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Capitolo Secondo.

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Academic year: 2021

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Capitolo Secondo.

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I. Carnevale

Del Carnevale sono state date interpretazioni diverse e spesso contrastanti. Gli elementi che lo caratterizzano, infatti, sono numerosi e vari, e soprattutto ambivalenti ed ambigui, e a seconda che si focalizzi l’attenzione sull’uno o l’altro di tali elementi si avrà una lettura particolare, e parziale, di questo complesso cerimoniale.

Farne una lettura univoca ed estrarne una teoria unificata è un’impresa difficoltosa, che richiede competenze molto vaste, che spazino da quella antropologica a quella storica, da quella psicologica a quella estetica, ecc1.

Il Carnevale è una struttura aperta ed elastica, il prodotto instabile e mutevole di una serie di interazioni, quali ad esempio le contrapposizioni e la dialettica tra culture e classi all’interno di esso, ed è suscettibile di inglobare elementi di provenienza diversa che hanno portato a esiti vari sia sul piano ideologico che su quello formale. Dobbiamo ricordare che, nonostante fosse festa del popolo e manifestazione della cultura popolare, non sempre vi furono statiche e nette contrapposizioni di classe al suo interno, né sempre l’atteggiamento della Chiesa nei suoi confronti fu di condanna o di tiepido beneplacito. Vi sono importanti eccezioni, infatti, che meritano di essere tenute presenti, quali il caso di un carnevale gestito addirittura dall’autorità ecclesiastica nella Roma medievale e quello di una partecipazione e di un’organizzazione del carnevale che furono il risultato di rapporti di solidarietà verticale e di una comunanza di interessi tra classi diverse, quella aristocratica e quella degli artigiani, fornitori e domestici, nella Mantova di secondo ‘7002.

In ogni caso, aldilà di questi episodi, il Carnevale storico è un complesso cerimoniale proprio della ritualità popolare.

Soprattutto nell’Europa mediterranea (Spagna, Francia, Italia), in età medievale e moderna, esso si configurava come la maggiore festa popolare dell’anno3, e, ovunque, rappresentava

una delle componenti principali di quell’unitaria visione del mondo, di quel tipo di

imagerie, che erano propri della cultura comica popolare4.

1 I. Sordi, “Dinamiche del carnevale”, La ricerca folklorica, n.6, 1982, p.21.

2 I. Sordi, “Introduzione”, La ricerca folklorica, n.6, 1982, pp.3-4; G. Barozzi, “La città e la festa. Mantova e il carnevale tra Settecento e Ottocento”, La ricerca folklorica, n.6, 1982, pp.65-76.

3 P. Burke, op. cit., p.178.

4 Ho accennato alla cultura comica popolare nel paragrafo secondo del Capitolo Primo di questo scritto, attraverso l’opera di M. Bachtin (cit.).

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I. Etimologia e collocazione nel calendario.

L’etimologia del termine (quella più diffusa e accettata, perché ve ne sono di diverse) ci rivela che carnevàle e carnovàle (sp., port. e fr. CARNAVAL) derivano dal basso latino CARNE-LEVÁMEN, “con trasposizione del secondo elemento della voce [levamen=sollievo] avvenuta per trascorso di lingua e probabilmente anche per una certa analogia ch’essa ha colla parola latina VALE addio”. “Questa spiegazione è confermata dalla voce adoperata in altre lingue per indicare la stessa cosa, e precisamente, dal ted. FAST-NACHT ossia notte di digiuno, dall’ant.ingl. CHROWE-TIDE tempo di confessione e dal b.lat. CARNI-PRIVIUM e CARNEM-LAXÁRE, dal qual ultimo venne Carnesciale”5.

CARNE-LEVÀMEN e CARNEM LEVARE vanno intesi nel senso di astensione dalla carne (non mangiare carne né avere rapporti sessuali) in relazione al dovere di digiuno dalla carne previsto nel periodo di Quaresima”, ma un’altra spiegazione considera quest’etimologia come sistemazione posteriore di un etimo originario che potrebbe essere CARMEN LEVARE (intonare un canto) o CURRUS NAVALIS (uno dei carri, a forma di nave, su cui si sfilava nelle parate durante la festa)6, da riferire a pratiche di feste

pre-cristiane, come quella dedicata ad Iside, nella Roma d’epoca imperiale, in cui un corteo mascherato seguiva l’Isidis Navigium 7, o alla sfilata di un carro navale con cui i popoli

babilonesi festeggiavano, nelle settimane che lo precedevano, l’equinozio di primavera: venivano simboleggiati, attraverso la processione, i comportamenti orgiastici, le finte battaglie e le maschere infere, il rinnovamento dell’anno, il periodo di transizione e di caos e lo scontro tra forze positive e negative del cosmo.

Carnevale è “comunemente, nel calendario liturgico cristiano, periodo che precede la Quaresima, e si festeggia con balli, mascherate e divertimenti vari. Può essere fatto iniziare a Capodanno, all’Epifania o alla Candelora (2 febbraio) e culmina nei giorni “grassi” (dal giovedì al martedì prima del mercoledì delle Ceneri)”8.

Se consideriamo la sua collocazione calendariale, Carnevale è quel periodo, dunque, che va dal termine del Tempo dell’Avvento (solitamente dall’Epifania, 6 gennaio) all’inizio del Tempo di Quaresima, il mercoledì delle Ceneri. Quest’ultimo giorno prevede la rinuncia alla carne, o meglio, durante i quarantasei giorni che precedono la Pasqua il consumo di carne è vietato (carnem levare). Il Carnevale è davvero se stesso però soprattutto

5www.etimo.it . 6www.sapere.it .

7 J. C. Baroja, El carnaval, taurus ediciones, 1979; trad. it. Il Carnevale, Genova, il melangolo, 1989, p.26. 8 www.sapere.it .

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nell’apogeo degli ultimi giorni del ciclo, da giovedì grasso (il giovedì prima della domenica di quinquagesima) a martedì grasso, giorno in cui per tradizione è consentito ogni eccesso in vista del periodo di astinenza che va a inaugurarsi l’indomani. Carnevale e Quaresima si contendono il mese di febbraio, le date precise variano ogni anno a seconda del ciclo lunare: Pasqua cade la domenica dopo la prima luna piena di primavera, mentre martedì grasso corrisponde all’ultima luna calante di inverno, luna assente poi nella notte tra il martedì e il mercoledì. Il carattere arcaico di questo tipo di calcoli è stato spesso sottolineato dagli studiosi che, basandosi appunto su tale aspetto, hanno evidenziato l’analogia del Carnevale con feste simili che nel mondo classico e pagano o nelle società primitive celebravano lo stesso momento cardine all’interno del ciclo degli avvicendamenti annuali: il significato, quindi, calendariale-annuale e stagionale-invernale (il festeggiare l’inizio della fine dell’inverno) del Carnevale. Questo è stato a volte interpretato come punto di amalgama di aspetti provenienti da diverse cerimonie dell’antichità romana: le libertà di dicembre in onore di Saturno, i tripudi per le Calende di gennaio, i riti agrari di purificazione e propiziazione per la fine dell’inverno, sarebbero confluiti nel Carnevale e adattatisi successivamente al clima cristiano9. In altri casi invece si è data importanza principale agli

aspetti tipicamente cristiani del Carnevale, nel senso che il valore liberatorio, la sfrenatezza, gli eccessi e l’euforia carnevaleschi possono essere compresi a pieno solo se messi in relazione con la dimensione ascetica e di purificazione propria della Quaresima10.

