5 anni, è stato condotto presso la clinica in seguito ad aggressione da parte di altri cani. All’esame clinico si è potuta apprezzare dolorabilità dell’arto sinistro e “scricchiolii” durante la manipolazione. L’esame radiografico ha evidenziato una frattura obliqua, composta del 3° medio di radio e ulna.

Il metodo di trattamento prescelto è stato, in accordo con i proprietari, quello di riduzione incruenta della frattura e stabilizzazione mediante fasciatura con stecca.

Dopo 1 mese circa dal trauma, l’esame clinico ha rilevato un’iniziale carico del peso sull’arto, corrispondente ad una formazione di callo osseo accertata nel controllo radiografico.

Nel mese successivo, a frattura quasi consolidata, il soggetto presentava una corretta deambulazione, e una residua non completa estensione dei tendini flessori.

È stata consigliata una fisioterapia, ma non è stato possibile osservare l’evoluzione clinica del soggetto perché perso al follow-up.

Uno degli svantaggi apportato dall’immobilizzazione esterna è quello di non poter caricare precocemente l’arto con conseguente contrattilità articolare. La fisioterapia passiva e attiva rappresenta un metodo indispensabile per superare questo tipo di complicazione.

CASO 15

Il soggetto, Segugio Maremmano femmina di 4 anni, si è presentato alla visita per una zoppia sull’arto anteriore destro.

L’anamnesi riferiva un intervento di osteosintesi mediante chiodo endomidollare, condotto circa 3 mesi prima per una frattura del 3° medio di

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L’esame radiografico ha, infatti, evidenziato la presenza nella diafisi radiale di uno Steinman endomidollare sporgente in articolazione radio-carpica; lo stato di guarigione della frattura non risultava ancora ultimato e si poteva notare un’abnorme reazione periostale.

Data la gravità delle possibili complicazioni derivanti dalla presenza dell’infibulo all’interno dell’articolazione, è stata effettuata la rimozione del mezzo.

Durante l’intervento è stato possibile apprezzare un notevole ispessimento della capsula dell’articolazione radio-carpica; nell’immediato postoperatorio è stato applicato un bendaggio rigido per immobilizzare la frattura non ancora completamente consolidata.

Dopo 2 settimane dall’intervento, il controllo clinico ha mostrato un miglioramento della deambulazione del paziente nonché una parziale anchilosi di carpo.

Anche in questo caso è stata consigliata la fisioterapia, ma non è stato possibile osservare l’evoluzione clinica del soggetto perché perso al follow-up.

Generalmente, nel radio si sconsiglia l’impiego del chiodo centromidollare in quanto non apporta una stabilità tale da giustificare un intervento invasivo e il rischio di danneggiamento iatrogeno all’articolazione radio-carpica (Harasen, 2003b).

L’anchilosi di carpo che ne è derivata in questo caso clinico può essere risolta solo grazie ad una corretta terapia di riabilitazione, ma nonostante ciò il recupero totale della funzionalità dell’arto non è sempre possibile.

CASO 16

Il paziente, un cane Breton maschio di 9 anni d’età, è stato condotto alla nostra attenzione in seguito ad investimento da ciclomotore avvenuto poche

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ore prima. L’rx ha mostrato una frattura trasversa del 3° medio di radio e ulna che è stata inizialmente trattata in modo incruento mediante una fasciatura rigida con stecca. Il controllo radiologico postriduzione aveva mostrato una buona riduzione dei capi di frattura.

Il successivo controllo clinico, effettuato circa una settimana dopo, ha evidenziato la presenza di una ferita infetta sulla faccia craniale del gomito, causata probabilmente dalla fasciatura. L’esame radiografico ha mostrato, inoltre, la dislocazione dei monconi di frattura.

Per questi motivi, è stata presa la decisione di effettuare un intervento chirurgico di osteosintesi con placca, durante il quale è stata eseguito anche un curettage della ferita infetta. Questa, grazie alle successive medicazioni, è guarita in un mese circa.

Il controllo radiografico eseguito a una distanza di 20 giorni dall’intervento ha evidenziato una rarefazione ossea intorno alle 3 viti prossimali e una mancata formazione di callo.

Il paziente ad un mese dall’intervento non caricava ancora l’arto e alla palpazione del focolaio di frattura presentava algia.

I follow-up radiografici eseguiti nel periodo successivo hanno evidenziato una reazione ossea compatibile con un quadro di osteomielite nonostante la sua temperatura corporea abbia superato di poco i valori fisiologici. Il soggetto è stato sottoposto per lungo periodo a terapia antibiotica ad ampio spettro (Amoxicillina e ac. Clavulanico; Amoxicillina e ac. Clavulanico in associazione con Enrofloxacina).

La rarefazione ossea è stata progressiva soprattutto intorno alle viti con conseguente mobilizzazione della placca.