“Perché il Carnevale[…] è figlio (per quanto prodigo) del Cristianesimo o, per dir meglio, non esisterebbe, per lo meno nelle forme che esso ha assunto fin dalle epoche oscure del Medioevo europeo, senza il contrappeso della Quaresima. Ciò non toglie che, all’interno del ciclo carnevalesco, fossero inglobate numerose feste d’origine pagana: per tal modo, il Carnevale enfatizzò un periodo in cui quelli che potremmo chiamare ‘i valori pagani della vita’ vengono in contrasto con l’esaltazione dei ‘valori cristiani’, propri del successivo tempo di contrizione.”11

Natura, Uomo e Società sono drammaticamente connessi tra di loro, e con il Tempo: un

unicum ritmato sull’asse temporale in cui la vita della Natura, dell’uomo individuale e la

vita collettiva sono contraddistinte dalla stessa successione di contrasti e di alternanze tra fioritura e decadimento, allegria e tristezza, esaltazione e ripiegamento. Ecco, “la religione cristiana ha esemplato il suo calendario su una successione [di passioni collettive] di questo

9 P. Toschi, Le origini del teatro italiano, Torino, Boringhieri, 1976 (prima edizione 1955), pp. 8-9.

10 V.I. Stoichita, A. M. Coderch, L’ultimo carnevale, trad. it. Milano, il Saggiatore, 2002 (ed. orig. 1999), p.18.

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tipo. All’allegria familiare del Natale segue la sfrenatezza del Carnevale [periodo di carnalità] e, dopo la repressione [periodo di spiritualità] della Quaresima, la tristezza della Settimana Santa [e il giubilo per la Pasqua]. Alla mesta autunnalità del Giorno dei morti s’oppone la letizia delle feste di primavera e d’estate. L’anno, con le sue stagioni, con le sue fasi scandite dai cicli del sole e della luna, ha fornito la base, lo sfondo di quest’ordine, al quale l’uomo socialmente determinato si assoggetta e a cui sembrano obbedire gli stessi elementi naturali.”12

II. Carnevale, Saturnalia e tradizione comica antica

Il Carnevale viene spesso interpretato come adattamento cristiano di antiche usanze pagane, infatti molti rituali del paganesimo classico occidentale presentano manifestazioni popolari a latere, sia processionali-rituali sia processionali spontanee che somigliano a quelle del Carnevale cristiano. Questo si presenta come una stratificazione di rituali iniziata probabilmente già nelle comunità cristiane Tardo-antiche e inevitabilmente recupera alcuni caratteri di manifestazioni pagane analoghe: dei Saturnali e delle manifestazioni religiose delle Calende di gennaio, per esempio, o di altre feste d’inverno dell’antichità.

L’identificazione prevalente del Carnevale cristiano è quella con la festa romana dei

Saturnalia. Vorrei qui riportare alcuni punti del dibattito che ancora anima la tesi della

coincidenza, o meno, del Carnevale con i Saturnali13. L’argomentazione più consistente

portata in sostegno all’identificazione Carnevale-Saturnalia è quella della coincidenza dei tempi astronomici delle due feste, e cioè l’immediata vicinanza al solstizio d’inverno. Ma questa è una coincidenza non perfetta: i Saturnalia si svolgevano dal 17 al 23 dicembre, in vista cioè del solstizio d’inverno (25 dicembre, Natalis solis invicti), mentre il Carnevale cristiano è posteriore al Natale, inizia al termine del periodo dell’Avvento. Dato che il

Natalis solis invicti rappresentava l’inizio del nuovo anno, e che in celebrazione di ciò si

tenevano le Calende di gennaio, il Carnevale pare appunto maggiormente riconducibile a queste feste più che ai saturnali, che invece erano festa dell’anno uscente (anche se in seguito, dal IV secolo d.c. furono assimilati alle Calende di gennaio). Questo non significa che nel Carnevale non siano confluiti elementi dei Saturnalia, ma che, invece, è necessario individuare più precisamente quali essi furono.

12Ibid., p.13.

13utilizzerò per questo il saggio di G. Brugnoli, Il carnevale e i Saturnalia, in La ricerca folklorica, n.10, 1984, pp. 49-54.

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I Saturnalia rappresentavano una festa in cui trovava realizzazione il mito di Saturno, alle origini probabilmente autoctono (o comunque sentito come tale) e dal carattere naturalistico, inserito in un ciclo di feste della terra che comprendeva ad esempio anche le Calende di gennaio, sincretizzato poi con il mito d’importazione di Saturno-Crono

Il carattere agricolo è testimoniato dalla collocazione nel calendario: nella loro forma maior, i saturnali iniziavano il 17 dicembre e terminavano il 23 dello stesso mese, arrivando ad inglobare gli Opalia e i Larentinalia che si tenevano appunto in questo lasso di tempo. Queste feste avevano tutte carattere agricolo, naturalistico, collegato al ciclo della seminazione, e si presume che anche i Saturnalia lo abbiano avuto: una festa privata, da celebrare “tutti insieme a tavola, padroni e servitori, per festeggiare il ritorno del sole sulle seminagioni e il dio italico Saturno ad esse preposto”14. Successivamente tale festività venne

sistemata, come festa pubblica questa volta, nel calendario delle festività nazionali dell’Impero: si hanno documentazioni relative a manifestazioni pubbliche quali un sacrificio nel tempio di Saturno, un lectisternium organizzato davanti al tempio, un convivium

publicum e una festa popolare caratterizzata da invocazioni rituali che duravano tutta la

giornata (Saturnalia), e ad altri particolari di carattere privato (la fraternizzazione a mensa tra servi e padroni, l’usanza dell’invio di pupattole augurali, di ceri e maschere votive, la pratica del gioco d’azzardo, una certa rilassatezza dei costumi).

Per il carattere di queste manifestazioni di festa possiamo dire che diversi elementi dei

Saturnalia somigliano alle usanze tipiche del Natale e del Capodanno cristiani, mentre

invece, nonostante la presenza di analogie quali l’usanza dei ceri, la concessione dell’amnistia agli schiavi, la temporanea liberazione dalle fatiche del lavoro e dalle costrizioni sociali, non sembrano esservi collegamenti con la licenziosità e la sfrenatezza pubblica tipiche del Carnevale. Soprattutto, ciò che porta a dubitare dell’identificazione Carnevale-Saturnalia è l’assenza, in questi ultimi, della dimensione del travestimento in maschera, fondamentale all’interno del Carnevale15.

Tuttavia, ho già accennato ad una peculiarità di questo cerimoniale, che è quella di essere suscettibile, data l’eterogeneità e la ricchezza degli elementi che lo compongono, di letture diverse; e per questo credo che, prendendo in considerazione un altro aspetto importante, quello del significato di rinnovamento periodico, di morte e di rinascita del mondo, del valore di crisi, evoluzione e avvicendamento naturale, sociale e umano proprio delle feste e

14 G. Brugnoli, op. cit., p.50. 15 ibid., p.52.

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del Carnevale16, possiamo individuare nel passato manifestazioni, feste, motivi e immagini

che rappresentino questo tema del pensiero umano. Ricordiamo che Saturno era dio della fertilità e delle semine, e che dopo l’identificazione con il dio greco Crono, patrono della mitica età dell’oro, i festeggiamenti dedicatigli vennero a celebrare anche il ritorno sulla terra, temporaneo ma completo, di quell’epoca primordiale di pace, prosperità ed uguaglianza, - l’età dell’oro, di Saturno, appunto - e per questo possiamo cogliere un legame e una continuità, tra i Saturnali e il Carnevale, nell’idea di rinnovamento universale e di gioiosa relatività degli avvicendamenti ciclici. Inoltre, motivo tra i più importanti all’interno del Carnevale è quello del “mondo alla rovescia”, della logica delle permutazioni continue dell’alto e del basso, della “ruota”, del rovesciamento dei regni della natura, dei ruoli sociali, dei generi (maschile e femminile)17e possiamo individuare una somiglianza nello

scambio delle parti tra padrone e servo, usuale nel corso della festa romana.

Voglio dire che possiamo riconoscere elementi di somiglianza, o almeno di “parvenza”, tra i cerimoniali dei Saturnalia e del Carnevale (e tra questo e altre feste, come abbiamo accennato prima) senza necessariamente accreditare le tesi di una coincidenza, o di un’estraneità, totale tra le due festività.

Per quanto riguarda poi gli aspetti comici e grotteschi del Carnevale, è probabile che essi attingano ad un nucleo costituito dai riti, dalla cultura e dalla letteratura comici antichi: maschere comiche, demoni della fecondità, statuette e pitture a carattere burlesco, drammi satirici, commedia attica, parodie di sosia e mimi..18.

Una tradizione antica che ha apportato un contributo importante per la cultura carnevalesca è quella del riso, che troviamo essenzialmente in Ippocrate e il suo “riso di Democrito”, riso come atteggiamento spirituale dell’uomo e come elemento dal potente effetto curativo, in Aristotele e nella sua famosa formula secondo cui il riso era supremo privilegio spirituale concesso all’uomo, e nella filosofia del riso di Luciano, dove il riso è legato alla libertà di spirito e di parola, oltre alla libertà del riso, per esempio, nei Saturnalia e dei mimi: il riso, in tutte queste fonti, è come un principio “su cui si fonda una concezione del mondo, che fa guarire e rigenera, profondamente legato ai problemi filosofici ultimi”19, che, evidentemente,

possono essere affrontati anche con un atteggiamento non necessariamente “serio”.

16 M. Bachtin, op. cit., p.10.

17 Il tema del “mondo alla rovescia”, così come la trattazione degli altri aspetti propri del Carnevale saranno approfonditi in seguito.

18 M. Bachtin, op. cit., p.38. 19 ibid., p.80.

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III. Il Carnevale: caratteri e dinamiche

Vediamo allora in che cosa consisteva il Carnevale tradizionale (di età medievale e moderna, nonché di età contemporanea qualora si possa parlare di Carnevale tradizionale, in seno alla cultura europea), cercando di individuare e ricostruire le caratteristiche e le costanti di un “tipico Carnevale”, al di sopra delle variazioni riscontrabili tra carnevale e carnevale dovute al tempo, al contesto economico-politico, al paese in cui esso veniva celebrato.

Le dinamiche carnevalesche sembrano prendere le mosse essenzialmente da alcuni aspetti materiali e comportamentali:

 la licenziosità e l’eccesso,  il ribaltamento/rovesciamento,  il mascheramento (e travestimento),  la contrapposizione tra due entità opposte,  l’espulsione del carnevale20.

Diversi studiosi inoltre propongono elementi ulteriori rispetto ai sopradetti, o in sostituzione di alcuni di essi. Ad esempio la gioia, come effetto prodotto dal senso del licenzioso, dall’eccesso, dal ribaltamento e dal travestimento, come reazione cioè di fronte alla messa in scena dell’alterità, come percezione positiva dell’alterità in relazione alla normalità, alla vita quotidiana, ai ruoli sociali, alle convenzioni e alle norme, al tempo e allo spazio vigenti durante il resto dell’anno: il Carnevale rappresenterebbe la festa dell’alterità gioiosa, la gioia generata dal disordine carnevalesco, temporaneo e relativo (un caos assoluto, al contrario, susciterebbe angoscia, perché presenterebbe come alternativa all’ordine della normalità un disordine abissale, un nulla minaccioso)21.

I diversi elementi descrittivi sono legati da complementarità e interazione: la licenziosità conferisce al tempo carnevalesco un carattere di opposizione, e sospensione, del tempo della normalità, istituendo una legge temporanea che è quella della permissività.. “semel in anno licet insanire”22, recita un proverbio latino, e per questo il Carnevale viene interpretato

spesso come rituale di liberazione, come occasione di libero scatenamento degli appetiti di cibo, sesso, violenza (i tre temi principali, reali e simbolici). Questo aspetto indubbiamente esiste, ma rappresenta un lato della medaglia, che presenta sull’altra faccia l’aspetto

20 presento questi termini rifacendomi a G. Sanga, Personata libido, La ricerca folklorica, n.6, 1982, pp.5-12; V. I. Stoichita, A. M. Coderch, op. cit., pp.19-24; P. Burke, op. cit., pp.183-184.

21 V. I. Stoichita, A. M. Coderch, op. cit., pp.19-24. 22 “Una volta all’anno è lecito fare pazzie”.

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costrittivo, una certa obbligatorietà dell’eccesso, e il fatto che il desiderio, la frenesia e l’attuazione degli appetiti di carne e di allegria derivino in una certa misura dal timore per l’avvicinarsi inesorabile dell’inizio della Quaresima, tempo di tristezza e magrezza.

Vi era una doppia coppia di opposizioni fondamentali nella dinamica carnevalesca e nei rapporti tra Carnevale e resto dell’anno: Carnevale/Quaresima da un lato e tempo carnevalesco/tempo della normalità (cioè resto dell’anno) dall’altro: la licenziosità e gli eccessi rappresentano una risposta diretta ai divieti che entreranno in vigore nei giorni magri (non solo digiuno e astinenza dalla carne e dal sesso, ma anche dai divertimenti, dal teatro, dagli svaghi), e indiretta alle norme e all’ordine che regolano il ritmo e la realtà della vita quotidiana23, in quanto in rapporto a ciò il Carnevale rappresenta un complesso di riti di

rovesciamento, di sospensione e di disordine istituzionalizzato.

“Al riparo di una maschera tutto è concesso”, ed ecco che alla licenziosità si legano il travestimento e il mascheramento; questi, a loro volta, si collegano al ribaltamento/rovesciamento, come vi si collegano anche la licenziosità e gli eccessi.

Sotto la maschera, sotto un costume animale, o un travestimento sessuale, l’identità è più o meno celata, entra in gioco l’alterità, la diversità rispetto al proprio ruolo sociale; è l’entrata in scena di “un altro”, che gioca sulla similitudine o sulla differenza da se stessi.

Il travestimento dell’uomo in animale provoca un ribaltamento di regni, quello dell’uomo in donna e della donna in uomo un rovesciamento dei generi, dei rispettivi ruoli sessuali, e perciò anche di quelli sociali; il mascheramento dei servi in padroni e dei padroni in servi, dei poveri in ricchi, sospende i rapporti di potere usuali e inverte i ruoli sociali; attraverso tutto ciò e con la rottura dei limiti economici (nel carnevale vi è abbondanza, eccesso alimentare, prosperità, spreco), morali (licenziosità), e civili (violenza) si realizza l’attuazione del tema mitico del “mondo alla rovescia”, o del “paese di Cuccagna”, il ritorno dell’età dell’oro di Saturno: mondi in cui le leggi, i ruoli, l’ordine che vigono nel tempo della normalità sono invertiti o sospesi, e in cui trionfano l’alterità, la specularità, o l’uguaglianza (tra uomo e donna e fra attore sociale e attore sociale). Affronteremo in seguito questo motivo popolare di rovesciamento, rinnovamento, utopia e critica sociale, basterà qui ricordare che il Carnevale rappresenta l’attuazione temporanea, ma (in una certa misura) concreta, di tali mondi “permanentemente carnevalizzati” e che legato a tutto ciò sta il problema della valenza eversiva del Carnevale, del grado di consapevolezza critica e

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contestativa dei “carnevalanti”, della misura della potenza antiistituzionale e dell’energia liberatoria insite nel Carnevale e nei mondi carnevalizzati, che si contendono il campo con, all’opposto, la volontà dell’autorità e del potere dominante, che utilizzano lo spazio carnevalesco come strumento di controllo sociale e in funzione di valvola di sfogo24

necessaria per il mantenimento del sistema sociale.

Un carattere tra i principali del Carnevale, più emotivo che formale, è l’ambivalenza, “a volte così netta da sfociare in aperta ambiguità”25: essa impedisce che del Carnevale si possa

dare un’interpretazione univoca, in termini di comico, tragico, gioia, angoscia, liberazione, costrizione. Partecipano alla costituzione di quest’ambivalenza, per esempio, l’alterità che entra in gioco attraverso l’utilizzo del travestimento e della maschera e il piacere-dovere di comportarsi in modo eccessivo, il carattere della festa, che sospende il tempo normale e conduce i partecipanti in un tempo altro, in cui possono esplicitarsi desideri e stati d’animo diversi, allegria e ansia, esaltazione e spavento.

Michail Bachtin sembra avere colto a pieno quest’ambivalenza nel momento in cui definisce il grottesco, come particolare concezione estetica e valore collegato al principio materiale e corporeo all’interno della cultura comica popolare. Il tratto caratteristico del realismo grottesco è l’abbassamento di tutto ciò che è alto, spirituale e astratto sul piano materiale e corporeo, dal cielo alla terra, che è principio di assorbimento e morte e nello stesso tempo di nascita e rinascita: per questo, l’abbassamento avvicina alla terra, la terra assorbe e fa morire, e insieme prepara ad una nuova nascita, ad un nuovo inizio. Ecco qui l’ambivalenza: l’abbassamento non ha affatto valore esclusivamente distruttivo e negativo, bensì anche positivo e rigenerativo, fa morire e rinascere, meglio e di più26. Il grottesco presenta il corpo

e il fenomeno nel loro divenire, nella metamorfosi, in quel momento in cui sono compresenti e fusi insieme i due poli del cambiamento, il vecchio e il nuovo, il principio e la fine 27 . Nel Carnevale, in cui vive, tra gli altri, il motivo del rinnovamento,

dell’avvicendamento ciclico (naturale, sociale, umano), sono presenti proprio questa concezione grottesca del corpo e della realtà, l’ambivalenza e il senso di gioia e inquietudine legati al cambiamento, al momento di passaggio da uno stato all’altro, alla relatività28.