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Figura 7.11: Aspetto radiografico della mobilizzazione della placca con dislocazione dei monconi ossei.

A distanza di 2 mesi e mezzo dall’intervento si è resa così necessaria la rimozione del mezzo di sintesi e la stabilizzazione della frattura è stata effettuata mediante applicazione di un fissatore esterno.

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Anche questo mezzo di sintesi è andato incontro, però, a fallimento a causa dell’infezione persistente; si è proceduto quindi alla sua rimozione.

Durante l’intervento di rimozione è stato eseguito un tampone a livello del focolaio di frattura per esame colturale e antibiogramma che hanno evidenziato la presenza di Pseudomonas aeruginosa multiresistente. È stata quindi intrapresa una terapia antibiotica mirata (Cefalosporina di 3° generazione) che ha portato alla risoluzione dell’osteomielite. Attualmente residua una diastasi dei monconi del radio, mentre a livello dell’ulna si inizia a notare la formazione di callo osseo.

Figura 7.13: Aspetto radiografico dopo rimozione di tutti i mezzi di osteosintesi e terapia antibiotica mirata.

Il soggetto riesce comunque a caricare parzialmente sull’arto affetto, soprattutto su terreni morbidi.

Da questo caso clinico emerge quanto sia importante cercare di prevenire le complicanze infettive che possono determinare il fallimento delle sintesi. È infatti evidente come, nonostante la corretta applicazione dei mezzi di

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gomito, abbia giocato un ruolo cruciale nel fallimento della stabilizzazione ossea non consentendo il raggiungimento di una corretta guarigione della frattura.

Dallo studio critico sui 16 casi di frattura di radio e ulna emerge, inoltre, quanto segue:

L’età dei soggetti è compresa tra i 9 mesi e i 9 anni, con un valore medio di 3 anni e 8 mesi e una deviazione standard di 2 anni e 9 mesi. Questi calcoli sono stati effettuati senza considerare un paziente la cui età è sconosciuta.

Le fratture sono state riportate in 9 soggetti di sesso maschile e 7 di

sesso femminile.

Suddividendo i 16 casi analizzati in base alla taglia, 6 cani risultano di piccola taglia, 6 di media taglia e infine 4 di grossa taglia.

In 15 casi la frattura interessava sia il radio che l’ulna, mentre in un caso soltanto il radio.

In base al decorso della rima di frattura, i pazienti hanno riportato: 1 frattura spiroide, 2 oblique, 3 trasverse e 5 oblique corte. In un caso di frattura comminuta, tre pseudoartrosi e una frattura di vecchia data, non è stato possibile effettuare un classificazione in base a questo parametro.

A seconda del livello della frattura, i cani hanno riportato: 2 fratture dell’epifisi distale, 6 del terzo medio e 8 del terzo distale.

In 4 casi la frattura era esposta.

I mezzi di osteosintesi impiegati sono stati:

- viti da osteosintesi: 1 caso;

- chiodo centromidollare: 1 caso;

- chiodo centromidollare nell’ulna + placca sul radio: 1 caso;

- sistema epibloc: 1 caso;

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- immobilizzazione incruenta: 2 casi; - placca da osteosintesi: 8 casi.

A causa dell’insorgenza di complicazioni, in 3 soggetti si è reso necessario un secondo intervento chirurgico che ha previsto in 2 di questi l’utilizzo di una placca da sintesi e in 1 caso di un fissatore esterno.

Dei 16 casi studiati, la guarigione della frattura è avvenuta senza

complicazioni in 6 soggetti; nei rimanenti pazienti queste sono state più o

meno gravi: infezioni delle ferite, osteomieliti, mobilizzazione degli impianti, rottura di placca, consolidazioni con deformità, sinostosi, anchilosi del carpo e pseudoartrosi.

Il follow up medio è stato di 7,4 mesi con una deviazione standard di 7 mesi, un massimo di 26 mesi e un minimo di 1 mese.

Il quadro clinico e radiologico al termine del follow up comprende: 8 fratture consolidate senza alcuna complicazione, in 1 caso è esitata in parziale anchilosi di carpo, in 1 con deformità in valgo (di cui 1 presenta anche rarefazione ossea), in 1 con errato allineamento e 4 pseudoatrosi.

In 12 soggetti è stata eseguita la rimozione dei mezzi di sintesi, mentre in 2 non è stata effettuata per il rifiuto da parte del proprietario. In due soggetti è stato effettuato un trattamento incruento.

Figura

Figura 7.1: Aspetto radiografico della frattura. A sinistra: preoperatorio, a destra: postriduzione
Figura 7.2: Aspetto radiografico del consolidamento con sinostosi.
Figura 7. 3: Aspetto radiografico dell'avvenuto consolidamento con errato allineamento
Figura 7. 4: Apetto radiografico del consolidamento della frattura.
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