24la lettura politica del Carnevale, il “mondo alla rovescia” e il “paese di Cuccagna” vengono affrontati nel paragrafo terzo.

25 G. Sanga, op. cit., p.6.

26 M. Bachtin, op. cit., pp. 24-26.

27 ho trattato la concezione grottesca del corpo nel paragrafo secondo del Capitolo Primo.

28questo aspetto è proprio anche delle feste tradizionali, vedremo meglio tutto ciò nel paragrafo secondo, dedicato al carnevalesco e alle comunanze tra festa e Carnevale.

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Inquietanti ed ambivalenti sono poi le maschere, comiche e spaventose, vitali e terrificanti, che da un lato incutono paura e dall’altro esercitano la licenza: vive in esse la possibilità del desiderio senza limiti e della sua realizzazione e questo affascina e angoscia, come la violenza e la follia poste in essere dalla maschera perché ad essa concesse.

Che significato dare alla maschera? Un’interpretazione possibile è quella di identificare le maschere con i diavoli e con i morti29, con esseri provenienti dal mondo sotterraneo degli

inferi che rappresentano, entrambi, quelle forze minacciose che si immagina di incontrare durante il viaggio nell’al di là. Arlecchino, ad esempio, come ci rivela il suo nome

Hellequin (francese Hell o tedesco Hölle = inferno) era originariamente un essere

demoniaco a capo di una schiera di diavoli chiassosi e sfrenati, un re diabolico ma allo stesso tempo comico e satirico. Queste maschere demoniache e comiche ben si prestavano, per il loro carattere sotterraneo, notturno, immorale (e quindi opposto a quello diurno, morale, “normale”, della vita di tutti i giorni) a mettere in scena il rovesciamento delle gerarchie e dei valori consolidati.

Anticamente la maschera era denominata masca e larva: la parola longobarda masca è sinonimo di striga, spirito notturno che turba e divora gli uomini, la latina larva indica lo spirito nocivo e insidioso dei morti e anche la maschera teatrale.

Come sono legate le maschere ai morti? La maschera prende e possiede l’io, lo squilibra, mette in scena l’alterità, sospende la presenza, rappresenta profondamente la morte - l’individuo attraverso la maschera si esprime in modo diverso dal quotidiano, perciò è come se uccidesse l’io di sempre, e rappresentandosi in maschera esprime quell’io che normalmente è morto -, la quale è l’esperienza universale della crisi della presenza e l’alterità per eccellenza. Così il morto viene a significare l’angoscia del vivo, la crisi della presenza temuta dal vivo. La crisi della presenza, inoltre, non è solo riferita al soggetto, a se stessi, ma è anche la crisi dell’oggettività del mondo: con l’irruzione caotica del mondo nell’io che ormai è assente, non esistono più limiti, il caos investe anche il mondo che prima era dato come oggettivo, è il rischio che al mondo si sostituisca il caos30.

Nel Carnevale viene riguadagnato il caos originario, si aprono le possibilità di un cosmo diverso, di un ordine nuovo; si riconquista, nella regressione all’oscuro tempo di

29 G. Sanga, op. cit., p.6.

30 G. Sanga, autore del saggio (cit.) che ho utilizzato in proposito, per il legame tra maschera, morte e sospensione-perdita della presenza, utilizza il contributo di E. De Martino, e soprattutto la sua opera fondamentale in questo senso, Il mondo magico, in merito alla crisi della presenza, al rischio dell’irruzione caotica del mondo nell’io - che provocherebbe un rischio non solo per il soggetto ma anche per la datità del mondo - al quale può offrire una soluzione il meccanismo del riscatto magico, che riconosce il rischio e restaura l’ordine in crisi. Le maschere rappresenterebbero i morti, e quindi la morte, la crisi della presenza per eccellenza.

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dissoluzione del mondo, la possibilità di fondare un cosmo e, nello stesso tempo, questo caos viene riconosciuto, regolato, espulso, viene rinnovato il rituale di fondazione della società. In questo senso, il Carnevale è un Capodanno, una festa di inizio ciclo (abbiamo già visto questo aspetto a proposito della sua collocazione calendariale), in cui si compiono il ritorno annuale dei morti, del caos, della negatività, del rischio, la rigenerazione e rifondazione del cosmo che ne conseguono. Come dimostra l’opera di Lanternari sul Capodanno presso i popoli primitivi31, durante la festa ritornano i morti, figure ambigue, gli

antenati che possono rappresentare spiriti protettori della comunità o creature negative, minacciose e affamate che portano con sé caos e squilibrio32. In ogni caso, attraverso la

cerimonia rituale e la festa, il caos, la disgregazione e i morti che li rappresentano vengono riconosciuti ed espulsi.

Il Capodanno/Carnevale opera il riscatto periodico della presenza della società passando pericolosamente dal superamento del rischio stesso della presenza33: la festa contiene i due

poli della crisi e del riscatto, del caos, - che incute paura e incarna il rischio, ma che anche rappresenta l’apertura al libero dispiegarsi delle possibilità e al gioco della creazione - e dell’ordine, che rassicura e ristabilisce la presenza, ma che non annulla la nostalgia inesorabile per uno stato diverso, per una realtà inattingibile.

In età medievale e moderna34, il luogo per la celebrazione del Carnevale era essenzialmente

all’aperto nel centro delle città, e in occasione dei festeggiamenti pareva che la città, le strade e le piazze si trasformassero in un enorme teatro senza pareti e senza palcoscenico, in cui gli abitanti erano gli attori. Ciò che veniva rappresentato in questo che abbiamo considerato un grande teatro all’aperto rispondeva ad un’organizzazione più o meno elaborata: da banchetti e scorpacciate di carne e frittelle, libagioni esagerate, canti e balli per le strade, maschere e travestimenti (da donna, da uomo, da prete, da diavolo, da buffone, da selvaggio o animale feroce e - in Italia - da personaggi della Commedia dell’arte, ecc.) e comportamenti vari (ad esempio il lancio di farina, frutta, uova, sassi..) di natura piuttosto spontanea e distribuiti più o meno densamente all’interno del periodo carnevalesco (con culmine, comunque, nei giorni grassi), a divertimenti collettivi dalla struttura un po’ più

31 V. Lanternari, La grande festa. Vita rituale e sistemi di produzione nelle società tradizionali, Bari, Dedalo libri, 1976

32 ibid., pp.57-58 33 ibid., pp. 7-8.

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organizzata, concentrati negli ultimi giorni del Carnevale. Le esibizioni venivano spesso allestite da circoli e confraternite capeggiate da “re” o “abati” del Malgoverno e di solito non erano né del tutto libere né del tutto prefissate, bensì si basavano soprattutto sull’affiatamento di persone che avevano condiviso quest’esperienza altre volte. Generalmente esse consistevano di tre elementi: cortei, con carri o carri-vascello e processioni, a cui partecipavano persone delle diverse categorie sociali, e che prevedevano maschere, danze e canti; gare, come corse all’anello, corse di cavalli e gare podistiche, giostre e tornei, partite di calcio, tiro alla fune e altri giochi collettivi; infine, spettacoli di diverso tipo, come farse, parodie (finti processi, finti assedi, false nozze, falsi sermoni), recite più o meno organizzate, forme drammatiche come il contrasto tra Carnevale e Quaresima o la sequenza processo-testamento-condanna e morte del Carnevale.

In molti giochi e spettacoli si poteva trovare appunto la contrapposizione tra la figura del Carnevale, di solito rappresentato da un uomo grasso, allegro e rubicondo, circondato di vivande, e quella della Quaresima, una vecchina magra magra vestita di nero e circondata di pesci (in allusione al fatto che durante il periodo quaresimale era vietato il consumo di carne, e permesso solo quello di “carne” magra, ovvero pesce), così che le raffigurazioni pittoriche della “battaglia fra il Carnevale e la Quaresima”, come quella ad opera di P. Bruegel ad esempio, non sembrano essere frutto solo della fantasia degli autori, bensì testimonianze di una battaglia che si svolgeva davvero, in senso più o meno effettivo o figurato.

Infine, l’ultimo atto della festa consisteva spesso in una rappresentazione drammatica in cui il Carnevale, dopo aver subito un processo e rilasciato una confessione e un testamento, veniva giustiziato, di solito sul rogo, o impiccato, fucilato, segato (se era rappresentato da un fantoccio) oppure espulso dalla città (se era un Carnevale in carne ed ossa). Questo aspetto può essere letto come una componente della valenza di rinnovamento proprio delle feste d’importanza calendario-stagionale, come, cioè, momento della morte del vecchio ciclo di tempo incarnato nel fantoccio, necessario alla rinascita e alla crescita futura delle forze della natura e della società35.

Per quanto riguarda i carnevali tradizionali (nel senso di “che avvengono da tempo non ben specificabile secondo forme essenzialmente non innovative”) contemporanei, vorrei riportare qui alcuni punti del lavoro di Italo Sordi, che nel saggio “Dinamiche del carnevale”

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si è occupato di presentare i dati e l’interpretazione dei carnevali di alcune zone dell’Italia settentrionale, e che a mio parere possono integrare quanto già detto a proposito delle caratteristiche, della dinamica e del mondo del Carnevale36.

L’autore individua come scopo principale (che distingue il Carnevale rispetto ad esempio ad altre cerimonie folkloriche) dei carnevalanti (gli attori del Carnevale, che si contrappongono agli spettatori) quello di presentarsi come qualcosa di diverso, di altro, estraneo, disomogeneo rispetto al resto della comunità, e quindi in quanto tale, inquietante, incomprensibile, grottesco, comico. Questo, che viene definito “Carnevale a presentazione”, si basa su diversi elementi, il mascheramento in primis, tutta una serie di comportamenti insoliti o trasgressivi, la volontà di perdita della propria individualità attraverso l’irriconoscibilità, e un effetto di ambiguità provocato dal gioco del continuo entrare e uscire dalla maschera. La presentazione di se stessi, in corteo o in gruppo più o meno ampio di persone, avviene nelle case, o in strada, nel contatto visivo e/o fisico col resto della comunità o con un gruppo particolare di essa (ad esempio con le ragazze, perché spesso il gruppo degli attori include soltanto gli uomini37). Ciò che è sorprendente è che nonostante

questa contrapposizione tra i carnevalanti e la comunità si realizzi secondo modalità stabilite dalla tradizione, quindi ben note a tutti, ogni anno l’effetto cercato si realizza, si provoca una profonda impressione sia negli attori che negli “spettatori”. Mascheramento e travestimento - l’apparire altro - possono proporsi in diversi gradi, dalla trasformazione della persona in qualcosa di irriconoscibile e informe, all’imitazione di una figura reale (per esempio, una donna o un prete) alla realizzazione accuratissima di un determinato personaggio: si indossano ad esempio abbigliamenti normali ma insoliti perché non appartengono a nessuna persona conosciuta o perché stridono con il contesto, tratti di persone emarginate o “diverse” fisicamente, o mascheramenti profondamente altri, come quelli di animali (orso, mucca, cavallo, asino, gallo, drago..), e soprattutto figure di morti e fantasmi, figure mitiche come streghe, demoni, la Morte con la falce. Il travestimento può realizzarsi semplicemente indossando gli abiti alla rovescia, oppure in modo più elaborato, attraverso l’utilizzo di materiali diversi, nobili e ignobili: nastri, lustrini, pizzi, fiori, gioielli, stoffe colorate, e stracci, pelli, paglia.. Vi sono poi carnevali che presentano una sorta di struttura più o meno complessa a livello di costumi e comportamenti, in cui ad esempio è possibile assumere soltanto determinati ruoli e vi è una separazione netta tra attori e

36 I. Sordi, Dinamiche del carnevale, La ricerca folklorica, n.6, 1982, pp.21-30.

37 riguardo il fatto che il Carnevale venga gestito e “egemonizzato” dagli uomini, l’autore indica come spiegazione il fatto per cui “le varie molle psicologiche che inducono a fare carnevale si incontrano con la più o meno precisa sensazione di un dovere sociale da compiere.”(p.24).

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pubblico, oppure si presentano categorie di maschere entro cui le soluzioni figurative sono molto vaste e vi è la possibilità di passare da un ruolo ad un altro, e non vi è rigida separazione tra carnevale e destinatari. I carnevali fortemente strutturati sembrano essere stati non tanto la regola bensì l’eccezione, dev’esservi stato in principio un intervento di tipo registico successivamente interiorizzato dalla comunità, e tutta una serie di rielaborazioni e rifunzionalizzazione di materiali di varia provenienza: vi è una forte caratterizzazione locale (si è creato un carnevale che fosse espressione di quella particolare comunità, che rappresenti ad esempio l’episodio di fondazione) ottenuta però attingendo, riorganizzando e razionalizzando, elementi formali, figurativi, ecc. presenti in un fondo di natura generale e molto antica, che poi all’interno di “quel”Carnevale acquistano un significato proprio. Strutturato o meno, il Carnevale attinge a idee figurative e sceniche provenienti da alcune fonti quali l’organizzazione militare (i costumi di vari personaggi ad esempio assumono l’aspetto di divise militari, il corteo tende a strutturarsi come la parata militare), l’iconografia religiosa (figure come angeli e diavoli sono divenuti maschere che si contrappongono nel Carnevale), lo spettacolo di piazza e il circo (giochi e spettacoli si ispirano a quelli dei girovaghi e di piazza, alcune maschere riprendono personaggi del circo come clown, trampolieri, giocolieri, ecc.), e infine, la televisione (vi sono maschere che rappresentano personaggi di serie tv di successo, di cartoni animati) e, aggiungerei, similmente, il fumetto (supereroi).

L’autore insiste sulla dimensione sociale della ritualità carnevalesca: vengono messe in scena, in forma diretta o simbolica, le relazioni sociali, senza il rinvio ad altre sfere dell’attività umana come il magico o il religioso (Sordi non riconosce legami con, ad esempio, la promozione della fecondità agraria), mentre coinvolge in una qualche misura la sfera dell’economico attraverso i procedimenti dello spreco festivo. Dei rapporti sociali, durante il Carnevale, vengono affrontati soprattutto la tematica del matrimonio, del rapporto tra coniugi e tra genitori e figli, della famiglia; poi quella delle relazioni tra classi d’età e condizione sociale, i rapporti tra classi sociali (in forma rovesciata o corrispondente alla realtà, e/o nelle varie forme di componimenti satirici e di protesta recitati), o tra comunità vicine (espressi in forma bellicosa o pacifica).

Alcuni carnevali infine, carnevali eccezionali, celebrano la conquista della libertà da parte della comunità locale (Sampeyre, Ivrea), e qui molto spesso non è previsto il mascheramento, si compare con la propria identità, per sottolineare l’appartenenza a quella comunità.

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Diffusa è la presenza dell’attualizzazione di un contrasto, di un’opposizione all’interno del Carnevale: un orso e un domatore, un diavolo e un angelo, il marito e la moglie, Carnevale e Quaresima (specifica l’autore che quest’ultimo contrasto è presente nell’Italia del Sud, non in quella settentrionale), battaglie tra i partecipanti in forma di scontro ritualizzato più o meno violento, una caccia ad animali reali, lasciati liberi in una piazza, o a un essere mitico, l’uomo selvaggio. Infine, sono frequenti le rappresentazioni di contrasti formali, tra due gruppi di maschere, bianche (o rosse) e nere, belle e brutte, che assumono il senso di una contrapposizione tra Bene e Male, o tra mondo umano e mondo extra-umano (o selvatico), ma anche, di natura sociale, tra ricchi e poveri.

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IV. Rinnovamento del mondo e “muori e rinasci”.

Vorrei accennare ad un aspetto del punto di vista di Michail Bachtin38, per approfondire la

componente di senso del rinnovamento del mondo insita nel Carnevale.

“Carnevale è la festa del tempo che tutto distrugge e tutto rinnova”39.

Secondo lo studioso, questa festività ha un carattere universale, rappresenta la rinascita e il rinnovamento del mondo, a cui tutti partecipano, perché all’interno del Carnevale non vi sono distinzioni tra attori e spettatori, non si può assistervi come fosse uno spettacolo, bensì solo viverlo40. Carnevale è la seconda vita del popolo, la sua vita di festa, e le festività hanno

avuto sempre il contenuto profondo di una concezione del mondo, un fondamentale rapporto con il tempo – cosmico, biologico, storico –, con l’avvicendarsi e il rinnovarsi del mondo, il morire e il rinascere. Poiché nel Medioevo, spiega Bachtin, questo carattere della festa poteva esistere soltanto nel Carnevale e negli aspetti popolari e pubblici di altre feste, ecco che questi divenivano la seconda vita del popolo, il quale poteva accedere temporaneamente al regno utopico della libertà e dell’eguaglianza. Infatti

il Carnevale, in opposizione alla festa ufficiale [che consacrava il regime esistente], era il trionfo di un sorta di liberazione temporanea dalla verità dominante e dal regime esistente, l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù. Era l’autentica festa del tempo, del divenire, degli avvicendamenti e del rinnovamento. Si opponeva ad ogni perpetuazione, ad ogni carattere definitivo e ad ogni fine. Volgeva il suo sguardo all’avvenire incompiuto41.

E ancora, attraverso questa eliminazione temporanea dei rapporti gerarchici tra le persone, veniva a crearsi sulla piazza carnevalesca un tipo speciale di comunicazione, costituito da forme specifiche di linguaggio e di gesti aperte e libere dalle regole correnti dell’etichetta e della decenza (si creano un contatto libero, familiare e di piazza tra le persone, nuovi generi verbali, cambiamenti di senso o eliminazione di alcune forme vecchie, si utilizzano imprecazioni, spergiuri, bestemmie, volgarità); le forme e i simboli della lingua carnevalesca sono “pervasi dal pathos degli avvicendamenti e dei rinnovamenti, dalla coscienza della gioiosa relatività delle verità e delle autorità dominanti”42. Per questo, tale

lingua è caratterizzata dalla logica del mondo alla rovescia, dalle forme più diverse di

38 M Bachtin, op. cit.

39 N. Pasero, prefazione, in J. C. Baroja, op. cit., p.xiii, da M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi, 1968, p.162.

40M Bachtin, op. cit., pp.10-11. 41 ibid., p.13.

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parodie e travestimenti, abbassamenti, incoronazioni e detronizzazioni burlesche. Una seconda vita del popolo, perciò, che era come un mondo alla rovescia rispetto a quella quotidiana.

Goethe, nella sua descrizione del carnevale romano del 1788, è riuscito a cogliere, a parere di Bachtin, alcuni tratti essenziali del Carnevale43. Innanzitutto, il carattere popolare della

festa, l’iniziativa popolare: “Il carnevale di Roma non è precisamente una festa che si offre al popolo, ma una festa che il popolo offre a se stesso”44, l’abolizione temporanea delle

gerarchie, l’allegria, la libertà e la licenza carnevalesche, il carattere festoso senza devozione, la liberazione da ogni serietà della vita, le incoronazioni-detronizzazioni per burla, le allegre battaglie di coriandoli e tra le maschere, la presenza della concezione grottesca del corpo (ad esempio, un uomo vestito da donna incinta, che partorisce una creatura deforme mentre intorno litiganti armati di coltelli - di carta - simulano una rissa: l’unione dell’omicidio e del parto, lo smembramento del corpo rappresentano un piccolo dramma grottesco del corpo), la festa del fuoco (sfilata di “moccoli”). Lungo la sfilata, risuonano le grida “sia ammazzato chi non porta il moccolo!”, un augurio di morte profondamente ambivalente, che, come le espressioni indecenti o offensive, incarna l’unione di ingiuria e lode, augurio e malaugurio, “nell’atmosfera della festa del fuoco, cioè di combustione e resurrezione”45, che è quanto dire: muori-rinasci. La stessa ambivalenza

dell’esistenza, Goethe l’ha espressa in modo sublime:

“Finché non comprendi questo muori e rinasci, rimani soltanto un triste ospite sull’oscura terra”.

Chi partecipa al Carnevale diviene padrone gioioso della terra luminosa, poiché conosce la morte soltanto sotto l’immagine di una donna gravida, possiede il senso del “muori e rinasci”, non nella dimensione di coscienza individuale, bensì in quella ben più forte e pervadente di partecipazione alla sensazione di eternità, rinnovamento e crescita collettivi46.

43 ibid., p.267. 44 ibid., p.269. 45 ibid., p.272. 46 ibid., p.273.

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II. “Carnevalesco” e festa tradizionale

Abbiamo visto precedentemente che il Carnevale rappresentava molto spesso la festa popolare più importante e più grande dell’anno, o comunque una festività molto sentita nell’Europa medievale e moderna, e soprattutto l’unica festa tradizionale non direttamente collegata con la liturgia cattolica. Come accennato nell’Introduzione, esso costituiva un agglomerato in cui si potevano trovare elementi e riti propri della festa tradizionale, e che le feste, a loro volta, erano come carnevali in miniatura: Carnevale e feste tradizionali condividevano quell’insieme di riti, di caratteri, di atmosfera e di concezioni che costituiscono il “carnevalesco”.

Si utilizza il termine “carnevalesco”

in un senso più ampio, per designare non soltanto le forme del carnevale nel senso stretto e preciso del termine, ma anche tutta la vita ricca e varia della festa popolare del Medioevo e del Rinascimento con le sue caratteristiche rappresentate in modo evidente dal carnevale dei secoli seguenti, quando la maggior parte delle altre forme erano morte o degenerate. […] le diverse forme della festa popolare, scomparendo e degenerandosi, lasciavano al carnevale alcuni loro elementi: rituali, attributi, immagini, maschere 47.

Il Carnevale diventa simbolo e incarnazione della vera festa popolare e pubblica, indipendente dalla chiesa e dallo stato, quando il significato popolare delle altre feste invece si restringe, perché rapportate con il culto e i riti della chiesa o dello stato48. Esso diventa

spazio festivo in cui possono confluire comportamenti cerimoniali dalle provenienze più disparate, calendariali e non, integrandosi in vari modi.

L’atmosfera carnevalesca regnava, per diversi aspetti, all’interno di numerose feste, quali la “festa dei folli”, la “festa dell’asino”, altre feste religiose come quelle dedicate a certi santi (S. Agata, S. Giovanni Battista, S. Martino, ecc.) - ma in generale in quasi tutte le feste religiose esisteva un aspetto pubblico e comico -, le feste agricole (come la vendemmia)49, e

in certe cerimonie civili (come i tornei, i festeggiamenti di vittorie).

Fra le feste più esplicitamente “carnevalesche”, alcune cadevano in vicinanza o concomitanza col periodo del Carnevale: la Festa dei Folli, per esempio. Essa veniva celebrata all’interno dei 12 giorni di Natale, per S. Stefano, per Capodanno o per l’Epifania, o il 28 dicembre per festeggiare la Strage degli Innocenti massacrati da Erode. I festeggiamenti venivano organizzati dagli studenti o, soprattutto, dal clero: si eleggeva un

47 ibid., pp.238-239. 48 ibid., p.240. 49 ibid., p.7.

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vescovo o un abate dei folli, si tenevano danze e canti per le strade e in chiesa, si svolgeva un corteo e si celebrava una finta messa in cui gli officianti indossavano maschere, capovolgevano i propri abiti, giocavano e banchettavano, e maledicevano l’assemblea anziché benedirla 50. Trionfava così il mondo alla rovescia, motivo abbiamo visto

fondamentale all’interno del Carnevale. Del resto, la stessa nascita del figlio di Dio all’interno di una mangiatoia era un esempio, il più alto, del mondo all’incontrario, e il periodo dei 12 giorni di Natale veniva considerato come di Carnevale: banchetti e libagioni, spettacoli, vari tipi di “Malgoverno”, travestimenti parodici del culto ufficiale, abbassamenti grotteschi di simboli e riti religiosi con la loro trasposizione sul piano materiale e corporeo51.

Altra espressione importante del riso festoso che gravitava intorno alla chiesa era la festa dell’asino, in ricordo della fuga in Egitto di Maria e del piccolo Gesù, a cavallo di un asino, all’interno della quale si potevano trovare abbassamenti sul piano materiale e corporeo analoghi a quelli della festa dei folli (infatti, il protagonista di questa festa era l’asino). Nel Medioevo, ci spiega Bachtin52, le feste religiose, in generale, e soprattutto quelle a carattere

locale (come quelle patronali), che avevano potuto assorbire elementi di feste pre-cristiane, presentavano tutte un aspetto pubblico e la dimensione del riso di festa, collegati ad un valore abbassante e rigenerante, positivo, di rinascita; coincidevano di solito con delle fiere locali e con tutto il sistema, perciò, di spettacoli, divertimenti di piazza, banchetti legato ad esse.

Nel periodo di Carnevale, il 5 febbraio si celebrava la festa di S.Agata, occasione di un rito di rovesciamento: le donne comandavano sugli uomini, come se “le torture che S. Agata subì, quando le mozzarono il seno, l’avessero trasformata in un’amazzone”53.

Esistevano feste che esaltavano i temi carnevaleschi del rinnovamento, del rovesciamento, del cibo, del sesso e della violenza al di fuori del periodo del Carnevale, e ognuna poteva presentare aspetti speciali a seconda della stagione in cui veniva celebrata. Ad esempio le feste per il martedì di Pasqua, per il May Day (Primo Maggio) e per i riti di primavera: durante la prima le donne tenevano in ostaggio gli uomini, mentre il Primo Maggio era occasione di giochi, spettacoli e di una certa licenza sessuale, dato che per procurarsi l’“albero di maggio” occorreva inoltrarsi nei boschi e trascorrere lì la notte. In Italia questi “alberi di maggio” erano chiamati “alberi della Cuccagna” (esplicito il riferimento alla Cuccagna del Carnevale) mentre in Spagna il Primo Maggio veniva celebrato con parodie di

50 P. Burke, op. cit., p.187. 51 M. Bachtin, op. cit., p.85. 52 ibid., p.90.

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battaglie e di nozze, come durante il Carnevale.

Esistevano feste per certi versi carnevalesche anche d’estate e d’autunno: giornate di cortei e giochi erano ad esempio la festa per il Corpus Domini e quella di S. Giovanni Battista (la notte di Mezz’estate). Nelle feste d’autunno, infine, l’accento era posto sul banchetto e la libagione, ad esempio nella festa di S. Martino (11 novembre) e in quella di S. Michele, patroni dei vigneti.

Ciò che accomuna tutte queste feste con il Carnevale è il rapporto sostanziale della festa con il tempo, con il senso di rinnovamento, di rinascita del mondo – la detronizzazione del vecchio e l’incoronazione del nuovo –, il muori-rinasci ; il travestimento (nel senso che durante le feste occorreva rinnovare i propri abiti e la propria immagine sociale), il rovesciarsi dell’alto in basso e viceversa (ad esempio, elezione di re e regine effimeri, burleschi), gli aspetti pubblici, di piazza, il riso di festa, il legame della festa con la libertà, seppur temporanea54.

Il tempo festivo si oppone al quotidiano, eratempo di spreco, di sospensione del lavoro, di abbondanza, di abbigliamenti particolari, di certi tipi di spettacoli e giochi (il gioco, anch’esso, aveva un legame particolare con il tempo e il futuro, con la profezia, con la divinazione: i pezzi basilari del gioco, ad esempio, carte e dadi, erano strumenti con cui si prediva la sorte, le immagini del gioco rappresentavano una certa concezione della vita, l’avvicendarsi cioè di fortuna-sfortuna, ascesa-caduta, incoronazione-detronizzazione; il gioco poi liberava dalle regole della vita quotidiana sostituendo ad esse una convenzionalità più allegra e rilassante55).

La festa opera il riscatto periodico della presenza comunitaria, la liberazione simbolica dalle varie negatività dell’esistenza, l’attuazione simbolica di una condizione millenaristica desiderata56.

Questo, abbiamo visto in precedenza, non è affatto esente da rischi e angosce, richiama la condizione del caos, la perdita dei limiti, l’eccesso (ad esempio, di cibo e sesso) che se da un lato affascinano e rappresentano la possibilità di un orizzonte cosmico diverso da quello normale, dall’altro provocano smarrimento e perdita di sicurezza della datità del mondo: il Carnevale e la festa rappresentano una “regressione ed esplorazione di altri mondi e di altre

54 M. Bachtin, op. cit., p.100. 55 ibid., p.257.

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ragioni possibili”57(l’età dell’oro o il mondo alla rovescia, per esempio).

La festa, e il Carnevale perciò, sono caratterizzati da una profonda ambivalenza, contengono un qualcosa di

“difficile comprensione, affine al giocondo, al serio, al gioco, che pur tuttavia non contrasta con le cose più tetre, più sfrenate e più severe, in una sola parola: la festività”58.

Questo senso di festività fa la festa. La festività è soprattutto gioco, “chi gioca trasforma tutto il mondo in un suo proprio mondo e con ciò diviene creatore e dio di quest’ultimo: il gioco è potente”59. La festa tradizionale è nello stesso tempo, sistema di rappresentazione e

d’azione, humus per la germogliazione di tutto un immaginario e per la rigenerazione delle forze vitali, del corpo, della natura, della società.

Essa è un rito pubblico che dinamizza dei valori espliciti e impliciti presenti in una società, un’istituzione che esprime una pratica culturale, “agente e/o testimone di una certa socialità”60. Vi sono vari livelli di lettura a cui si può sottoporre una festa61.

Il primo è quello formale, che studia la morfologia del cerimoniale: i riti e i giochi, il luogo e la collocazione calendariale della festa, ma non solo; il rituale viene considerato nella sua natura di oggetto semiotico complesso. Esso è un atto formale pubblico e periodico, retto da codici simbolici di tipo biologico, auditivo e visuale, un linguaggio che è il risultato di una manipolazione simbolica operata da un gruppo in una situazione culturale, una struttura e insieme un principio di strutturazione del mondo. La festa, come luogo di incontro, scambi reali e simbolici e di una socialità particolare - espressione o contestazione di relazioni quotidiane - prodotta dalla dinamica sociale e operante sull’ambiente che la crea, può essere letta anche da un punto di vista sociologico. La festa istituisce una comunità festiva, con un proprio codice che è chiave per la comprensione di un universo mentale e socioculturale. All’interno di essa si creano ruoli e relazioni tra le diverse figure, i registi, gli esecutori, gli specialisti della festa (e i quasi professionisti, i festaroli) tra di loro e rispetto al resto della comunità; si mettono in moto alleanze, solidarietà, contrapposizioni, e tutta una serie di situazioni che si differenziano da quelle della norma quotidiana, ma che non ne rappresentano l’esatta inversione:

“tutto l’interesse risiede nel confronto, nell’analisi degli scarti differenziati nell’espressione

57 ibid., p.9.

58 K. Kerényi, Religione e festa, in F. Jesi, a cura di, La festa, Torino, Rosenberg & Sellier, 1977, p.37. 59 ibid., p.46.

60 M. Boiteaux, Struttura e comportamenti: le feste tradizionali romane tra il quindicesimo e il diciottesimo secolo, in C. Bianco, M. Del Ninno, a cura di, Festa. Antropologia e semiotica, Firenze, Nuova Guaraldi Editrice, 1981, p.10.

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delle solidarietà e delle tensioni. […] La festa è indice rivelatore del festivo nel suo rapporto con il quotidiano e manifesta i valori di un sistema culturale”62.

Vi è poi un ulteriore livello di lettura, quello dell’orizzonte mentale e culturale, collettivo, conscio e inconscio, che viene a funzionare all’interno della festa. Essa è insieme conservatrice, per le sue forme ripetitive e consolidate, per la sua espressione di un’eredità che si rinnova in una creazione continua, e pericolosa, perché contiene una potenziale contestazione che provoca una reazione da parte dell’autorità (dalla - rara - proibizione totale, alla creazione di riti paralleli e concorrenti, a operazioni di recupero, di strategia culturale del potere, di utilizzazione politica della festa popolare, che ne riprende il potenziale attivo ed emotivo ma ne occulta o deride i contenuti popolari). La festa è anche pacificazione o inasprimento dei contrasti sociali, consente e suscita la ristipulazione delle alleanze. Essa non è mai neutra.

La festa è stata definita come un’occasione collettivizzante che ha i suoi specifici caratteri63:

la periodicità calendariale (il ritornare periodicamente, secondo un ritmo settimanale, o mensile, stagionale, annuale, pluriennale, fatta eccezione per quelle feste che nascono spontaneamente, occasionalmente e che si manifestano con comportamenti inventati), la ritualizzazione dei comportamenti (un agire festivo cristallizzato che si trova sia nelle feste religiose che in quelle laiche), la variabilità dei significati (per cui gli elementi simbolici dell’agire festivo sono sottoposti a riadattamento storico a seconda delle variazioni delle condizioni generali della società) e la connessione con un evento fondante (condizione molto frequente ma non necessaria). Oppure, secondo un’altra definizione, la struttura della festa consiste soprattutto di quattro elementi:

“il valore della socialità [pratiche di doni e scambi, visite e intrattenimenti, apertura ai rapporti interpersonali, sessuali, ai fidanzamenti, solidarietà e competizione tra quartieri e gruppi], l’atmosfera della partecipazione [al momento ludico e di disimpegno, a manifestazioni di carattere ludico e/o rituale, quali rappresentazioni teatrali, spettacoli, processioni, giochi, gare, danze, canti..], la dimensione del rito, il simbolismo dell’antiquotidiano. Su questa struttura si regge la funzione del momento festivo: che è quella, in ogni caso, di fondazione d’una realtà e condizione esistenziale desiderata, esorcizzando, su un piano simbolico rituale, tutta la

62 ibid., p.12.

63 A. Di Nola, Varianti semiotiche della festa e interpretabilità marxiana, in C. Bianco, M. Del Ninno, a cura di, Festa. Antropologia e semiotica, Firenze, Nuova Guaraldi Editrice, 1981, pp. 88-99.

110 V. Lanternari, Spreco, ostentazione, competizione economica. Antropologia del comportamento festivo, in C. Bianco, M. Del Ninno, a cura di, Festa. Antropologia e semiotica, Firenze, Nuova Guaraldi Editrice, 1981, pp.132-148.

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negatività accumulata a patita.”64

La festa funziona come “momento augurale d’una realtà tutta propizia”, la prodigalità, lo

spreco, l’imprevidenza propri delle occasioni festive agiscono secondo la dialettica del come

se, come se, cioè, quella condizione d’abbondanza dovesse permanentemente durare65; (vi

sono poi, accanto alla prodigalità e allo spreco generalizzati che esprimono solidarietà comunitaria e un momento aggregante, dei comportamenti individuali di ostentazione e competizione che mirano all’affermazione d’una superiorità o un prestigio individuali o di classe, e rappresentano momenti differenzianti). Lo spreco generalizzato, comunque, mira a produrre una situazione di coesione ritualizzata e annullare la precarietà e la negatività dell’esistenza ordinaria.

Millenaristicamente, la festa esprime un mondo desiderabile, è un istituto culturale alternativo rispetto alla quotidianità con i suoi fattori negativi e alienanti e per il periodo della sua durata annulla tali negatività attraverso il simbolismo del gioco rituale.

Festa viene a significare un tempo di pienezza e di distensione che si distingue dal tempo lavorativo, tempo che mette in contatto, in modo diretto, una fase dell’esplosione vitalistica del Dasein (l’essere nel mondo) con un diverso senso del tempo.

Nonostante la festa sia stata spesso riconosciuta come tempo in cui né si lavora né ci si occupa della riproduzione della propria capacità lavorativa (il disbrigo dei bisogni fisiologici ad esempio), bensì come fenomeno sociale di uso del tempo libero e come tempo dedicato alla cultura animi, allo sviluppo dell’essere uomo66, l’attenzione è stata posta sul

fatto che, distinguendo la festa pre-capitalistica da quella capitalistica, possiamo riconoscere in quest’ultima tipologia la presenza, in aggiunta ad altre caratteristiche, di “meccanismi che garantiscono al sistema di profitto la produzione e riproduzione della forza lavoro. […] La festa è il riposo reso coatto dalla constatazione culturale che conviene, in una società capitalistica, concedere pause per evitare la distruzione dell’uomo cosizzato, dell’uomo fatto oggetto e animale.”67

Nella società capitalistica e tardo-capitalistica, continua ad esistere la festa di tipo pre-industriale, all’interno delle aree contadine e pastorali. Generalmente, essa sorge dal basso, come regolamentazione autonoma dei ritmi di produzione e riproduzione della forza lavoro,

65 ibid, p.137, corsivo dell’autore.

66 G. Angioini, Tempo libero e ricchezza sociale, in C. Bianco, M. Del Ninno, a cura di, Festa. Antropologia e semiotica, Firenze, Nuova Guaraldi Editrice, 1981, pp. 3-9.

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sia come momento collettivo di distensione anche orgiastica e come manifestazione in cui il referente è costituito prevalentemente dalle mitologie religiose.

La festa capitalistica invece, rischierebbe di perdere la profonda connessione con la ciclicità naturale, tipica della società pre-industriale, all’interno della quale veniva a istituirsi il rapporto uomo-natura, per configurarsi invece come mera occasione di riposo. La società capitalistica creerebbe inoltre tutta una serie di bisogni fittizi e di domanda di beni addittori e consumistici per ricomporre l’equilibrio economico turbato dalla festa (la sospensione del lavoro). La festa capitalistica spesso si giustifica, e si rafforza, attraverso l’appello a una struttura ideologica precapitalistica, ad esempio di valore religioso (Natale, domenica, Pasqua,ecc.)68.

Nella società contemporanea la festa ha subito una trasformazione importante. “Come risposta alternativa all’ideologia alienante diffusa dalla civiltà dei consumi e dalle forze economiche che la promuovono”, si sono formati nuovi tipi di feste.

L’ideologia che accompagna il modo di produzione produttivista e consumista ha introdotto una velleitaria utopia: quella di vivere in festa in modo continuativo, accreditando il mito tecnologico edonistico dell’abbondanza e del godimento facile e perenne: il mito d’una nuova età dell’oro generalizzata. In questa ideologia i fattori spreco, competizione, ostentazione non si commisurano più ai momenti eccezionali, emergenti e partecipativi della festa; bensì si prolungano per l’intero arco della quotidianità, per ogni suo istante, individualmente e in privato”69.

Alcune “nuove” feste70 (ad esempio quelle del “proletariato giovanile” organizzate dal

giornale “Re nudo”, o quelle de “l’Unità”, o iniziative gestite da gruppi autonomi, come gli indiani metropolitani, dal carattere spontaneo e dai comportamenti inventati) si configurano come momento dell’antispreco, in risposta appunto all’ondata consumista e all’ideologia dello spreco dei modelli imperanti, e inoltre, attraverso la negazione di ostentazioni e competizioni cercano di recuperare la dimensione della partecipazione, della socialità e della ritualità messe in atto all’interno della festa tradizionale.

68 Da sottolineare che, sebbene vi siano sicuramente differenze tra la festa “di tipo capitalistico” e quella “di tipo pre-capitalistico”, le posizioni in questo senso di Di Nola (op. cit.) sembrano discutibili, è difficile infatti accettare la tesi secondo cui le feste capitalistiche avrebbero perso completamente i caratteri fondamentali e l’autenticità della festa vera e propria, quella pre-industriale.

69 V. Lanternari, op. cit., p.144.

70 C. Gallini, Le nuove feste, in C. Bianco, M. Del Ninno, a cura di, Festa. Antropologia e semiotica, Firenze, Nuova Guaraldi Editrice, 1981. Vorrei ricordare che le “nuove” feste di cui parla e fa esempio l’autrice sono manifestazioni sorte negli anni’70 e che le considerazioni in merito rispecchiano il clima culturale dell’epoca; oggi sicuramente potremmo individuare altre feste, come ad esempio i rave party, che necessitano di letture diverse da quelle applicabili alle feste degli anni’70.

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La nascita di feste “nuove” ci porta a “fare i conti con un prodotto culturale che, anche se porta lo stesso nome di festa, è diverso, perché diversa è la base sociale che lo esprime”71.

Sono feste, perché come le feste tradizionali, “consentono l’espressione di comportamenti sociali di massa che si collocano sul piano dello scambio di beni simbolici non strettamente funzionali alla produzione di beni materiali”, ma si differenziano soprattutto perché la festa nuova “non è più un complesso culturale istituzionalizzato all’interno di una formazione sociale data. È piuttosto uno dei tanti aspetti di una cultura di massa in cerca di espressione”, non più l’ineliminabile momento di un insieme socioculturale; riveste invece un carattere sperimentale e opzionale72. Soprattutto, “è la capacità di aggregazione delle

feste nuove che viene di volta in volta messa alla prova in un processo di ricerca di quelle funzioni unitarie cui assolveva la festa tradizionale”; le feste nuove sono oggi uno dei momenti attraverso cui si cerca il raggiungimento di un’unità, non il momento per eccellenza, ed occorrono iniziative culturali che precedano e seguano la festa, affinché il messaggio non si disperda e perché venga superato il limite dell’“evasionismo sterile e autogratificante delle loro manifestazioni”73.

71 Ibid., pp. 104-116. 72 ibid., pp.106-107.

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